APRILE 2002
Libertà
19.04.2002
“Scriveva perchè la gente non fosse ingannata” – Luigi Mezzadri
Padre Luigi Mezzadri ha firmato la prefazione del libro che viene presentato oggi il volume
“Sentinella quanto resta della notte?”. Queste parole di Isaia (Is. 21, 11) mi sembrano le più adatte a descrivere il ruolo di don Franco Molinari. Sentinella, non comandante. Non aveva il carisma del capo. Non era fatto per decidere per gli altri, per dare ordini, per imporre piani o strategie. Sentinella e non monsignore. Com’era lontano dai felpati modi curialeschi! Sentinella e non gregario. Non era uno dei tanti, uno del gregge (il “servum pecus” di Orazio). Don Franco era un uomo originale, inconfondibile, che era sempre se stesso. Non amava i benpensanti, coloro che ragionano col telecomando, che ripetono frasi fatte o stereotipi da raccatto. Ma nemmeno li strapazzava. Non era uno di loro. E questo gli bastava. Compito della sentinella è quello di vegliare. Ma nella notte. Nel buio delle cose e delle coscienze..
[…omissis…]
Le pagine di Fausto Fiorentini, che ho letto di getto, mi hanno restituito un po’ del sorriso di don Franco, la sua ironia, hanno fatto rivivere il senso di tante battaglie. Sono pagine partecipi, fluenti, informate e molto belle. Hanno, tra l’altro, un pregio: non pretendono di scalfire il segreto dell’anima. A uno che ha letto tanto di don Franco basta un aggettivo (i puledri scalpitanti, i metodi turchi, le beghe meschine, il figlio del tuono) o un giudizio (la Massoneria cattedrale laica della fraternità) per avere l’impressione che si sia dileguata la notte. Ma poi ci si accorge che tali momenti sono come “il passare di un’ombra” (Sap. 2, 5). La notte si addensa di nuovo. Con lui si è chiusa una pagina di vita e di storia, una stagione della Chiesa e della Società. Domandiamo nel buio: “Sentinella quanto resta della notte?”. Ma la domanda resta senza risposta. Questo fa capire quanto don Franco ci manchi.
Il libro “Franco Molinari, un comunicatore in clergyman” di Fausto Fiorentini per le edizioni Berti verrà presentato oggi pomeriggio alle ore 18, all’auditorium della Fondazione da padre Luigi Mezzadri, professore all’Università Gregoriana di Roma, e dal Vescovo monsignor Luciano Monari. Ai presenti la Fondazione farà omaggio del volume. Mezzadri firma anche l’introduzione del libro. Di seguito ecco parte del suo intervento di padre.
UNA GIORNATA PER RICORDARE DON MOLINARI – di FAUSTO FIORENTINI
Era infatti uno studioso che si muoveva ugualmente bene sia sulla frequenza del passato come su quella del presente. Per questo si trovava a proprio agio sia sulle pagine della rivista universitaria come sul periodico divulgativo. In altri termini riusciva a mettere d’accordo due professioni che a volte vanno per strade diverse: lo storico e il giornalista.
[…omissis…]
Ha studiato i sinodi piacentini nei secoli passati e quando la Chiesa locale affronta i lavori sinodali promossi dal vescovo Antonio Mazza, si mette subito a disposizione per l’analisi delle origini storiche dell’avvenimento. Ha scritto articoli sui santi piacentini perché aveva intuito che la Chiesa piacentina era orientata a rivalutare, come d’altra parte sta ancora facendo, le proprie origini. E non si tratta di tentazioni culturali, ma di precise ragioni pastorali. Ragioni che vengono dalla realtà di tutti i giorni e da senso del futuro. In questo don Franco Molinari era un maestro: lo aveva appreso dagli studi storici e dal giornalismo militante, due scuole che con il sorriso, ma con determinazione, utilizzava per fare il prete. “I “peccati di Papa Giovanni” Studioso molto attento, don Molinari era un divulgatore che, per stimolare i lettori, non esitò a usare l’arma di titoli d’effetto come il noto “I peccati di Papa Giovanni”. Ovviamente lui si riferiva ai peccati fatti da coloro che scrissero del “Papa Buono”, ma il titolo gli procurò ugualmente qualche grana. Ha rischiato censure e richiami che poi sono regolarmente rientrati quando i censori sono stati invitati a leggere i libri incriminati. Affrontò anche temi scomodi come la Massoneria, che ha definito “cattedrale laica della fraternità”, e il podestà Barbiellini, fondatore del fascismo piacentino. Nella foto, don Franco è il primo a sinistra con il “Papa Buono”. uno storico “prestato” alla religione Don Franco Molinari (nella foto con Fausto Fiorentini, autore del libro su di lui) è stato soprattutto uno storico: lo dimostra molto bene il libro che viene presentato oggi pomeriggio alla Fondazione con la sua lunga scheda bibliografica, ma ha sempre avuto una particolare predilezione per il giornalismo. Quando, dopo la prima messa, il vescovo lo ha mandato a Roma per studiare storia, ha accettato con l’intenzione di servirsi dello studio del passato soprattutto per interpretare il presente. Per questo scrisse su giornali e riviste. Fu assiduo nella nostra redazione, ma nello stesso tempo collaborò con altri giornali, dal semplice bollettino a Famiglia Cristiana.
