LAVORARE AL BENE ED AL PROGRESSO DELL’UMANIA’

Lavorare al bene ed al progresso dell’Umanità
Uno dei passi del rituale che maggiormente attira la mia attenzione (e non da
oggi) e sul quale vorrei tentare qualche riflessione è quello che indica gli scopi per i
quali una loggia si riunisce e lavora insieme.
Il passo è noto se non altro perché lo sentiamo ogni giovedì sera:
M. Ven.: Fratello Primo Sorvegliante a quale scopo ci riuniamo?
1° Sorvegliante: Per edificare templi alla virtù, scavare oscure e profonde prigioni
al vizio e lavorare al bene ed al progresso dell’umanità.
Il rituale scandisce quindi in modo netto e senza perifrasi quale debba essere
l’obiettivo che ogni singolo fratello e la Loggia nel suo insieme debba porsi nel suo
modo di pensare, di agire di porsi nei confronti degli altri.
In questi ultimi tempi discutendo del malessere (non uso più la parola “crisi”)
più o meno diffuso che l’officina sta vivendo qualcuno ha pensato di intravedere
nella mancanza di un obiettivo e di un metodo una delle possibili cause di tale
malessere.
Per quanto concerne l’obiettivo quindi non credo si possa sostenere che esso
nonsia chiaramente esplicitato e soprattutto ci viene dalla fonte più autorevole cui ci
si possa ispirare e cioè dal rituale.
La difficoltà nasce come sempre quando dal piano dei principi e
dell’enunciazione teorica si scende all’interpretazione diciamo cosi “operativa” del
messaggio.
E cioè cosa esattamente vuol dire quella frase e cosa sul piano pratico è
necessario fare per
rispettarne il dettato?
Si riapre cosi inevitabilmente ed inesorabilmente la consueta dicotomia fra
Massoneria speculativa e Massoneria operativa con tutti gli equivoci che una tale
distinzione porta con se.
Equivoci, si badi bene, che sono il frutto, a mio modo di vedere, dell’incapacità
della Massoneria moderna di darsi una chiara fisionomia sballottata com’è fra il
desiderio di uscire all’esterno ed equiparasi alla miriade di associazioni esistenti nel
mondo con più o meno declamati scopi sociali, e venire quindi assimilata e
riconosciuta dal mondo profano, e l’antica vocazione al segreto, alla riservatezza, al
voler essere un qualcosa di diverso e distaccato da quello che la civiltà moderna
propone nel suo inarrestabile continuo e confuso cambiamento.
Tradizione e modernismo, riservatezza e trasparenza questi gli inconciliabili
opposti che si vorrebbero realizzare dimenticandosi che l’ambiguità non fa che
accrescere la confusione e rendere agli occhi esterni sempre più opaca la nostra
immagine. i
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Probabilmente ben diversa era la posizione dei nostri antichi fratelli per i quali
il viaggio verso la costruzione di una nuova cattedrale trovava immediato riflesso nel
viaggio interiore verso la purificazione del proprio spirito e della propria mente.
L’operatività cioè era il più evidente riflesso del lavoro speculativo e la
bellezza esteriore dell’opera rimandava alla bellezza interiore dell’anima e tanto più
bello era il manufatto tanto più esso dimostrava anche il percorso interiore compiuto
da chi lo aveva eseguito.
Credo che al termine della costruzione della Cattedrale di Chartres i
componenti delle logge che vi avevano lavorato si siano sentiti più vicini al Grande
Architetto dell’Universo e nel contempo potevano con fierezza affermare di aver
lavorato al bene ed al progresso dell’umanità. Sempre che si sia d’accordo nel
ritenere che, l’edificazione di una cattedrale, contribuisca all’idea di lavorare al bene
ed al progresso dell’Umanità.
Non sono deltutto sicuro che tutti condividano quest’affermazione.
Anche tra la fine del settecento e per tutto il secolo scorso la Massoneria ha
trovato, nella ricerca di libertà uguaglianza e fratellanza, un modo per lavorare al
bene ed al progresso dell’umanità. Forse questo progetto non è altrettanto ben
riuscito rispetto ai precedenti tuttavia questo ha permesso ai fratelli di avere un
obiettivo ed un progetto comune su cui lavorare e su cui impegnarsi.
È quindi necessario prendere spunto e fare tesoro delle esperienze del passato
per trovare un ruolo ed uno scopo anche alla Massoneria del 2000.
Non vi è dubbio che nel mondo moderno i principi di libertà fratellanza ed
uguaglianza siano ancora dei semplici sogni ed anche il desiderio di una ricerca
interiore che porti a dare qualche barlume di risposta alle eterne domande che ieri
come oggi l’uomo si pone sono lontanissimi, forse ancora più lontani, che in passato.
E che il problemasia sentito lo dimostra il continuo nascere di nuove tendenze
pseudo religiose e pseudo iniziatiche.
