Kalendimaggio
Affrontare un tema legato al calendario rappresenta sempre l’enorme difficoltà di selezionare
la ricchezza di contenuti e di riferimenti relativi. Credo che il metodo più corretto sia quello
suggerito da Dante Alighieri, di cercare nelle parole e nelle forme il significato letterale, quello
morale, il legame analogico ed infine far agire il simbolo nella sua misteriosa potenza.
Così il tema delle kalende di maggio deve innanzitutto essere presentato nei fatti.
Kalende deriva dal greco “caleo” (latino calo) che significa “convocare” e si riferisce al fatto
che il primo giorno di ciascun mese, nell’antica Roma il pontifex minor convocava il popolo per
annunciare l’inizio del mese e fissare le nonæ (5 o 7 giorni dopo) e le idi (13 o 15 giorni dopo).
Le kalende erano giorno sacro a Giunone, presso il cui tempio avveniva la convocazione, così
come le idi erano sacre a Giove.
Maggio è il quinto mese dell’anno civile, deriva il proprio nome dalla Dea Maja, madre di
Mercurio, Dea della terra e della fecondità.
Fino dai tempi più antichi l’inizio di maggio era caratterizzato da feste in onore della natura
che si risveglia: ai primi tre giorni corrispondevano le Floralia, feste in onore della Dea Flora, che
erano caratterizzate da aspetti particolarmente licenziosi e, contemporaneamente, da ludi agonistici.
Nel medioevo ritroviamo la festa del primo maggio caratterizzata dall’albero giovane piantato
davanti alle case delle ragazze da marito, come dichiarazione d’amore, oppure nelle piazze in segno
di auspicio di fecondità.
L’ultimo ricordo ad oggi rimasto è nell’albero della cuccagna che ha sostituito, in taluni casi,
l’alloro, l’ulivo, il tiglio o la quercia, oppure che ha sostituito alla tradizione latina quella celtica.
Per i Celti il 1° di maggio era la festa chiamata Beltania in onore di Beleno, Dio del sole.
L’antica tradizione ci dice come fosse di rito piantare per terra un albero, rappresentante l’asse
del mondo, alla cui sommità veniva infissa una ruota fatta di rami fioriti, che rappresentava il sole
fecondante che portava la ricchezza dei raccolti attraverso il suo matrimonio con la terra fecondata.
Sarà quello stesso albero che verrà bruciato con un grande fuoco ed un rito molto particolare
al solstizio d’estate.
In Italia ritroviamo manifestazioni che ricordano la festa della fecondità e dell’amore; a
Firenze, in particolare, ricordiamo le processioni di fanciulle con corone di fiori sul capo che
percorrevano le vie della città con un ramoscello fiorito in mano: era il Calendimaggio.
Qualche segnale che non si tratta di una data o di una festa qualsiasi iniziamo a coglierlo
attraverso la semplice osservazione che il primo maggio cade esattamente 40 giorni dopo
l’equinozio di primavera. Ci troviamo ancora una volta di fronte a quel numero 40 che tante volte
compare nella storia sacra, quasi sempre come tempo di purificazione, di penitenza, in preparazione
di un momento misterioso e meraviglioso al medesimo tempo. Ci è facile ricordare la quaresima
cristiana, i 40 giorni di Gesù nel deserto; sia concesso ad un lettore di alchimia di ricordare che S.
Anna abbandona le sue nere vesti dopo 40 giorni di ritiro nel deserto di suo marito, pronta ormai a
dare alla luce Maria, la Vergine Bianca e Immacolata che sarà la Madre di Dio.
D’altro canto sono bene un ariete ed un toro quelli che compaiono nella quarta figura del
famoso Liber Mutus, indicando il tempo nel quale i volonterosi si dedicano a raccogliere la rugiada.
Una ulteriore osservazione ci fa ricordare che il mese lunare di 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e
10 secondi, cioè il periodo di tempo intercorrente tra due noviluni, è tale solo perché, nel frattempo,
la terra si è spostata sull’eclittica: in realtà il tempo che la luna impiega a compiere un giro attorno
alla terra è di 27 giorni e qualche ora. Sembrerebbe che 40 indichi una luna e mezza, dal novilunio
al secondo plenilunio successivo, oppure l’aver visto tutti i segni dello zodiaco una volta e metà di
essi due volte. La stessa cosa accadrebbe a chi entrasse in un tempio tradizionale, con la porta ad
occidente e l’altare ad oriente, e percorresse un giro completo del tempio prima di raggiungere
l’altare: nelle deambulazioni tradizionali solo a colui che officia spetta tale ruolo, tutti gli altri o si
arrestano prima di raggiungere l’altare o si fermano dopo. Si direbbe che solo all’officiante è
riservato il punto di equilibrio centrale, corrispondente alla posizione del sole che si leva ad oriente.