[…omissis…]
Il Tirreno
19.04.2002
“Non dobbiamo scuse a Sgarbi”
Il sindaco: “E’ lui che le deve a noi per le dichiarazioni fatte”
Marcucci: “Non mi risulta che sia stato impedito fisicamente al sottosegretario di entrare al Palace”
VIAREGGIO. “Il consiglio comunale non si deve scusare con Sgarbi. È Sgarbi che deve delle scuse a me e alla città. Per quello che ha detto. Per essersi permesso di dire che dovrebbe essere arrestato il sindaco (Marco Costa, ndr) che ha fatto abbattere gli alberi intorno al monumento ai Caduti. E per aver promesso – abusando del suo ruolo di sottosegretario – che la Sovrintendenza boccerà il piano particolareggiato della Passeggiata. Un piano che ancora non è noto, visto che da mesi stiamo lavorando alle modifiche della proposta dell’urbanista Richard Rogers”. Marco Marcucci contro Sgarbi. Sindaco contro viceministro ai Beni culturali. Primo round a distanza. In corso mentre Vivere Viareggio reclama un dibattito in consiglio comunale sui “fattacci” del Palace.
Vivere Viareggio chiede – e avrà – un consiglio comunale sul fatto che “è stata impedita con la violenza e l’azione squadrista” la partecipazione di Sgarbi al convegno sulle bellezze artistiche della Versilia organizzato al Palace da Italia Nostra e Istituto storico lucchese. Il dibattito in consiglio comunale, dunque, ci sarà. Quanto alle condanne politiche, si vedrà. Anche perché – sottolinea Marcucci – “dalle informazioni che ho assunto in questi giorni, non mi risulta che durante la contestazione (organizzata da Rifondazione comunista, ndr) siano stati commessi gli atti di violenza citati su un quotidiano locale. O che all’onorevole Sgarbi sia stato impedito fisicamente di arrivare al convegno”. La polizia, in effetti, aveva offerto a Sgarbi una scorta per accompagnarlo nella sala convegni del Palace, ma l’onorevole ha preferito andarsene.
[…omissis…]
“Perché da mesi aspetto una risposta a una questione che ho sollevato in consiglio comunale. Vorrei capire perché Antonio Dalle Mura (Italia Nostra) e Federica Ghiselli (Istituto storico lucchese), con il consigliere Alberto Benincasa di Vivere Viareggio hanno fatto un viaggio a Roma da Sgarbi. Vorrei capire perché ci si lamenta con un viceministro del fatto che la Sovrintendenza di Pisa decide di lasciar perdere il contenzioso con il Comune sul vincolo della Passeggiata (annullato dal Tar, ndr) e perché ci si lamenta del fatto che la Sovrintendenza incontri con un Comune per discutere di un piano (quello di recupero della Passeggiata), come se il Comune fosse il nemico. E’ poco trasparente il comportamento di chi va a chiedere a un viceministro interventi punitivi o correttivi nei confronto di una Sovrintendenza che agisce così. Cercare, attraverso proprie conoscenze, di mettere un’istituzione dello Stato (la Sovrintendenza alle Belle arti) contro un’altra istituzione dello Stato (il ministero dei Beni culturali) è un esercizio che, nella storia d’Italia, è sempre stato proprio della Massoneria”.
Niente scuse per Sgarbi, dunque.
“No. È inaccettabile il comportamento di un rappresentante di governo che viene in un comune proponendo l’arresto di un sindaco, seppure precedente, o promettendo di far saltare un provvedimento che non conosce”.
Il Messaggero
19.04.2002
L’ATTRICE
Ne “L’ora di religione” c’è anche Piera Degli Esposti. E’ la zia che esorta Castellitto “a godersi la vita, farsi un’amante”. E soprattutto ad affiliarsi a qualcosa: “la massoneria, l’Opus Dei, il circolo della caccia, la famiglia marchigiana. Va bene tutto, pur di avere un padrino”. Irresistibile. Una di quelle scene che valgono una carriera.
La Nazione
19.04.2002
Gli è come lo strolago di Brozzi
“Gli è come lo strolago di Brozzi che conosceva la merda a i’ ttasto”. Scusate la parola, anche se è quella che è, comunque la battutaccia si fa ancora a chi pretende d’indovinare e invece dice cose ovvie. Ma chi era questo “strolago”, astrologo? Si trattava di un certo Rutilio Benincasa nonno (o zio) di Settimo Cajo Baccelli fratello minore di Sesto Cajo Baccelli autore di quella “Guida dell’agricoltore” che da 125 anni entra nelle nostre case portandoci notizie utili e dilettevoli per tutto l’anno. Il Benincasa, anche a occhi chiusi, quando toccava una cacca, diceva “Questa gli è una merda!”.
“Furbo come la capra dei pompieri” si dice invece di una persona semplice, ingenua, sprovveduta. I pompieri di Firenze (o Guardie del fuoco come vennero chiamati alla loro fondazione nel 1344) quando andarono a portare i soccorsi a Messina distrutta dal terribile terremoto del 1908 (oltre centomila) trovarono, smarrita tra le macerie, una capretta che si portarono con sé come mascotte. Sembra che questa capretta invece di andare a brucare l’erba al Campo di Marte, che era alta e fresca, andasse a brucarla nelle striminzite aiuole di piazza Vittorio, oggi piazza della Repubblica. Ma forse tanto stupida non era quella capretta perché con tutti i caffé che c’erano nella piazza qualche buon bocconcino l’avrebbe sempre rimediato dagli avventori che affollavano i tavolini!
