ESCHILO L’INIZIATO
DI SEBASIANO VITTORINI
Eschilo nasce ad Eleusi. Eleusi è la città ancora dei Misteri
iniziatici, i più celebri della Grecia antica, anzi di tutta la classica
antichità. Ad Eleusi, tutti gli anni, si celebravano le Feste Eleusinie:
in gennaio (mese di Amtesterione), i piccoli Misteri — mikrà
mystèria —, in agosto (mese di Boedromione), i grandi Misteri
— nègala mystèria —. 1 piccoli avevano luogo nella borgata di Agra,
presso Eleusi e a tre stadi da Atene. Bagnava Agra il fiumicello Ilisso,
in cui si specchiava un tempietto, ove si compiva la cerimonia delle
purificazioni preparatorie degli iniziandi, che vi si erano apprestati con
un digiuno.
Secondo Clemente Alessandrino, dopo i Lavacri, il Daduco
— guida ieratica — faceva porre i piedi ai Candidati su pelli di vittime
immolate a Giove Melichio e Ctesio. Dopo il Mistagogo raccoglieva da
quelli un terribile giuramento, che li legava al mantenimento del
segreto dei Misteri. Spiegati loro alcuni termini ermetici
sull’agricoltura, si dava loro il comandamento di «non mangiare il
proprio cuore», cioè di «non farsi vincere dalla tristezza». Infine loro
insediamento su un trono e caratteristiche danze e inni sacri. Da allora
aveva inizio un noviziato di questi neofiti, che prendevano il nomedi
«misti» (mystai), che potevano essere ammessi ai grandi Misteri dopo
almeno un anno della loro prima iniziazione.
Allora passavano al grado superiore di «epopti» (epòptai cioè
spettatori). I grandi Misteri autunnali, che avevano inizio il 15 agosto,
duravano 9 giorni. Si volgevano di notte, fra rappresentazioni
simboliche: spettacoli impressionanti, che miravano ad indurre gli
iniziati a penetrare più addentro nei misteri d’oltretomba che, travaglio
degli spiriti superiori di ogni tempo, costituivano il contenuto
precipuo e fondamentale delle Eleusinie.
Anche questi Misteri si iniziavano con la purificazione,
stavolta nelle acque del mare (ritenuto lustrale), al quale i Misti
iniziandi si recavano nel secondo giorno.
Le Feste autunnali culminavano nella grande solennità del
sesto giorno, nel quale si compiva l’Epoptea o grande iniziazione.
L’origine del Misteri Eleusini si perde nel mito, e nei secoli
del medio evo greco s’immerge. Durano essi fino al IV sec. d. C., fino al
tempo in cui, la maggior parte dei loro iniziati passò seguace del puro
Cristianesimo primitivo trionfante.
Le testimonianze dei Misteri Eleusini sono in buona parte del
periodo ellenistico. Non poche si devono ad autori cristiani; alcuni di
questi lo riferirono con farisaico spirito denigratorio. Ma, per molti
punti essenziali, possiamo ricostruire la tradizione, e, attraverso
Platone, Aristofane ed Eschilo, risalire fino all’inno omerico in onore
di Demetra, ed anche più indietro, fino al periodo miceneo, grazie,
adesso, alle testimonianze offerteci dalle vestigia archeologiche, in
ispecie d’arte vascolare.
È proprio nell’inno omerico che è detto che Demetra mostra
l’usanza dei riti sacri e rivela il mistero delle esaltazioni orgiastiche
eleusinie ai re legislatori: ad Eumolpo, il leggendario re-poeta, che,
dopo la rivelazione della dea dell’agricoltura, avrebbe, per il primo,
istituiti i Misteri d’Eleusi; a Trittolemo e a suo padre Celeo eleusini, a
Diocle, ispiratore delle famose leggi che per secoli ressero
esemplarmente Siracusa. «Riti — dice l’inno — che mai non lece non
trasgredir né spiare — né propalar, l’ossequio a le dee ne rattiene la
voce —. Quegli beato che vide tai cose, ma chi de le sacre — fu
cerimonie privo, di simile sorte non gode, — quando sia morto, sotto
la foscheggiante tenebra».