Lo stesso cosiddetto “popolo di Seattle” è la conferma di un’umanità in
confusione che cerca disperatamente di staccarsi dagli stereotipi della civiltà dei
consumi della crescita senza fine e della globalizzazione che sa tanto di “grande
fratello”.
Ho la sensazione che molti, fra gli assertori della bontà della globalizzazione,
sentano, comunque, qualcosa di stonato in questo mondo che corre sempre più veloce
verso non si sa bene quale futuro.
Ho in mente l’immagine di un corpo celeste che penetrando nell’atmosfera
corre sempre e sempre più forte ed inarrestabile verso la disintegrazione.
La nostra Istituzione può rappresentare e rappresenta (noi lo sappiamo bene)
un’oasi di non conformismo e di non assimilazione sul fronte della ricerca di un
equilibrio di un’equidistanza fra le tensioni e le pressioni d’ogni tipo cui questa
civiltà ci sottopone.
Proprio le diverse opinioni ed il continuo confronto ci costringono ariflettere, a
non dare nulla per scontato ed a ritenere giuste e corrette le varie visioni del mondo
che ciascuno di noi si è faticosamente costruito ma che ha certamente smussato e
modificato grazie all’opera corrosiva dei fratelli e delle “loro” visioni del mondo.
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OA
E se questo non è avvenuto allora vuol dire che si è capito poco dell’Istituzione
perché il rimanere attaccati alle proprie visioni del mondo senza accette quelle degli
altri ed in qualche modo cercare di comprenderle rappresenta il contrario dello
scavare oscure e profonde prigioni al vizio.
Questo rallenta certamente il cammino ma non dev’essere la fretta l’ispiratrice
del nostro crescere
quanto una ponderata convinzione verificata e riverificata dal confronto con gli
altri.
Ora il punto è che noi non siamo in grado di trasmettere all’esterno questa
enorme ri :chezza
Non ho le idee chiare sul perché di questa nostra incapacità; posso solo
costatarla e formulare qualche ipotesi ma è Certo che tutti i tentativi sin qui fatti per
farci conoscere sono stati dei mezzi fallimenti quando non sono stati addirittura
ridicolizzati (mi riferisco a certe trasmissioni televisive
in cui o ci siamo dati la zappa sui piedi da soli o l’ironia e la prevenzione degli
intervistatori ha contribuito a rendere praticamente nullo qualsiasi tentativo di
trasmettere messaggi).
E poi eravamo e siamo sempre, a torto od a ragione, sul banco degli imputati e
questo certamente non aiuta.
Qualcuno dirà, ed io sono parzialmente d’accordo, che questo è il segno dei
tempi e che non vi è nulla da fare verso l’inarrestabile decadenza ma vi ricordo, cari
fratelli, che uno dei compiti più importanti che abbiamo è quello di trasmettere il
nostro messaggio ad altri che a loro volta continueranno a trasmetterlo ad altri
perpetuando quell’ininterrotta catena che parla di tradizioni, di simbolismi, di
tolleranza, di desiderio di conoscenza, di voglia di non assimilazione.
Siamo fra i pochi, credo, che può, se non arrestare almeno ritardare, la marcia
del Grande Fratello.
Anche se il nostro cammino verso la luce, ormai ce ne siamo resi conto quasi
tutti, è un’utopia tuttavia noi abbiamo il dovere di permettere ad altri di poterlo
percorrere e magari anche di arrivarci e quindi il nostro compito è ugualmente
importante.
Se non possiamo arrivare all’uva facciamo almeno in modo che la pianta non
secchi!
Ecco allora l’importanza di trovare degli strumenti in grado di far conoscere
tutte le opportunità che sono a disposizione di coloro che si trovano nella condizione
intellettuale di rifiutare l’omologazione.
Noi non dobbiamo gettare i semi confidando in quelli che, cadendo nel fertile
terreno, daranno frutto perché, questo, equivale a sparare nel mucchio e abbiamo
visto che non funziona, noi dobbiamo andare alla ricerca della pecorella smarrita e
compito di tutti noi deve essere quello di vigilare per individuarla.
Quanto agli strumenti poi ho la sensazione che essi esistano già e copiosi e
sono la storia che abbiamo alle spalle che ci parla e ci indica il percorso, abbiamo
l’esperienza maturata da tanti validi fratelli oggi come nel passato, abbiamo i simboli
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ed i rituali fonti inesauribili di insegnamenti da decodificare per essere meglio
assimilati.
E questo è il compito della Massoneria in generale e di ogni officina in
particolare qualora possegga i requisiti e la convinzione che questa possa essere una
giusta strada da percorre.
Ed ecco quindi affiorare, in tutta la sua semplicità, il significato di quella frase
del rituale.
Lavorare al bene ed al progresso dell’umanità non significa altro che adoperarsi
affinché il nostro messaggio possa essere trasmesso a quanti, con la nostra sagacia,
sapremo portare fra noi accettando le sfide del mondo profano ma combattendole a
nostro modo: con determinazione ma senza far rumore.
ALDA
G. F. Cmmrcec, 16 novembre 2000 dell’e..v.. (1° grado)
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