Quando si cincischiava senza concludere nulla, si chiacchierava con gli amici e si perdeva la nozione del tempo, una volta ci si congedava un po’ a bischero dicendo:
” Gli è bell’i’ ttocco e tra i’ppisciare e lo scotere s’è fatta l’ora d’andare a desinare” . E qui non c’è proprio niente da spiegare.
“Quant’è che un tu vedi la Marisa?” “E gli è un gioedì…!” , un giovedì, da tanto tempo. Chissà per che il giovedì e non un altro giorno della settimana; forse perché sta nel mezzo o perché, una volta, era giorno di vacanza per gli scolari? Ricordate Pinocchio che avrebbe voluto che la settimana scolastica fosse fatta di tre giovedì e quattro domeniche?
“Un c’è trippa pe’ gatti.” Quel sindaco – ci fa giustamente notare l’amico Giulio Brunner riferendosi al detto della trippa già pubblicato – non si chiamava Nathau ma Nathan, era nato a Londra nel 1845 figlio della pesarese Sara Levi. Chiamato dal Mazzini a Roma prese la cittadinanza italiana nel 1888. Nemico della politica colonialistica di Crispi, anticlericale, fu Gran Maestro della Massoneria dal 1896 al 1903 e dal 1917 al 1919. Fu sindaco di Roma dal 1907 al 1913 (quando, correttamente, non aveva più la carica di Gran Maestro) promosse l’edilizia e la scuola popolare. A lui si deve la municipalizzazione dei servizi pubblici. Fu tra i fondatori della “Dante Alighieri”. Morì a Roma nel 1921.
Il Resto del Carlino
18.04.2002
MUSICHE MASSONICHE PER L’ANT (Ass.ne Nazionale tumori)
Alle 20,30 presso la Sala Bossi del conservatorio G.B.Martini a Bologna, in piazza Rossini 2, si terrà un concerto di musiche massoniche dal titolo “Armonie di fraterne virtù”. L’orchestra da camera Milano Classica insiema a Makoto Sakurada (tenore), Mario Carbotta (flautista), Andrea Macinanti (Organista) e Massimiliano Caldi (direttore) suoneranno musiche scritte da Giuseppe Sarti, Wolfgang Amadeus Mozart e Franz Joseph Haydn. Il ricavato del concerto, organizzato dalla Reale Loggia Prometeo con il patrocinio del Grande Oriente d’Italia, sarà devoluto all’Associazione Nazionale Tumori.
Il Giorno
18.04.2002
Quel “Derviscio benefico” è in perfetto simil-Mozart
(C.M.Ce.) “O Abdallah, mudi falla, hascha, wascha bu badallah”, canta un coro di Dervisci. L’orchestra saltella su rintocchi di tamburi, marcia fra squilli di ottavini e tintinnii di triangoli. Anche la storia ricorda qualcosa. C’è un principe turco, Sofrano, che cerca la sua principessa insieme a un servo-compagno popolare, Mandolino, gemellato a una omonima fidanzata, Mandolina. Ci sono prove di coraggio e abilità con interventi magici. La lingua è tedesca, l’orchestra del Settecento. La musica “alla turca” ricorda il “Ratto dal serraglio”. Il plot tira deciso verso il “Flauto magico”. Sembra Mozart. Non è Mozart. Meglio, è quasi Mozart.
Martin Pearlman, direttore americano dei Boston Baroque, mette per la prima volta in disco (Telarc, in accoppiata con l’Impresario), il delizioso “Der wohltätige Derwisch”, Il Derviscio benefico, operina in tre atti uscita dal “giro di Mozart”. Scritta, cantata e recitata dalla compagnia del teatro auf der Wieden di Emanuel Schikaneder, capocomico, impresario, librettista del Flauto prossimo venturo, “Il derviscio benefico” andò in scena nel marzo 1791, interpretato dai cantanti che saranno Tamino, Sarastro, Papageno.
Mozart non scrisse nulla per questo singspiel di profumo massonico (molti amici erano compagni di Loggia). Ma una cosa è certa: quando andò in scena, Wolfgang Amadè era in sala e in testa gli frullavano le idee del Flauto magico prossimo venturo. Suo, tutto suo.
La Stampa
18.04.2002
Una tortonese vince il premio Milano Classica con una composizione m. t. m.
TORTONA. La tortonese Pamela Ferro, 25 anni, ha vinto il primo premio assoluto, unico assegnato, al “IV Concorso di Composizione” indetto dall´Orchestra da Camera “Milano Classica”, in collaborazione con il Grande Oriente d´Italia e con il Conservatorio “Verdi” di Milano. Tema del concorso, per allievi e tirocinanti dei corsi di composizione del Conservatorio, era “La colonna d´armonia: la musica rituale massonica”. Il pezzo della Ferro, “Katà Theòn”, presenta l´accostamento di due testi, uno sacro e uno profano: sarà cantato in greco antico per evidenziare il carattere criptico della musica. La premiazione di Pamela si terrà sabato al Teatro Dal Verme di Milano: in programma la prima esecuzione del pezzo, direttore d´orchestra Massimiliano Caldi. Replica il 20 maggio alla Palazzina Liberty.
