Maestro Venerabile, Fratelli tutti di ogni Dignità e Grado
Vi chiedo il permesso di ritornare su quanto è stato detto e proposto nelle tavole precedenti; in breve, l’impresa di conoscere se stessi.
In questa fondamentale impresa, che è il principale scopo del Lavoro della nostra Officina per il corrente Anno Massonico, stiamo per solcare oceani le cui mappe ci sono quasi del tutto sconosciute e certamente molto diverse da quelle che usiamo nella nostra vita ordinaria. Quasi nulla conosciamo di quello che ci accingiamo ad esplorare e non sappiamo neppure con quali mezzi faremo l’esplorazione. Eppure abbiamo bisogno di qualche indicatore iniziale, di qualche Lanamark di riferimento, di un abbozzo delle coste e delle isole che troveremo.
Molti ci hanno preceduti su questa rotta e molti di essi ci hanno lasciato qualche carta nautica. Inoltre, dalla riva della nostra terraferma abituale, quella della nostra vita comune, ci è dato raccogliere qualche suggerimento, che ci potrà essere utile nel viaggio.
Il viaggio sarà entro noi stessi e, per ora, possiamo forse abbozzare un’ipotesi sulla struttura del nostro io, o meglio, del nostro Sé integrale. Ipotesi formulata su osservazioni, fino ad un certo segno, e più in là, basata su congetture spesso rafforzate da testimonianze recenti o tradizionali. Ma, fin d’ora, ci conviene ricordare che le stesse osservazioni di fatti che ci appaiono evidenti, su esperienze semplici e quotidiane, non è detto che siano complete.
Per esempio, non è affatto detto che noi conosciamo tutti i moventi di un certo nostro atto; sappiamo che la psicanalisi, ad esempio, ha scoperto tutto un mondo sotterraneo della nostra psiche, che agisce, senza che ce ne accorgiamo, sul nostro comportamento ordinario.
Se proviamo ad ipotizzare una struttura dell’io integrale, sulla base della nostra esperienza ordinaria, opportunamente analizzata, vedremo che saremo arrivati ad ipotesi che concordano con gli insegnamenti delle dottrine tradizionali; dottrine che sono la summa di quanto generazioni di saggi e veggenti hanno visto direttamente, allo stesso modo nel quale lo scienziato materialista constata attraverso la sua lente.
E, probabilmente, dalla sola constatazione di codesta struttura appariranno possibilità sperimentali ed operative; ossia, altrettante probabili vie per raggiungere la presa di coscienza del Sé integrale.
In questo gioco conviene arrischiare, buttarsi. È perciò, per cominciare, arrischierò la descrizione di uno schema della struttura dell’uomo integrale, schema assai grossolano, ovviamente, fatto a partire dalla nostra esperienza quotidiana e confrontato, via via, con i dati della dottrina tradizionale.
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Anzitutto, l’oggetto più massiccio ed evidente della nostra esperienza è il corpo fisico. Per suo mezzo riviviamo messaggi dal mondo esterno e per suo mezzo operiamo modificazioni in esso. Ad esempio: la vista ci avverte di una vettura che sta per investirci; è il messaggio. Facciamo un balzo indietro; operiamo così una modificazione nella configurazione del mondo esterno, spostando il nostro corpo. Notiamo che noi non sappiamo assolutamente nulla riguardo al significato intrinseco di codesti messaggi; possiamo soltanto conoscere la loro trascrizione in termini di forma, colore, peso, temperatura, ecc. …; e non li avvertiamo neppure in tutta la loro integrità, perché in noi c’è un filtro che lascia passare solo i messaggi utili; e l’utilità del messaggio è valutata dal filtro solo in funzione di quanto può servire alla sopravvivenza del corpo fisico, L’esperienza psichedelica, tra l’altro, pare che rimuova il filtro e porti ad una percezione del mondo molto ampliata rispetto a quella ordinaria.
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Ma questo corpo fisico svolge una serie di funzioni (nutrizione, accrescimento, riproduzione, rigenerazione di parti lesionate o consunte … locomozione) perfettamente coordinate, nell’uomo in condizioni normali. Questo perfetto coordinamento, che va dai livelli macroscopici fino a quelli molecolari della chimica dell’organismo, fa supporre l’intervento continuo di un agente coordinatore, incaricato della supervisione di tutte le funzioni della vita organica del mondo fisico. Stiamo qui facendo una prima ipotesi; esiste una sua conferma?
