BREVE STORIA DEI MOVIMENTI ISLAMICI IN ITALIA
di Dimitri Buffa
La storia recente dell’Islam in Italia, sia pure limitata al secolo XXesimo, è fatta di incomprensioni tra gli stessi fedeli della medesima religione. Alcuni moderati altri decisamente no, oggi li troviamo divisi su tutto e inseriti in almeno quattro o cinque organizzazioni teologico culturali diverse che provvederemo di seguito a illustrare. Avvertendo subito il lettore che per i gusti liberali del nostro giornale riusciamo a concepire come interlocutrice solo l’Associazione dei musulmani italiani, al cui fondatore Shaik Massimo Abdul Hadi Palazzi dobbiamo l’enorme mole di notizie qui sinteticamente riportate.
L’ Unione delle Comunità ed Organizzazioni islamiche in Italia (Ucooi) fu fondata nel 1990, è la sigla dietro la quale agisce la filiale italiana dell’organizzazione integralista dei Fratelli Musulmani, chiamata dai suoi membri semplicemente “la Fratellanza”. La stessa organizzazione agiva invece in passato con il nome di Unione degli Studenti Musulmani in Italia (Ucoii) e il cambiamento di nome è indice di proporsi sotto veste diversa, di far passare oggi come rappresentanti di non meglio precisate “comunità islamiche” quelli che in passato erano definiti come “rappresentanti studenteschi”. Nell’un caso come nell’altro, si trattava però sempre e comunque di militanti professionisti della Fratellanza, giunti in Italia allo scopo di costituire delle filiali dell’organizzazione, da inserirsi nella sua potente rete mondiale.
La Fratellanza viene fondata ad Ismailia, in Egitto nel 1928 da Hasan al-Banna, un maestro elementare che era stato ammesso alla Massoneria britannica, e che ha inteso drenare qualcosa di analogo nel mondo islamico.
Sulle prime l’organizzazione non è tanto integralista, quanto carrierista; mira a reclutare in seno al mondo islamico uomini inseriti nei posti-chiave, e a far loro giurare assoluta segretezza e obbedienza al capo. Alla morte di al-Banna però, il suo successore Sayyid Qutb si sposta su posizioni politiche molte estreme, legittima la pratica del terrorismo a fini politici, aderisce alla confessione wahhabita, e fa schierare in questo senso l’intera organizzazione. Nel momento in cui scoppia la guerra fra i due Yemen, il mondo arabo diviene terreno di scontro fra il nazionalismo arabo laico rappresentato dal dittatore egiziano Nasser, e l’integralismo wahhabita, guidato dal Re Feisal d’Arabia Saudita. La Fratellanza si schiera con decisamente a fianco del re Feisal, ne viene ricompensata con ingenti finanziamenti, e diviene uno dei principali strumenti della politica estera saudita. Sarà grazie alla Fratellanza che il regime saudita potrà esportare l’integralismo prima nei paesi arabi, poi in Pakistan, ed infine in Occidente.
……..[omissis]……..
Dimitri Buffa
La Repubblica
28.01.2002
In tre anni di “cura” del manager l’ospedale era stato rivoluzionato: dai muri scrostati alla pioggia di cantieri
Molinette, nel regno di Odasso gestito come una banca d’affari
Assieme alle tangenti superreparti, cinema e ristorante
Così il dentista di Nizza Monferrato aveva trasformato il vecchio nosocomio
Angoli da clinica svizzera, padiglioni terminati dopo un quarto di secolo
Un medico di sinistra “Meglio un competente disonesto che un incompetente onesto”
SEBASTIANO MESSINA
TORINO – Fossero ancora affidate al canonico del Duomo, il prete che senza saperlo fondò l’ospedale dando riparo sotto il campanile a un poveraccio che stava morendo davanti alla chiesa, forse le Molinette non si ritroverebbero con i sigilli del magistrato per questa brutta storia di mazzette e di tangenti. Di sicuro non sarebbero diventate la banca dei piaceri del dottor Luigi Odasso, il manager dalla carriera inarrestabile passato dalle Molinette alle Vallette, dal terzo ospedale d’Italia al primo carcere piemontese. Ma chi poteva immaginare, chi poteva sospettare, che questo dentista col pallino dell’organizzazione, questo cinquantenne grigio e svelto arrivato dalla provincia per dare la sua scalata alla politica potesse mettersi in tasca in un solo pomeriggio 90 milioni, cioè il triplo dell’intera somma che settant’anni fa spese il municipio per costruire il nuovo ospedale al posto della “mulinetta”, del vecchio mulino sulla riva del Po?
Se qualche sospetto l’ha avuto, la segretaria di Odasso se l’è tenuto per sé. E oggi non ce lo viene certo a raccontare a noi, aprendoci la porta tra le due gigantesche anfore di bronzo – “Theriaca” e “Mithridat” – che sono il simbolo delle Molinette. Era lei che gestiva il traffico frenetico e incessante degli appuntamenti del direttore generale, era lei che all’ora di pranzo gli ordinava il toast con la coca cola, era lei che qualche volta – senza immaginarne il contenuto, si capisce – gli lasciava sul tavolo le buste con le mazzette, quelle buste che Odasso intascava furtivamente, guardandosi ogni volta intorno nell’inutile ricerca delle microspie che lo avrebbero incastrato. “Io so solo che lavorava come un matto. Arrivava alle otto del mattino e usciva la sera alle nove, questo me lo ricordo bene. E ci faceva correre tutti senza un momento di respiro”.
Diciamo la verità: si vede. Sotto la carrozzeria di una Seicento, Odasso aveva un motore da formula Uno, e del resto quasi mai, in questa città, la realtà coincide con l’apparenza: o la supera o la smentisce. Tre anni fa, quando l’ex dentista di Nizza Monferrato conquistò la poltrona dalla quale – oltre a gestire un fiume di miliardi – si comandano 98 reparti, cioè i 5.561 medici, infermieri, impiegati e operai che ogni anno curano 44 mila malati, questo colosso della sanità piemontese era un elefante stanco e acciaccato, con i muri scrostati e le porte cigolanti, un labirinto con le indicazioni scritte col pennarello, cantieri abbandonati qua e là e neanche un bar dove prendere un caffè. Era una vecchia signora che viveva di nobili ricordi, di romantiche generosità e di isolate eccellenze. Era ancora l’ospedale del mitico Achille Mario Dogliotti, il caposcuola della chirurgia piemontese, al quale la città ha intitolato la strada che costeggia le Molinette sul lato del Po, fiera di avere ancora nello stesso ospedale suo genero e suo nipote (il quale, come amano ripetere con un sorriso i torinesi, è l’unico medico del mondo che lavora nel reparto del padre e nella via del nonno).
Tre anni di cura Odasso hanno cambiato faccia alle Molinette. Là dove c’era la vasca delle rane ora c’è il centro oncoematologico subalpino, un repartogioiello che sembra rubato di peso a una clinica svizzera. Lo scheletro di cemento armato della palazzina Ciocatto ha smesso dopo un quarto di secolo di essere un’eterna incompiuta ed è diventato il centro di anestesiologia. E finalmente il maestro italiano dei trapianti di fegato, Mauro Salizzoni, ha avuto un reparto che non somiglia più a una trincea abbandonata. Odasso era un manager turbodiesel: andava a mille, e non lo fermava nessuno. Gli chiedevano un vero caffè, al posto delle macchinette automatiche? E lui faceva aprire un barristorante che sembra un autogrill. Gli chiedevano i cartelli per i reparti? E lui faceva disegnare i percorsi colorati, con le frecce e i segnali satinati. Gli chiedevano qualcosa per distrarre i pazienti? E lui apriva un cinema con 450 posti dentro l’ospedale (questa settimana danno “La mummia, il ritorno”).
