CAVOUR SECONDA PARTE

CAVOUR
II PARTE
 
 
Carmine De Marco (dal libro Revisione della Storia dell’Unità d’Italia)
da: http://www.adsic.it/storia/Cavour.htm
relazione di cavour sui colloqui di plombières E veniamo al terzo colpo di genio di Cavour: Plombières. A Plombières si tenne un riservatissimo incontro tra Cavour e Napoleone III promosso da quest’ultimo. “L’imperatore, appena fui introdotto nel suo gabinetto – scriveva Cavour il 24 luglio 1858 a Vittorio Emanuele, facendo una relazione in francese sull’incontro avuto con Napoleone III – abbordò la questione che è la causa del mio viaggio. Cominciò dicendo di essere deciso ad appoggiare con tutte le sue forze la Sardegna in una guerra contro l’Austria, purché la guerra fosse intrapresa per una causa non rivoluzionaria, che potesse essere giustificata agli occhi della diplomazia e, più ancora, dell’opinione pubblica in Francia ed in Europa. Poiché la ricerca di questa causa presentava la difficoltà principale, ho proposto dapprima di far valere le lagnanze cui dà luogo la poco fedele esecuzione da parte dell’Austria del suo trattato di commercio con noi. A ciò l’imperatore ha risposto che una questione commerciale di mediocre importanza non poteva provocare una grande guerra destinata a mutare la carta dell’Europa. Proposi allora di mettere nuovamente innanzi le ragioni che, al congresso di Parigi, ci avevano deciso a protestare contro la illegittima estensione della potenza austriaca in Italia; vale a dire il trattato del 1847 fra l’Austria e i duchi di Parma e di Modena, l’occupazione protratta della Romagna e delle Legazioni, le nuove fortificazioni innalzate intorno a Piacenza. L’imperatore non gradì questa proposta. Egli osservò che poiché le lagnanze da noi fatte valere nel 1856, non erano state giudicate sufficienti a indurre la Francia e l’Inghilterra a intervenire in nostro favore, non si comprenderebbe come ora esse potrebbero giustificare una chiamata alle armi. D’altra parte, aggiunse l’imperatore, finché le mie truppe sono a Roma, non ho molto il diritto di esigere che l’Austria ritiri le sue da Ancona e Bologna. L’obiezione era giusta. La mia posizione – continua la relazione di Cavour a Vittorio Emanuele – diventava imbarazzante, poiché non avevo più da proporre nulla di ben definito. L’imperatore venne in mio aiuto e ci mettemmo insieme ad esaminare tutti gli Stati d’Italia, per cercarvi questa causa di guerra così difficile da trovare. Dopo aver viaggiato senza successo in tutta la penisola, arrivammo, quasi senza accorgercene, a Massa e Carrara, e là scoprimmo quel che cercavamo con tanto ardore. [Cavour descrive così il cinico comportamento suo e di Napoleone III]. Dopo aver fatto all’imperatore una descrizione esatta di questo sventurato paese, di cui egli, del resto, aveva già un’idea abbastanza precisa, convenimmo di provocare un appello degli abitanti a Vostra Maestà per chiedere la sua protezione nonché per reclamare l’annessione di questi ducati alla Sardegna. Vostra Maestà non accetterebbe l’offerta, ma, prendendo le parti di queste popolazioni oppresse, rivolgerebbe al duca di Modena, una nota altera e minacciosa. Il duca, forte dell’appoggio dell’Austria, risponderebbe in modo impertinente. Dopo questo, Vostra Maestà farebbe occupare Massa e la guerra comincerebbe. Essendo il duca di Modena la causa della guerra – continua Cavour nella relazione – l’imperatore pensa che essa sarebbe popolare non soltanto in Francia, ma parimenti in Inghilterra e nel resto d’Europa, dato che questo principe, a torto o a ragione, è considerato come il capro espiatorio del dispotismo. D’altra parte, non avendo il duca di Modena riconosciuto alcuno dei sovrani che hanno regnato in Francia dal 1830, l’imperatore ha meno riguardi da usare verso di lui che verso qualsiasi altro principe. Risolta questa prima questione, l’imperatore mi disse: “Prima di andare avanti, bisogna pensare a due gravi difficoltà che incontreremo in Italia: il papa ed il re di Napoli. Io devo usare loro dei riguardi: al primo, per non sollevare contro di me i cattolici francesi; al secondo per conservarci le simpatie della Russia, che mette una sorta di punto di onore nel proteggere il re Ferdinando”. Risposi all’imperatore che, quanto al papa, gli era facile conservargli il tranquillo possesso di Roma per mezzo della guarnigione francese ivi stanziata, purché lasciasse insorgere le Romagne; e che, non avendo il papa voluto seguire i consigli datigli dall’imperatore al riguardo, non poteva lagnarsi che queste contrade profittassero della prima occasione favorevole, per liberarsi di un detestabile sistema di governo che la corte di Roma si era ostinata a non riformare. Quanto al re di Napoli, non bisognava occuparsi di lui, a meno che non volesse prendere le parti dell’Austria, salvo a lasciar fare i suoi sudditi se per caso, profittando del momento, volessero sbarazzarsi del suo paterno dominio. Questa risposta soddisfece l’imperatore, e passammo alla grande questione: quale sarebbe lo scopo della guerra? L’imperatore ammise senza difficoltà che bisognava scacciare del tutto gli austriaci dall’Italia, e non lasciare loro neppure un pollice di terreno di qua dall’Isonzo e delle Alpi. Ma dopo, come organizzare l’Italia? Dopo lunghe discussioni, di cui risparmio il resoconto a Vostra Maestà, ci siamo accordati press’a poco sulle basi seguenti, pur riconoscendole suscettibili di essere modificate dagli avvenimenti della guerra. La valle del Po, la Romagna e le Legazioni costituirebbero il Regno dell’Alta Italia sul quale regnerebbe la casa di Savoia. Il papa conserverebbe Roma e il territorio circostante. Il resto degli Stati del papa con la Toscana formerebbe il Regno dell’Italia Centrale. La circoscrizione territoriale del Regno di Napoli non sarebbe toccata. I quattro Stati italiani formerebbero una confederazione sul modello della Confederazione germanica, la cui presidenza sarebbe data al papa per consolarlo della perdita della parte migliore dei suoi Stati. Questa sistemazione mi sembra del tutto accettabile. Vostra Maestà essendo di diritto sovrano della metà più ricca e più forte d’Italia, sarebbe di fatto sovrano di tutta la penisola. Io risposi – continua la relazione di Cavour a proposito della cessione di Nizza e della Savoia – che Vostra Maestà professava il principio di nazionalità, e che di conseguenza comprendeva come la Savoia dovesse essere riunita alla Francia; che Vostra Maestà era dunque pronta a sacrificare la Savoia, sebbene gli costasse eccessivamente rinunciare a un paese che era stato la culla della sua famiglia e ad un popolo che aveva dato ai suoi antenati tante prove di affetto e di devozione. Quanto a Nizza, la questione era differente, poiché i nizzardi, per la loro origine, la loro lingua e le loro abitudini erano più vicini al Piemonte che alla Francia, e di conseguenza la loro annessione all’Impero sarebbe contraria a quel medesimo principio per il trionfo del quale ci si accingeva a prendere le armi. A queste parole