Corriere della Sera
18.04.2002
ACCADEMIA FILARMONICA
Mozart per il Quartetto Stradivari e Luigi Alberto Bianchi alla viola
Per la stagione dell’Accademia Filarmonica Romana, il Teatro Olimpico ospita stasera un concerto del Quartetto Stradivari e della viola Luigi Alberto Bianchi, che eseguiranno il Quintetto per archi k. 593 e il Quintetto per archi K. 516 di Mozart. Sono due splendide testimonianze di musica da camera, opera di un musicista arrivato alla piena maturità. Il primo fu scritto al ritorno dal trionfo delle “Nozze di Figaro” a Praga e con già in tasca la commissione del “Don Giovanni” ed è caratterizzato da un’aura malinconica, a tratti disperata. Tre anni dopo, nel 1790, fu composto l’altro Quintetto, su ispirazione di un “Amatore Ongarese”, forse Johann Tost, ricco commerciante, buon violinista e anche lui massone.
Il Messaggero
18.04.2002
L’estrema destra si affida a Le Pen – di Melissa Bertolotti
E’ lui il terzo uomo delle elezioni presidenziali in Francia. Secondo i sondaggi, un francese su cinque è d’accordo con lui e il 15% pensa di votarlo.
PARIGI – Nessuno, e niente, è ancora riuscito a fermarlo. Non ci è riuscita una condanna per la realizzare di un disco con canti del Terzo Reich. Non ce l’ha fatta nemmeno un’espulsione dal Parlamento europeo per aver picchiato, nel 2000, un candidato socialista. A 73 anni Jean-Marie Le Pen ritorna. E, cavalcando il ruolo di paladino dell’estrema destra francese, si ripresenta alle elezioni presidenziali del prossimo 21 aprile.
[…omissis…]
Sulla breccia dal 1956, quando a 28 anni divenne deputato per il partito di Pierre Poujade, il capofila del Fronte Nazionale ha evitato durante la sua quarta campagna presidenziale le solite boutade xenofobe e antisemite. Apparso in televisione, invece, Le Pen ha vestito i panni del nonno piacione. Ma il messaggio, di fondo, resta lo stesso di sempre: la Francia ai ”veri” francesi, basta con l’immigrazione, espulsione automatica con ritiro di cittadinanza per gli ”stranieri” disoccupati o con la fedina penale sporca. ”L’immigrazione – tuona – è la causa principale del fulminante aggravamento dell’insicurezza”. Con altrettanta grinta si batte per la soppressione dell’imposta sul reddito. Paracadutista in Indocina e in Algeria negli Anni Cinquanta, Le Pen mostra un odio viscerale, e quasi ossessivo, nei confronti di Chirac, che mai e poi mai ha accettato alleanza con lui. ”Jospin è fedele alle sue idee socialiste, Chirac è un supermentitore e ha tradito le sue idee a beneficio dei socialisti. Finanzia Megret contro di me”, accusa Le Pen.
E non ditegli che è un estremista di destra, si infuria. ”Io – ribatte – sono rimasto un uomo di centro-destra. E’ il panorama politico che è slittato a sinistra sotto la duplice spinta del liberalismo americanoide e della massoneria”.
Il Messaggero
18.04.2002
L’uomo e la tecnica, un dibattito organizzato dalla Massoneria.
“L’uomo e la tecnica” è il tema del convegno che si terrà sabato presso il centro congressi Quattrotorri di Ellera di Corciano. L’obiettivo dell’incontro, organizzato dal Collegio dei maestri Venerabili dell’Umbria, è quello di fare il punto sul rapporto fra evoluzione tecnologica ed umanità. “Abbiamo ritenuto importante – spiega il presidente del Collegio dei maestri venerabili dell’Umbria, Giancarlo Zuccaccia – far partecipare il mondo della cultura e degli studenti con interventi preordinati e presentazione di temi svolti sull’argomento del convegno e relativa discussione”. Al convegno interverrà il Gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Gustavo Raffi.
La Repubblica
18.04.2002 Ratzinger, un cattolico ad oltranza. – di Marco Politi
Esce una biografia per i suoi 75 anni.
Città del Vaticano- Molto citato, poco conosciuto, Joseph Ratzinger passerà certamente alla storia come uno dei più acuti uomini di Chiesa della cerchia di papa Wojtyla, che lo volle giovanissimo (ad appena cinquattaquattro anni) nel posto-chiave della curia vaticana: la Congregazione per la dottrina della fede.
Nominato nel 1981, egli ha accompagnato e continua ad accompagnare Giovanni Paolo II per tutto il suo lungo regno, diventandone l’altra faccia. Se Karol è mediatico, Joseph è schivo, dove il primo è profetico, il secondo è metodico, mentre all'(apparente) irruenza del pontefice corrisponde la freddezza (apparente) del porporato.
Nel suo intimo il cardinale tedesco, che l’altro ieri ha compiuto settantacinque anni, è invece una persona delicata, arguta, che ama suonare il pianoforte, come racconta bene Andrea Tornielli nella sua biografia attenta e precisa: Ratzinger, custode della fede, edita da Piemme (pagg. 219, euro 9,90). Epiteti logori come Panzerkardinal non gli rendono affatto giustizia. Più illuminante è il suo motto episcopale “Cooperatores veritatis”, collaboratori della verità, che ne delinea l’aspirazione a farsi – come poi è accaduto – difensore dell’identità di Santa Romana Chiesa.