La tradizione da un lato e l’esperienza dall’altro confermano la reale esistenza di un corpo vitale, di natura quasi materiale, parallelo al corpo fisico.
Gli Egizi, lungo quattromila anni di civiltà, hanno sempre creduto all’esistenza di un doppio extra corporeo, che chiamavano il Ka.
Nella tradizione induista, attraverso innumerevoli documenti scritti, è dettagliatamente descritto il corpo vitale, sia nella sua, diciamo, anatomia, sia in tutte le sue interazioni con il corpo fisico e con i livelli superiori dell’io.
Nella tradizione cristiana, nelle vite di certi santi, i fenomeni di bilocazione hanno un posto notevole.
Venendo ora all’esperienza contemporanea, numerosissimi fatti riferiti da fonti ineccepibili, accuratamente vagliati da organizzazioni scientifiche (a cominciare dalla Society for Psychical Research di Londra) provano l’esistenza di un doppio che solo la morte fisica separa del tutto dal corpo materiale.
A parte tutto quello che è ancora sconosciuto del corpo fisico, e non è poco, a questo secondo livello incontriamo qualcosa che vediamo all’opera, che conosciamo nei suoi effetti, ima che ci è ignoto, a noi almeno, sia come natura, sia come aspetto. Per inciso, dev’essere la sede, o il veicolo, di tutti i rapporti psicosomatici … e la pratica eterodossa della Hatha Yoga opera su di esso per mezzo del corpo fisico, e viceversa. Nella letteratura Yoga troviamo descrizioni che hanno resistito alle critiche dei dotti indiani, tutt’altro che sprovvisti del desiderio di verità e di spirito polemico; se ne dovrebbe dedurre che non solo qualcuno ha visto, ma che dev’essere possibile a chiunque andare a vedere, purché si impieghino i mezzi necessari … né più, né meno come nelle scienze sperimentali del mondo occidentale.
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Ma, ad un livello già psichico, esistono fatti che non si possono descrivere né al corpo fisico, né al corpo vitale. Sono, ad esempio, le azioni ispirate dal cosiddetto istinto. La parola istinto copre tutta una congerie di impulsi ed azioni, di comportamenti che sembrano inspiegabili e che, nel mondo degli animali, hanno un’enorme evidenza.
Vediamo anche una quantità di azioni e di reazioni che sono di una tale immediatezza da non apparire generate dalla mente pensante. L’ira, l’attrazione fisica, il cosiddetto istinto di conservazione … sono fenomeni che non sono più fisiologici, ma non sono ancora mentali. La loro sede non è nel corpo fisico, né può essere nel corpo vitale; ecco che dovremmo ipotizzare un’altra sede, diversa, o differenziata dalle due precedenti. Sarebbe, per così dire, il corpo istintivo, o passionale, o dei desideri; il Karma-Rupa delle dottrine indiane (Karma = desiderio; rupa = forma). Ciò che si svolge entro questa Forma dei desideri è più
che fisiologico, ma non è ancora ragionato.
Nella tradizione induista, in raffigurazioni a carattere scientifico, la figura umana fisica è ravvolta da una specie di alone, dal quale si diparte una fitta rete di qualcosa, come nelle vene, che si collega a determinati centri del corpo vitale, a loro volta rapportati al corpo fisico.
Sarebbero queste vene le 72 mila Nadi, di cui le tre principali sono parallele all’asse spinale del corpo. Anche qui la tradizione è talmente documentata e sicura da dover essere presa in
considerazione.
Ma dell’esistenza di questo terzo corpo si hanno conferme anche nel mondo occidentale. È comune a moltissimi veggenti la percezione, di carattere visuale, dell’aura di tutte le persone che incontrano; e l’aura assume differenti colorazioni, e variegature, a seconda del carattere e dello stato d’animo dei loro proprietari. Le descrizioni della forma generale, delle differenti colorazioni, in relazione ai caratteri ed a stati d’animo, coincidono nelle relazioni dei veggenti diversi; anche qui il sospetto di mistificazioni diventa assai
improbabile; si è portati a ritenere che ci sia molto di vero.
