AMICIZIA E FRATELLANZA

AMICIZIA E FRATELLANZA

Molte volte, in questi lunghi anni di appartenenza all’Istituzione, mi sono chiesto quale ruolo debba avere, nella vita dei fratelli, il sentimento dell’amicizia.

Mi sono anche domandato se debba anche esistere un rapporto fra fratellanza ed amicizia e quali implicazioni, questo eventuale rapporto, possa generare.

Ora mentre la fratellanza è in qualche modo codificata ed esplicitata nel corso del rito di iniziazione, per l’amicizia è invece è tanto più importante, perché in questo scorcio di fine millennio, inondato e frastornato dal dominio dei mass-media che ormai, dall’alba al tramonto, gestiscono la nostra vita, indirizzando i nostri gusti e le nostre scelte, costringendoci ad abbandonare lo snobistico ed aristocratico “lei” a favore di un più diretto e popolare “tu”, anche un termine come l’amicizia è stato triturato e svuotato del suo più nobile e profondo significato.

Oggi il “tu” è un apoteosi di qualunquismo, un desiderio di accorciare un percorso a scapito di un lento e progressivo consolidamento.

Come il “tu” anche l’amicizia è termine ormai abusato e contaminato, corrotto e vuoto.

Si è amici subito, si è amici mai.

Si è amici quando si “sente” che il sentimento che ti lega significa accettazione delle idee, confronto leale delle ipotesi, desiderio di stare insieme, voglia di condividere conquiste, volontà di aiutare nelle difficoltà, partecipazione al dolore.

E poi vuol dire fiducia.

Ci si può conoscere da moltissimi anni e non essere amici, ma è impossibile conoscersi da un giorno e considerarsi amici.

Ma fratelli si diventa in una serata.

Di colpo, dopo il rito di iniziazione. il neofita si trova ad avere un numero di fratelli pari a quelli che sono i componenti dell’Istituzione.

Ovviamente fratelli, non amici!

Esiste quindi, inevitabilmente, una profonda differenza fra lo stato di “amicizia” e quello di “fratellanza”.

Ma il Primo Sorvegliante dice al neofita: “Il secondo dovere è di praticare la virtù, di soccorrere i vostri fratelli, di alleviare le loro disgrazie, di assisterli con i vostri consigli ed il vostro affetto. Queste virtù, che nel mondo profano sono considerate qualità rare, sono per noi soltanto il compimento di un dovere gradito”.

Quale migliore definizione di amicizia, se non fosse per quel sostantivo finale che parla di “dovere”, ancorché “gradito”.

Il dovere presuppone in qualche modo un imposizione; l’amicizia non conosce imposizioni.

Ho già avuto modo di sostenere in altra tavola che non ritengo l’amicizia

elemento essenziale nella vita massonica.

In fin dei conti ciò che ci è richiesto è di trovarci una volta alla settimana, e nemmeno per tutto l’anno, per compiere un rito, per necessità collettivo, scambiarci qualche opinione su di un tema preposto, e poi tornarcene alla nostra vita quotidiana, a praticare quegli insegnamenti che dal rito derivano, a praticare quelle virtù che l’Iniziazione propone. .

Il concetto è freddo ed essenziale, ma, a mio modo di vedere, ineccepibile.

E come freddo ed essenziale è il nostro lavoro rituale, freddo ed essenziale deve essere quel dovere di fratellanza predicato dal rito.

Non necessità la partecipazione emotiva, ma la semplice presa di coscienza.

Ma il confine rimane insidioso, intanto perché diverse sono le nostre visioni individuali, e soprattutto perché diverso è l’approccio di ciascuno di noi nei confronti delle aspettative che si hanno al momento di entrare nell’Istituzione.

Per quanti di noi l’ingresso nell’Istituzione significa quella fredda ed essenziale definizione che ho suggerito precedentemente?

Per quanti di noi la Massoneria rappresenta un lento e faticoso cammino verso la Luce?

E che cosa vogliono “veramente” dire le due frasi suddette?

E di fronte a motivazioni ed aspettative diverse, quale deve essere il comportamento più corretto nei rapporti interpersonale fra i fratelli?

Questa domanda è legittima al cospetto di tutta una serie di problematiche che sono nate nel corso della storia della Pedemontana (e dell’Istituzione) e tutte dovute,

probabilmente, ad una errata interpretazione sul significato della parola fratellanza e della parola amicizia.

Le aspettative troppo “forti” di comportamenti “diversi”, dettate dal fatto di essere fratelli sono, credo, alla base di tutta una serie di delusioni che, troppe volte, sono sfociate in incomprensioni e prese di posizione che hanno portato alla rottura definitiva.

E quando non si sia arrivati a rotture definitive, si è creato uno stato di

incomunicabilità che solo il fatto di vedersi una volta alla settimana  può rendere accettabile.

Ma sono errate le “aspettative forti” o i “comportamenti diversi”.

Il mio cuore dice che giuste sarebbero le “aspettative forti”, ma la mia mente dice che errata è la pretesa di “comportamenti diversi”.

E tutto questo perché in realtà, nella maggioranza dei casi, i fratelli sono degli estranei che solo una particolare “vicenda” ha messo insieme, e quella particolare “vicenda” nulla ha da spartire con rapporti che siano al di fuori del percorso iniziatico.

Dico, in somma, che i “comportamenti diversi” sono un più, sono una eccezione alla regola che impone invece di non avere “aspettative forti”.

Questa regola che è normale nella vita profana, deve guidare anche i nostri comportamenti all’interno dell’Istituzione e questo perché, in definitiva, la nostra “maturità iniziatica” è lungi dall’averci fatto abbandonare i metalli, e quando i metalli entrano in conflitto non c’è, purtroppo, Iniziazione che tenga e l’uomo ha il sopravvento sull’Iniziato.

È evidente che non bisogna generalizzare, tuttavia è opportuno fare tesoro delle esperienze passate per evitare sorprese future.

Virtuale è la fratellanza, come virtuale è l’Iniziazione; e solo quando

l’Iniziazione sarà effettiva si potrà parlare di fratellanza.

Nel frattempo è molto meglio dedicarci a sgrossare le nostre pietre in silenzio e solitudine, se questo può servire ad evitare di essere scacciati in malo modo dal Tempio.

TAVOLA SCLPITA DAL FR .’. G. F.

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