A questa battaglia si è dedicato senza risparmiarsi, fino allo scontro con altre personalità o movimenti impegnati, ad affermare identità e “verità” diverse. Certamente il suo impegno è stato essenziale per tracciare i contorni e fissare i paletti della Chiesa, che Giovanni Paolo II aveva in mente. Andrea Tornielli (che quest’anno ha pubblicato anche una biografia di Martini) documenta esaurientemente come colpo su colpo il cardinale abbia combattuto tutto ciò, che Wojtila considerava pericoloso: l’accordo-compromesso fra anglicani e cattolici del 1982, la possibile riabilitazione della massoneria, i teologi politici come Leonardo Boff o dissenzienti in tema di etica sessuale come Charles Curran.
In questa difesa dell’identità cattolica tradizionale si iscrivono anche i suoi tanti no: all’omosessualità, alla distribuzione della comunione ai divorziati risposati, ai consultori cattolici che danno certificati utilizzabili per l’aborto, alle donne prete.
Resistere per Ratzinger non ha mai rappresentato un problema. “Per me la bontà implica anche la capacità di dire no, perché una bontà che lascia correre in tutto, non fa bene all’altro”, ha dichiarato recentemente. Identità – per il cardinale e il suo Papa implica, necessariamente, autorità e qui, lo ammette lui stesso, il suo mestiere di controllore della dottrina diventa difficile, “perché il concetto di autorità quasi non esiste più”.
[…omissis…]
L’Avvenire
17.04.2002
Miss Liberty? È anche a Firenze – Pierangela Rossi
CURIOSITA’: La celebre statua americana ha un precedente custodito in Santa Croce
Finora si riteneva che la Statua della “Libertà che illumina il mondo” che in America accoglie i viaggiatori del mare, avesse dei precedenti lontani, che avesse come antenati il Colosso che a Rodi sovrastava in antico il porto. A Rodi sono state scoperte varie immagini del sole con una raggiera al capo, e il Colosso nelle ricostruzioni aveva – come la Statua sull’isola di Bedloe, davanti a New York, poi soprannominata “Madre di tutti gli esuli” – il capo a raggiera e una torcia in una mano. Il Colosso aveva nell’altra mano una spada, o, secondo diversi studiosi, una faretra di frecce a tracolla.
Ma ora per la Statua della Libertà appare un antenato, anzi un’antenata più vicina nel tempo, e se si vuole anche nello spazio. È la Statua della “Libertà poetica”, di Pio Fedi, sulla sinistra, all’inizio, in Santa Croce a Firenze. Simile il nome, simili i panneggi, il diadema a raggiera in capo, il braccio levato – più lievemente nella fiorentina – ed uno che regge simboli (la Dichiarazione d’indipendenza nel braccio piegato, nell’americana; una corona e uno strumento, foglie d’alloro, olivo e quercia ai piedi la fiorentina).
[…omissis…]
Ora, se plagio c’è stato, uno scultore ha potuto vedere i bozzetti dell’altro. (A meno che i franco-americani non si siano proprio ispirati a Santa Croce). Si ignora il come. Si ipotizza persino un comune ideale massone degli scultori mentre l’Italia nel suo piccolo celebrava in quegli anni l’Unità.
Giovani Morandi della “Nazione” ricorda anche, a proposito del presunto furto di idee, il viaggio di un massone fiorentino, Filippo Mazzei, inviato di Jefferson in Italia per trovare uno scultore per la statua simbolo d’America. Mazzei concluse poco e fu pure derubato.
Quanto a Pio Fedi, nato a Viterbo, poi divenuto fiorentino, scolpì nell’atelier in via dei Serragli. Sembra però che circolassero suoi disegni… O entrambi hanno incarnato al femminile il Colosso di Rodi?
La Gazzetta del Sud
17.04.2002
Agrigento / In mostra 35 acquerelli di Casimiro Piccolo
AGRIGENTO – Il Museo archeologico di Agrigento continua a proporsi all’esterno con un’altra iniziativa di alto spessore culturale che costituirà un’attrattiva particolare per gli appassionati della pittura. Si tratta della mostra di 35 acquerelli dipinti dal barone Casimiro Piccolo, fratello del poeta Lucio Piccolo di Calanovella, tra il 1943 e il 1970. Le opere, realizzate con una singolare tecnica poco diffusa tra i pittori moderni, racchiudono un mondo fantastico popolato da creature bislacche e inquietanti che sembrano venute fuori dalle fiabe di Jacob o di Grimm. Egli rappresenta gnomi, elfi, maghi, silfidi e streghe che sono la trasposizione su tela di una filosofia di vita dove magia e ironia sovente convivono felicemente quantunque si tratti in prevalenza di humor nero. La collezione è stabilmente in visione a Villa Piccolo a Capo d’Orlando. Piccolo è nato a Palermo il 26 maggio 1894, secondogenito di Teresa Tasca di Cutò. Studiò al liceo classico Garibaldi ma non conseguì la maturità classica. Frequentò più del fratello Lucio i salotti della Palermo aristocratica e mondana e da giovane fu affiliato alla massoneria. Partecipò ai cenacoli della Società Teosofica partecipando attivamente alle sedute spiritiche. Fu considerato un’autorità nel campo della metapsichica, anche oltreoceano. Nutriva molto interesse per il mondo animale e vegetale. A lui si deve, per volontà testamentaria, la Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella. Morì il 4 dicembre 1970 a Capo d’Orlando, all’età di 76 anni.
