IL CONFLITTO DOPO LA CONCILIAZIONE

IL CONFLITTO DOPO LA CONCILIAZIONE

ETERNO DUALISMO

Il conflitto era inevitabile e ad accentuare il contrasto il Capo dello Stato affermò

duramente: «Era necessario stabilire con una frase drastica quello che in realtà era accaduto nel

terreno politico e precisamente le reciproche sovranità del potere, il Regno d’Italia da una parte e la

Città del Vaticano dall’altra».

Dal canto suo il Pontefice, nella lettera al Cardinal Gasparri scriveva: «La nostra aspettativa

è stata duramente delusa. Men che tutto ci aspettavamo espressioni ereticali e peggio che ereticali

sulla essenza stessa del Cristianesimo e del Cattolicesimo… Ci spiacciono, ci offendono le non

infrequenti espressioni di nessuna rinuncia, di nessuna concessione dello Stato alla Chiesa, di non

perduto controllo, di conservati mezzi di vigilanza sul clero regolare e secolare, quasi si trattasse di

gente sospetta, a dir poco…».

È difficile prevedere come si sarebbe svolto e concluso il conflitto, se la storia si fosse

limitata alle divergenze dei rapporti tra lo Stato italiano e la Città del Vaticano. Avvenimenti ben

più gravi stavano succedendo in Italia e all’estero e preparavano un imprevedibile periodo

estremamente feroce.

La dittatura diventava sempre più opprimente con dure leggi e applicazioni, sia per la non

diminuita opposizione clandestina, sia per inevitabile necessità dei regimi tirannici a stringere i

freni, sia anche per l’orgogliosa aspirazione del regime per dar dimostrazione di vita a imperiali

conquiste coloniali; si aggiunse l’inizio della Il guerra mondiale, della quale non è qui il caso

raccontare gli svolgimenti sanguinar!, atroci, come mai nella storia e la sconfitta della Germania e

dell’Italia, trascinata nella medesima rovina dell’alleata.

Cadde finalmente la dittatura, cadde la Monarchia, complice di tutti i mali che il regime

antirisorgimentale produsse, fu proclamata la Repubblica e l’ Assemblea legislativa votò e approvò,

in sostituzione del vecchio Statuto albertino, la nuova Costituzione repubblicana.

Ed eccoci alla realtà attuale.

ROMA VATICANA – ROMA REPUBBLICANA

La Costituzione repubblicana all’art. 7 dice: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno

nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

«I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei patti, accettate dalle

due parti, non richiedono procedimenti di revisione costituzionale».

Così i Patti Lateranensi, concordati dalla Chiesa con un regime dittatoriale, cioè non

costituzionale, come tutti i Concordati stabiliti con dittatori e sovrani assoluti, entrano a far parte

della Costituzione repubblicana.

Questo significa il ritorno all’antica questione dei rapporti tra Stato e Chiesa e della

tendenza di questa a far prevalere la propria autorità su argomenti di non lieve importanza con le

disposizioni del Diritto Canonico sul Diritto civile e penale dello Stato italiano.

Di qui questa evidente realtà: sebbene Roma sia una e rimanga, senza più dubbi e incertezze,

riconosciuta universalmente e anche dalla Chiesa capitale d’Italia, sul territorio bagnato dal Tevere

esistono due Rome: la Roma Vaticana e la Roma Repubblicana, delle quali la prima è ritenuta sacra

come centro della cristianità.

La ROMA VATICANA, nonostante l’autorità che esercita su tutto il mondo cattolico, non c’è dubbio che trae lustro dall’aver sede in Roma, molto più di quanto ne avrebbe, non dico da

Avignone, ma da Madrid, da Vienna e da Parigi e penso che nessun Pontefice ne accetterebbe il

cambio. Ma occorre nello stesso tempo riconoscere che l’affermazione di un’autorità prevalente

della Chiesa sullo Stato è ristretta ai confini del territorio nazionale, ma non impedisce i dissensi

interni, assai vivi in questi tempi, né può valere presso tutti i popoli della terra, che seguono

religioni differenti dalla cattolica apostolica romana. Per questo mi pare mediocre soddisfazione

imporre con gli anacronistici articoli del Concordato, attraverso partiti politici, associazioni,

discussioni parlamentari, eco. decisioni che riguardano non la religione, ma la vita civile e confondere questa intromissione di carattere temporale con la vera missione che le è serbata

dall’origine, dagli obblighi spirituali e dalla storia.