Per farla breve: era un manager con i controfiocchi. Passeggiando per le Molinette, lungo le vecchie palazzine in stile fascista affiancate dal vetrocemento odassiano, si capisce perché un medico di sinistra, al megabar ultramoderno affollato di chirurghi e di parenti, commenti sottovoce: “Non si può dire, ma qui dentro è molto meglio avere un competente disonesto che un incompetente onesto”. E si capisce anche perché l’ex dentista del Monferrato, dopo aver mostrato ai torinesi quello che sapeva fare, si fosse convinto che nulla era impossibile per uno come lui: un seggio in Parlamento, una poltrona da assessore, un ufficio da sottosegretario…
Ma proprio questa orgogliosa presunzione è stata l’errore che lo ha perduto, il passo falso che lo ha fatto scivolare nel doppio fondo proibito delle sue meraviglie. Lui che stupiva ministri e onorevoli, lui che faceva favori a generali e presidenti, lui che andava ai ricevimenti con il prefetto e il questore, un giorno deve essersi convinto che non sarebbe successo proprio niente, se lui si fosse fatto scivolare in tasca qualche spicciolo. E magari che era anche giusto, in fondo, darsi da solo il premio che gli spettava per tredici ore di lavoro al giorno. Pensava di essere al sicuro, di essere invulnerabile, oltre la porta metallica color panna del suo ufficio di direttore generale, presidiata dalle quattro segretarie che regolavano il traffico dei suoi cento appuntamenti quotidiani.
Pensava che nessuno potesse vederlo, alle 13,20 del 26 novembre, quando la donna che gli portava la mazzetta mensile lasciò scivolare una busta gonfia di soldi, senza dire una parola, dentro la scatola di cioccolatini che doveva servire solo a nascondere il malloppo. Pensava che bastasse tacere per ingannare le temute microspie, il 12 novembre alle 9,35 del mattino, quando un’altra signora, parlando di progetti e di contratti, gli infilò in silenzio un’altra busta nella sua agenda, facendogli segno con la mano che lì dentro c’era quello che si aspettava. Pensava che gli bastasse usare un eufemismo, alle 14,31 del 15 ottobre, quando mandò a chiamare il gestore del bar ultramoderno dicendogli: “Mi aveva detto coso che dovevi darmi dei documenti”. “Sì – rispose l’altro, stando al codice e allungandogli una busta con quindici milioni – quindici documenti. E mi ha detto: siccome devi darli ogni tre mesi, invece di darli a me vai lì”. Tutto registrato nelle videocassette. Tangenti sulla sorveglianza, sugli alberi da piantare, sulle pulizie, sulle telecamere da installare, sulle macchinette del caffè, sugli affitti, sulla progettazione e persino capolavoro sulla consulenza per “l’ottimizzazione dei costi”.
A poco a poco, Odasso ha ammesso quasi tutto. L’unica accusa che non manda giù, arrivando a gridare “bastardo!” al teste che lo ha chiamato in causa, è quella sulla bustarella che avrebbe incassato per far saltare la fila a un dializzato che aspettava il trapianto del rene, uno che giura di aver venduto la macchina per racimolare il prezzo della corruzione. Se lo condannassero anche per questo, l’ex dentista potrebbe dire addio non solo alla poltrona di manager, ormai sepolta sotto una montagna di imputazioni, ma anche alla professione di medico, per il momento in sonno come la sua tessera della massoneria. E’ questa la paura che mi è sembrato di cogliere nello sguardo spento di Luigi Odasso, quando l’ho incontrato davanti all’ufficio del giudice che stava per interrogarlo, scortato da due agenti della polizia penitenziaria: “State scrivendo troppo, di me, troppo…” mormorava, lui che fino a ieri avrebbe dato un mese di vita per un titolo di giornale in più.
Oggi è deserto, il suo studio alle Molinette. Visto adesso, dopo aver letto le intercettazioni che lo hanno inchiodato, sembra una trappola vuota. Dietro la sua scrivania c’è l’armadio con le tendine gialle a plissè, che nascondevano i munifici regali di Natale sequestrati dalla Finanza: un samovar per un ministro, un uovo di Fabergè per un altro ministro, un orologio per il presidente della Regione, un vassoio d’argento per il sindaco… Al centro della parete principale, sopra due elefantini di bronzo che hanno l’aria di essere un dono non abbastanza gradito, un dipinto a olio con San Giovanni Battista. E sotto il quadro, nella sua apparente innocenza, c’è il condizionatore Baltur nel quale era nascosta – chissà come, chissà dove – una delle due microcamere che lo filmavano mentre riceveva le bustarelle, mentre andava in bagno a contare i soldi, mentre li infilava guardingo nel portafogli, e persino mentre dava le pacche sul sedere alla sua amante. L’altra era stata piazzata dentro l’orologio a pendolo dorato che stava alle spalle della poltrona presidenziale di pelle nera, unica concessione alla simbologia del potere che il modesto Odasso aveva permesso.
Gli impietosi filmati che la guardia di finanza ha raccolto in due mesi e mezzo di sorveglianza video rivelano anche i suoi sospetti, dopo una bustarella più grossa delle altre: si vede, sullo schermo, lui che cerca di qua e cerca di là, curvo e goffo nella sua bonifica da dilettante, arrivando a un passo dalla scoperta, con l’occhio che si avvicina alla telecamera sempre di più, sempre di più, occupando alla fine tutto lo schermo. Ma non sempre basta guardare, per vedere. Specialmente alle Molinette. Specialmente a Torino.
Il Mattino
27.01.2002
A VICO EQUENSE
I giovani e la Sinistra: l’Arci chiude il congresso
L’impegno dei giovani nella politica, in particolare sui temi della Sinistra. Al congresso nazionale dell’Arci (oggi le conclusioni, a Vico Equense) il confronto si accende sui nuovi modelli di partecipazione giovanile nella difficile realtà internazionale. Cambiano i tempi, aumentano i problemi, si trasforma profondamente anche la struttura organizzativa dela più importante associazione nazionale di tempo libero e promozione sociale. “La Sinistra italiana esca dal provincialismo, torni a riflettere sui problemi del mondo, faccia entrare nella sua coscienza e nelle sue case le tante tragedie di cui si parla ancora troppo poco, a cominciare da quella palestinese”, spiega Antonio Bassolino, nel corso del suo saluto ai delegati. La Sinistra, per il presidente della Regione Campania, deve puntare sui temi della pace e del rapporto con i movimenti “per ritrovare i suoi spazi”.
La pace, dunque, va riconquistata perchè “oltre alla tragedia dell’11 settembre c’è ancora da affrontare la questione palestinese, per la quale si fa troppo poco”. Con il movimento No Global ed i giovani – prima di Bassolino era intervenuto il portavoce della Rete, Francesco Caruso, con il quale il Governatore della Campania ha detto di condividere alcune indicazioni – “dobbiamo avere una discussione seria, senza opportunismi, considerando le diversità di ruolo e i punti di dialogo, facendo assieme il cammino possibile”. “Considero del tutto naturale che il movimento sia insieme No Global, conservando la sua carica contestativa, e al tempo stesso New Global per interpretare nuovi diritti di cittadinanza, giovanili”. E proprio i giovani, ricorda il Governatore, “hanno saputo anticipare alcune importanti momenti di svolta dando anche avvio in maniera decisa ad una battaglia contro il neoliberismo”.
Protagonista della seconda giornata, ieri, è stato don Luigi Ciotti. “L’Italia esiste, ma anche le mafie esistono ancora. – ha detto il fondatore di “Libera” – Non dobbiamo commettere l’errore di sottovalutare gli intrecci con la politica, i poteri occulti, la massoneria. La corruzione ha ripreso vigore, sotto diverse forme, dal nord al sud, da Torino alla Sicilia. Non esistono oasi felici, sarebbe assurdo pensarlo. Dobbiamo reagire, insistere nella nostra azione di lotta, perchè in gioco c’è forse la sopravvivenza del nostro sistema democratico”. Oggi le conclusioni della quarta assise nazionale, come accennato, con la celebrazione della giornata “della memoria”, affidata ad Arrigo Diodati, uno dei fondatori dell’Arci, e l’elezione dei nuovi organismi dirigenti. Partigiano sopravvissuto all’eccidio nazista di Cravasco, Diodati leggerà poesie e testimonianze sulla Shoah, accompagnato al piano da Vittorio Nocenzi. Tutti i delegati (371, rappresentanti di un milione e centomila soci) esporranno la stella gialla dei deportati. Fra gli ospiti esterni è prevista la partecipazione del segretario nazionale dei Ds, Piero Fassino.
f. m.