[…omissis…]
La Gazzetta del Sud
17.04.2002
Il Luogo – Caccamo, residence per latitanze dorate
Piccola storia di un mandamento chiave nella mappa di Cosa nostra
PALERMO – Giovanni Falcone lo ribattezzò “la Svizzera di Cosa Nostra” per le fiorenti raffinerie di droga che fatturavano cifre a nove zeri, ma soprattutto per le campagne verdeggianti che ospitavano dorate latitanze. Il mandamento di Caccamo, scenario dell’ irresistibile ascesa del boss Nino Giuffrè è considerato uno tra i più significativi crocevia degli interessi finanziari di Cosa nostra, oltre che una sorta di “residence” per padrini in fuga. Il suo capo carismatico era il boss Lorenzo Di Gesù, socio e amico di Pippo Calò, un autentico patriarca che faceva la spola tra Palermo e Roma, dove tesseva le sue trame affaristiche sempre a braccetto con il “cassiere” della mafia. Legato agli ambienti massonici della capitale, Di Gesù, autentica eminenza grigia della famiglia di Caccamo, è stato negli anni Ottanta l’ unico uomo forte del mandamento, anche senza rivestire alcuna carica ufficiale. Quando fu arrestato, insieme a Calò, nel 1984, gli investigatori gli trovarono in tasca un’ agendina con il famigerato codice “Lunga morte” che serviva al padrino per annotare in maniera criptica centinaia di numeri di telefono. Decifrati i numeri, dal taccuino saltarono fuori i recapiti di banchieri e imprenditori romani, tutti amici del boss.
[…omissis…]
La Stampa
17.04.2002
Libro del Novecento Ammessi gli “errori” su Sarti e Menardi
Vedova e senatore ritirano le querele
CUNEO -Si è risolta amichevolmente la vertenza giudiziaria nata con le querele per diffamazione presentate nel luglio 2000 da Lidia Chicca ved. Sarti e dal sen. Giuseppe Menardi contro Mario Cordero e Michele Calandri, curatori del volume “Novecento a Cuneo” e all´epoca presidente e direttore dell´Istituto Storico della Resistenza editore del libro pubblicato nell´aprile 2000. La signora Chicca, vedova dell´on. Adolfo Sarti, tutelata dall´avvocato Franco Mazzola, protestava perché non vera la nota a pagina 335 del libro nella quale era scritto che la carriera del ministro “sarà interrotta solo dall´ignobile iscrizione alla loggia segreta massonica P2”. Dall´inchiesta parlamentare era infatti emerso che l´on. Sarti “revocò l´adesione il giorno successivo alla richiesta”. Il sen. Giuseppe Menardi tramite l´avv. Alberto Leone lamentava che nel libro a pagina 333 il suo nome veniva accomunato ai sindaci che avevano amministrato la città dal 1945 al 1965 definiti “spesso giovani cresciuti nell´occupazione del potere”. Il sen. Menardi è stato sindaco di Cuneo dal 1990 al 1995 e quindi senza alcun collegamento con quanto scritto nel capitolo. Dopo laboriose trattative sia Cordero, che si era dimesso a suo tempo dall´incarico, che Michele Calandri si sono scusati per l´infortunio in cui sono incorsi. Nei volumi ancora in circolazione sarà inserita una nota con la cancellazione dei giudizi errati. La vedova Sarti e Menardi hanno così ritirato le querele.
Corriere della Sera
17.04.2002
L’ultima perizia: Calvi fu ucciso – Flavio Haver
Caso Ambrosiano, la relazione al giudice istruttore: “Assassinato per ordine di Cosa Nostra”
Gli esperti: il corpo portato al ponte dei Frati Neri dopo il delitto
ROMA – Roberto Calvi è stato ucciso ed il suo corpo è stato poi appeso sotto il ponte dei Frati Neri, a Londra, per far apparire il delitto come un suicidio. E’ questa la conclusione a cui è arrivato il pool di periti incaricati dal giudice istruttore romano Otello Lupacchini di fare chiarezza sulle cause della morte dell’ex presidente del Banco Ambrosiano, trovato impiccato la mattina del 18 giugno del 1982: la relazione degli esperti capeggiati dal tedesco Bernd Brimkmann è pronta e nelle prossime ore dovrebbero partire gli avvisi ai difensori degli indagati ed alla Procura per la fissazione della nuova udienza dell’“incidente probatorio” nella quale verranno discussi i risultati degli accertamenti eseguiti dopo la riesumazione del cadavere. Secondo l’accusa, Calvi è stato assassinato per ordine di Cosa Nostra, perché ritenuto “inaffidabile” dopo che si sarebbe impossessato di decine di miliardi di lire delle cosche, dalle quali aveva avuto l’incarico di riciclare ingenti cifre di “denaro sporco”.