l’imperatore si accarezzò più volte i baffi e si accontentò di aggiungere che queste erano per lui questioni del tutto secondarie, di cui ci si sarebbe stato il tempo di occuparsi più tardi. Per costringere l’Austria – continuava Cavour, dopo aver relazionato sulle considerazioni fatte sulla neutralità delle altre grandi potenze – a rinunciare all’Italia, dunque, due o tre battaglie vinte nelle valli del Po e del Tagliamento non saranno sufficienti; bisognerà necessariamente penetrare nel centro dell’Impero e, con la spada sul cuore, cioè a Vienna stessa, costringerla a firmare la pace sulle basi prima decise. Per raggiungere questo scopo, sono necessarie forze considerevoli. L’imperatore le valuta ad almeno 300 mila uomini, ed io credo che abbia ragione. Con 100 mila uomini si bloccherebbero le piazzeforti del Mincio e dell’Adige e si custodirebbero i passaggi del Tirolo; 200 mila uomini marcerebbero su Vienna attraverso la Carinzia e la Stiria. La Francia fornirebbe 200 mila uomini, la Sardegna e le altre province d’Italia gli altri 100 mila. Il contingente italiano sembrerà forse debole a Vostra Maestà; ma se Ella riflette che si tratta di forze che bisogna far combattere, di forze di linea, riconoscerà che, per avere 100 mila uomini disponibili bisogna averne sotto le armi 150 mila. D’accordo sulla questione militare – il Benso di Cavour chiariva a Vittorio Emanuele il punto più importante dell’incontro – siamo stati egualmente d’accordo sulla questione finanziaria che, Vostra Maestà deve saperlo, è quella che preoccupa specialmente l’imperatore. Egli acconsente tuttavia a fornirci il materiale da guerra di cui potessimo aver bisogno, e a facilitarci a Parigi il negoziato per un prestito” (MC). i danari Insomma, da questa relazione, non sappiamo se veritiera o (più probabilmente) scritta per essere divulgata, possiamo scoprire il vero punto nodale al quale accenna di sfuggita Cavour: l’aspetto finanziario: i dané, i danari. La guerra all’Austria andava fatta per consentire al Piemonte, con i nuovi acquisti territoriali, di poter ripagare l’enorme debito accumulato anche con le sue guerre precedenti. In pratica i creditori dovevano finanziare ancora una volta il Piemonte per poter riprendere i vecchi ed i nuovi prestiti. Dall’altro lato Napoleone III facendosi garante della riuscita della guerra, guadagnava Nizza e la Savoia, scaricando il costo della guerra sul Piemonte: tipico caso di usura! Per Cavour non aveva importanza, un debito in più uno in meno… Il problema era che non basta voler far debiti per farli. Qualcuno aveva addirittura insinuato che la ragione dell’invio delle truppe in Crimea non fosse di alta politica estera ma solo di bassa economia interna e cioè riuscire ad avere un prestito di 50 milioni. Di certo sappiamo che Cavour e Vittorio Emanuele fecero un viaggio a Parigi ed a Londra dopo la caduta di Sebastopoli e prima dell’inizio delle trattative di pace di Parigi. Il 20 novembre 1855 i due partirono per Parigi. gli incontri di cavour e vittorio emanuele a parigi La coppia di ospiti italiani ebbe accoglienze molto inferiori al previsto. Napoleone III e consorte fecero del loro meglio per dare al re di Sardegna dimostrazioni di simpatia, che valessero a cancellare le impressioni poco favorevoli dell’arrivo. Cavour e Vittorio Emanuele incontrarono personalità politiche ed istituzionali, Cavour ebbe la possibilità di avere contatti con il nunzio pontificio. Ma gli incontri più importanti Cavour li ebbe con Rothschild e con Isaac Péreire, i due massimi esponenti del mondo finanziario francese. Péreire gli parve “un homme étonnement habile” “un uomo straordinariamente abile” dotato di “plus d’esprit que tous les banquiers de Paris réunis” “più immaginazione di tutti i banchieri di Parigi”. Con i ministri Magne e Rouher e con i finanzieri interessati, che, in aggiunta al Laffitte, presidente della società ferroviaria Vittorio Emanuele, includevano i ricordati Rothschild e Péreire e altri ancora, preparò l’accordo poi sanzionato il 7 dicembre in vista della fusione della Vittorio Emanuele con altre iniziative ferroviarie francesi (R3). Ai soci francesi fu poi concesso, a carico dei successivi sette esercizi del bilancio statale piemontese, un finanziamento di 21.400.000 lire, mentre il capitale della Vittorio Emanuele veniva elevato a 100 milioni. Oltre ai 100 milioni della Vittorio Emanuele, l’economia nazionale avrebbe beneficiato di un apporto analogo da parte della società che progettava la costruzione della ferrovia del Varo alla frontiera modenese, e in tal modo 200 milioni, raccolti sui mercati finanziari stranieri, avrebbero fecondato l’economia del paese; perché, si leggeva nella relazione al progetto di legge, “non vi è altro mezzo per aumentare le entrate, non solo senza aggravare i contribuenti, anzi agevolando loro il mezzo di sopperire alle imposte, che quello di sviluppare tutte le risorse materiali del paese, di favorire la maggiore libertà del commercio, di accrescere la pubblica e privata ricchezza, attirando in ogni modo l’impiego di capitali esteri sia nelle costruzioni di strade ferrate, che nelle coltivazioni di miniere, creazione di stabilimenti, di manifatture e simili” (R3). Sempre negli incontri avvenuti a Parigi, Cavour, spinto da Bolmida, presidente della Cassa di Commercio e corrispondente torinese di Rothschild, concluse con questi un accordo per la creazione di una grande banca mobiliare e Rothschild si dichiarava disposto a sostenere una impresa che doveva diventare “une affaire Italienne”, atta a estendere l’influenza del Piemonte in tutta la penisola italiana (R3). Si deve aggiungere che tra i due abili personaggi, Cavour e Rothschild, l’abile era solo quest’ultimo. Infatti Rothschild subito ebbe esitazioni e perplessità: alcune delle iniziative proposte non parevano al grande banchiere sufficientemente importanti né sufficientemente redditizie per ciò si posero gravi problemi per la sottoscrizione dell’aumento di capitale riservato a Rothschild. Cavour fu costretto a far collocare il capitale non sottoscritto oltre che sul mercato italiano anche a Bruxelles, Amsterdam e Ginevra, provocando un sensibile ribasso del titolo della Cassa di Commercio. Non migliori risultati ebbero altre iniziative bancarie promosse da Cavour, come quella del Credito Profumo che visse tra difficoltà e fu sciolto nel 1861 (R3). il prestito di 40 milioni Uno dei risultati del viaggio a Parigi fu la conclusione con Rothschild e con la Cassa di Commercio e Industria di Torino del prestito di 40 milioni autorizzato con la legge del 26 giugno 1858. Rothschild e la Cassa avevano assunto ciascuno metà dell’operazione, ma la Cassa fungeva da intermediaria con altri istituti torinesi e genovesi, e di fatto l’affare fu accentrato nelle mani di Rothschild (R3). Questo prestito doveva dare a Cavour una relativa tranquillità e consentirgli la sua azione diplomatica di provocazione dell’Austria. gli incontri di cavour e vittorio emanuele a londra Durante il viaggio a