La Repubblica
27.01.2002 Medici e imprenditori Ecco la corte dell’assessore Burzi
IL RETROSCENA/1
SOCIETÀ APERTA – L’associazione ha acquisito notevole influenza nelle sale che contano
PAOLO GRISERI
Torino.
Un’associazione culturale, quasi una corrente politica, ma anche un centro di relazioni per i torinesi che contano. La rete di collegamenti che attraversa “Società Aperta”, l’associazione presieduta da Angelo Burzi finita nel mirino dei magistrati, è di quelle che qualsiasi ufficio di pubbliche relazioni vorrebbe avere. Culturalmente situata nella zona di confine tra la tradizione liberale e quella radicale italiana, “Società Aperta” ha acquisito negli anni una notevole influenza sulle scelte delle amministrazioni locali, in particolare, naturalmente, su quelle della giunta regionale. Ma annovera tra i simpatizzanti anche personaggi come Beppe Lodi, oggi assessore della giunta Chiamparino al termine di un percorso altalenante tra centrodestra e centrosinistra.
Nell’elenco degli iscritti figurano personaggi come Sergio Rolando, recentemente nominato direttore dell’ufficio controllo di gestione della Regione Piemonte. Iscritto è anche uno dei principali collaboratori di Rolando, Nicola Longo, consulente dello stesso ufficio e socio della Nagima, una delle società che hanno ottenuto importanti consulenze da Odasso alle Molinette. L’ufficio controllo di gestione, secondo quanto ha affermato recentemente lo stesso Burzi, dovrà essere potenziato proprio per vigilare sulla correttezza di comportamento dei dirigenti regionali. Un altro socio di rilievo è Carlo Di Giacomo, presidente del Csi, il consorzio informatico della regione. Ha aderito all’associazione l’attuale direttore dell’Ires, l’istituto di ricerche sociologiche della Regione, Marcello La Rosa. La Rosa, editore e medico, è stato uno dei principali canali per avvicinare a “Società Aperta” gli uomini del mondo della sanità. Importanti i rapporti con il mondo universitario. Sono iscritti il professore del Politecnico Giovanni Perona e il geologo Rosalino Sacchi, rappresentante della Regione al Museo di Scienze naturali.
L’attività dell’associazione in periodi non elettorali è costituita essenzialmente da appuntamenti di approfondimento e da cene di autofinanziamento. Ma è in programma in primavera anche il varo di una testata che funzioni da organo informativo sull’attività del gruppo. È prevista per quest’anno anche la terza edizione della scuola sul pensiero liberale che ha già caratterizzato l’attività degli anni scorsi. Tra i principali organizzatori della prima edizione della scuola (1999) figura il professor Angelo Maria Petroni, nominato nel 2000 rappresentate della Regione nel consiglio della Compagnia di San Paolo. Uno dei nuclei costitutivi dell’associazione è proprio quello di una parte dei liberali torinesi. Tra gli iscritti figura Nicoletta Casiraghi, ex presidente della provincia, e figurava anche Giuseppe Dondona, l’ex assessore liberale a Palazzo civico scomparso alcuni anni fa.
Nel mondo dei costruttori uno dei principali soci di “Società aperta” è Paola Orsini, figlia di Prospero, titolare della Icz costruzioni. Orsini ha anche ospitato l’associazione nella prima sede, quella di via Viberti. Ma la parte del leone nell’elenco degli iscritti la fanno gli uomini della sanità: i direttori generali Ugo Podner Komaromy, Mario Lombardo, Gianluigi Boveri, Giorgio Balzarro. Hanno partecipato alle attività organizzate da “Società Aperta” anche Luciano Scarabosio, fratello del notaio candidato da Forza Italia al collegio senatoriale delle Vallette, e l’ex direttore generale dell’ospedale Gradenigo Carlo Manacorda. Numerosi i medici che compaiono nell’elenco degli iscritti. Tra questi i primari Luigi Parigi e Dario Giobbe. Non c’è dunque da stupirsi troppo se tra gli iscritti figurano anche Luigi Odasso e Aldo Rosso. Non è un mistero che alcuni dei soci appartengano alla massoneria. Una militanza che lo stesso Burzi non ha mai nascosto.
Dieci candidature per la poltrona dell’ex manager
IL RETROSCENA/2
LA SUCCESSIONE – La Regione farà le sue proposte, ma l’ateneo ha il diritto di veto
ALBERTO CUSTODERO
Sono dieci i nomi che si contendono la poltrona delle Molinette, sette candidati e tre outsider. Domani, in giunta, ci sarà la prima discussione per decidere una rosa di candidati da proporre all’Ateneo che, per legge, ha diritto di veto. Eccoli. Bruno Vogliolo, manager dell’Asl di Tortona, Giorgio Rabino, capo a Moncalieri, Giovanni Monchiero, numero uno ad Alba, Giuseppe De Intinis, direttore all’Asl 3, Gian Luigi Boveri, manager del Sant’Anna, Giorgio Balzarro, direttore a Novara e, infine, Alessandro Bertinaria, del San Luigi di Orbassano. Gli altri tre sono Paolo Bruni, direttore sanitario all’Istituto di Candiolo, Giovanni Fiorucci, suo collega al Valdese e Manfredi Grasso, stesso lavoro al Cottolengo. Si tratta di dieci tecnici, tutti nomi noti da decenni nel mondo sanitario piemontese.
Il caso vuole che alla sostituzione di Luigi Odasso sia candidato l’allievo di un altro Odasso, Antonio (ex sovrintendente sanitario del Mauriziano): si tratta di Bertinaria, una lunga esperienza all’Ordine (autore, anni fa, di un discusso mansionario per il direttore sanitario che comprendeva, fra l’altro, il punto “raccomandazioni varie per visite ambulatori e servizi”), un’antica appartenenza alla Massoneria nell’obbedienza del Grand’Oriente, loggia dedicata ad Adriano Lemmi (soprannominato il “banchiere del Risorgimento”), la stessa della quale fece parte Antonio Mussa, europarlamentare nelle file di An e oncologo di fama alle Molinette (entrambi da anni in sonno). Balzarro, iscritto a Società Aperta, énfant prodige della Sanità piemontese (fu allievo dell’ex direttore sanitario del San Luigi Altadonna, poi di De Intinis), tentò, nel marzo del 2001, il “prodigio” di fare a Novara un centro trapianti di fegato senza avvisare i vertici della regione che avrebbe dovuto fare concorrenza a quello delle Molinette. Con questo precedente, come sarà accolto se sarà designato lui in corso Bramante? Boveri (che vanta un lungo passato nel partito liberale), conosce meglio di chiunque altro le Molinette, avendo fatto per vent’anni con grande professionalità il coordinatore amministrativo, senza mai incorrere in alcun problema. Molto vicino a Burzi (la cui moglie ha nominato al Sant’Anna come consulente), è iscritto a Società Aperta. Giorgio Rabino, a Moncalieri, è stato autore di una forte razionalizzazione dei servizi (che prevede anche la chiusura dei reparti di ostetricia e pediatria al nosocomio di Carmagnola). E vittima di uno spiacevole episodio circa un mese fa, quando, all’inaugurazione del nuovo pronto soccorso (era presente l’assessore D’Ambrosio), un’ambulanza s’incastrò fra le porte della struttura evidentemente non collaudata. Giuseppe De Intinis, considerato l’uomo forte della sanità torinese, ha declinato l’invito per incompatibilità familiare. La moglie, infatti, lavora come medico internista alle Molinette: vuole evitare di diventare marito e manager della consorte. Si considera “maestro” di Balzarro che considera la persona giusta in corso Bramante. Fra chi si è autocandidato, c’è Fiorucci, una vita al Regina Margherita come primario di laboratorio, una grande passione per la comunità esoterica Damanhur. Fra gli outsider, c’è anche il direttore sanitario dell’Istituto di Candiolo, Bruni, già direttore generale nelle Marche. Infine, Vogliolo, per una decina d’anni (dal ’74), direttore sanitario alle Molinette, poi passato all’ex Astanteria Martini. Da manager è stato a Biella e Asti, distinguendosi a Tortona. L’ultima parola, ora, spetta all’Ateneo, che non disdegnerebbe la promozione dell’attuale direttore amministrativo, Pier Luigi Carosio.
