UNA VOCE RIECHEGGIA NELL’ARIA DELLA FLORIDA.
Rispettabilissimo Maestro Venerabile.
Carissimi Fratelli che sedete all’Oriente,
carissimi Fratelli che ornate le colonne,
Una voce riecheggia nell’aria della florida.
Un soave vento muove le candide nuvole che costellano il cielo pomeridiano e accarezza il freddo acciaio del vettore spaziale Falcon heavy della compagnia SpaceX. Il John F. Kennedy space center di Cape Canaveral si trova sul lembo più orientale della parte lagunare della florida. Da questo stretto pezzo di terra sono partite le più importanti missioni spazial dell’umanità e nel momento in cui stavo guardando queste immagini, ci si stava apprestando ad aggiungere una nuova pagina al libro della storia.
Nell’aria attorno alla piattaforma di lancio si sta addensando una nube bianca come risultato del contatto tra l’aria stessa e il mix di ossigeno liquido e cherosene che sta riempiendo i serbatoi del razzo e che ne costituisce il carburante per il volo. La nube assomiglia tanto ad una soffice palla di zucchero filato e dona all’immagine un carattere amichevole e fanciullesco, spazzando via quella sensazione di timore e soggezione che si subisce di fronte a questo razzo di 70 metri. Si rimane ammagliati da questa sagoma proprio come la Ginevra di Rousseau che nelle “Fantasticherie del passeggiatore solitario” guardava il monte Bianco e ne rimaneva spaventata dalla mole e dalle decine di leggende terrificanti che accompagnavano la fama della regina delle alpi.
“I computers del Falcon heavy hanno preso il controllo del countdown, il vettore è configurato al volo. Space x, qui controllo di volo: go for lounch”. Il controllo di volo comunica che tutti i milioni di parametri sono in linea con quanto previsto in fase di programmazione e progettazione e che il lancio può essere effettuato.
“10, 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1, iniezione… decollo”. I 27 motori Merlin D1 si accendono con un boato sprigionando fiamme e una mastodontica quantità di energia che mette in vibrazione la terra per alcune centinaia di metri. Migliaia di litri di acqua sono riversati senza controllo al piede della torre di lancio con la funzione di assorbire le devastanti oscillazioni indotte ed evitare che queste possano disintegrare le strutture di lancio. Oltre 22 mila chilo-newton di forza strappano il razzo dal suolo della Florida e lo spingono in verticale verso la sua destinazione finale: Marte. Migliaia di persone, sopraggiunte nella zona, gridano, saltano, incitano il Falcon a volare, come se la loro eccitazione potesse diventare energia utile a superare le resistenze fisiche che stanno attanagliando il vettore. Resistenze rappresentate dall’attrito con l’aria ma soprattutto dalla forza di gravità. Lui, meraviglioso frutto di ingegneria, sogno e pazzia, accelera la sua corsa e dopo appena 120 secondi guarda il globo terrestre da 40 chilometri di altezza, navigando ai confini della stratosfera ad una velocità di 4500 km/h. A T + 2.30 minuti, il razzo è un piccolo puntino fiammeggiante sopra le teste dell’umanità e si appresta ad affrontare una nuova fase della sua missione. I due boosters laterali si distaccano dal corpo principale e rallentano la loro corsa. Fratelli fedeli e in piena simbiosi, si muovono come un’entità unica. Dispiegano le loro piccole ali per il controllo della traiettoria e scendono, in un’apparente caduta libera verso la Terra.
Flebili getti di aria si liberano dai lati dei due razzi e aiutano a mantenere la traiettoria di volo. A T + 6.40 minuti quelle masse di acciaio ruotano su loro stesse di 180 gradi e dispiegano 3 lunghe gambe metalliche.
