PINOCCHIO: RITORNA, COL DESIDERIO DI ESSERE PIU’ UMANI
(NOTIZIARIO LIBRI) (ANSA) – ROMA, 19 OTT – (di Paolo Petroni) – Torna Pinocchio, e torna alla grande, con film di registi quali Benigni e Spielberg, nella storica interpretazione di un disegnatore come Jacovitti, di cui si sono scoperte alcune tavole inedite, in discorsi, esegesi, in teatro e persino in una traduzione in veneziano, oltre che come simbolo dell’uomo di legno, senza più umanità. E che torni in questi giorni tragici, anche se è una coincidenza, poiché si tratta di progetti e iniziative tutte impostate e realizzate prima dell’ 11 settembre, ha una sua valenza significativa che non può sfuggirci. Il desiderio di umanità e di comportarsi finalmente come un bravo bambino di questo burattino di legno creato da Carlo Collodi, è forse lo stesso di quanti si sono accorti di vivere in una società di consumi, violenza e spettacolarizzazione del tutto disumanizzata, un Paese dei Balocchi fuori della realtà del resto del mondo, in cui si nasconde come sempre un terribile Magiafuoco. «Non l’avesse mai detto: ma Gesù più e più volte ha messo in guardia i suoi discepoli dai falsi profeti. Ed ecco puntuali arrivare per via il Gatto e la Volpe. Tanto più pericolosi perché nei loro tratti si nasconde una grande quantità di sirene che ammaliano l’uomo contemporaneo», scrive Alessandro Gnocchi in una sua interpretazione cristiana dei personaggi di Collodi alla luce del Vangelo, che arriva in libreria in questi giorni: «Ipotesi su Pinocchio» (Ancora, pp. 154 L. 27.000). Ecco così mastro Ciliegia egoista, materialista e meschino. Ma Pinocchio ha permesso sempre tutte le letture. C’è così chi l’ha visto come percorso inverso e contrario a quello di Cristo, dal legno alla carne, invece che dall’incarnazione al legno della croce. Così abbiamo avuto interpretazioni evangeliche (‘ciclo della redenzione lo definiva Piero Bargellini), bibliche (di Giampiero Giampieri) come gnostiche o massoniche, atee o psicanalitiche, sia freudiane (Emilio Servadio) sia junghiane (Rodolfo Tommasi), strutturali o materialiste, come è proprio di un capolavoro di fama mondiale della letteratura per grandi e piccoli, a dimostrarne la ricchezza letteraria. Un laico come Giovanni Spadolini, da buon toscano, citava Pinocchio come maschera da legare all’Italia risorgimentale, mentre Don Primo Mazzolari in pieno fascismo predicava leggendone le storie dal pulpito. C’è chi lo ha paragonato al «Candido» di Voltaire o all’Ulisse omerico, ci sono state sorte di decrittazioni alchemiche come massoniche, e Pietro Pancrazzi, grande critico letterario, ne metteva in luce la componente anarchica e libertaria. Insomma, tornare a leggerlo, e leggerlo magari ai nostri figli e nipoti, può rivelarci cose nuove e aiutarci forse a far capire ai più piccoli alcuni discorsi e valori di cui tanto si parla in questi giorni. E del resto quel che fa lo studioso di antropologia Remo Guideri in «Caro Pinocchio», un intenso saggio appena pubblicato da L’Ancora del Mediterraneo (pp. 100 L. 18.000), in cui si parla di economia e mercato, di cultura ridotta a merce, bisogno materiale da consumare freneticamente. Per Gudieri l’arte è ridotta a produrre prodotti preconfezionati che non mettono in discussione nulla, assecondando quel burattino che è l’uomo contemporaneo, Pinocchio ormai persino felice della sua legnosa rigidità, dimentico della bellezza dell’esser vivi, di avere e risolvere crisi. Ma questo prima che due aerei di terroristi si schiantassero sulle Twin Towers. Ora sarà ancora così, o nulla sarà come prima, secondo una frase divenuta di consumo anch’essa, prima di acquistare contenuto e senso ?