Londra, Palmerston molto imprudentemente si lasciò andare con Cavour ad aspri giudizi e commenti su Napoleone III e il suo entourage di avventurieri, votato alla pace con la Russia per bassi interessi speculativi e di borsa (R3). Cavour era interessato ad avvicinarsi a Napoleone proprio per avvicinarsi al suo entourage per bassi interessi finanziari, perciò riferì parola per parola il giudizio di Palmerston a Napoleone. Considerazioni: Tutta la politica del Cavour era improntata alla provvisorietà, al raggiungere nel breve termine risultati che lo tenessero a galla e gli consentissero di prendere ancora altri provvedimenti provvisori. L’immagine che ci richiama Cavour è quella dell’industriale che smette di dare l’impulso tecnico alla sua impresa e si preoccupa di trasformarla in un affare finanziario: nel breve termine riuscirà a procurarsi nuovi finanziamenti e nuovi soci, attirati dalla speculazione. Quando poi il mercato fa giustizia dell’azienda non più competitiva, c’è il crollo. Per sua fortuna Cavour morì prima del crollo del Piemonte. Per sfortuna degli italiani, il crollo del Piemonte avvenne con il Piemonte diventato Italia e furono costretti, gli italiani, a pagare le cambiali firmate da Cavour. protesta dell’opposizione parlamentare piemontese Da destra si disse spaventosa la situazione finanziaria, si moltiplicarono i raffronti con la più solida situazione degli Stati conservatori della penisola, si denunciò il declino della ricchezza nazionale, comprovato dalla riduzione delle entrate doganali nel 1857, si invocò il ritorno all’agricoltura ed a una politica più attenta agli interessi del Piemonte e meno propensa a inseguire i miraggi della politica italiana. Questa la sintesi del discorso al parlamento del 15 maggio 1858 di Ottavio Thaon conte di Revel (R3). il grido di dolore Ordito, dunque, il piano di provocazione che avrebbe costretto l’Austria alla guerra, organizzato il piano finanziario, si doveva dare all’opinione pubblica nazionale ed internazionale, per quanto possibile, una giustificazione alla imminente guerra. Fu ancora Napoleone III che dette una mano al Piemonte inventando il grido di dolore. Fortunatamente [!] abbiamo il diario di Giuseppe Massari, che visse in prima persona la vicenda del discorso della Corona che Vittorio Emanuele II avrebbe tenuto inaugurando il nuovo Parlamento nel 1859. il diario di massari 25 dicembre 1858 – Uscendo dal teatro mi sono accompagnato con Cesare Berretta, il quale mi ha raccontato che Rothschild scrive da Parigi: “Tachez de savoir quelque chose sur le discour de la Couronne”. “Datevi da fare per saper qualcosa sul discorso della Corona”. [Perché Rothschild era interessato al discorso della Corona? Perché era interessato alle cose del Piemonte?]. 31 dicembre 1858 – Stamane, prima delle 10, il conte mi chiama al ministero dell’interno. C’è il generale La Marmora. Il conte Cavour mi dà a leggere il progetto del discorso della Corona. Il re dice che non potendo parlare con franchezza, né dire ciò che vorrebbe, preferisce tacere: e non vuol pronunciare nessuna sorta di discorso. Il conte però spera di superare questa difficoltà. Ad ogni modo il re ha detto che se deve pronunciare un discorso vuole sia breve: “La lu fussa curt”. Leggo il discorso: ci faccio parecchie osservazioni di forma. L’ultimo paragrafo è quello che dà maggior ragione di pensare. Si combina nei seguenti termini: “L’orizzonte politico, in mezzo a cui sorge il novo anno, non è pienamente sereno. Ciò non sarà argomento per voi di intendere con minore alacrità ai vostri lavori parlamentari. Confortati dalla esperienza del passato, aspettiamo prudenti e decisi le eventualità dell’avvenire. Qualunque esse sieno, ci trovino forti e concordi, e costanti nel fermo proposito di compiere, camminando sulle orme segnate dal mio magnanimo genitore, la grande missione che la Divina Provvidenza ci ha affidata”. Quel forti e concordi non mi piace, si può essere concordi con un atto di volontà, ed anche, volendo, si può non essere forti, val dunque meglio mettere forti per la concordia. Questa osservazione garba ai due ministri che l’accettano. Il generale La Marmora è commosso visibilmente e trova che il discorso è molto significante. Il conte Cavour è commosso, ma calmo e risoluto, come uomo che sa bene quel che si faccia. Mi chiede in qual guisa credo io che il discorso sarà interpretato dal pubblico. Gli rispondo che nelle attuali disposizioni degli spiriti la frase sull’orizzonte non pienamente sereno sarà interpretata in senso molto bellicoso. 7 gennaio 1859 – Ecco l’opinione di Napoleone III sul discorso del Re: lo approva in complesso, ma dopo le parole eventualità dell’avvenire scrive di suo pugno col lapis: “Je trouve cela trop fort, et je préférerais quelque chose comme dans le genre de ce qui suit”. “Trovo che così sia troppo forte e preferirei qualcosa di questo genere”. Le parole seguenti sono scritte da Maquevel: “Cet avenir ne peut être qu’heureux car…” “Questo avvenire non può che essere felice poiché la nostra politica è basata sulla giustizia, sull’amore per la libertà della patria e dell’umanità: sentimenti che trovano eco in tutte le nazioni civili. Se il Piemonte, piccolo per il suo territorio, conta qualcosa nel consiglio di Europa, è per la grandezza delle idee che rappresenta e per la simpatia che ispira. Questa posizione senza dubbio crea dei pericoli ma tuttavia, rispettando i trattati, non possiamo restare insensibili alle grida di dolore che ci arrivano da tanti punti dell’Italia. Confidando nella nostra unione e nel nostro buon diritto come nel giudizio imparziale dei popoli sapremo attendere con calma e fermezza i giudizi della Provvidenza”. Il conte di Cavour mi dice: “Vada a chiudersi e mi scriva subito un paragrafo in questo senso”. Io mi chiudo nel gabinetto degli affari esteri, e propongo di compilare il paragrafo nel modo seguente: “L’orizzonte in mezzo a cui sorge il nuovo anno non è pienamente sereno: ciò non di meno voi vi accingerete con la consueta alacrità a’ vostri lavori parlamentari. Confortati dalla esperienza del passato, perseveranti nella pratica di una politica che non misura le sue risoluzioni dall’angustia del territorio, ma bensì dalla grandezza de’ princìpi di giustizia, di libertà, di patria, su cui essa riposa, le eventualità dell’avvenire ci trovino prudenti e decisi: le difficoltà non ci sgomentino. Dobbiamo rispetto ai trattati, ma non possiamo rimanere insensibili al grido di dolore, che da tante parti d’Italia si leva verso di noi. Fidenti dunque nel nostro buon diritto, e nel giudizio imparziale della opinione del mondo civile, forti per la concordia aspettiamo con tranquilla fermezza i decreti della Provvidenza”. Alle 5 vado a casa del ministro, e dandogli queste righe gli faccio osservare che esse sono più forti di quelle che Napoleone III ha voluto mitigare. Il conte è del mio parere. È chiaro che Napoleone III spinge le cose avanti. 