L’altissimo contenuto esoterico e morale ormai in buona parte
manifesto. Sappiamo che nei Misteri, fra l’altro, si veniva ad
apprendere la dottrina d’una vita futura e d’un premio o d’una pena
dopo la morte, proporzionati al bene o al male che s’era fatto quaggiù.
Questa dottrina si basava sul dogma della metempsicosi, per
cui i filosofi ritenevano l’anima umana poter essere colpevole di
qualche peccato anche prima di incarnarsi. Cioè non poteva capitare
agli iniziati, perché purificati. Perciò, secondo Piatone, le purificazioni
liberano dai delitti durante la vita e dopo la morte. E i Mistagoghi
proclamavano, perciò che i «profani» dopo la morte sarebbero stati
gettati nel fango, e, al contrario gli «iniziati» avrebbero avuto in premio
un delizioso giardino del regno di Plutone.
Il contenuto però più intimo e segreto dei Misteri riguardava la
parte per così dire teologica delle rivelazioni, prima di tutto il dogma
dell’unità di Dio, insegnato dai Mistagoghi in un senso tale da rendere
non solo compatibile, ma anche filosoficamente logico, il politeismo
allora dominante. Si ammetteva già in un unico Supremo Principio
Universale, così vago, dapprima, da essere compatibile con tutta la
policroma mitologia pagana; ma poi, via via più preciso fino a diradare
come sogni le numerose deità, alla potenza delle quali la fantasia degli
eccitati interrogatori della natura voleva addebitare degli alti di
creazione, con cui poter spiegare l’esistenza degli infiniti modi ed
apparenze di essa natura.
Un mito poi fa da sfondo ai Misteri eleusini: quello di Cerere.
l’Iside degli Egizi, la Demeter dei Greci, la Terra Madre cioè, il
principio passivo, alimentatrice del genere umano. Sono note le
peregrinazioni di Cerere, sotto sembianze di vecchia, per vari paesi, in
cerca della figlia Proserpina. Giunta un giorno ad Eleusi. dopo una
sosta al fonte Calliroe, penetra nel palazzo del re Celeo, dove la vecchia
Jambe riesce a farla ridere con scherzi lubrici. È presa intanto come
nutrice di Demofonte, figlio del re, che una notte tiene sollevato sul
fuoco per consumarne le parti mortali. Sopravvenuta la madre, getta un
grido tale di spavento che la dea lascia cadere per la sorpresa sul fuoco il
pargolo che s’incenerisce. Cerere vuol riparare alla disgrazia, e prende
ad educare Trittolemo, figlio maggiore di Celeo e gli da un carro con
aggiogati i draghi e lo manda ad insegnare agli uomini l’arte di usare
l’aratro e seminare il frumento.
Nei Misteri eleusini, al culto di Demetra venne associato quello
di Dioniso, che personificava le occulte energie produttive della
nattitàa; Il dio della vigna esdel vino. Bacco, per CUI 1 greci
inventarono il ditirambo, che si vuole abbia dato origine alla
tragedia Di questa comunanza di culto ad Eleusi fa fede Sofocle,
nell’Antigone:
«Dio che di nomi abbondi — pregio-ed amor di Semele — e
progenie di Giove altisonante, — che …. comun culto e rito — hai con
l’augusta Cerere — nell’Eleusinio lito».
Eschilo, poi, nato in un luogo così sacro, era anche figlio di
Euforione, pitagorico, anzi scolaro di Pitagora, della famiglia degli
Eupatridi, erede dunque di una tradizione aristocratica.
Egli, altamente greco, poeta di stirpe: ma ancor più Eleusino,
anzi Eleusiaco, cioè mistico nel modo istesso che Shakespeare inglese
ed anglicano. Cicerone ci dice che Eschilo era pitagorico oltre che poeta.
Pitagora, il filosofo semi-mago e semi-bramino — ci dice Victor Hugo —
sembra essere entrato, attraverso Euforione, in Eschilo. Nella profonda
e misteriosa lite fra gli dei celesti e gli dei terrestri, guerra intestina del
paganesimo, Eschilo era terrestre; era della fazione degli dei della terra.