Ordini di custodia cautelare in carcere per omicidio, firmati dal giudice istruttore Mario Almerighi, erano stati notificati a Flavio Carboni ed al cassiere della mafia Pippo Calò, a lui legato attraverso la banda della Magliana. Sul registro degli indagati dei pubblici ministeri Maria Monteleone e Giovanni Salvi (ultimamente affiancati dal collega che ha condotto l’inchiesta sulla strage di Capaci Luca Tescaroli, trasferito a Roma da Caltanissetta) erano finiti anche i nomi del killer pentito di Cosa Nostra Francesco Di Carlo (ha detto di aver saputo che Calò lo cercava, ma che l’omicidio era stato commesso dalla camorra), di uno dei vecchi boss della Banda della Magliana, Ernesto Diotallevi, e dell’ex capo della loggia massonica P2, Licio Gelli.
A venti anni dal ritrovamento del corpo dell’ex piduista, il “banchiere di Dio” diventato il braccio destro di Michele Sindona, le conclusioni dei periti avvalorano la ricostruzione che nella città inglese è stata fatta una messa in scena per depistare le indagini. Un’ipotesi che aveva trovato riscontri dopo le dichiarazioni di due pentiti “storici” della mafia, Tommaso Buscetta e Francesco Marino Mannoia. Ma in base a quale elementi gli esperti sostengono adesso che si sia trattato di un assassinio?
Le mani e le unghie di Calvi sono state trovate pulite: ciò esclude che si sia potuto arrampicare per impiccarsi all’impalcatura situata sotto il ponte dei Frati Neri. Ancora: nell’incavo della suola delle scarpe di Calvi i tecnici non hanno trovato tracce di residui di zinco ramato che rivestiva i tubi metallici della stessa impalcatura ed il granulato presente sui gradini che avrebbe dovuto salire per arrivare dove è stato rinvenuto. Malgrado fossero trascorsi sedici anni e mezzo dalla morte, al momento della riesumazione il corpo del banchiere era ben conservato. Questo ha consentito di accertare che attorno al collo c’erano striature che potrebbero far pensare ad uno strangolamento e, comunque, l’osso non era rotto: uno strappo molto violento come quello provocato dall’impiccagione difficilmente lo lascia integro.
Il Piccolo di Trieste
15.04.2002
Una valanga di francobolli fa impazzire i collezionisti
Oltre diciassettemila le emissioni del 2000, da 247 amministrazioni postali. Nivio Covacci
Otto Harnung ne «Il Collezionista» n.3/02 analizza, dai dati del Catalogo Michel, le emissioni mondiali dell’anno 2000, presentate dalle relative 247 amministrazioni postali. La «Valanga dentellata» – così precisa – ammonta a 17.500 francobolli, circa 1.500 in più in confronto al ’99.
[…omissis…]
Dalla Germania il 4 aprile è uscita l’usuale contemporanea: orizzontale per il 150° della fondazione di Echberg sorta nel 1852 in Baviera a scopi sociale; 100° anniversario della loggia massonica dei Liberi muratori di origine inglese iniziatasi nel 1717 (simbologia);
[…omissis…]
Il Mattino
15.04.2002
Processo. Garibaldi assolto, ma…
Il capo di imputazione era tremendo: aver invaso uno Stato legittimo ed aver procurato danni a tutta la popolazione meridionale. Giuseppe Garibaldi, eroe dei Due Mondi, è stato condannato (con qualche riserva) per la prima accusa, assolto all’unanimità per non aver commesso il fatto dalla seconda. Il singolare «processo» è stato celebrato nella sala della Biblioteca di Castelcapuano, organizzato dall’Associazione ex Alunni del Liceo Garibaldi. Un dibattito appassionato, introdotto da Paolo De Scisciolo e con tanto di Corte, di giuria popolare e di rappresentanti di accusa e difesa. Il tutto con una magistrale prolusione di Luigi Necco, giornalista e storico attento e scrupoloso. La Corte era formata da tre magistrati togati (Ugo Ricciardi, presidente, Geremia Casaburi e Giancarlo Posteraro) e due onorari (Aldo De Simone e Paolo Piccolo). Nella giuria popolare noti professionisti napoletani, tutti ex allievi del «Garibaldi», tra i quali il presidente dell’Associazione Mario Antonacci.
Quattro i rappresentanti dell’accusa: Raffale Bracale («Garibaldi era un attacabrighe facinoroso, il Regno di Napoli era il più ricco d’Italia, non aveva bisogno di un liberatore»; Gennaro De Crescenzo («Garibaldi era un corruttore, saccheggiò le nostre banche»); Giuseppe Gallo («I Mille, tutti nordisti, furono sponsorizzati dalla massoneria inglese») e Lino Zaccaria («Altro che retrogradi, i Borbone era sovrani illuminati, ogni angolo di Napoli parla dei loro splendori»). Quattro gli esponenti della difesa: Mario Colella («A Napoli la plebe viveva nei fondaci e nei bassi, Garibaldi non ha colpe per quanto avvenne dopo il 1860»); Renata Pilati, docente del «Garibaldi» («Partirono in mille, arrivarono in cinquantamila, questo vuol dire che Garibaldi ebbe anche il consenso popolare»); Franco Turco («Se non ci fosse stato Garibaldi l’Unità d’Italia l’avrebbe fatta qualche altro») e infine Raffaele Zocchi («Il Regno era tutt’altro che indipendente, prendeva ordini dallo Stato pontificio, dalle banche e dalla camorra»).