8 gennaio 1859 – Il conte mi dice che iersera il re esaminò la nuova versione, la approvò con alcune modificazioni. Concordiamo nel dire che questa nuova versione è sempre più forte della prima. Il conte esclama: “Ora non si guarda più addietro”. Nella nuova versione è ancora conservata più letteralmente che nella mia la frase di Napoleone III. 9 gennaio 1859 – Ho veduto due volte il conte Cavour al ministero dell’interno. È agitato perché iersera e stamane il consiglio de’ ministri ha fatto viva opposizione alla frase del discorso del re sul grido di dolore. Perfino Paleocapa è contrario! Il conte Cavour è tacciato di temerità. Il generale La Marmora è anch’egli fra gli opponenti, e ha detto a me, che si teme l’effetto di quella frase sulla Borsa di Parigi [perché?]. Il conte ha scritto a Nigra a Parigi, perché consulti Napoleone III, e risponda per telegramma, prima di domattina. 10 gennaio 1859 – Data memorabile! Fausto giorno! Il 10 gennaio 1855 fu firmato il trattato di alleanza con le potenze occidentali: quel trattato a cui l’Italia deve tutto [si riferisce all’invio delle truppe piemontesi in Crimea: ecco che inizia la falsificazione della storia e la glorificazione di Cavour]. Gloria eterna di Cavour. Anche allora La Marmora e Paleocapa si opponevano! Mancavano allora di senso politico: ne mancano anche oggi. Di buon mattino sono agli affari esteri. Vittoria! La frase è conservata. Viva il re, viva Cavour! Il telegramma di Parigi è giunto stanotte; approva e loda: l’opposizione dei ministri non ha avuto più proteste. Rivedendo le copie del discorso già stampate, che erano tenute sotto chiave, il conte Cavour ha esclamato: “Non dubitate, non si torna più addietro”. Che funzione commovente questa mattina! È riuscita di là delle mie speranze. Il re, Iddio lo benedica, ha letto il discorso a meraviglia. L’effetto è stato immenso. Io ero nell’aula, ed ho veduto tutto benissimo. 11 gennaio 1859 – Alle ore 11 ant. veggo il conte Cavour all’Interno: è preoccupato per la questione finanziaria. Mi dice: “Sarà più facile trovar danari dopo aver fatta toccare una sconfitta agli austriaci che prima”. Sir James stamane mi mostra una lettera di John Samuel nella quale è detto che a Londra “all Jews believe in war” “tutti gli Ebrei sperano nella guerra” (GM). E che il grido di dolore fosse una abile messa in scena, viene comprovato da un piccolo, trascurato avvenimento. Considerazioni: Notevolissimi spunti di riflessione critica sulla storia dell’unità italiana si possono trarre dal racconto del collaboratore del Cavour. Il grido di dolore, innanzi tutto, era la giustificazione che i politici franco piemontesi davano alla politica aggressiva nei confronti dell’Austria. Gli interessi in gioco non erano quelli delle popolazioni che avrebbero gridato il loro dolore ma quelli della Francia [o di qualche francese?], disposta a lasciare al Piemonte, suo strumento, parte del bottino di guerra. Su tutto questo, meglio, sotto tutto questo, si avverte la presenza di un potere più solido e forte del potere politico e militare. Il Massari ci riferisce la preoccupazione del La Marmora nel momento cruciale della vicenda “si teme l’effetto di quella frase sulla Borsa di Parigi”; ci riferisce la preoccupazione del Cavour “nel trovar danari”; ci riferisce che “tutti gli ebrei sperano nella guerra”. Non aveva, allora, alcuna importanza stabilire le ragioni delle popolazioni che avrebbero gridato di dolore; non si fa menzione delle cause di quel grido, né si dice quali popolazioni delle tante italiane avrebbero gridato di dolore. A Plombières Napoleone III e Cavour avevano per ore cercato una ragione di guerra contro l’Austria. Avevano teso l’orecchio ma non avevano sentito alcun grido di dolore. Avevano deciso allora di provocare il grido. Rileggiamo uno dei punti nodali della relazione di Cavour a Vittorio Emanuele sul colloquio con Napoleone. “L’imperatore venne in mio aiuto e ci mettemmo insieme ad esaminare tutti gli Stati d’Italia, per cercarvi questa causa di guerra così difficile da trovare. Dopo aver viaggiato senza successo in tutta la penisola arrivammo quasi senza accorgercene a Massa e Carrara, e là scoprimmo quel che cercavamo con tanto ardore…”. Insomma, per trovare qualcuno che gridasse bisognava provocarlo! Alla base di quegli accordi c’era, però, che la Francia non poteva assolutamente apparire all’opinione pubblica ed alla diplomazia europea come aggressore dell’Austria: erano troppo recenti le gesta del primo Napoleone. Ed allora l’Europa assisté alla indegna ed ignobile campagna di provocazione messa in atto dai Carignano contro l’Austria, per costringerla alla guerra, provocando, in questo modo, la discesa in campo dell’esercito francese. cavour provoca l’austria Bisognava lavorare a “punture di spillo”, “provocare fatti più gravi”, “qualche imprudenza”, “qualche improntitudine”, che mettesse “l’irascibile e violento” imperatore Francesco Giuseppe, diplomaticamente dal lato del torto (MC). Considerazioni: Ma neanche in questo quarto caso (su quattro!) possiamo accreditare al Cavour alcun merito (merito dal punto di vista cavouriano e piemontese) nell’aver perseguito e raggiunto l’obiettivo. Infatti la guerra tanto agognata e preparata da Napoleone III e Cavour, nei giorni immediatamente precedenti al suo scoppio, sembrava, anzi era, definitivamente svanita. alleanza segreta tra francia e piemonte Il 17 gennaio 1859, il principe Napoleone giungeva a Torino per siglare con Vittorio Emanuele II un progetto segreto di alleanza tra la Francia ed il Regno di Sardegna. Il trattato prevedeva l’impegno della Francia ad aiutare il Piemonte nel caso che fosse attaccato dall’Austria; la costituzione alla fine della guerra di un regno dell’Alta Italia, con possibilità di annettere i territori delle Legazioni; la cessione alla Francia della Savoia (la sorte della contea di Nizza era rinviata ad una successiva occasione). Al trattato erano annesse due convenzioni, una militare e una finanziaria. La prima stabiliva che le forze alleate da impegnare in Italia sarebbero state di circa 300 mila uomini, 200 mila francesi e 100 mila sardi; che il comando supremo sarebbe spettato all’imperatore. La seconda stabiliva che le spese di guerra sarebbero state rimborsate alla Francia dal regno dell’Alta Italia per mezzo di annualità corrispondenti a un decimo delle entrate annue del regno stesso (GS). la guerra svanisce Nel febbraio del 1859 la situazione era questa: il ministro degli esteri francese, Walewski, era contrario alla guerra; il ministro degli esteri inglese, Malmesbury si era persuaso che l’Inghilterra doveva in ogni modo adoperarsi ad evitare la catastrofe che “two or three unprincipled men” “due o tre uomini senza principio” minacciavano all’umanità intera “for their personal profit” “per il loro personale tornaconto”. Ai suoi occhi null’altro muoveva Napoleone III, incalzato dalla paura fisica di nuovi attentati alla sua persona da parte di italiani, e null’altro muoveva Cavour, “a desperate adventurer” “disperato avventuriero”, pronto a tutto per uscire dalla