I ciclopi avevano lavorato per Giove; egli li respinge e preferisce loro i
Cabiri dei Misteri. E adorava Cerere, cioè Demetra, cioè la terra madre,
al cui indirizzo esclama: «O tu. Cerere, nutrice della mia anima!». Di là,
la sua venerazione per l’Asia, la terra compatta, senza capi né seni,
poco penetrabile dal mare. Ed è perciò che Egli fa dire a Minerva. «La
grande Asia» ed alle Oceanine del Prometeo: «il suolo sacro dell’ Asia».
È l’esaltazione di quell’Asia, ov’è l’India, ov’è l’Egitto (poiché Eschilo
considera l’Egitto parte dell’Asia) ove vivono le più grandi tradizioni
mistiche, da dove vengono le più alte rivelazioni esoteriche. per bocca
dei più grandi iniziati, da dove viene la luce iniziatica.
E la grande Asia la sentiamo presente in molte parti della
formidabile e magnifica Opera conosciuta, che impone un’ascoltazione
palpitante di un Superiore sentimento religioso, che attinge nel sacro
misterioso dell’Universo Signore della Vita.
La maiestà ieratica della sua geniale statura di trageda ci
richiama quei vasti poemi del Gange, che procedono nell’Arte con
l’andatura del mammuth, e che fra gli Illiadi e le Odissee hanno l’aria
di ippopotami fra i leoni (quest’immagine è d’un altro gigante
dell’Arte: Victor Hugo).
Eschilo ha la smisuratezza mistica orientale; perciò da
qualcuno è detto saturo di ebraismi e di sirianesimi. Infatti Egli fa
trasportare il trono di Giove dai venti, come la Bibbia quello di
Jéhovah dai Cherubini, come il Rig-Veda il trono d’Indra dai Marut,
compagni di Vata, dio del vento, e di Rudra dio del turbine distruggitore.
E si è notato, nel suo linguaggio drammatico, l’inserimento di giochi di
parole fenici. Sembra di ispirazione ninivita, ad esempio, la metafora:
«Serse dagli occhi di drago» per voler dire: «dagli occhi
chiaroveggenti»; infatti nel dialetto di Ninive la parola Draka
significava il drago e il chiaroveggente. Nel suo esilio in Sicilia, in
Ortigia soleva bere religiosamente al Fonte Aretusa, cui fu sentito più
volte dare il nome misterioso di Alphaga, che in assiro, significa:
sorgente satura di sale.
Ecco perché dell’ Arte eschilea s’è detto ch’essa ha del cosmico.
Ed Eschilo poteva esser cosmico, perché era un iniziato; e rivelava di
essere un iniziato quando, nelle sue titaniche creazioni, i Misteri di
Eleusi esplodevano, come vampate di vulcani, 0 muggivano, come
tuoni sotterranei ammonitori. Allora non solo, come gli altri tragedi, si
dava ad insegnare la purificazione dell’anima mediante il dolore, ma
additava alla vita umana la sua liberazione e la sua elevazione al vero
supremo, sollevando un lembo del velo e lasciando intravedere un
mondo luminoso.
Così Prometeo, il sublime forzato, generosamente sublime,
grida dall’aspra roccia caucasica, cui è inchiodato dal Potere, nemico
acerrimo dell’uomo possessore della luce, grida: «La scienza a prezzo del
dolore!» in cui è riposto l’alto significato iniziatico della profonda
ragione del perpetuo cimento umano per il conseguimento della
conoscenza delle origini e dei fini della vita universa e particolare,
attraverso gli spinosi sentieri dell’esperienza guidata dallo spirito.
E per questo ispirato, umanissimo capolavoro, Eschilo riesce a
conquistarsi anche la simpatia di Aristofane, il cattivo genio, che ebbe
da ridire anche su Socrate, nelle Nuvole: ed in lui trova il difensore,
che fa tutto ciò che è in suo potere, per evitare ad Eschilo il bando
dalla Madre Grecia, che gli addebitava la rivelazione dei Misteri,
Più che alla rivelazione dei riti eleusini, però, dal cui addebito,
secondo Aristotile. fu assolto, Eschilo deve il bando a una situazione
politica demagogicamente democratica, fra la quale egli era elemento
inviso, pur essendo un amante e un sostenitore del suo popolo.
