ATTACCAMENTO ALLA VITA
COSA ? LA MORTE
La morte è una porta sulla via della vita. La qualità della vita fa la qualità della morte.
Normalmente si vede la morte come una antinomia della vita. Non è così. Il contrario della
morte non è la vita, ma la nascita. La morte non è uno stato, è un momento di transizione come lo è
la nascita.
C’è uno stato tra la nascita e la morte e c’è uno stato tra la morte e la nascita. Dopo una
nascita ci sarà sempre una morte come dopo una morte ci sarà sempre una nascita.
La morte è un angolo.
Cosa ci sia dietro l’angolo, dato e non concesso che un angolo ci sia, è un altro paio di
maniche.
La morte è un confine tra stati.
Mi sono programmato un viaggio di cultura e di esperienze. Parto dall’Italia ed al confine
muoio come italiano e nasco come francese, poi muoio come francese per nascere come tedesco e
via sia così attraverso il Belgio, l’Olanda e altri paesi sino a ritornare dopo la Svizzera allo stato
iniziale.
Se definisco il primo stato, nazione, come una divinità, che dal principio deve farsi materia
per tornare allo stato divino, se identifico gli stati , le nazioni, come reincarnazioni, ho forse visto
quello che c’è dietro l’angolo.
CHI?
Si possono individuare due gruppi interessati al riguardo:
1) gli altri
2) io.
Gli altri: la distribuzione della tipologia spazia dal trapassato prossimo a quello remoto, dal
congiunto sino al Ruanda.
Vorrei tralasciare il problema Ruanda ed affini che, fondamentalmente, rischia di toccarmi in
modo spiacevole all’ora dei pasti quando la TV ha il cattivo gusto di rovinarmi la digestione. Se
tutto va bene, con un versamento sul conto corrente intestato alla Caritas, non è io che risolva il
problema, ma almeno lo accantono in attesa di vedere “bucce di banana”.
In serata, poi, potrà essere un ottimo tema salottiero su come non risolvere i problemi.
Quando la persona che è mancata mi è più vicina, nell’immediato nasce in me una
considerazione di fondo: “vale la pena agitarmi come mi agito? Ho capito proprio tutto della vita!
Guarda cosa mi aspetta!” Sani pensieri che svaniscono però con altrettanta rapidità perché il
sistema, come un linfocita, tende a rifagocitarmi per cui, passata l’emozione, rientro nel quotidiano.
Il tema più scottante resta quello relativo al trapassato prossimo.
Perché Dio mi ha rubato mio figlio, mia figlia, mio padre, mia madre, mio marito, mia moglie?
Ho perso i miei cari!
Mi manca l’affetto della persona amata!
È naturale che si soffra per la morte della persona amata, soprattutto di quegli esseri con i
quali si è condiviso gran parte della nostra vita.
La morte di un genitore ed anche, oltre una certa età, quella del congiunto, può rientrare più
facilmente, pur se con dolore, nell’ordine naturale delle cose.
Ma la perdita di un figlio, specie per 1a madre che con il figlio ha un legame anche fisico, crea
delle onde emozionali intensissime perché il fatto, non rientrando negli schemi, lo si
reputa irrazionale ed ingiusto.
Siamo comunque sempre nel campo dell’emozionale e dell’irrazionale dove l’Ego ha sempre
il sopravvento! MIO, MIO, MIO, M…10!
La sofferenza per la morte di qualcuno è quasi sempre un fatto strettamente egocentrico ed è
legato ad un fatto di possesso.
Amo l’oggetto dell’amore. L’amore diventa possesso. L’amore dovrebbe essere disinteressato
ed il significato sarebbe quello di dare agli altri la disponibilità di noi stessi senza chiedere nulla.
Sarei di conseguenza solo umilmente utile e mai egoisticamente indispensabile.
Possiedo un quadro prezioso, un quid insostituibile, che mi viene, più o meno all’improvviso,
rubato. La mia reazione non è indirizzata all’oggetto o al ladro, ma è strettamente egocentrica: mi
hanno rubato qualcosa!
È difficile che il defunto venga pianto per una ragione inerente al defunto stesso, ad esempio
perché, peccatore incallito, andrà all’inferno e brucerà in eterno, oppure perché, per un errore di
registrazione, andrà in paradiso dove, lui gaudente, non potrà più godere dei piaceri del sesso,
oppure, perché, avendo lui sofferto tutta la vita, nell’ipotesi che finisca tutto con questa esistenza,
sarà stato un megabidonato.
Piango il morto perché, troppo giovane, non potrà godere della pienezza della vita. Piango il
morto, perché, vecchio e saggio, non potrà più elargirci i doni dei quali era ricco.
Tl problema è sempre strettamente ed unicamente di carattere personale ed è vissuto con una
chiave di lettura che è intimamente legata al background educazionale che è il frutto di
un ben preciso condizionamento, anche di carattere genetico.