disastrosa situazione in cui il suo governo si trovava, a causa delle difficoltà finanziarie (R3). Lo stesso Napoleone sembrava indeciso ed appariva indecifrabile il suo pensiero. Nel frattempo la situazione di Cavour si faceva insostenibile di fronte all’opinione pubblica piemontese e italiana, che aveva puntato sul fatto che Cavour sarebbe riuscito a costringere l’Austria alla guerra. In questo scenario, il 18 marzo, si inserì la proposta russa di un congresso delle cinque grandi potenze sulla questione italiana. Probabilmente la proposta era stata ispirata da Napoleone che non voleva apparire infedele agli accordi presi con il Piemonte, ma di questo mancano le prove. In ogni caso Napoleone aggiungeva, nell’informare Nigra della proposta russa, di essere favorevole perché sperava di ottenere vantaggi per l’Italia: ma questo non era importante per Cavour che, se non scoppiavano le ostilità, avrebbe dovuto dare le dimissioni, avendo puntato tutta la sua credibilità sulla guerra. Vittorio Emanuele, convinto ormai del fallimento del piano di Cavour, lo attaccò addebitandogli di averlo costretto a fare merce di scambio di sua figlia quindicenne, Clotilde, per ottenere l’adesione di Napoleone alla guerra contro l’Austria (R3). Cavour corse a Parigi e minacciò Napoleone III di rifugiarsi in America e di pubblicare la propria versione dei fatti, con i documenti in suo possesso [ovviamente la censura carignanesca ha ben nascosti, o distrutti, questi documenti]. Scrivendo all’imperatore, Cavour affermava che “nous sommes perdus sans retour”, che il re sarebbe stato costretto ad abdicare, che i ministri, a cominciare da lui, sarebbero diventati oggetto della pubblica esecrazione, che su di lui ricadeva la responsabilità “des désastres qui menacent mon Roi et ma patrie” “dei disastri che minacciano il mio re e la mia patria”. A Parigi Cavour incontrò il principe Napoleone (il marito di Clotilde), lord Cowley, con il quale ebbe un incontro piuttosto brusco, l’ambasciatore di Prussia Pourtalés, Szarvady emissario del capo della rivolta ungherese Kossuth, ed infine, non si capisce perché, Rothschild. Cavour quando il 30 marzo lasciò la capitale francese aveva “la disperazione nell’anima” “le désespoir dan l’âme” (R3). la pace Nelle innumerevoli trattative tra le potenze che dovevano partecipare al congresso, si fece strada una proposta inglese di disarmo generale, che fu accettata dall’Austria e che non poteva non essere accettata dal Piemonte, se non facendo apparire chiaro che il suo scopo era far scoppiare la guerra, non evitarla. Alla lettura dei due telegrammi provenienti da Parigi che comunicavano che la Francia aveva “consenti à ce que l’exécution du désarmement au lieu d’être régléé à l’ouverture du Congrès, soit régléé à Londres avant l’ouverture” “acconsentito a che l’esecuzione del disarmo, invece di essere regolato all’apertura del Congresso, dovesse essere regolato a Londra prima dell’apertura”, Cavour esclamò: “Il ne me reste plus maintenant, qu’à me donner un coup de pistolet et à me faire sauter la tête” “Ora non mi resta altro che darmi un colpo di pistola e di farmi saltare la testa” (R3). Il consiglio dei ministri, convocato da Cavour il 19 aprile 1859 per dare risposta alla proposta di pace, durante il quale Cavour fu messo sotto accusa da tutti i suoi colleghi, verbalizzava: “In seguito ai dispacci giunti stanotte, dai quali risulta che la Francia stessa ha accettato la base del disarmo generale, che debba precedere il Congresso, salvo a prendere i concerti per l’esecuzione, e salvo ad instare per l’ammissione del Piemonte al Congresso sulle basi del Congresso di Laybac, si delibera…”. Il verbale prosegue con il testo della risposta da dare che ritroviamo nel telegramma inviato a Parigi con l’accettazione della proposta inglese di disarmo che scongiurava la guerra: “Puisque la France s’unit à l’Angleterre pour demander au Piémont le désarmement préalable, le Gouvernement du Roi, tout en prévoyant que cette mesure peut avoir des conséquences fâcheuses pour la tranquillité de l’Italie, declare être disposé à le subir” “Dal momento che la Francia si è unita alla Inghilterra per chiedere al Piemonte il disarmo preliminare, il governo del re, pur prevedendo che questo provvedimento può avere delle incresciose conseguenze, dichiara, per la tranquillità dell’Italia, di essere disposto a subirlo” (R3). decisione di suicidio di cavour A questo punto la vicenda era chiusa: la guerra non ci sarebbe stata. E con la pace si sarebbe verificata la rovina politica, finanziaria e forse dinastica del Piemonte. Cavour il 17 aprile aveva scritto al nipote Ainardo una lettera piena di amarezza e di scoramento nella quale si preannunciava il suo suicidio. La lettera fu però spedita il 19 quando Cavour ebbe la certezza che la guerra non sarebbe scoppiata. Evidentemente Cavour sapeva che le cose si mettevano male e quindi aspettava la notizia dell’imposizione della pace, da parte delle grandi potenze, per suicidarsi. “Mon cher ami, grâce à un concours de circostances malheureuses et à la perfidie de l’Empereur, notre pays se trouve placé dans une position excessivement difficile et des plus fâcheuses. Je ne puis me dissimuler que la responsabilité de ces tristes événements ne retombe entièrement sur ma tête. Je dois par conséquent prévoir un avenir plein de vicissitudes et de danger. Mon devoir est de prendre mes dispositions en conséquence, et de puorvoir à des certains engagements qui ne sont pas moins sacrés pour ne pas être de nature à être publiés sans inconvenients. Dans ce but je dois faire mon testament. Mon intention a toujours été de t’instituer purement et simplement mon héreditier universel, en confiant à ta délicatesse et à ton affection pour moi l’exécution ponctuelle des engagements dont je t’ai parlé plus haut. Je ne doute nullement de toi, toutefois une assurance formelle de te conformer à ce que je prierai faire par une lettre que Tosco te remettrait en cas de mort, adoucirait l’amertume de ma position. J’espérais te lénguer un nom illustre et béni par les Italiens. Au lieu probablement ton nom sera associé aux malheurs de notre pays. Je t’embrasse” (R3). “Mio caro amico, per colpa di un concorso di circostanze sfortunate e della perfidia dell’imperatore, il nostro paese si ritrova in una posizione difficilissima e spiacevolissima. Non posso nascondermi che la responsabilità di questi tristi avvenimenti ricade interamente sulla mia testa. Devo perciò prevedere un avvenire pieno di vicissitudini e pericoli. In conseguenza devo prendere le mie disposizioni e provvedere ad alcuni affari importanti che non possono diventare pubblici senza inconvenienti. Perciò io devo fare il mio testamento. La mia intenzione è sempre stata di nominarti mio erede universale, confidando nella tua sensibilità e nel tuo affetto per me per l’esecuzione puntuale degli impegni dei quali ti ho parlato. Non ho alcun dubbio su di te, tuttavia una formale assicurazione di conformarti a quanto ti pregherò di fare nella lettera che Tosco ti farà avere in caso di morte, addolcirà l’amarezza della mia situazione. Io speravo di lasciarti un nome illustre e benedetto dagli italiani. Invece probabilmente il tuo nome sarà associato alle disgrazie del nostro paese. Ti abbraccio” (DB). cavour brucia documenti Chiusosi nello studio del suo appartamento ordinò che nessuno entrasse e si diede a bruciare e lacerare carte e documenti. Nell’abitazione si diffuse l’allarme e gli amici, Minghetti, Rodolfo Audinot e Farini sollecitarono Castelli, l’amico più vecchio e fedele fra tutti, ad intervenire. “Entrato nella camera – narra Castelli – lo trovai circondato da mucchi di carte che aveva lacerato e nel caminetto bruciavano molte altre. Mi guardò fisso e non parlava. Allora io con tutta calma dissi: “So che nessuno deve entrare qui; ma per ciò stesso io ci sono venuto” e, facendomi forza, soggiunsi: “Devo credere che il conte di Cavour voglia disertare il campo prima della battaglia, voglia abbandonarci tutti?!”