La Nazione
26.01.2002
Iniziano le conversazioni mensili sulla storia e la cultura della Massoneria
Il Grande Oriente d’Italia Palazzo Giustiniani, il più antico e numeroso Ordine Massonico in Italia, organizza per il secondo anno con la collaborazione della Loggia Francesco Burlamacchi dell’Oriente di Lucca una serie di incontri aperti al pubblico al fine di illustrare i principi della Libera Muratoria ed il ruolo che la Massoneria ha svolto e continua a svolgere per il bene dell’umanità. Le conversazioni mensili su “Storia-Cultura-Pensiero Massonico” saranno introdotte e moderate da Guido D’Andrea, promotore e conduttore degli Incontri del Grande Oriente d’Italia al Caffè Storico Le Giubbe Rosse di Firenze. Gli incontri, che anche quest’anno si terranno il mercoledì sera a Lucca presso il Caffè Storico Di Simo in via Fillungo 58, alle ore 21, approfondiranno il tema dei rapporti di alcuni personaggi storici lucchesi con la Massoneria. Gli incontri saranno introdotti da una relazione cui seguirà un dibattito aperto al pubblico e avranno il seguente calendario.
30 gennaio “Giosuè Carducci e la Massoneria” professor Silvio Calzolai (Storico delle Religioni, università di Ravenna ed università di Firenze).
27 febbraio “Giovanni Pascoli e la Massoneria” professor Silvio Calzolai (storico delle religioni università di Ravenna ed università di Firenze).
27 marzo Presentazione nel libro “Il Caso Massoneria” da parte dell’autore Professor Delfo Del Bino.
Seguiranno poi il 24 aprile e il 29 maggio incontri su “Boccherini e la Massoneria” e “Cavalieri Templari: Monaci-Guerrieri”.
La Gazzetta del Sud
26.01.2002
S. Giov. La Punta / 5 consiglieri, solidarietà a Brancato
Cinque consiglieri comunali di San Giovanni La Punta, Nicola Bertolo (Forza Italia), Giuseppe Lo Faro, Gianpiero Scuderi e Giovanni Russo (An) e Andrea Messina (Cdu), con una nota diffusa alla stampa, esprimono ampia solidarietà e sostegno all’avv. Mario Brancato, in riferimento alle notizie diffuse dai mass media e relative all’indagine su mafia e massoneria. “Ricordiamo” – dicono i consiglieri comunali puntesi- “che per la strenua e tenace lotta alla mafia e all’illegalità, quest’uomo ha dovuto subìre anche danneggiamenti personali e patrimoniali, tutt’altro quindi che convivenze o presunte responsabilità con ambienti malsani della nostra società. Sicuri e convinti dell’estraneità dell’avv. Brancato ai fatti che gli vengono contestati nonchè dell’infondatezza delle accuse come da lui stesso dichiarato agli organi di stampa, attendiamo che al più presto venga fatta chiarezza e venga stabilita la verità”. Bertolo, Lo Faro, Scuderi, Russo e Messina, così concludono: “confidiamo, nonostante tutto, nel serio e imparziale operare della magistratura di cui siamo fermamente fiduciosi per il trionfo della vera giustizia”. Intanto continua l’attività dei magistrati della Procura, Bertone e Mignemi, nell’inchiesta che ha portato all’emissione di sedici avvisi di garanzia e altrettanti decreti di perquisizione che hanno portato al sequestro di numerosa documentazione. Tra i documenti acquisiti dalla Dia, anche quelli relativi al “caso Catania” del quale l’avv. Brancato sarebbe stato chiamato a testimoniare.
La Gazzetta del Sud
25.01.2002
Catania / Maravigna a muso duro contro il Grande Oriente:Massoneria, l’inchiesta etnea scatena polemica tra le logge – Domenico Calabrò
CATANIA – “La massoneria è qualcosa di alto e nobile… la mafia è un’altra cosa, è un cancro da estirpare con pervicacia e determinazione. Il crimine di ogni genere l’ho sempre lottato, l’ho sempre combattuto”. Così dichiara il dott. Pietro Ivan Maravigna, maestro venerabile della Loggia “Antichi doveri” dell’Oriente di Catania, ma anche commissario di polizia e consigliere comunale di Forza Italia a Catania, raggiunto – unitamente ad altri 15 indagati- da un avviso di garanzia nell’ambito dell’inchiesta su intrecci tra mafia e logge massoniche segrete. “Evidentemente l’intesa strategica tra mafia e massoneria non è un teorema degli anni 80 ma un fatto, sostiene il deputato europeo Ds Claudio Fava che aggiunge: un mafioso del clan Santapaola e un commissario di Ps insieme nella stessa loggia coperta sono lo spaccato di un pactum sceleris che serviva a garantire impunità, carriere, profitti. E voti”. Gli risponde lo stesso Maravigna: “E’ evidente che Fava parla senza conoscere i fatti e sono certo che mi chiederà scusa quando avrà chiari i toni della vicenda. Spero che non continui ad abusare del rispetto e della simpatia che irrazionalmente gli porto”. Quali fatti? Notizie di reato i magistrati che indagano ne hanno avute parecchie e traggono spunto da contrasti interni alla massoneria e alla posizione non proprio adamantina di alcuni affiliati che hanno subìto sanzioni. Da qui si è sviluppata l’obbligatoria azione penale (i magistrati procedenti sono meticolosi) che poi ha coinvolto anche l’avv. Mario Brancato, il primo a denunciare fatti che hanno determinato il “caso Catania”, oggetto di approfondimento da parte del Csm e dei magistrati della Procura di Messina, poichè interessa la posizione di magistrati catanesi. Tranquillo per quanto riguarda l’aspetto giudiziario della vicenda, il dott. Maravigna, reagisce invece alla nota del Grande Oriente d’Italia. Ecco cosa dice:
“Non intendo assolutamente entrare nel merito dell’indagine per il rispetto che da indagato, da servitore dello Stato, da libero muratore porto al lavoro dei magistrati, ma non posso non indignarmi di fronte alla dichiarazione di tale signor Bianchi, gran maestro aggiunto del Grande Oriente d’Italia, il quale in spregio ad ogni principio di rispetto della legge costituzionale di presunzione di innocenza di persone sinora indagate anticipa sentenze anche di natura morale sostenendo forse troppo frettolosamente la assoluta estraneità della sua obbedienza a tale indagine. Ricordi il signor Bianchi che se esiste in Italia una legge che istituisce il divieto per le associazioni segrete (legge Anselmi) è per quanto accaduto negli anni bui di Gelli all’interno del Grande Oriente Italiano. Non riesco a capire – conclude il dott. Maravigna – come possa essere arrivato alla carica di gran maestro aggiunto un individuo che in una loggia seria non potrebbe che sedere al massimo, a vita e per errore, tra i banchi degli apprendisti”.
Infine una nota della Camera Penale di Catania che, su sua richiesta, ha sentito l’avv. Brancato. E’ stato convenuto che non si svolgerà nessuna assemblea, non apparendo l’avv. Brancato inquisito a causa dell’esercizio della sua attività professionale. La Camera penale ha comunque manifestato solidarietà a Brancato, riconoscendolo come professionista serio e stimato.
Il Giornale di Sicilia
24.01.2002
Il Grande Oriente d’Italia precisa: nulla a che spartire con la vicenda
CATANIA – “Il Grande Oriente d’ Italia di Palazzo Giustiniani, la maggiore istituzione libero muratoria italiana, non ha nulla a che spartire con gli avvenimenti criminali ed i personaggi coinvolti nell’inchiesta avviata dalla Procura distrettuale Antimafia di Catania”. Lo ha detto in una nota il Gran Maestro Aggiunto del Grande Oriente d’ Italia di Palazzo Giusitiniani, Massimo Bianchi, in merito all’ inchiesta avviata a Catania dalla Procura etnea “Ancora una vota – ha aggiunto Bianchi – facciamo appello al Parlamento, alle forze sociali e politiche perchè si facciano interpreti delle indifferibile necessità, emersa anche in questa circostanza, di emanare una legge sulle associazioni, volta a tutelare la denominazione Massoneria Universale del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani e ad imporre a chi diffonde notizie su questa o qualla associazione di indicare chiaramente a quale organizzazione si fa riferimento”.