La ROMA REPUBBLICANA è la speranza per il futuro. Dicendosi che Roma è città

monumentale, si afferma che essa è tutta monumenti, per Basiliche imponenti, per edifici maestosi,

per tesori d’arte sparsi nelle piazze, nei giardini, nei musei, profusi in tutte le età dal genio di grandi

artisti, favoriti dal mecenatismo di Imperatori, di Principi, di Pontefici, più di tutte le grandi città

dell’occidente e dell’oriente, veramente cattolica, cioè universale.

Tuttavia questa Roma, della quale celebriamo il 1 Centenario della liberazione nel XX

Settembre 1970, non è quella che vagheggiamo, sconvolta, com’è, dai partiti politici e dalle contese

parlamentari infruttuose, dalla corruzione, dagli scandali, dalla presenza di molti nostalgici,

fiduciosi di riottenere i grassi privilegi della dittatura, dalle generali manifestazioni di contestazione,

di disordini, di violenze, soprattutto (non neghiamo che questi fenomeni avvengono dappertutto in

questi tempi) dalla dimenticanza ignorante di quello che Roma fu e che, secondo noi, è destinata a ridiventare.

Non mi pare utopia pensare ad una trasformazione radicale, perché le alternative sono il

flusso e riflusso che la libertà produce col mutar dei tempi. Se osserviamo quello che avvenne in

tutti i secoli e, più evidenti che mai, nei tempi più vicini a noi, soltanto nel secolo che viviamo,

dobbiamo persuaderci che tutto è mutevole nella vita umana e che l’imprevedibile può diventare

realtà.

Perché la Roma d’oggi sia degna della Roma, caput orbis, occorre anzitutto che tutto il

popolo italiano si unifichi in civiltà, in un’approfondita consapevolezza dei diritti e dei doveri, nella

lotta e nella vittoria sull’ignoranza diffusa, sull’analfabetismo, anche sulla superstizione, infine che

si abbattano le differenze tradizionali di costumanze, di abitudini, di antiquati sistemi di vita tra le

varie regioni, talune più evolute, talune meno. Occorre che nella città eterna coloro che saranno

preposti a dirigere la vita pubblica siano uomini superiori alla mediocrità, uomini saggi, uomini

colti, uomini consapevoli di grande responsabilità, che, osservando e considerando le orme di

grandezza di cui l’urbe sovrabbonda, non le considerino da turisti in viaggio, ma come modelli da

imitare, ricavandone incitamento a propositi nuovi, vincendo le attrattive fallaci del materialismo e

rivolgendo le aspirazioni dello spirito a conservare con moderna visione gli ideali della famiglia,

della patria, dell’umanità. Allora la Roma Repubblicana diverrà maestra alle genti; essa, esente da

sogni di egemonia, di dominii territoriali, di creazione di imperi, che fu il falso orgoglio della

dittatura, ma memore di un’origine fondata sulle due grandi civiltà, la greca e la romana, memore di

aver in antico bene meritato della diffusa civiltà nelle terre barbare conquistate, potrà svolgere la

sua opera redentrice prima sulla regione circondata dalle Alpi e bagnata dai mari, poi, con la grande

Madre, varcare monti e oceani e diffondere la voce universale del progresso e della fratellanza.

Forse i trenta anni che ci separano dal 2000 sono troppo pochi perché avvenga una simile

trasformazione; forse il 2070, quando si celebrerà il II Centenario pare troppo lontano per fare

previsioni non fantastiche, ma, come assistiamo da un cinquantennio alle prodigiose invenzioni e

applicazioni della scienza, si può considerare con certezza che i «ricorsi» vedranno meraviglie nel

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dominio dello spirito e nella facoltà di esso a creare il secolo nuovo e si avvererà l’aspirazione

espressa da Enotrio Romano (Carducci) nei famosi versi dell’Ode “Nell’annuale della fondazione di

Roma”:

Salve, dea Roma! Chinato a i ruderi

del Foro, io seguo con dolci lacrime

e adoro i tuoi sparsi vestigi,

patria, diva, santa genitrice.

San cittadino per te d’Italia,

per te poeta, madre de i popoli,

che desti il tuo spirito al mondo,

che Italia improntasti di tua gloria.

Ecco, a te questa, che tu di libere

genti facesti nome uno, Italia,

ritorna, e s’abbraccia al tuo petto,

affisa nei tuoi d’aquila occhi.

E tu dal colle fatal pe ‘l tacito

Forole braccia porgi marmoree

a la figlia liberatrice,

additando le colonne e gli archi:

gli archi che nuovi trionfi aspettano

non più di regi, non più di Cesari,

e non di catene attorcenti

braccia umane su gli eburnei carri;

ma il tuo trionfo, popol d’Italia,

su l’età nera, su l’età barbara,

su i mostri onde tu con serena

giustizia farai franche le genti.

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