. Cavour si alzò, mi abbracciò convulsivamente e dopo aver girato quasi fuor di sé per la camera, fermandosi davanti a me, pronunziò lentamente queste parole: “Stia tranquillo, affronteremo tutto, e sempre tutti insieme””. [Come sono brave le mosche cocchiere! Chissà se avrebbe scritto questo il Castelli, se le cose fossero andate altrimenti!]. La sera stessa Cavour scriveva a Giacinto Coiro: “Salveremo le vacche ma perderemo la causa italiana. L’imperatore è stato ingannato o è traditore. Credo che potrò fra breve abbandonare il ministero che aborro per andare a stabilirmi a Leri in modo definitivo” (R3). Considerazioni: 1- perdita documenti suicidio guerra; 2 – perdita documenti suicidio non guerra; 3 – perdita documenti non suicidio guerra; 4 – perdita documenti non suicidio non guerra; 5 – non perdita documenti suicidio guerra; 6 – non perdita documenti suicidio non guerra; 7 – non perdita documenti non suicidio guerra; 8 non perdita documenti non suicidio non guerra. Otto erano le possibilità. Se almeno una volta Cavour nella sua vita avesse raggiunto l’obiettivo prefisso, si sarebbe verificata la possibilità numero sei… e l’unità d’Italia si sarebbe realizzata in altro modo, sicuramente migliore! Invece… si è verificata la possibilità numero tre: abbiamo perso i documenti che avremmo voluto tanto conoscere, Cavour non morì e, con lo scoppio della guerra tra la Francia e l’Austria, si determinò il successivo assetto dell’Italia. fortuna di cavour o altro? Se a questo punto, il 19 aprile, l’Austria, in modo inconsulto e misterioso, non avesse inviato un ultimatum al Piemonte, senza consultare nessuna altra potenza, dando l’opportunità al Piemonte di far scoppiare la guerra respingendo l’ultimatum, oggi noi dovremmo ragionare in tutt’altro modo e l’ultimo dei nostri pensieri e delle nostre preoccupazioni sarebbe quello di interessarci di un piccolo personaggio di un piccolo Stato provinciale che aveva tentato la grande fortuna alla roulette. Ma la storia non si fa con i se ed i ma ed oggi siamo qui a riportare almeno alla realtà il personaggio Cavour. Di certo noi sappiamo che tra il 17 aprile, giorno in cui aveva scritto la lettera al nipote con l’intenzione di suicidarsi, ed il 19, quando l’Austria decise di inviare l’ultimatum al Piemonte, Cavour non svolse alcuna azione diplomatica per recuperare la situazione a suo vantaggio. C’è da chiedersi, allora, perché gli storici ufficiali ancora oggi sostengano che Cavour sia stato abile e gran tessitore. quale è la verità sullo scoppio della guerra? In ogni caso non è stata ancora scritta la verità, o non convince la verità ufficiale, sul perché una potenza di prima grandezza come l’Austria si sia andata a pregiudicare, invischiandosi in una guerra con un piccolo paese, nella quale non aveva nulla da guadagnare. Non aveva da guadagnare territori perché era impensabile che la Francia accettasse la scomparsa dello Stato cuscinetto rappresentato dal Piemonte. Non aveva da guadagnare risarcimenti in danaro per il precario stato delle finanze piemontesi. In quel momento, inoltre, l’Austria era alle prese con una sua gravissima crisi finanziaria e con la rivolta dell’Ungheria. Per ciò l’esborso di una cifra considerevolissima per una campagna militare e l’apertura di un secondo fronte di guerra non potevano essere di alcun suo interesse. Né regge la debole spiegazione dell’orgoglio e del falso senso dell’onore di Francesco Giuseppe che gli avrebbe impedito di tollerare più oltre le provocazioni e gli attentati ai suoi legittimi diritti perpetrati da ormai troppo tempo da Napoleone III e dai suoi complici. Né, infine, regge la spiegazione di Massimo d’Azeglio: “La sommation (l’intimazione) dell’Austria proprio al momento che la nostra condotta ci faceva diventare i beniamini dell’Inghilterra, è stato uno di quei terni al lotto che accadono una volta in un secolo”. Lungi da me l’azzardare spiegazioni che non risultano da alcun documento né da alcuna testimonianza; nulla mi impedisce, però, dal dichiararmi insoddisfatto di tutte le spiegazioni su quel folle gesto austriaco che ci ha regalato la falsa figura cavouriana di pater patriae. Chi aveva dato illusione all’Austria di un conflitto più generalizzato che avrebbe visto tutti i tedeschi contro i francesi? Chi impedì alla Prussia l’entrata in guerra e come? Non dimentichiamo che dieci anni dopo la Prussia mise fine all’impero francese, con la battaglia di Sedan. E se la verità stesse tra le carte distrutte dal Cavour o tra quelle ancora nascoste? Oppure nello strano comportamento di Napoleone nel bel mezzo della guerra? concausa oppure causa della guerra del 1859? Come abbiamo visto, alla notizia dell’inizio delle trattative di pace, Cavour corse a Parigi per incontrare Napoleone. Cavour minacciò Napoleone di pubblicare i documenti in suo possesso che, evidentemente, avrebbero messo in imbarazzo l’imperatore. Ma non sappiamo se effettivamente Cavour avesse anche minacciato Napoleone di farlo assassinare. Persone vicine a Napoleone erano persuase che, nel far decidere l’imperatore ad aiutare Cavour a cacciare gli austriaci dall’Italia, avesse una parte importante la sua paura quasi paralizzante di venire assassinato da qualche rivoluzionario italiano (MZ). guerra del 1859 Come sappiamo la storia non andò esattamente come Napoleone III e Cavour avevano stabilito a Plombières. Napoleone nel bel mezzo della guerra all’Austria si fermò. Invece di marciare su Vienna, firmò l’armistizio di Villafranca con l’imperatore d’Austria, senza consultare né Cavour né Vittorio Emanuele. Ai piemontesi non rimase altro che accettare la situazione, non prima, però, di rinegoziare con Napoleone III il costo della guerra. Napoleone, che non era stato ai patti, poiché si era accordato direttamente con l’Austria, invece di addebitare l’intero costo della guerra, circa 360 milioni, chiese al Piemonte di pagare solo 60 milioni. I documenti non chiariscono fino in fondo lo strano comportamento di Napoleone III. È indubbio che delle