Tutto prova intanto che Eschilo fu un iniziato, a parte le tracce,
non poche e non lievi dei princìpi e dei riti, richiamanti i Misteri.
Basta d’altronde gettare uno sguardo in un suo dramma,
perché,-l’anima si senta purificata. Soggioga l’incrollabile sua fede
ricompensata dal « dominatore dei dominatori », sedente giusto giu dice.
Lo si sente appagato dalla convinzione che ogni ingiustizia «si spezza
contro lo scoglio della verità viva». E la esprime con forza prestigiosa
1à dove dice: «Quando la forza procede accompagnata alla giustizia, è
egli possibile vedere più magnifica unione?».
Mantenendosi più spesso nell’umano e nel terrestre, se
talvolta si spinge in un al di là, lo fa per innalzare il mondo degli dei a
ideali più puri, ricacciando nello sfondo la credenza degli antenati,
rimasta a quel politeismo, che domina fra l’invidia e la malevolezza
avverso a l’umanità, dei vizi della quale danno deprimente spettacolo le
sue deità.
Ed il meraviglioso quadro di un Universo divino, che si spiega
davanti l’ascoltatore delle tragedie di Eschilo, spicca a rivelarci
l’Ispirato dionisiaco, che ha vissuto l’intimo suo conflitto fra la
tradizione religiosa ereditata e i propri maturi convincimenti, che si
sono sostanziati del cibo spirituale di tutti i gradi della mistica
iniziazione.
E di questa vissuta lotta, in cui resta vittorioso il principio di
evoluzionee di progresso continuo della Vita, se ne ha una prova viva
nella trilogia del Prometeo, di cui resta solo la prima parte e qualche
frammento, e in cui la colpa del Titano non è se non la sua benevolenza
verso l’Umanità, e per essa Egli soffre la pena terribile comminatagli
dal geloso Zeus, pena che non è, non può essere eterea, perché tutto si
evolve e chi è fermo muore; la trilogia infatti si concludeva con la
riconciliazione del dio del cielo e la liberazione dell’incatenato
benefattore dell’Umanità.
Lo stesso concetto evolutivo domina l’Orestea. In essa Oreste
esegue l’ordine, ricevuto da Apollo, di uno spietato assassinio,
espiazione ed epurazione, secondo il pensiero apollineo; ma il
matricida è travolto dagli spiriti vendicatori della madre uccisa, ciò che
può voler dire che la coscienza del Poeta, la quale riflette quella dei
contemporanei, si rivolta contro il rigore atroce della vecchia legge del
taglione.
Ma il Poeta trova un mezzo per conciliare le esigenze di
giustizia vecchie e nuove: la fondazione dell’Areopago.
E l’Atena e l’Apollo intanto, che presiedono alla purificazione
ed assoluzione di Oreste e riescono a trasformare le Erinni furenti in
Fumenidi pacificamente conviventi, indicano un progressivo
perfezionamento morale degli dei. E la fine dell’Orestea testimonia
della raggiunta pace intima del Poeta, attraverso un processo lento e
doloroso della sua purificazione morale. Per lui adesso la teologia non
è più rivelazione ferma, statica, indiscutibile. La influenza, la Gnosi dei
Misteri, iniziarsi nei quali è procedere nell’elevazione, grado a grado,
nella conoscenza dei problemi della Vita, in tutte le varie sue
manifestazioni, alle vette delle quali sono le ineffabili conquiste
coscienti dello spirito.
Così, in un frammento di una delle novanta e forse più tragedie di
Eschilo — di cui ne conosciamo solo sette — in un frammento dicevo di
Le Figlie del Sole, Eschilo ci appare come il profeta di una religione
panteistica, che identifica Zeus con l’Universo, fuori quindi di ogni
rigore dommatico.
Genio, nei cui riguardi, lo spirito umano ha una sommità:
l’Ideale, verso cui il Grande Architetto discende, l’Uomo iniziatoascende.
Vivo, Atene misconosce questo Genio, morto, gli erige un
monumento, al quale il popolo accorre, adorante il Poeta che l’amò e
l’eroico suo difensore in Maratona e Salamina.
Morto, delle sue tragedie si ordina dallo Stato un esemplare
ufficiale completo ed unico, custodito come reliquia d’un dio.