Il Giornale di Sicilia
24.01.2002
CATANIA. Un’inchiesta che fa rumore. Per le accuse formulate e anche per i nomi coinvolti. I due sostituti procuratori presso la procura di Catania Amedeo Bertone e Sebastiano Mignemi contestano a sedici indagati – tra i quali un docente universitario, un commissario di polizia, un avvocato, un vigile urbano – l’appartenenza a una loggia massonica strutturata in modo tale da incidere sull’esercizio di funzioni pubbliche. Un’imputazione che lambisce quella di associazione mafiosa, che però non viene formalmente contestata: gli indagati avrebbero utilizzato a proprio favore l’appartenenza di alcuni ‘fratelli di loggia’ a Cosa nostra, come il cugino di Nitto Santapaola, Natale D’Emanuele. Tra gli accusati spiccano i nomi del consigliere comunale di Forza Italia e funzionario di polizia Ivan Maravigna e di Mario Brancato, avvocato e testimone d’accusa nell’inchiesta avviata due anni fa dal sostituto procuratore Nicolò Marino nei confronti dell’imprenditore Sebastiano Scuto e dell’attuale sindaco di San Giovanni la Punta Santo Trovato. Proprio quest’ultimo era stato avversario di Brancato nella corsa a sindaco del comune. Una competizione elettorale sulla quale tuttora pende l’esito di un ricorso amministrativo presentato dall’avvocato catanese.
Brancato, al quale qualche giorno fa è stato perquisita la propria abitazione, è anche accusato di voto di scambio per avere promesso assistenza legale gratuita ad alcune delle sedici persone coinvolte nell’inchiesta di Bertone e Mignemi.
Il nome del legale, che è stato interrogato dai magistrati per oltre sei ore, veniva già fuori due anni fa. Una lettera anonima mandata ad alcune personalità tra cui il Procuratore capo di Catania lo indicava come appartenente alla massoneria e legato alla criminalità organizzata e per questo in grado di condizionare le elezioni di San Giovanni la Punta. Brancato aveva sporto querela contro ignoti, specificando però di poter rivelare l’identità dell’anonimo: un vigile urbano (Maurizio Arcifa, che risulta tra i sedici ora indagati) che lo aveva introdotto nella massoneria e che poi aveva manifestato ostilità nei suoi confronti. Dalle successive dichiarazioni di Brancato si sviluppò poi l’inchiesta del sostituto Marino. Un’indagine partita dal comune di San Giovanni la Punta fino ad allargarsi e a dare origine all’ormai noto “caso Catania”. E proprio al caso Catania Brancato ritiene che siano da collegare gli sviluppi dell’inchiesta a suo carico: “Sulla base dei verbali di sequestro – riferisce l’avvocato – ci sono seri sospetti per pensare che tutto sia da collegare al caso Catania. E’ stata infatti sequestrata una carpetta intestata a questo tema e questo mi fa pensare che io paghi lo scotto per le denunce fatte sugli intrecci mafiosi al comune di San Giovanni la Punta. La mia battaglia per le legalità si pone infatti alla base dell’arresto dell’imprenditore Scuto e a possibili collusioni con soggetti della magistratura. E, fatto ancor più grave, proprio Marino mi ha citato al Csm, come ho appreso da un giornale, quale teste sulle vicende che riguardano il presidente dell’Anm Giuseppe Gennaro e altri magistrati. Questa azione tende a delegittimare la mia posizione e possibilmente a non farmi sentire dall’Antimafia, perché‚ la Commissione spesso sente solo i testimoni e non gli imputati” E la loggia? “Regolarmente denunciata alla Digos. Voglio anche precisare di non farne più parte per le pressioni ricevute da ambienti massonici perché‚ io ritrattassi le mie dichiarazioni al sostituto Marino”. Mario Brancato, al quale mesi fa fu incendiato lo studio (le indagini, tuttora in corso, non esludono la matrice dolosa) vuol parlare anche dell’accusa di voto di scambio. “Fui proprio io a chiedere al prefetto di Catania, con una lettera, di vigilare sul regolare svolgimento delle elezioni a San Giovanni la Punta. Il sostituto Bertone sostiene di non essere a conoscenza della lettera”. E la Procura? I magistrati preferiscono non rilasciare dichiarazioni trincerandosi dietro un secco “no comment”.
Giuseppe Giustolisi
La Sicilia
24.01.2002
Un’inchiesta della Procura coinvolge personaggi eccellenti
Mafia e massoneria
Venti gli indagati, perquisizioni e interrogatori-fiume
L’avv. Brancato: “Sequestrate carte sul “caso Catania””
Un’inchiesta sulla massoneria, su logge palesi e segrete, investe, a distanza di oltre due anni e mezzo dall’inizio delle indagini, venti persone tra presunti mafiosi e funzionari di polizia, avvocati e consiglieri comunali, vigili urbani in attività e in pensione, collaboratori di avvocati e professionisti. Tutti colpiti da un’informazione di garanzia, che si è tradotta in perquisizioni a catena e in interrogatori-fiume, con polemiche, smentite e accuse inusuali in altre inchieste giudiziarie, e che avrà altri “strascichi”. Tanto è vero che ieri, a tarda sera, si è riunito il direttivo della Camera penale e che sabato il “caso” potrebbe essere dibattuto in un’assemblea pubblica di avvocati.
I sostituti procuratori Amedeo Bertone e Sebastiano Mignemi hanno ipotizzato nei confronti di Carmelo Di Bella, Giuseppe Cesarotti, Francesco Cesarotti, Giuseppe Minniti, Giorgio Cannizzaro, Pietro Cannizzaro, Sebastiano Greco, Michele Miraglia l’associazione per delinquere di stampo mafioso, contestando inoltre a Carmelo Di Bella, Giuseppe Mirenna, Natale D’Emanuele, Giorgio Cannizzaro, Sebastiano Grasso, Carmelo Maurizio Arcifa, Mario Brancato, Marcello Avitabile, Fedele Valguarnera, Salvatore Monforte, Rosario Riela, Francesco Caruso, Pietro Ivan Maravigna, Vittorio Panebianco e Amore Maurizio Costante di fare parte di un’associazione massonica “articolata in logge, alcune segrete, alcune operanti, sia pure all’interno di associazioni palesi”; a Mario Brancato e Carmelo Di Bella la rivelazione di segreto d’ufficio e il voto di scambio; agli stessi e a Michele Miraglia la violenza privata per “avere usato… violenza nei confronti di persone (non ancora identificate) incaricate per l’affissione dei manifesti elettorali del candidato sindaco Trovato”; ad Amore Maurizio Costante e Carmelo Di Bella, infine, la rivelazione del segreto d’ufficio.
Le reazioni, dicevamo, non si sono fatti attendere. Anzi. In un comunicato, per esempio, gli avvocati Enzo ed Enrico Trantino, difensori dell’avv. Brancato, “esprimono il loro stupore per l’iniziativa della Procura catanese. L’inesistenza di indizi a carico dell’avv. Brancato – affermano – rende incomprensibile la notifica dell’informazione di garanzia e dell’invito a comparire, e preoccupante la perquisizione eseguita; tanto più che gli stessi magistrati implicitamente ammettono l’inconsistenza degli elementi acquisiti, procedendo a piede libero nei confronti di altri soggetti, indagati per associazione mafiosa nel medesimo procedimento. Ci auguriamo solo che si tratti di un eccesso dei Pm procedenti”.
Afferma il consigliere comunale Maravigna: “Ho ritenuto, ritengo e riterrò sempre la mafia un cancro maligno da estirpare con la più grande determinazione e la massoneria una istituzione alta e nobile che con questa non deve mai avere nulla a che fare. Ritengo di aver fornito ai magistrati tutti gli elementi idonei a fare definitiva chiarezza sulla mia posizione nonché ulteriormente valutabili per lo sviluppo delle indagini”.