forti, fortissime, pressioni esterne fermarono Napoleone, che credeva di avere Francesco Giuseppe in pugno, e obbligarono l’imperatore austriaco ad accettare le trattative di pace con le forze militari ancora integre. Tra queste pressioni, ci furono quelle di natura politica e militare da parte della Prussia, dell’Inghilterra e della Russia. Ma non furono le sole e le principali; bisogna tenere conto, dal punto di vista austriaco, anche della rivolta ungherese, delle divisioni tra i militari, tra i politici e tra i diplomatici, della situazione economica e finanziaria e, principalmente, degli interessi a questa legati. colloquio tra napoleone III e francesco giuseppe A Villafranca, l’otto luglio 1859, i due imperatori si erano chiusi da soli, senza consiglieri e interpreti, in una stanza a pianterreno dove avevano parlato per un’ora circa, in apparenza senza accorgersi dei giornalisti che sbirciavano dalle finestre. Stavano seduti a tavolino fumando sigarette e parlando speditamente in francese o in tedesco. Non avevano cartine spiegate davanti. Di tanto in tanto prendevano qualche appunto su un foglio di carta. Un giornalista dichiarò di aver visto Napoleone III gualcire nervosamente dei fiori, e di certo era meno a proprio agio di Francesco Giuseppe (PA). Considerazioni: Da notare i giornalisti: qualcuno doveva ricevere testimonianza del fatto che Napoleone aveva parlato con Francesco Giuseppe. Qualcuno sapeva cosa avrebbe detto Napoleone a Francesco Giuseppe. Cosa gli disse? una piccola importante traccia di storia non scritta Abbiamo già visto l’episodio durante il quale Cavour, in occasione dell’armistizio di Villafranca, “sembrava quasi uscito di senno”. Della crisi di isteria del conte di Cavour ci ha lasciato una testimonianza il generale Della Rocca, firmatario dell’armistizio di Villafranca: “In sul più bello, mentre il Cavour esalava il suo cattivo umore contro il re, contro di me, contro tutti, piombò tra di noi il principe Gerolamo Buonaparte. Incontrato il Bixio, stato fin allora un suo amico, gli fece il viso dell’arme e non lo salutò” (MC). alessandro bixio Alessandro Bixio (fratello del più conosciuto Nino), era emigrato da giovane in Francia ed era diventato cittadino francese. Era un uomo d’affari legato ai banchieri ebrei Rothschild e Péreire. Ma, cosa faceva lì Alessandro Bixio? E perché il principe Napoleone gli fece una brutta faccia (il viso dell’arme)? Per darci una spiegazione alla prima domanda torniamo indietro al 1852 quando si determinò nel parlamento piemontese una maggioranza che faceva prevedere la caduta del ministero d’Azeglio. Cavour, che sapeva di dover succedere al d’Azeglio, decise di “sottrarsi al logorio politico e psicologico dell’attesa” con un viaggio all’estero. Ma la ragione del viaggio era un’altra. Sia a Londra che a Parigi incontrò tutti quei personaggi che ritroveremo nella storia dell’unità d’Italia. A Parigi Cavour non poté non respirare l’atmosfera di ritrovata fiducia originatasi nei ceti imprenditoriali e capitalistici, dopo il colpo di stato di Napoleone III. “I capitali sorgono da tutte le parti. La prosperità finanziaria è immensa” scriveva Cavour. Ed a Parigi, tra gli altri, incontrò Alessandro Bixio che fece da tramite tra Cavour e gli ambienti bancari ebraici. In quei colloqui nacquero tutte le iniziative industriali, in particolare ferroviarie, come la Vittorio Emanuele, bancarie e finanziarie che caratterizzeranno i successivi sette anni del ministero Cavour, fino alla guerra con l’Austria (R2). Circa il viso dell’arme fatto da Gerolamo Bonaparte ad Alessandro Bixio possiamo pensare che la sua presenza significava la sospensione della guerra, sospensione che il principe Gerolamo non condivideva: insomma gli interessi rappresentati dal Bixio vinsero su quelli militari e dinastici dei napoleonidi! Ecco alla conclusione dei progetti discussi a Parigi nel 1852 il controllore: la presenza di Alessandro Bixio. Gli effetti della sua presenza si videro subito. strano provvedimento di francesco giuseppe La situazione finanziaria dell’impero austriaco, prima e durante la guerra con il Piemonte, dava origine alle più serie preoccupazioni. Il riflusso dall’estero di titoli austriaci, in corso dai primi del 1859, aveva accentuato il drenaggio delle risorse valutarie della Nationalbank che aveva dovuto sospendere i pagamenti in contanti, mentre l’aggio sull’argento saliva in maggio al 40 per cento e il corso dei titoli di Stato austriaci crollava a Francoforte da 81 fiorini in gennaio a 38 in aprile. Tutta l’economia del paese veniva dunque investita da gravi tensioni inflazionistiche, mentre la capacità di importazione risultava drasticamente ridotta, ed il ministro delle finanze Bruck doveva mettere mano alle riserve metalliche della Nationalbank, con grave danno del credito al paese, per procurare all’esercito le forniture necessarie. Già per queste ragioni era chiaro che lo sforzo bellico non avrebbe potuto protrarsi più a lungo (R3). Quattro giorni dopo l’armistizio [!], il 15 luglio 1859, durante il primo consiglio dei ministri dopo la sconfitta militare, l’imperatore Francesco Giuseppe rendeva pubblico il famoso Manifesto di Laxenburg col quale si affrettava a promettere alla borghesia un sostanziale mutamento di rotta. “Le benedizioni della pace – affermava l’imperatore austriaco – sono doppiamente preziose perché mi procureranno l’agio necessario per consacrare tutta la mia attenzione e le mie cure, non più turbate da nulla, al felice adempimento del compito che mi sono prefisso”. Di lì a poco il Regolamento industriale austriaco abrogava il regime delle corporazioni, introduceva la libertà del lavoro, dava l’avvio alla prima rivoluzione industriale dell’Austria. Gli ebrei di Vienna ed i protestanti di Germania ringraziarono (MC). Quattro giorni dopo la battaglia di Solferino, la borsa austriaca ebbe un rialzo! (R3). In novembre l’imperatore Francesco Giuseppe approvò la proposta di abolire molte restrizioni residue imposte alle comunità ebraiche dell’impero. Istituì, prima della fine dell’anno il Comitato per il debito di Stato, con il compito di esaminare la struttura finanziaria dell’impero, poiché concordava con il ministro delle finanze Bruck sulla necessità di rassicurare gli investitori stranieri (PA). Considerazioni: Insomma, vendendo e ricomprando i titoli del debito pubblico austriaco, la grande finanza internazionale faceva la guerra e la pace! Per amore o per forza i grandi mercati si dovevano aprire ai grandi capitali. Che questo fosse il principale scopo nella guerra fatta da Napoleone (o fatta fare a Napoleone) all’Austria, è dimostrato dall’armistizio di Villafranca, senza giustificazioni militari da parte della Francia e dal manifesto di Laxenburg. Il resto è storia a contorno, appare come la storia della mancia rilasciata ai servitori. cavour diplomatico Dopo la battaglia di Solferino, la diplomazia internazionale si attivò per arrivare ad una sistemazione della situazione italiana, possibilmente senza la