Mi impegno a lasciare i metalli fuori dal tempio, ma in questo caso dimentico che il corpo
fisico è costituito di metalli e di metalloidi. Quando piango, piango la perdita dei metalli, il che, in
fondo, non è molto iniziatico.
Splendido sarebbe che la morte di qualcuno venisse festeggiata con serietà, senno, benefizio e
soprattutto con giubilo.
Io.
lo, uomo nudo, senza orpelli, senza fronzoli, mi trovo, più o meno all’improvviso, ad
affrontare la realtà di questo evento.
Circa duemila anni fa vi fu un Rabbi che all’ora nona, sul Golgota, al momento del suo rientro
al padre, esclamò a gran voce “Eloi, Eloi, lamma sabactami?”
Era forse l’ultima tentazione di Cristo uomo, Cristo abito da lasciare, che soffre, gridando, il
distacco senza via di fuga del suo se divino dal suo corpo terreno.
Il corpo, materia, che ha vissuto in perfezione una simbiosi col Dio urla il terrore
dell’abbandono: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato ?
Tl mio se si staccherà dall’abito nel quale, per questa volta è vissuto, Un se forse talmente
limitato, sul piano gerarchico della mia divinità, da non sentire la necessità di gridare il dolore del
distacco.
Mi troverò a vedere, fuori della bara, il mio corpo fisico dentro la bara quando due esperti
avviteranno il coperchio. Quello che è importante, è di essere consapevoli che dentro la bara ci sarà
salo della materia, non più mia, e che il mio se, dall’esterno, come spettatore, si limiterà a guardare
gli eventi.
lo e non gli altri. Gli esempi, i suggerimenti degli altri possono non servirmi. La mia reazione
dinanzi al problema è soltanto mia e non degli altri i quali, non conoscendo i parametri relativi alla
mia esistenza, non potranno far altro al massimo che tentare di farmi partecipe della loro
esperienza, che rischia comunque di essere ininfluente sulle decisioni di comportamento che andrò
a prendere.
Solo un iniziato, ma vero, sarebbe in grado di aiutarmi, in quei momenti, al grande passo.
Sono nato nudo e solo, anche se assistito da altri e, quando muoio, sarò nudo e solo, anche se
affiancato da entità non materiali, e probabilmente non sarò aiutato da coloro che restano e che,
nella profonda, egoistica e falsamente vera convinzione di amare, saranno a piangere attorno al mio
cadavere rendendo più difficoltoso il distacco del mio se dal corpo fisico.
Se nella vita fossi saggio e prudente approfitterei di una offerta opzionale a prezzi scontati!
La morte iniziatica | Sarebbe un conoscere preventivamente i documenti necessari alla
– frontiera.
COME?
Ventaglio di possibilità. Per cause naturali, per cause esterne, come un vaso da fiori o un
incidente dalle motivazioni più svariate, per omicidio, per suicidio o per chi più ne ha più ne
metta.
Posso morire per amore, l’eutanasia o la gelosia, posso morire per odio, posso uccidere in
nomedi una divinità, gott mit uns, posso uccidere per fanatismo, posso uccidere per stupidità, posso
avere una bella morte o posso avere una brutta morte.
Ma soprattutto ho paura del non conosciuto perché non mi sono mai fatto una cultura
escatologica, se non accademica. AI di 1à del generico “un giorno o l’altro dovrò morire”, non mi
sono forse mai informato a fondo su quali ‘documenti dovrò presentare alle autorità di confine.
Se è valido l’assunto, nel quale credo, che la mia, o le mie vite, siano state da me
programmate in base al mio stare gerarchico, ne consegue che anche le morti lo sono state e
rappresentano un ben preciso tipo di esperienza.
Se così è, la mia reazione nei confronti della morte di un altro essere resta emotiva e basata
sui miei parametri di giudizio e non su quelli dell’essere che è morto.
QUANDO?
Né prima né dopo il momento giusto. Chi l’ha scelto? Dio? Normalmente si scaricano su Dio
tutte le responsabilità che noi, sia nel bene che nel male, non vogliamo assumerci. È se la scelta
della, o delle date, fosse solo mia, come accennavo poc’anzi?
PERCHE?
Perché il ciclo si deve chiudere, perché il serpente deve mordersi la coda, perché io devo,
nello spazio della vita, farmi quelle esperienze che forse mi sono programmato affinché io,
partizione della divinità, ritorni ad essere Dio quando il ciclo delle vite, il Samsara, sarà finito e la
mia nuova rinascita sarà su un piano superiore,
CONCLUSIONE
Lo stato umano, la vita, è uno stato da superare. Allora perché un certo tipo di attaccamento
alla vita, quando e se, per vita, intendiamo sovente solo un egoistico attaccamento ad un abito
vecchio e liso ?
A.G.D.G.A.D.U
TAVOLA DEL FR.’. E. S.