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Ma, nella nostra esperienza continua, ci si impone la presenza di una quarta attività, che è quella dell’intelletto.
La sua manifestazione più continua è la ragione. Essa è, in sé, uno strumento freddo e neutro, atto a valutare i messaggi trasmessi dal mondo esterno e quelli provenienti dalla sfera vitale e da quella dei sentimenti; a programmare i comportamenti, nonché a renderli effettivi mediante ordini trasmessi a livelli inferiori. Questo è il caso di comportamenti ragionati, ossia messi in atto in conseguenza ed in conformità ad una valutazione razionale dei dati. Non sempre i comportamenti e le azioni hanno questa origine; non sempre questa centrale, la centrale della Mente, agisce come centro di comando, ma avviene spesso che essa agisca solo come centro tecnico, a disposizione ed agli ordini di qualcuno dei centri inferiori. Prendiamo
l’esempio di un delitto provocato da un impulso generato nella sfera istintiva; un impulso d’ira che si tradurrà in omicidio premeditato. In questo caso la sfera mentale non esercita la sua funzione discriminatoria e valutativa, ma si mette agli ordini della sfera inferiore, per pianificare, talora con la massima accuratezza, un atto criminoso voluto, anzi imposto, dalla sfera inferiore.
Ipotizziamo dunque un corpo mentale autonomo (il Manas degli Indiani); lo vedremo come una centrale di ricezione e di immagazzinamento delle informazioni; di ricerca di rapporti fra esse; di elaborazione di consequenzialità fra i vari rapporti, in base a certi principi, le categorie di Kant, principi che definiscono una certa logica ed una centrale di elaborazione di programmi di comportamento, che dovranno essere posti in atto dalle sfere inferiori.
La sfera mentale, costruita per servire alla sopravvivenza fisica dell’individuo, ha un’immensa capacità d’azione interna ed acquisisce una pseudo-individualità, l’ego (personalità: in latino, persona = maschera teatrale), così come anche le tre sfere inferiori, la possono acquisire. Ma, mentre le pseudo-individualità che possono acquisire il corpo fisico, quello vitale e quello istintivo, sono qualificate secondo la morale sociale corrente, quella della Mente gode di una grande stima (quanto ammiriamo la razionalità, l’intelligenza, la ponderatezza …!), possiede una potenza enormemente superiore alle altre tre, ed ha un orgoglio immenso, fomentato dall’ammirazione che la società umana ha per l’intelligenza, la cultura, …; l’immaginazione e tutti gli altri prodotti della mente, compresa l’astuzia è l’inganno.
Il Manas possiede anzitutto l’inesauribile archivio della Memoria, presente a livello subcosciente. È un archivio che non contiene solo dati neutri, ma anche continue valutazioni e notizie su questi dati, … giudizi su giudizi, e via di seguito, con un affastellamento che cresce di secondo in secondo. Non archivia soltanto notizie dovute all’attività individuali, ma anche stati psichici propri delle sfere inferiori, propri ed altrui, della specie, dell’ancestro …
Ciascuno di questi corpi è, secondo le dottrine tradizionali, formato da materia di carattere via via più sottile; e potrebbe anche essere, ciascuno, una localizzazione di una materia universale, come certi fatti (vedi telepatia, prescienza, ecc.) inducono ad ipotizzare (J. W. Dunne, An Experiment With Time); e ciascuno ha, come si è visto, la capacità di funzionare come una pseudo-individualità; sotto certi stimoli; come complesso autonomo, per usare un termine introdotto da Meyers, e divenuto comune nel discorso psicologico. Se ne è
già parlato per gli stati emozionali, ma, nel caso della mente, di Manas, lo stato di complesso autonomo è quasi permanente Ben pochi sono coloro che non si identificano con il loro intelletto; chi si comporta secondo quanto gli detta la mente, l’intelligenza, è ritenuto perfino più perfetto che normale. Ed una Mente così idolatrata diventa onnipotente, o almeno si ritiene tale, e non permette più nessuna intrusione.