E l’avv. Brancato di rimando: “Non so se mostrare più sorpresa, stupore o indignazione per questo episodio, che mi sembra al di fuori di ogni logica, soprattutto alla luce anche dell’interrogatorio, nel quale i Pm non sono riusciti a contestarmi un solo fatto specifico”.
– Le accuse sono però pesanti…
“Le accuse sono tanto pesanti quanto infondate. Mi auguro che non siano strumentali. Un particolare inquietante mi fa pensare… In sede di perquisizione mi è stata sequestrata la mia cartella che riguarda il “caso Catania””.
– Scusi, cosa centra il “caso Catania” con l’inchiesta…
“Infatti. Mi domando perché gli uomini della Dia hanno cercato e sequestrato documenti sul “caso Catania”. E ciò mi fa pensare che questa indagine ha comunque collegamenti con il “caso Catania”, in quanto io sono il teste principale, o uno dei testi principali sulle vicende, o malevicende, che si sono verificate nel “caso Catania”. Sono stati addirittura indicato dal dott. Nicolò Marino al Csm quale teste di riferimento (fatto che ho appreso dai quotidiani) nelle accuse che egli avrebbe lanciato contro alcuni soggetti al vertice della Procura. Mi aspettavo quindi, a giorni, una convocazione al Csm e una, probabile, alla Commissione antimafia. E oggi, indagato di reato connesso, potrei non essere più legittimato a testimoniare”.
– Non le sembra fantapolitica…
“Lascio ai lettori ogni commento…”.
– Esaminiamo le accuse. Lei farebbe parte della massoneria…
“Non ne faccio parte ma ne facevo parte. Mi sono allontanato quando non ho più creduto negli uomini che facevano parte di questa istituzione, dopo avere provocato l’espulsione per indegnità di un personaggio e, soprattutto, dopo che mi venne contestato che “mi ero troppo interessato a fare battaglia” in ordine al “caso Catania”. Altri “poteri” volevano che l’avv. Brancato non parlasse”.
– Ma è accusato anche di violazione di segreto d’ufficio, voto di scambio e violenza…
“Avrei violato il segreto d’ufficio per avere pubblicamente sostenuto che alcune persone a San Giovanni la Punta andavano arrestate. A questo punto riscriviamo il codice. Violenza? Un certo signore, che tra l’altro si vanta di essere uno dei 7 uomini d’oro della rapina miliardaria, di essere in contatto con il presidente Bush e con l’ex presidente Gorbaciov, ha detto che, incontrando alcuni attacchini che affiggevano manifesti per un mio avversario politico, avrebbe avuto una lite con questi e li avrebbe bastonati. Io, per l’accusa, sarei il mandante di questo episodio. Infine, il voto di scambio, perché io, candidato alle elezioni, avrei detto a tutti i miei assistiti, di votarmi se residenti a San Giovanni la Punta o avessero parenti a San Giovanni la Punta. Mi si contesta che in cambio di questi voti io li avrei assistiti gratuitamente… Ho presentato le relative fatture per dimostrare che questi signori avevano pagato. In ogni caso, la scelta di farmi pagare una o mille lire è mia e non di un procuratore della Repubblica”.
L. S.
Gazzetta del Mezzogiorno
23.01.2002
Catania / Con una raffica di perquisizioni domiciliari è scoppiata un’inchiesta destinata a fare clamore
Mafia e massoneria, sedici avvisi di garanzia
Domenico Calabrò
CATANIA – Scoppia un’inchiesta che innescherà clamore. Sedici avvisi di garanzia e altrettante perquisizioni domiciliari sono state adottate dai magistrati della Procura distrettuale antimafia (Amedeo Bertone e Sebastiano Mignemi) a conclusione della prima fase di un’attività effettuata dalla Direzione Investigativa Antimafia sulla connessione tra mafia e massoneria. Spiccano i nomi del commissario Pietro Ivan Maravigna, funzionario della Polizia postale di Reggio Calabria e dell’avv. Mario Brancato (al quale alcuni mesi addietro è stato incendiato lo studio) che con Carmelo Di Bella e Carmelo Maurizio Arcifa sarebbero stati i promotori o, comunque, svolto un ruolo direttivo nella consorteria massonica. Con loro anche Giuseppe Mirenna, Natale D’Emanuele (cugino di Nitto Santapaola), Giorgio Cannizzaro, Sebastiano Grasso, Marcello Avitabile (docente universitario), Fedele Valguarnera, Salvatore Monforte, Rosario Riela, Francesco Caruso, Vittorio Panebianco, Amore Maurizio Costante e Agnese Landi. Avrebbero fatto parte, unitamente all’imprenditore Giovanni Riela (poi ucciso), di un’associazione massonica costituita in “logge”, alcune segrete, alcune operanti sia pure all’interno di associazioni palesi, tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali effettive o comunque rendendo sconosciuti in tutto o in parte ed anche reciprocamente i soci, che svolgeva attività diretta a interferire sull’esercizio delle funzioni di istituzioni e amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici, anche economici, e quindi a conseguire profitti e vantaggi, patrimoniali e non, ingiusti per sè o per altri. Con l’aggravante di avere commesso il fatto anche avvalendosi di un’associazione mafiosa. La vicenda è una “bomba”. L’avv. Brancato (che non ha mai negato di essere massone avrebbe sostenuto di essere stato costretto al “sonno” poichè sarebbe stato massonicamente “richiamato” per le sue azioni legali dei mesi scorsi) è lo stesso professionista (fu candidato sindaco di San Giovanni La Punta espresso da An e dal Polo e venne sconfitto; poi passò nelle file del Ccd e candidato alle scorse regionali) che con denunce ripetute all’indirizzo del sindaco di San Giovanni La Punta, Santro Trovato e di riflesso poi dell’imprenditore Scuto, innescò il meccanismo che fece esplodere il “caso Catania” in cui sono chiamati in causa magistrati, accusati da altri magistrati. Nell’indagine (sarebbero state sequestrate foto di un indagato con un deputato) si parla di massoneria deviata intrecciata con la cosca mafiosa Santapaola e di voto di scambio nel caso delle elezioni a San Giovanni La Punta.
Il Messaggero
21.01.2002
Chi è massone può ottenere incarichi dalla Regione, la Corte europea conferma la sentenza della scorsa estate
E’ diventata esecutiva la sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo, emessa la scorsa estate, che ha accolto il ricorso del Goi contro la legge 34 del ’96 emanata dalla Regione Marche con la quale si obbliga tutti coloro che aspirano ad incarichi (meno a quelli della sanità) di dichiarare la non appartenenza alla massoneria. La Corte europea ha anche condannato lo Stato italiano al risarcimento danni simbolico di 10 milioni, da versare al Goi. “Una legge assurda, quella della Regione, illiberale e anticostituzionale – aveva commentato il Grande oratore del Goi Brunello Palma – che ci ha discriminato per diversi anni. Una legge vessatoria. Il governo Prodi, pur sollecitato, non ha fatto nulla”. “Ora la magistratura – aveva aggiunto il Grande Maestro del Grande Oriente d’Italia, Raffi – ci ha reso giustizia, anche se troppo tempo è passato. Con questa legge regionale si è perpetrata una discriminazione tra cittadini e si sono coartati i diritti dei liberi muratori che, per conservare il diritto di accesso a ruoli di responsabilità, sono stati costretti a dimettersi dalla massoneria, per non rendere dichiarazioni mendaci”. “Ora – aveva continuato – lo Stato dovrà sollecitare la Regione a rimuovere la violazione abrogando quell’articolo di legge. Anche altre regioni, come il Friuli e la Toscana sono in difetto, ma la norma delle Marche era la più discriminante”. In pratica la sentenza della Corte europea ha condannato lo Stato italiano per aver violato “in pregiudizio dei massoni, la libertà di associazione”. Un pronunciamento che secondo Raffi interrompe “il lungo sonno della ragione e la stagione di criminalizzazione nei confronti dei liberi muratori del Goi”.
