L’INVOLUZIONE

L’INVOLUZIONE

Queste considerazioni valgono per i tempi mitici dell’Umanità e ogni

qualvolta un nuovo fiore di affetti gentili germogliò nell’animo dell’uomo.

Per altro l’ascesa dallo stato selvaggio a quello umano e da questo a quello

civile, non fu e non è sempre costante: vi sono i famosi corsi e ricorsi storici, i

ritorni, gli annebbiamenti del costume e dell’intelligenza, epoche in cui si

riscatenarono violenze e istinti che covano in quel primitivo bestione che seguita a

celarsi nel subcosciente dell’uomo, uomini feroci e primitivi in mezzo ad altri

uomini più evoluti e miti. Le guerre rappresentano il ritorno alla forza belluina,

all’omicidio, alla distruzione: e vi sono guerre di nazioni (mai di popoli, perché il

popolo ama la pace in quanto vive allo stato umano) e guerre di famiglie e in

famiglia. Oggigiorno assistiamo ai deleteri effetti di due guerre mondiali: homo

homini lupus; bellum omnium contra omnes. Hobbes aveva individuato il carattere

del tipo e della specie dopo il peccato d’origine, e tale substrato ritorna se non ad

affossare, ogni tanto, a frenare il cammino della civiltà morale, sociale, dello

spirito, anche se sollecita il progresso tecnico. Oggigiorno l’egoismo, la

superficialità, l’insensibilità ai propri doveri, la corsa all’ozio, ai piaceri del

corpo, l’incredulità, la derisione della virtù, il misconoscimento e il rinnegamento

dei valori, l’irriguardoso atteggiamento verso la verità umana, divenuta sfacciata,

prepotente e oscena perché le si sono tolti i veli del pudore e della riverenza e

l’ostracismo e la lotta alla verità divina, comportano una umanità convulsa,

affaticata, angosciata, amorale, che vive nel terrore della morte, di non far carriera

e non far denaro.

Si ritornerà, certamente, a tempi migliori e faticosamente, ma gradualmente e

fatalmente, riprenderemo a vivere secondo grazia e sapienza, cioè salvando le

varie oasi di bene che hanno pur resistito alla burrasca e che rappresentano gli

anelli a cui ancorare la navicella del futuro. La saggezza riprenderà il sopravvento

e gli uomini rinsaviranno: altrimenti si ritornerebbe al bestione, anche se rivestito

di un completo di flanella di pura lana e in grado di solcare i cieli, come i mari del

suo regno, il regnum hominis di Bacone, di un uomo però che sa comportarsi da re

del creato. La scienza non dà la virtù: questa è la grande lezione della storia; ne

vale portare nel giuoco Montaigne, che addita il fine della istruzione nella virtù

(fosse pur sempre così, come dovrebbe essere, almeno, il caso della scienza

teologica), essendo questo un compito particolare (e importantissimo) addimandato

e permesso agli educatori nell’ambito della scuola. La virtù è pure (e vorrei dire,

soprattutto) degli analfabeti, di gente priva di istruzione: il regno dei Cieli non è

certo monopolio dei laureati. La scienza può approfondire la virtù, ma non la crea:

l’umiltà ammirabile dello scienziato è frutto della sua natura morale e non già

dell’acquisto di conoscenze. Si sono visti (e si vedono) uomini di cultura astiosi,

superbi, gonfi di sé, si sono visti gangster istruitissimi; delinquenti politici (come

Hitler ed altri) dotati di una certa cultura. Il neoidealismo è utopista: la

formazione della mente non coincide più (non coincide, perlomeno, ancora), ad un

certo livello, ad una certa età (uscito cioè dalla giovinezza), con quella del cuore.

Il che significa che esistono in noi degli allarmi, delle ataviche diffidenze e

tendenze, delle suscettibilità, delle rivalità con i nostri simili, invidie, ecc. che è

molto difficile vincere. L’uomo capace di tanto, è un santo e cioè superiore alle

miserie umane e immerso nella grazia del Signore.

Possedere scienza, fede e virtù è un particolare dono di Dio, segno di

predilizione per un’anima veramente eletta, che sa soffrire per la giustizia e che

rappresenta, per tutti, un richiamo, un ammonimento, un ammaestramento. Per lo

più la prudenza, la malafede e gli inganni, le delusioni, purtroppo, debellano

l’onestà, e in un mondo di falsi il giusto viene sommerso, e a ben pochi è dato di

patire per la virtù. Chi però fa progredire l’Umanità, sono gli uomini di rottura,

insofferenti della tradizione e soprattutto di ogni stasi o adagiarsi della società, e

quindi dello stato attuale di essa. Questi uomini vivi e veri preparano il domani,

un’umanità migliore, che li ripaga oggi con la diffidenza, l’ostilità, il tradimento,

l’accusa e la condanna, alla stregua stessa con cui profeti e pionieri vennero

ringraziati dal mondo, che poi avidamente s’appropria dei loro beni, delle loro

verità, dei loro principi, delle loro scoperte.

Finché ci saranno uomini tali, uomini nuovi, la civiltà non dovrà patire di

involuzioni, perché essi saranno capaci di scoprire e di affidarle nuovi mondi nei

quali lo spirito dell’uomo, che è infinito, possa seguitare a svolgersi per nuove

vie.

Civiltà di massa o civiltà di gruppo, il problema non è questo: il problema, di

fronte alla uniformità e al livellamento, è quello di conservare se stessi, la propria

personalità. L’individuo scompare nella nuova società, ed in effetti socializzarsi

significa acquisire una personalità sociale, passare da persona isolata a socio di un

gruppo. Però la persona, come testa senziente, coscienza attiva, intelligenza libera,

va formata, altrimenti i nuovi valori, prima retaggio di poche minoranze e ora

aspirazione di tutti, non saranno né realizzati, né goduti. Non basta volere

l’istruzione che educa (e la auguriamo presto anche a livello universitario), il

benessere fisico ed economico, la possibilità di esercitare la volontà di esprimere e

di far valere le proprie idee quali doni estesi a tutti: occorre preparare questo tutto

(e cosi ogni individuo) ad esprimere, produrre, essere così in grado di usufruire e

di coltivare tali beni. vitale, Anche qui ritorna facile dire che bisogna agire sullo spirito indirizzarlo ai fini suddetti

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