Kant, nella “Critica della Ragion Pura”, ha cercato di dare una descrizione del funzionamento della Mente; anche se superato da ulteriori approfondimenti, il trattato di Kant è un monumento della filosofia occidentale. Ma egli stesso, passando all “Critica della Ragion Pratica”, ossia delle norme di comportamento, della morale, dovette invocare qualcosa di superiore alla Mente, L’esistenza di una Legge morale assoluta è stata dimostrata fallace, ma l’importanza dell’intuizione di Kant sta nell’aver postulato l’intervento di qualcosa di superiore alla Mente. Altri ancora hanno notato che alla mente arrivano messaggi provenienti da qualcosa che è delle sfere inferiori; Benedetto Croce, quando definisce l’arte come intuizione lirica, implica che l’intuizione sia un modo di contatto, una presa di coscienza di un orizzonte che oltrepassa quanto è legato al mondo fisico. Si ricordi infatti che le quattro sfere, corpo fisico, corpo vitale, corpo passionale e corpo mentale, agiscono solo in funzione del mondo materiale, verso il quale il corpo fisico è l’organo di collegamento. Fino al Manas incluso, tutto agisce solo in funzione dei messaggi che arrivano, direttamente o
indirettamente, dal mondo fisico.
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Manas però, come si è visto, riceve taluni messaggi che non hanno nessun rapporto casuale con il mondo materiale; ci deve quindi essere qualcosa che, pur essendo in contatto con la mente, trascende la materialità. Ogni messaggio che non provenga, né dalla materia fisica, né dalla memoria di Manas, deve provenire da una nuova sfera, che trascende le prime quattro. È questo il caso di alcuni settori della parapsicologia.
Torniamo ancora ad ipotizzare, ed in questo caso si ipotizzi un livello superiore della Mente; la mente risvegliata, che è in condizione di leggere nelle sfere trascendenti. Gli indiani la chiamano Buddhi (= il risvegliato). Questa Buddhi ha tutti i contatti possibili; con il mondo fisico, attraverso le quattro sfere inferiori, ed attraverso la possibilità che vediamo estrinsecare nei fenomeni di veggenza parapsicologica; con il mondo trascendente, per il suo contatto con i livelli superiori, di cui sappiamo, sia per quanto riferiscono che ci potettero andare a vedere, sia per quanto ci è lecito inferire per mezzo dei processi pur sempre mentali.
A questo punto può sorgere il dubbio sulla legittimità di usare procedimenti mentali per investigare orizzonti che stanno al di là della mente. Direi che i procedimenti della mente sono, dopo tutto, di origine superiore; quindi partecipano in un certo modo (potrebbero essere l’ombra di cose che appartengono a quegli orizzonti) e che, in mancanza di meglio e con tutta riverenza, ci sia lecito usare della mente per ragionare delle sfere superiori.
Conviene ancora notare che le aggettivazioni superiore ed inferiore non implicano affatto giudizi di valore od ubicazioni topografiche; per il momento, ci conviene pensare il Tutto come una unità, nella quale tutti i cosiddetti livelli sono compresi ed immanenti. Per un essere che sia fuori del tempo, Creatore e creato sono un tutto, e la storia non è che qualcosa di totalmente presente; per noi, si tratta solo di un ordine di collazione funzionale.
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Buddhi è ancora uno strumento, affine al Manas; è una mente di ordine superiore, anello di congiunzione con il vero e proprio Spirito, che gli indiani chiamano Atma; è lo spirito localizzato nell’individuo, così come, nella parabola indiana, è individualizzata l’aria che riempie di vasi di coccio forati. Spezzati i vasi, l’aria che ne era contenuta rimane dov’era, ed è nella totalità dell’aria universale.
W. J. Dunne, partendo dalla teoria della relatività, dimostra con un ragionamento di tipo geometrico che ogni vivente è una struttura fisica che si trova immersa entro un Osservatore Universale, di cui ognuno di essi localizza nel tempo e nello spazio le proprietà e le funzioni.
Le dottrine tradizionali (ad eccezione del Buddismo, forse mal interpretato) affermano l’esistenza, per tutti gli esseri, di un principio spirituale indistruttibile e generatore, individualizzato, partecipe di tutte le qualità dell’Essere Universale.
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A questo punto dovremmo portare il discorso sull’Essere Universale. Ci basti aversi fatto riferimento, indicandolo come il vertice della struttura del Sé (vertice, o base, o sostegno?). Proseguire vorrebbe dire entrare in considerazioni di tipo teologico che, se ci possono interessare come filosofi, non ci possono interessare come entronauti, o navigatori alla scoperta de Sé reale. Il momento di mettere in pratica quelle discriminazioni verrà per coloro che, giunti al sommo della conoscenza, potranno realizzare se stessi in quelle indescrivibili situazioni.