La forza di gravità sta bramando ciò che le appartiene, il suo nutrimento, masse e corpi, peso da attrarre verso il suo centro, senza possibilità alcuna di fuggire alla sua influenza. Quei corpi sono attratti al suolo con incredibile forza ma, la riaccensione dei loro 9 motori genera una forza opposta che permette ai due di atterrare delicatamente, in una sorta di balletto sincronizzato, esattamente in corrispondenza nel punto previsto. Concluso l’atterraggio si stagliano sull’orizzonte tra le grida di felicità dei presenti, fieri, fumanti e anneriti.
Chi meglio degli astronauti può rappresentare la tendenza umana a salire, elevarsi, non solo spiritualmente ma anche fisicamente, e a volersi cimentare in quelle che, come già definite dal fratello Alessandro, sono vere e proprie ascensioni iniziatiche?
Sul lancio descritto non sono presenti astronauti ma la storia ci ricorda come la Massoneria e lo spazio abbiano un rapporto molto stretto. Numerosi sono i massoni che hanno contribuito a scrivere la storia dell’esplorazione spaziale. Tra i più celebri vi è Edwin Eugene Aldrin Jr. conosciuto più semplicemente come Buzz. Partecipò, nel 1969, alla missione Apollo 11 e fu il secondo uomo a mettere piede sulla Luna.
Massone e figlio di massone, fu membro della "Montclair Lodge N. 144", nel New Jersey, e in seguito della "Clear Lake Lodge N. 1417" di Seabrook, Texas. Divenne nel 1969 33º del Rito scozzese antico ed accettato dalla Giurisdizione Sud degli Stati Uniti di cui portò le insegne con sé sull’Apollo 11. Su mandato del Gran Maestro del Texas reclamò per la Luna la giurisdizione massonica della Gran Loggia Texana lasciando su di essa, assieme alla bandiera americana, il gagliardetto della Gran Loggia. Lui stesso, dichiarò nel suo libro “Ritorno sulla Terra” di aver fatto comunione una volta atterrato sulla Luna e pronunciò queste parole nella trasmissione radio con la Terra “Vorrei cogliere quest’occasione per chiedere ad ogni persona che si trovi in ascolto, chiunque sia, di raccogliersi per qualche istante, rendersi conto di ciò che è successo in queste ultime ore, e ringraziare Colui in cui crede e nella maniera in cui crede”. Lui come Uomo iniziato ha sconfitto la forza di gravità e si è elevato.
Il conflitto tra massa e forza di gravità è sì invisibile ma, contemporaneamente, follemente tangibile. Anche il più piccolo salto del nostro corpo, il minimo tentativo di tendere a qualche cosa che sta più in alto di noi, viene bloccato e rallentato dalla forza di gravità. Questa lotta mi ha portato a riflettere sul rapporto tra l’uomo e la sua propensione al tendere verso l’alto, verso l’Universo, verso la Luce, la conoscenza, verso il Divino e gli ostacoli che lo stesso trova durante il suo cammino. Qualsiasi religione, qualsiasi mito hanno guardato verso l’alto per soddisfare le varie divinità. Un iniziato, un massone ha intrisa nel suo essere questa tendenza.
L’uomo profano muore nell’oscurità del gabinetto di riflessione, pochi attimi prima della sua iniziazione, sprofonda negli abissi e nelle viscere terrestri, per poi elevarsi e rinascere una volta purificato da aria, acqua e fuoco. È vero che il libero muratore tenda verso l’alto, verso la conoscenza con i suoi pensieri, con la sua mente, con il suo essere e con la sua anima ma se la forza di gravità ponesse il suo freno anche a questi particolari mezzi di ascensione immateriali? Oppure, se la sola ascensione immateriale non fosse più appagante per l’uomo? In fondo, la gravità pone un limite alla libertà.