La Tribuna di Treviso
20.01.2002
IN TIVU’: “Il maestro Peter Maag era massone”
m.b.
Anche il maestro Peter Maag, scomparso pochi anni fa, aveva aderito alla massoneria. Lo sostiene Telenordest che per oggi alle 13.30, ha in programma uno speciale della trasmissione Cronache trevigiane, con il venerabile della Loggia Primvera, Paolo Valvo. Le immagini, i simboli, le cerimonie, i significati profondi della massoneria saranno al centro della trasmissione di oggi, a pochi giorni dalla presentazione pubblica, a Treviso, della nuova Loggia. Il settimanale condotto da Luca Pinzi ha voluto compiere un viaggio all’interno della sezione massonica, con l’aiuto del venerabile Valvo. Chi può diventare massone? Come si entra a far parte della massoneria? Ecco alcune delle domande che troveranno risposta all’interno della trasmissione, che svelerà anche alcuni nomi di massoni trevigiani eccellenti. Tra gli altri, appunto, quello del direttore della Bottega del Teatro Comunale, Peter Maag. Trevigiano acquisito.
L’Unione Sarda
19.01.2002
Massoneria a carte scoperte
La non troppo ricca letteratura sulla storia della massoneria sarda, o piuttosto della massoneria in Sardegna, conta ora un importante contributo con Diario di Loggia, un volume della Edes scritto da Gianfranco Murtas. Si devono allo stesso autore molti articoli di storia della Massoneria che converrebbe raccogliere in un volume organico che sarebbe letto con interesse non solo in Sardegna, se fosse stato risolto l’annoso problema di far passare il Tirreno a molti libri che, nati in Sardegna, nell’isola sono destinati a morire.
Il contenuto del libro di Murtas è precisato nel sottotitolo (La massoneria in Sardegna dalla caduta del fascismo alla nascita dell’autonomia). Periodo, quello che va dal 1945 al 1949, che vide ricostituite o costituite ex novo a Sassari la loggia “Giovanni Maria Angioy”, maestro venerabile Annibale Rovasio; a Bosa la loggia “Salvatore Parpaglia”, maestro venerabile Antonio Angelo Pala ed alla Maddalena la loggia “Giuseppe Garibaldi”, maestro venerabile Giuseppe Olla. Prima fra tutte la loggia “Risorgimento”, di Cagliari, maestro venerabile Alberto Silicani, al quale è ora intitolata la loggia cagliaritana, il venticinquesimo anniversario della fondazione si è inteso celebrare appunto con la pubblicazione del libro di Gianfranco Murtas.
Libro ricchissimo di notizie, quello di Murtas, grazie anche alla documentazione messa a sua disposizione dalla massoneria. La quale rinunciando al segreto, o se si vuole alla riservatezza che per tanto tempo l’ha caratterizzata in alcuni Paesi, tra i quali l’Italia, ha ormai deciso di mettere a disposizione degli studiosi i suoi archivi. Quelli più recenti, e quelli scampati alla bufera che ha investito l’Ordine nel periodo tra le due guerre. La massoneria non ha infatti nulla da nascondere, nemmeno i nomi dei suoi adepti, che hanno partecipato numerosi alla presentazione al Mediterraneo di Cagliari del libro di Murtas.
In questo quadro ha visto la luce un precedente volume sull’attività della loggia cagliaritana intitolata al nome dello scultore Francesco Ciusa, nuorese di nascita ma cagliaritano d’adozione. Ha visto altresì la luce un nuovo libro di Luigi Polo Friz, Sviluppo del rito scozzese antico e accettato in Italia dalle origini al 1867, che intende colmare, per quanto è possibile, quella zona bianca della storia della massoneria che è costituito dall’età della Restaurazione e dal periodo immediatamente successivo: periodo nel quale sarebbero state attive in Italia non meno di 35 logge.
Vero è che non sono state completate superate antiche diffidenze nei confronti della massoneria e dei massoni, residuo della polemica a lungo sostenuta dai cattolici contro quella che venne definita nientemeno come la sinagoga di Satana. Diffidenze che dovrebbero ormai essere superate grazie anche al mutato atteggiamento di autorevoli esponenti del clero, quali i padri Caprile e Benimeli, e soprattutto padre Rosario Esposito, autore di due libri importanti, La massoneria in Italia dal 1800 ai giorni nostri, del 1969, e Le buone opere dei laicisti, degli anticlericali e dei frammassoni, del 1970, del quale ha scritto la prefazione l’ex gran maestro Giordano Gamberini. Entrambi i volumi sono stati pubblicati dalle Edizioni Paoline.
Anche tra i meno informati rimaneva vivo nella seconda metà del Novecento il ricordo delle scomuniche comminate contro i “fratelli”. Già nel 1974 tuttavia il cardinale Seper, prefetto della Sacra Congregazione per la dottrina della fede, su richiesta di alcuni vescovi, precisava che si intendevano effettivamente colpiti dalla scomunica solo gli iscritti ad associazioni che cospiravano contro la Chiesa ciò che non può dirsi della massoneria attuale, malgrado il passato anticlericale di molti massoni, anche se non di tutti. E’ peraltro noto, o dovrebbe esserlo, che la scomunica non è una sentenza definitiva ed irrevocabile, ma , come insegna l’Enciclopedia cattolica, una pena medicinale, scopo della quale è di indurre al ravvedimento i battezzati che per fatti a loro imputabili si sono consapevolmente allontanati dalla comunità dei fedeli.
Libro tutto da leggere dunque, quello di Gianfranco Murtas, anche perchè documentata, o almeno così sembra a chi scrive, un certo sbandamento politico culturale nel periodo considerato di molti “fratelli”, tutti su posizioni rigorosamente antifasciste ed antiqualunquiste, essendo il movimento che faceva capo a Guglielmo Giannini considerato il refugium peccatorum dei fascisti o ex fascisti che non volevano sottoporsi al lavacro battesimale dei sacerdoti dell’estrema sinistra, grazie al quale persino i docenti di mistica fascista potevano diventare maestri di democrazia, sia pure progressiva.
Altra bestia nera veniva considerata la Democrazia cristiana, sulla quale convergevano i suffragi di gran parte dei moderati, per l’ovvia considerazione che, caduto il fascismo, caduta la monarchia, pilastro dell’ordine rimaneva la Chiesa, e non restava perciò che votare per il partito da essa raccomandato ai fedeli e non solo a questi. Rileva inoltre Murtas che, mentre i massoni di Sassari e di Bosa apparivano orientati verso il Partito sardo d’azione, i massoni cagliaritani sostenevano il Partito liberale (che non avrebbe mancato di fondersi, sia pure con troppo ritardo, con l’uomo qualunque), anche perché vi militava, secondo la tradizione di famiglia, non rispettata da Alberto Cocco Ortu, il giovane Francesco, troppo presto scomparso.
Tutti antifascisti, dunque, anche perchè, come risulta dai dati pubblicati da Gianfranco Murtas, l’età media dei massoni sardi nel secondo dopoguerra era abbastanza avanzata, ed ancora vivo era perciò il ricordo delle misure repressive antimassoniche adottate da Mussolini, in vista della conciliazione fra Stato e Chiesa, che nel 1929 avrebbe confermato il consenso del quale il fascismo già godeva nel Paese. E’ peraltro vero che la Massoneria appoggiò D’Annunzio che con i suoi legionari, tra i quali non mancavano i sardi, occupava Fiume, e che molti massoni sostennero il fascismo-movimento ed il fascismo-partito.
Erano inoltre massoni molti gerarchi, a cominciare dai quadrumviri della marcia su Roma del 28 ottobre 1922 Italo Balbo, Michele Bianchi, Cesare Maria De Vecchi, nonché Emilio De Bono, fucilato nel 1944 a Verona con Galeazzo Ciano ed altri per il contegno tenuto il 25 luglio 1943 alla seduta del Gran Consiglio. Sarà interessante ricordare che era massone a Cagliari l’avvocato Mauro Angioni, eletto deputato nel 1919 con la lista dei combattenti anche se non aveva preso parte alla grande guerra, dimessosi nel 1921 dal Partito sardo d’azione perché non rieletto nel 1921 e passato al fascismo. Con Angioni passarono al Pnf molti altri massoni, tanto che Paolo Pili scrive testualmente nel suo libro di memorie Grande cronaca, minima storia, che meriterebbe ristampare: “Con Maurino a segretario provinciale (del Pnf) sta vestendo la camicia nera tutta la loggia, e se si tarda corriamo il rischio di essere sommersi”.