L’uomo integrato, realizzato, risvegliato, è quello che ha preso coscienza e mantiene in azione tutte le sue componenti, dal corpo fisico alla presenza dello Spirito. Ho detto la presenza dello Spirito perché questo principio è al di là di ogni azione, ma si può solo riconoscerne ed attuarne la presenza.
Come si ritiene che l’uomo abbia verso se stesso il dovere ti tenere in forma il suo corpo e la sua mente, non v’è ragione per non dovere ritenere doveroso il prendere coscienza e mantenere attive anche quelle componenti dell’io che sono comunemente ignote all’uomo della strada, specie in Occidente. E, poiché l’uomo di oggi può solo agire sulle prime quattro componenti, sarà con queste che dovrà impegnarsi per la presa di coscienza delle componenti superiori; si tratta, insomma, di guardare all’insù.
Ma, per vedere, non basta guardare; occorre che lo sguardo all’insù trapassi tutti e quattro gli strati della coscienza comune; e perché codesti strati vengano trapassati, dovranno essere resi trasparenti quanto più possibile; e sotto un certo minimo, non v’è più trasparenza possibile. È come un tendaggio messo ad una finestra; se è di panno, e questo è molto spesso, neppure il sole più sfolgorante vi potrà trasparire.
Incominciando dal corpo fisico, sembra evidente che uno stato di grave indisposizione corporale focalizza l’attenzione sul dolore fisico, oppure produce annebbiamento o torpore della coscienza; non si può pensare e guardare all’insù.
Similmente, sotto la pressione di un violento stato emozionale, l’attenzione è tutta rivolta all’emozione ed alle eventuali azioni indotte.
Ma lo strato più difficile da perforare è Manas. Quell’archivio, affastellato di memorie, è difficilissimo da sgombrare; e l’archivista capo è terribilmente orgoglioso dei suoi fascicoli e non che si passi di lì senza ammirarli e senza dedicare loro tutta l’attenzione. Poi c’è tutta la squadra dei ricercatori, e quella dei poeti, e degli inventori di fantasie, e tanti altri; e tutti svolazzano qua e là, offrendo gradevoli rimembranze, fantasticherie, teorie intelligenti, progetti invitanti, motti arguti … sempre per trattenere l’osservatore in biblioteca od in salotto, magari per fargli vedere dei filmetti cochon.
ll più grosso degli ostacoli è proprio il Manas, tanto che il classico dello Yoga, Patangiali, al cominciare del suo trattato Yoga Sutra, Aforismi di Yoga, dice: “Lo Yoga è l’arresto delle agitazioni della Mente”.
Qualunque sia la tecnica che si voglia adottare, in conformità con le predisposizioni e le tendenze personali, il risultato da raggiungere sarà sempre quello di riordinare e ripulire lo stato mentale, anche dopo aver raggiunti i presupposti di una salute fisica e di una imperturbabilità a livelli dei sentimenti; ed è ovvio che la ripulitura – o il riordinamento – dell’archivio della mente riesce tanto più facile quanto minore sarà il materiale immagazzinato. Più facile quindi al giovane che al vecchio, che si trova saturo di esperienze e
dî emozioni di ogni genere, di cognizioni e di presunzioni, anche di rimorsi e di rimpianti. E, se è vero che ognuno di noi ha vissuto innumerevoli esistenze, rimangono residui e condizionamenti dalle precedenti vite, quel Karma scritto nel libro della Permanenza, ed essi pure devono essere eliminati.
Alle stesse conclusioni si può anche giungere per mezzo di un discorso differente.
Prendiamo in considerazione le identificazioni che neghiamo nel nostro ragionare quotidiano.