Morale significa “relativo ai costumi” (da mos) e quindi al comportamento umano, alle cose
che l’uomo deve fare, al come deve farle e al quando deve farle. Mi pare che le osservazioni fatte
sino ad ora siano appunto in questa ottica.
Il limite è che, purtroppo per motivi di tempo, cerchiamo di cogliere dei significati a se stanti
in un disegno, il calendario appunto, che è un continuum non fatto di punti isolabili.23
È bene il 21 marzo, giorno dell’equinozio di primavera, che nel profondo della terra si
risveglia, secondo la leggenda, Demogorgone, il vecchio drago dormiente nel fuoco e sarà il 23
aprile, esattamente 7 giorni prima delle kalende di maggio che egli verrà trafitto dalla lancia in ferro
di S. Giorgio, così come sarà per tutto il mese di maggio che diverse religioni, in diversi tempi, in
paesi lontani si accorderanno per venerare Maja figlia di una Pleiade, Gea figlia della Tellus Mater,
Brigid figlia di Dagda, Maria figlia di Anna, le cui madri hanno tutte la caratteristica di essere
raffigurate di colore nero.
Il nero è il colore della morte e della putrefazione, quelle stesse che sono necessarie a
qualunque seme per far germinare una pianta, quelle stesse che sono necessarie a Lazzaro per
risorgere, quello stesso nero di cui gli antichi maestri affermano: “quando l’oscurità della notte
raggiunge il suo massimo, rallegrati! La luce è vicina”.
Se allegoricamente. dopo 40 giorni, le kalende di maggio rappresentano il momento della luce
e dell’allegria, come testimoniano i riti festosi, l’allegoria dell’albero con la ruota di rami fioriti alla
sommità è ancora più commovente: il sole (la ruota) penetra sessualmente (il palo) la materia bruta
(la terra) allo stesso modo che un cavaliere rivestito di una lucente armatura aveva penetrato alcuni
giorni prima il drago, forza bruta rappresentazione del caos, con una lancia. Questa operazione di
accoppiamento violento è ben quella cui l’alchimista serve da operatore esterno, tra il solfo solare e
la materia bruta, o quella cui il mago sovrintende, munito della bacchetta tradizionale di nocciolo, o
quella che un esperto Maestro delle Cerimonie, munito di regolo, compie in modo semplice
penetrando in un tempio-microcosmo e permettendo, con questo suo atto, alla luce di installarsi:
“come il sole sorgendo ad Oriente illumina la terra, così …”.
Giorno di luce dunque, questo kalende di maggio, che cade in segno di Toro, femminile e
terrestre, nel quale la luce, sgorgata dalla gola del drago – caos primordiale 7 giorni prima (fiat lux) –
da testimonianza delle sue opere quando si accoppi “incestuosamente” con lo stesso caos da cui è
stata separata.
Giorno di testimonianza, ma soprattutto di speranza e di promesse per chi lo sappia cogliere,
per chi, guardando se stesso, al medesimo tempo mago-alchimista e materia bruta, sappia aprirsi alla
luce, permettere l’accoppiamento sublime e diventare la vergine nera che deve partorire quella
immacolata. In che modo?
Ogni cavaliere che partiva alla ricerca del Graal aveva la sua armatura, la sua lancia e
incontrava il suo drago, mentre l’iniziazione ricevuta gli indicava la via e gli dava la forza
necessaria per superare le prove: la conquista del Graal era, a questo punto, un problema di
realizzazione e vittorie personali. Alcuni, al pari di Ercole e di Teseo, compivano le fatiche,
vincevano tutte le battaglie e conquistavano il vello d’oro; altri cedevano alle lusinghe di una vita
piacevole e mondana, addirittura dimenticando la propria origine; altri cadevano nella battaglia.
In quale modo agisca il simbolo della luce, al di là dei suoi significati letterale, morale ed
allegorico, su ciascuno di noi non ci è dato esprimere. La ragione taccia riverente, la bocca
ammutolisca, ogni parola sarebbe di troppo.
Lasciamo che solo la Fede arda e apriamoci al simbolo senza riserve, lasciandolo agire e
lasciandoci condurre, sull’esempio di coloro che hanno permesso a interventi di dei, fate, ninfe di
capovolgere situazioni umanamente disperate.
TAVOLA SCOLPITA DAL FR.’. F. COLONNA