Questo rischio lo correvano i sardisti che stavano per passare al fascismo, spinti anche da Paolo Pili, già contrario alla fusione, ma sollecitato da Lussu, che era inizialmente favorevole. Fusione per promuovere la quale Mussolini aveva mandato in Sardegna il generale Gandolfo ed il colonello Sani, entrambi massoni.
Lorenzo Del Piano
La Tribuna di Treviso
13.01.2002
NUOVA LOGGIA MASSONICA A TREVISO
COME CAMBIA LA MASSONERIA
di Nicola Pellicani
Prima che indossino i paramenti li riconosci solo dal saluto. Non s’accontentano di un ciao, nè di una semplice stretta di mano e non battono il cinque all’americana, ma si baciano tre volte sulle guance. I fratelli del Grande Oriente d’Italia si riconoscono anzitutto da questo rituale. E ieri nella hall dell’Hotel Maggior Consiglio era tutto uno sbaciucchiamento. Uno dopo l’altro sono arrivati quasi in 150, provenienti da ogni parte d’Italia per festeggiare la nascita della nuova loggia massonica Primavera, fondata dal Maestro Venerabile Paolo Valvo, notaio molto conosciuto in città. Baci sulle guance per tutti, ma in particolare per il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, l’avvocato Gustavo Raffi.
D’istinto di vengono in mente Armando Corona e Licio Gelli. L’associazione d’idee è automatica. Quantomeno t’aspetteresti d’incontrare un anziano signore dall’aspetto vagamente funereo. Ma non è così. I tempi cambiano e anche i massoni cercano di stare al passo. Così, il Gran Maestro del Grande Oriente è un romagnolo alla mano, con alle spalle un passato da repubblicano, che si è messo in testa di rendere trasparente, quanto di più oscuro e ambiguo viaggi nell’immaginazione collettiva.
Ma è possibile condurre un’opera di glasnost dentro la massoneria? Raffi ha accettato la scommessa, sfidando le resistenze interne. Come? “Mostrando il vero volto della massoneria. Recuperando il ritardo accumulato sul versante della comunicazione, chiamando, ad esempio, i giornalisti per presentare le nostre iniziative. Realizzando un sito internet dove c’è vita morte e miracoli del Grande Oriente d’Italia”.
C’è tutto, tranne i nomi degli affiliati: “Una questione di rispetto della libertà altrui”, osserva Raffi. Del resto adesso se voi chiedete ad un partito o ad un’associazione la lista degli iscritti forse ve la mostrano?”.
Faccia almeno qualche nome illustre? “Nella massoneria c’erano Salvatore Quasimodo, Salavador Allende e Walt Disney, di loro si può parlare, ma per i viventi occorre la loro autorizzazione”. Inutile anche cercare tra i presenti impegnati nella vestizione, con grembiuli, sciarpe, distintivi e guanti bianchi, un volto trevigiano. Probabilmente entreranno nella sala della proclamazione ufficiale da un ingresso secondario.
“Ritrosie, timidezze – dice Raffi – giustificabili e che derivano da una concezione distorta della massoneria e da una conseguente stagione di grande intolleranza”.
Tutta colpa della P2. Una delle pagine più buie della massoneria: “Sottoscrivo, la P2 era un comitato d’affari non una loggia, e va condannata senza appello. Dobbiamo avere il coraggio di pagare i conti con la storia: la P2 sta alla massoneria come le Brigate Rosse al Pci”. Vale a dire che per la P2 non ha nulla a che fare con con l’attività delle logge massoniche. “Il fatto è – insiste Raffi – che i partiti della Prima Repubblica avevano bisogno di risorse e di faccendieri. Oggi la massoneria è un luogo di confronto e di discussione. Un laboratorio in piena attività dove affrontiamo vari temi dall’esoterismo, al sociale con analisi assolutamente laiche della realtà. In questo periodo discutiamo di globalizzazione, di scienza e scuola, riaffermando il valore della ricerca scientifica che può essere paralizzata in nome del dogma e la centralità della scuola pubblica, come ambiente necessario per imparare la convivenza tra diversi e prevenire emarginazione, razzismo e xenofobia”.
Posizioni decisamente lontane da quelle papali. Del resto Raffi confessa che l’unico Papa per cui i massoni hanno nutrito sentimenti di simpatia è stato Paolo VI.
Insomma, vista così il Grande Oriente d’Italia è un’associazione progressista. Eppure sulla massoneria aleggia sempre quell’alone d’ombra, il sospetto che i “fratelli” si salutino con tre baci, ma si tengano stretti stretti, l’uno all’altro, non solo quando discutono d’esoterismo. Non a caso sull’home page del sito internet del Grande Oriente campeggia una scritta, che suona come un appello: “Cambia idea sulla massoneria”.
La Stampa
09.01.2002
La rivincita dell´Opera
La accusavano di carrierismo, ora è di moda
ROMA Virtù cristiane e santificazione del lavoro professionale. Opus Dei 2002, l´anno della consacrazione e del cambiamento nell´immagine pubblica. “Adesso stampano un francobollo commemorativo con il volto del loro fondatore- osserva Giulio Andreotti – eppure pochi anni fa li mettevano all´indice in Parlamento”. Si mescolano soddisfazione e sarcasmo nel commentare il radicale mutamento di prospettiva del mondo politico nei confronti della Prelatura. La mente corre alla seduta parlamentare del 24 novembre 1986 e alle interpellanze-choc che bollarono l´Opus Dei come una massoneria dedita ad accumulare potere e una setta regolata da norme segrete che vincolano gli aderenti (anche nelle proprie funzioni pubbliche) ad un vincolo assoluto di obbedienza verso le gerarchie dell´associazione. Tra gli iscritti, infatti, figurano “numerosi funzionari civili e militari dello Stato e dirigenti delle imprese pubbliche”: una “fabbrica delle carriere”, insomma, meritevole di interventi repressivi da parte dello Stato e per la quale si invocava l´applicazione della legge contro le logge occulte del 1982. Malgrado il pluralismo nelle scelte economiche e politiche dei membri dell´Opus Dei, ci vorranno anni perché la nebbia dei sospetti svanisca e renda evidente la vera natura dell´Opera, che non è un´associazione ma una prelatura personale, ovvero un´istituzione ecclesiastica, parte integrante della struttura della Chiesa universale. Libera, per costituzione e patti internazionali, di darsi l´organizzazione ritenuta più opportuna. Persino l´uso del cilicio (assieme al rosario, alla devozione alla Madonna e agli angeli custodi) viene additato come prova del suo presunto carattere “settario”. Oltre ai laici, l´Opus Dei comprende sacerdoti incardinati nella Prelatura. Della Società della Santa Croce fanno parte anche membri del clero diocesano che, pur restando per ogni altro aspetto soggetti al proprio vescovo, ne condividono la spiritualità e godono della sua assistenza spirituale. In realtà il contenuto degli statuti dell´Opus Dei, mirati a formare ad una vita lavorativa e familiare vissuta secondo i valori evangelici, esclude ogni forma di segreto. Della prelatura, che ha a Roma la propria sede centrale, fanno parte quasi 100mila persone (in grande maggioranza laici) dei cinque continenti con la missione di promuovere fra i fedeli cristiani di tutte le condizioni una vita coerente con la fede, portando il Vangelo in ogni ambiente della società e cercando la santità. Alcuni membri dell´Opera, chiamati “numerari”, scelgono il celibato per dedicarsi con maggiore libertà al lavoro apostolico, mentre gli altri, in genere sposati, sono detti “soprannumerari”. Una terza situazione personale è quella degli “aggregati”, che scelgono il celibato ma vivono con la famiglia e sono chiamati ad una minore disponibilità di tempo per il lavoro apostolico rispetto ai numerari.
Giacomo Galeazzi
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{08-02-2002}