A proposito del corpo fisico noi diciamo: le mie mani, i miei denti … il mio mal di testa … ecc.. Ad ognuna di queste frasi noi sottintendiamo una cosa, un organo che è posseduto da un io che non si identifica con quell’organo; per noi, esiste un io che è il proprietario, o l’usufruttuario, di quella determinata parte o di tutto il corpo fisico. Quindi, in linea di principio, non ci identifichiamo con il corpo fisico, salvo quando diciamo: come sono bello, mi trovo di aspetto stanco, ecc.; questi sono momenti di falsa identificazione. Ma se esaminiamo ognuno di questi giudizi, vi troviamo sempre un osservatore che esamina e giudica l’oggetto corpo fisico. Ammettiamo dunque sempre l’esistenza del corpo materiale come identità differente dal suo inquilino.
lo stesso avviene per il corpo vitale – sebbene in modo meno chiaro – quando per esempio si osserva qualche irregolarità di funzionamento del corpo, una ripresa più o meno rapida da stati morbosi; benché più spesso questi fatti vengano attribuiti al corpo fisico; e d’altronde il corpo vitale gli è strettamente collegato.
Per quanto riguarda il corpo degli istinti e dei sentimenti, ci appare sempre meno netta la sua divisione dalla mente, da un lato, e dal corpo, dall’altro; nel linguaggio comune ed in quello poetico si attribuiscono al cuore tutti i moti della sfera sentimentale; quel tale ha un buon cuore, hai un cuore di pietra, ecc., sono frasi che distinguono sempre una sede dei sentimenti da quel certo io che né è l’utente, il padrone spesso dominato.
Lo stesso accade per la mente; la mia intelligenza, Tizio ha una mente ottusa, sono anch’esse implicite ammissioni di una differenziazione tra la mente e l’io.
Procedendo a ritroso, ciascuno di noi, meditando su se stesso, può senz’altro affermare: I0 non sono il mio corpo (quel corpo che è andato cambiando attraverso gli anni, che non
risponde talora alla volontà d’azione dell’individuo, che può addirittura essere mutilato in
modo quasi totale, che viene colpito da malattie e da decadimento); né più né meno come IO
non sono il mio abito, né i capelli che mi sono tagliati, né la vista che si è indebolita e così via.
Eppure IO sono la somma dei miei processi fisiologici … tanti dei quali si svolgono, fra
l’altro, senza che io abbia coscienza.
IO non sono il mio istinto di conservazione, né la somma dei miei sentimenti, dei quali
fra l’altro mi si raccomanda il controllo. Chi può dominare un impulso passionale, se non un
agente al di fuori degli impulsi stessi, ossia un IO superiore?
IO non sono la mia mente che, mentre da un lato ricorda momenti della vita lontanissimi, è tuttavia in continua trasformazione ed evoluzione, sotto gli effetti degli
apprendimenti e delle esperienze. Anzi, IO usa la mia mente, le posso imporre determinati allenamenti e determinati apprendimenti, la posso impiegare in compiti da lei imprevedibili e le posso finanche imporre l’inattività assoluta, nella quale IO sperimento e vengo a conoscenza di orizzonti che la trascendono.
A questo punto, oltre Manas e Buddhi, entriamo in universi dei quali non è più possibile ragionare, non fosse altro perché ci mancano i mezzi per comunicare. La comunicazione ordinaria avviene per mezzo dei vocaboli, che simbolizzano concetti elaborati dalla mente; è ovvio che dove la mente non arriva, non ha potuto generare concetti, né parole. Infatti, coloro che hanno avuto esperienze a livello trascendente, quando hanno voluto riferirle, hanno dovuto ricorrere ad allegorie, a metafore o a simboli. Il curioso è che allegorie, metafore e simboli si assomigliano anche se provengono da autori e da tradizioni estremamente lontane
nel tempo e nello spazio. Rispetto alle altre modalità, il simbolo ha una forza molto maggiore, perché in pochi segni può contenere una enorme carica di significati; ed ha anche la caratteristica di poter essere inteso appieno solo da persone che abbiano una certa preparazione; vengono così sottratti al fraintendimento od al cattivo uso da parte dei profani. Tutto quanto si è detto può anche non essere accettato a prima vista; anche se l’autorità della tradizione vuol garantircene la verità, Ma poiché tante persone hanno sperimentato non solo la realtà di quello che si è detto a proposito della struttura dell’io, ma anche la possibilitàdi raggiungere stati di coscienza superiori e più allargati di quelli della vita ordinaria, potremmo almeno accettare questa, se non come dottrina, almeno come ipotesi di lavoro; a condizione di LAVORARE davvero. Se ci limitiamo ad una scettica negazione, rifiutandoci di andare a vedere, non ci comporteremo da persone serie, da Massoni.