La Nazione
14.04.2002
La vera statua della Libertà? A sinistra, in Santa Croce
Scusi, dov’è la statua della Libertà? Padre Rosito dei frati minori conventuali di Santa Croce non si sorprende della domanda.
Sotto le volte buie del suo studio, negli scantinati della basilica, una luce fioca rischiara il suo tavolo coperto di libri e carte.
«Può trovare quella statua sulla sinistra, appena entrato in chiesa», risponde con fare lento e imperturbato.
«Ma – aggiunge – se aspetta un po’…». E, dopo aver sfilato un librone dalla libreria, comincia a sfogliarlo, con la confidenza di conoscerlo bene. Poi fa: «Se ha un po’ di tempo, le racconto questa storia…».
Così padre Rosito, studioso d’arte e direttore da 40 anni della prestigiosa rivista «Città di vita», che tratta di arte e scienza, comincia a parlare di quella donna con il braccio teso e la testa coperta da un diadema raggiato, proprio uguale alla statua di New York.
Che ha copiato perfino il nome, visto che quella fiorentina si chiama statua della «Libertà poetica», quella americana statua della Libertà.
Non per fare del patriottismo, ma la scultura di Santa Croce rappresenta una figura femminile decisamente più bella, il braccio è sì teso ma in modo gentile non come quello di Miss Liberty che pare faccia il saluto romano.
La donna fiorentina è morbida, sensuale, leggera, quell’altra è rigida come un baccalà. Ma, ecco le ingiustizie della vita, quella falsa e brutta è diventata famosa e quella vera e bella no.
Il sole del tramonto filtra dalle vetrate e i turisti che sciamano ai piedi della «Libertà poetica» non si voltano, non guardano all’insù, non si soffermano, non notano la somiglianza con la gemella, con quella clonata di New York.
La nostra fu scolpita da Pio Fedi, artista che amava definirsi l’ultimo canoviano e fu copiata da Frédérich-Auguste Bartholdi, francese e massone, come pare lo fosse anche Fedi.
Ma poi tanto tanto francese quel Bartholdi non dev’essere stato, visto che si chiamava quasi come il contadino finto scemo (Bertoldo) che stuzzicava il Granduca di Toscana.
Dunque fu lui, questo Bartoldi con la h, a copiare la «Libertà poetica» e a farla diventare la «Libertà che illumina il mondo». E come sia avvenuto il furto dell’idea non si sa.
Si sa solo che la statua del Fedi, fiorentino d’adozione e viterbese di nascita, venne scolpita nel suo atielier, che era in via dei Serragli. Però c’erano dei disegni suoi (della statua) che giravano e può darsi che uno di questi sia finito in mano al perfido francese.
«Che sia stato Bartholdi a copiare Fedi e non viceversa lo si può dire con tutta certezza», taglia corto padre Rosito. E chi non ci crede dovrà arrendersi di fronte a questa succesione di date. La statua di Santa Croce fu fatta in gesso nel 1872 e poi riprodotta in marmo nel 1877.
L’inaugurazione avvenne nel 1883. La statua di Liberty Island, che, come si sa, venne donata dai francesi in omaggio alla guerra di indipendenza americana, fu invece completata da Bartholdi con la collaborazione di Eiffel nel 1884. Poi trasportata negli Stati Uniti fu inaugurata nel 1886.
C’è dunque una differenza di diversi anni e non siamo in grado di dire come avvenne il misfatto. Perciò ci limitiamo ad osservare che, vista la fede comune dei due artisti, questa che padre Rosito ci ha raccontato è una storia di scultori fratelli e di statue sorelle. O per meglio dire: di fratelli e di scalpelli e di fratelli e fregature.
Il frate con sguardi fulminei saltella tra le righe del librone alla ricerca di nozioni su Fedi e la sua creatura. E trovatele, riferisce che la donna con il diadema raggiato e che poggia i piedi su foglie di alloro, quercia e olivo rappresenta la forza d’ispirazione che l’amor patrio ha sulla creazione poetica (era l’epoca dei furori dell’Italia unita).
E che la statua si trova sul sepolcro dello scrittore patriota Giovan Battista Niccolini, pisano, amico del Foscolo, nonché ghibellino. Fine.
Se poi volessimo insistere sulla fiorentinità dei simboli e delle origini americane, allora potremmo accennare ad un’altra figura e ad un’altra storia. Quella di Filippo Mazzei, fiorentino e – che noia! – massone anche lui, amico di Benjamin Franklin e del presidente americano Jefferson, nonché estensore insieme ai padri della patria della Carta della Costituzione americana.
Fu proprio Jefferson ad inviarlo in Italia con il compito di trovare uno scultore per fare una statua simbolo dell’America, idea che Mazzei aveva in mente da tempo e di cui aveva parlato al presidente, che l’aveva fatta sua.
Il viaggio però non ebbe fortuna e Mazzei fra l’altro venne anche derubato. Così il progetto naufragò per mancanza di mezzi e altre ragioni, dettagliatamente esposte nelle «Memorie» dall’illustre fiorentino. Egli ebbe comunque l’opportunità di veder realizzato il suo desiderio nel 1886, con l’inaugurazione del colosso di New York.
Che però – a confronto della bella statua copiata a Firenze – a noi sembra, come ci paiono certi americanoni, grande, grosso e bischero bischero.