Socrate stesso, proprio nel manifestare il suo amore per la libertà, si sdegnava del dover essere assoggettato alla forza di gravita. Capì che la forza di gravità stesse agendo sul suo peso e si impegnò con tutto sé stesso per poter eliminare questo vincolo. Non vi riuscì e non riuscì né a volare fino al sole né a rimanere sulla Terra. Rimase bloccato, in una posizione intermedia tra libertà e schiavitù, felicità e miseria. Platone invece, come descritto nel “Aerostato della Filosofia” di Michelstaedter, volle costruire un mezzo che lo elevasse fino al Sole. Si impegnò quindi nel costruire un aerostato pieno di assoluto – sarà poi Hegel a sbarrare la strada all’assoluto con le sue teorie. Una volta in alto, Platone invitò i presenti a guardare verso il basso, adesso che potevano finalmente vedere le cose nella loro totalità, avendo acquisito la leggerezza sufficiente a volare e staccarsi da terra. Aristotele, tuttavia ha un pensiero diverso e fece entrare aria nell’aerostato così da poter discendere a terra. Aveva capito che la leggerezza potesse diventare il nome di un sistema e che non vi era la necessità di un aerostato per vedere le cose nella loro interezza.
Riecheggia con suono roboante nella mia mente la parola peso. E se anche l’anima ne fosse prigioniera e quindi subisse la forza di gravità? Nel 1901 il medico statunitense Duncan MacDougall mise in atto una serie di esperimenti finalizzati a determinare il peso dell’anima. Sostenne che al momento del trapasso il corpo umano perdeva il peso relativo dell’anima in ascensione verso l’Essere Supremo. Come risultato di questa sua campagna sperimentale durata 6 anni, affermò che il peso dell’anima era di 21,3 grammi. Ma l’Anima è ineluttabile di fronte alle leggi della fisica e sale all’Universo – non a caso la parola, dalla sua etimologia latina “universus – tutto intero “suggerisce questo moto a luogo, verso l’Uni, volto tutt’intero nella stessa direzione. Ringrazio il fratello Giuseppe per aver portato la mia attenzione su questo aspetto.
Le riflessioni che mi hanno portato a scrivere questa tavola basavano le loro fondamenta sull’assumere la forza di gravità come nemico assoluto a quella volontà, che diviene quasi una endemica necessità, di tendere verso l’alto. Ma man mano che mi soffermavo a riflettere su questo concetto, ho capito di essere in errore.
Ipotizzando che essa scompaia, il mondo e l’Universo subirebbero una mutazione radicale che, secondo alcune teorie scientifiche, potrebbe portare all’implosione della materia e al nulla assoluto. L’Uomo stesso, ovviamente, cambierebbe e da qua la domanda “l’Uomo è Uomo anche se estrapolato dal suo Mondo?”.
La risposta che mi sono dato è NO, l’Uomo è Uomo proprio perché presente nel suo mondo. La forza di gravità è, in realtà, fedele compagno dell’uomo. Essa lo aiuta a rimanere saldo alla sua esistenza, gli rammenta la sua fragilità nei confronti del cosmo, ne evidenzia la sua imperfezione e lo sprona a migliorarsi quasi sfidandolo.
Agisce, assieme a lui, anche sul lavoro di levigatura che viene svolto dal libero muratore. Attingendo a piene mani alla formula fisica che ci dice come la forza sia data dal prodotto tra massa e accelerazione – F = m x a – mi piace pensare che la forza di gravità (accelerazione), si vada ad interfacciare con i colpi di quell’ipotetico scalpello (massa), quindi come la guida saggia di un Padre ne determini la forza, affinché il giovane Uomo, con il duro lavoro, possa riuscire a far passare la sua pietra da uno stato di imperfezione, passività e incoscienza ad uno più disciplinato, creativo, elevato, finalmente adatta alla costruzione di quell’edificio rappresentato dal suo percorso di vita.
In conclusione, non dobbiamo negare la nostra tendenza a salire in alto ma neppure accontentarci di una mediocre caduta in basso. La leggerezza non è né la costruzione di un vuoto pneumatico, né il tentativo di scendere fino a un minimo sopportabile. Come ci insegna il Socrate di Michelstaedter, essa consiste piuttosto nel riuscire a oscillare tra due poli spesso diametralmente opposti.
FR .’. C. S.