LA LEGGENDA DI HIRAM. CONSIDERAZIONI
di Adele Menzio
Hiram, l’architetto cui Salomone ha affidato la costruzione del tempio, viene proditoriamente ucciso. Grande sgomento e conseguente sospensione dei lavori. Il re incarica 12 Cavalieri di scoprire l’assassino e li nomina affidandosi alla sorte. La sorte. Sinonimo di destino, fato, necessità o più semplicemente criterio di scelta affidato al caso. Perché Salomone, il saggio per antonomasia, affida proprio alla sorte la scelta dei cavalieri cui demandare il compito di ricercare l’assassino di Hiram? I motivi possono essere molti e ciascuno con una sua intrinseca ragion d’essere. Il re avrebbe potuto rivolgersi al consesso dei cavalieri e stabilire che «questo, quello e quell’altro» avrebbero avuto l’incarico. L’atmosfera era, a dir poco, incandescente. La morte di Hiram aveva, come sappiamo, interrotto la costruzione del tempio. Gli animi erano esacerbati, il dolore e la costernazione acuti. Tutti avrebbero voluto avere per le mani l’assassino dell’architetto. Salomone che, anche in un momento di grande caos e di forte emotività, non era certo il tipo da perdere la testa, capì che una sua scelta personale avrebbe creato dissapori tra i cavalieri. Gli esclusi avrebbero pensato: «Perché lui e non io? È forse quello li migliore di me?» Può anche darsi che Salomone non volesse «preferire» nessuno per[1]ché considerava i cavalieri tutti eguali e tutti egualmente all’altezza. Il «non scegliere», da parte di un capo, è un atto di grande sagacia. I preferiti (la storia insegna) hanno sempre creato un mare di guai facendo nascere gelosie, recriminazioni, confronti odiosi, sensi di mortificazione o, peggio, invidia. Quali che siano i motivi rilevabili nella leggenda, il criterio adottato dal re nasconde una profonda verità. In una società iniziatica tutti gli adepti che hanno raggiunto un certo stato di coscienza (che hanno cioè varcato la soglia di certi misteri), sono virtualmente eguali, intercambiabili e fungibili. Tutti debbono essere disponibili allo svolgimento dei compiti che l’appartenenza al grado loro demanda. Tutti debbono, in qualunque momento e per qualsiasi evenienza, essere «pronti». La sorte allora assume una connotazione del tutto particolare. È il fatto che determina il palesarsi del «ruolo» specifico che ciascun iniziato è chiamato a svolgere. Un ruolo importante, fondamentale, determinante e necessario all’armonia universale. Un ruolo che lo stesso iniziato ignora e che, in un certo momento, gli si para davanti e che egli DEVE giocare. Lo può vivere nella maniera giusta oppure no. Il cavaliere che, trovato l’assassino, invece di tradurlo dinnanzi a Salomone (il giudice) lo giustizia seduta stante, travolto dall’ira e dal desiderio di vendetta, gioca male il suo ruolo. Prescindiamo, in questa sede, da tutte le implicazioni che derivano dall’episodio. (Il valicare le proprie competenze, il concetto distato di diritto, le guarentigie spettanti all’imputato, l’osservanza delle norme processuali, l’istituto della grazia). Quello che mi preme porre in evidenza è proprio questo concetto di «ruolo» estremamente collegato a quello della «sorte». Ci siamo mai posti il problema del perché siamo diventati massoni? Perché, ad un certo momento della nostra vita, alcune persone hanno pensato che eravamo degli individui «adatti» a far parte della Famiglia? Perché abbiamo incontrato «quelle» persone e non altre? Il destino. Il caso. La sorte appunto. Quante volte abbiamo sentito dire: «Massoni non si diventa, ma si nasce». Questa semplice frase può voler dire che, proprio in quanto destinati a svolgere un ruolo del tutto particolare, siamo stati dotati di certe caratteristiche che, se lasciate allo stato brado non condurrebbero a nulla, ma se ben indirizzate è coltivate ed inserite in un contesto adatto, potrebbero concretizzarsi in una attività utile a tutti. È con sgomento che affronto questo problema. Mi attanagliano atroci conflitti di coscienza; ogni momento mi trovo di fronte la mia pochezza, la mia debolezza, il timore costante di mancare di coerenza e di volontà. Non vorrei agire come il cavaliere giustiziere. Proprio no. Per capire bene la connessione tra «ruolo» e «sorte» credo sia utile pensare per un momento al G.A.D.U. Se tutto proviene dall’UNO e desiste una stretta correlazione tra ogni aspetto del reale, allora ogni fenomeno non avviene per caso (inteso il termine come «capriccio» ma per necessità. Immaginiamo che il cosmo sia un meraviglioso mosaico, formato da un infinito numero di tessere. Ognuna deve avere una forma ed un colore che si inseriscano perfettamente nel disegno generale. Caratteristica del mosaico è la sua perenne mobilità. Si trasforma incessantemente. Le tessere sono sempre in movimento e vengono continuamente sostituite e modificate. Il disegno, quello, è immutabile: armonioso € bellissimo. Uno strano mosaico davvero. Pensate che le tessere, che pure sono destinate ad occupare un posto preciso, godono di una loro individuale autonomia e possono assumere o l’aspetto loro destinato dal Grande Costruttore oppure modificarsi, per loro volontà, e non trovare così la giusta collocazione e venire, alla fine, scartate. Naturalmente provocando lo scompiglio generale. Lo so. Il problema è grosso e non son certo io a poterlo risolvere. Si tratta del libero arbitrio. Posso solo tentare di spiegare il mio convincimento ed il mio pensiero. Per quello che possono valere. Facciamo una ipotesi. Se le tessere del mosaico, nel loro modificarsi (per rendere possibile il divenire) si adeguassero perfettamente al ruolo loro destinato, non si discostassero mai dal disegno originario, il cosmo sarebbe perfetto. Forse avrebbe raggiunto lo scopo e sparirebbe nel nulla, così co[1]me dal nulla è nato. Il G.A.D.U. forse non si divertirebbe più e non avrebbe ragione desistere. Lo so. Lo so bene che il male e l’errore sono terribili, faticosi, tragici e, qualche volta, insopportabili. Ma fanno parte della nostra realtà. II G.A.D.U., nell’ideare il cosmo (uso il termine «ideare» perché mi piace tanto Platone) l’ha voluto mobile e sempre in via di rinnovamento. Io non so se ha pensato altre umanità in mondi diversi dal nostro e se mai ci sarà dato saperlo. Comunque, da come sono congegnate le cose, a me pare abbastanza evidente che la somma saggezza del G.A.D.U. ha pensato un mosaico nel quale le tessere hanno il grande privilegio di potere, a loro volta, pensare in termini di creatività. Forse è proprio questo l’esser fatti «a somiglianza di Dio». Sul binario già stabilito in precedenza le fermate sono facoltative, la velocità libera ed i passeggeri da prendere a bordo lasciati alla discrezione del vettore. Per tornare alla «sorte» e premesso che ogni Massone ha una sorte privilegiata perché messo nella situazione di poter svolgere meglio di altri (se non altro per il fatto di averne coscienza) il proprio ruolo, posso soltanto augurarmi di saper giocare la mia piccola parte personale nel modo migliore. Di essere una tessera senza spigoli per le tessere che mi sono vicine e di poter mantenere intatto il mio colore impedendo che sbiadisca o assuma toni stridenti. Mica è detto che ci riesca. In ogni caso ci provo.