prosecuzione della guerra. Anche Cavour si attivò per volgere a suo favore gli avvenimenti e, per ottenere questo, ebbe contatti con tutti i gabinetti europei. In particolare, nel tentativo di combattere l’ostilità dell’opinione pubblica germanica, aveva anche inviato, dietro suggerimenti russi e francesi, una nota al presidente di turno della Dieta di Francoforte, il prussiano Usedom, mettendo in rilievo la solidarietà degli interessi piemontesi e germanici: ma il documento dovette essere ritirato per consiglio dello stesso destinatario, il quale avvertì che l’insistenza sul disegno di cacciare l’Austria di là dalle Alpi avrebbe invece rinsaldato la solidarietà dei minori Stati tedeschi col governo di Vienna. Usedom dava questo giudizio molto negativo sul documento cavouriano: “Eine taktlosere, unpolitischere Fassung dieses Aktenstückes konnte unter den obwaltenden Umständen nicht gedacht werden” “Questa nota, indelicata e impolitica, nelle presenti circostanze, appare improvvisata”. Sembra che Cavour abbia riferito, falsamente, di suggerimenti russi e francesi per “giustificare il suo passo errato” (R3). altra ragione dell’armistizio di villafranca Napoleone, tra le ragioni che lo indussero a firmare l’armistizio di Villafranca, tenne sicuramente presente anche un’altra ragione, quella finanziaria tra la Francia ed il Piemonte, giacché il trattato del dicembre 1858 aveva stabilito che il Piemonte avrebbe pagato le spese di guerra della Francia con il decimo delle entrate dei nuovi territori conquistati, ma la Francia aveva già speso ben 360 milioni di franchi e la sua alleata altri 80 milioni, somme che nessuna prevedibile tassa piemontese sul reddito sarebbe riuscita a raccogliere, ed è da domandarsi se mai Cavour fosse stato in buona fede quando aveva stipulato tale accordo (VE). scenario dell’italia disegnato da napoleone e cavour Dobbiamo ora riflettere sullo scenario che il Cavour e Napoleone III avevano disegnato a Plombières come conseguenza della guerra all’Austria che studiavano di provocare. “La valle del Po, la Romagna e le Legazioni costituirebbero il Regno dell’Alta Italia sul quale regnerebbe la casa di Savoia. Il papa conserverebbe Roma e il territorio circostante. Il resto degli Stati del papa con la Toscana formerebbe il Regno dell’Italia Centrale. La circoscrizione territoriale del Regno di Napoli non sarebbe toccata. I quattro Stati italiani formerebbero una confederazione sul modello dela Confederazione germanica, la cui presidenza sarebbe data al papa per consolarlo della perdita della parte migliore dei suoi Stati”. Quanto poi si realizzò non coincise in alcun modo col disegno. Le ragioni sono varie. Innanzi tutto non fu assolutamente prevista l’ingerenza dell’Inghilterra in questa vicenda. Napoleone III e Cavour si preoccupavano soltanto di tenerla buona e di fare i propri interessi. Non pensarono che l’Inghilterra potesse invece avere interesse alla nascita di una potenza mediterranea, proprio antagonista dell’Austria e della Francia, che a partire dal 1844 aveva incominciato la sua espansione nel Mediterraneo. Poi non fu prevista l’inazione della Russia e del suo disinteresse verso questo quadrante dello scacchiere mediterraneo. Infine non fu prevista la ingerenza del capitalismo internazionale, che non reputò sufficiente la conquista della sola valle del Po, per consentire al Piemonte il pagamento dei suoi debiti. Ma ritorniamo al Cavour ed alla sua azione politica. cavour corruttore Nel gennaio 1861 Cavour e Pio IX stavano trattando la cessione di Roma per via amichevole. Negoziatore ufficioso del governo di Torino presso la Santa Sede era il medico marchigiano Diomede Pantaleoni; dopo un ultimo colloquio con Cavour e col ministro dell’interno Minghetti, l’11 febbraio 1861, un certo padre Passaglia si recava a Roma con in tasca cento napoleoni d’oro. Ma per corrompere i prelati della Curia romana, Pantaleoni era autorizzato a spendere molto di più. “Le faccio facoltà – gli scriveva Cavour – di spendere quanto reputerà necessario per amicarsi gli agenti subalterni della Curia. Quando poi occorresse di ricorrere a mezzi identici ma sopra larga scala pei pesci grossi, me li indicherà, ed io vedrò di metterli in opera, valendomi però di altra via di quella dei negoziatori che saranno lei ed il padre… Dio voglia che i suoi sforzi siano coronati da esito prospero. Ella avrà associato il suo nome al più gran fatto dei tempi moderni” (MC). corruzione della stampa Frequente, e sostenuto da un largo ricorso ai fondi segreti, fu l’intervento del ministero di Cavour nelle cose della stampa, diretto sia a favorire all’interno giornali e giornalisti schierati dalla parte del governo, sia ad alimentare le simpatie della stampa liberale straniera per la causa del Piemonte. “La Staffetta è un pessimo giornale che fa torto al ministero: lo dissi a Dina – è Cavour che scrive – questa primavera. Non do un soldo se prima la Staffetta non cessa le sue stupide pubblicazioni. Ciò fatto rimetterò ora a Dina L. 3.000 e in gennaio L. 3.000. Se questi patti non sono accettati, gli ripeto, non do un soldo”. Cavour dava direttive all’intendente Conte per non far nascere un giornale mazziniano a Genova. Lo stesso intendente, Conte, informava Cavour che il solo giornale sardo, lo Statuto, favorevole al governo fosse quello sovvenzionato. Nell’Archivio Cavour, corrispondenti, si trovano numerose lettere di editori e giornalisti stranieri, di livello e moralità molto varia, che si offrono di sostenere il governo liberale piemontese. [Evidentemente la voce si era sparsa]. Qualche nome: Henri Avigdor (Presse), Félix Belly (Le Pays, Journal de l’Empire), François Buloz (Revue des deux mondes), De Poggenphol (Nord di Bruxelles), C. Navin (Siècle), Pallieri (L’Italie) (R3). Ma la stampa piemontese non veniva corrotta solo da Cavour. Anche la Rosina Vercellana, la contessa di Mirafiori, l’amante del re, conosceva quest’uso dei giornali piemontesi. Quando il sovrano si voleva liberare del Cavour, anche perché questi non vedeva di buon occhio la sua relazione con la Rosina, quest’ultima acquistò gli articoli dello Stendardo, pagandoli 12.000 franchi (R3). onore – I Garibaldi, nel più grande segreto, aveva ricevuto denaro ed armi dal governo italiano in vista di una invasione dei territori papali che si pensava avrebbero fornito un pretesto per intervenire all’esercito nazionale. Mazzini era intanto pronto alla guerra civile, soprattutto perché pensava giustamente che il re si sarebbe schierato contro Garibaldi al primo segno di disapprovazione della Francia. L’unica speranza seria era che i cittadini di Roma precipitassero le cose con una insurrezione che li facesse intervenire sul loro destino; pensò anche per un momento di recarsi a Roma di persona per renderlo possibile. Contemporaneamente Vittorio Emanuele stava proponendo, segretamente, a Napoleone un accordo in base al quale francesi ed italiani avrebbero occupato, insieme, la città di Roma impedendo così al partito mazziniano di deporre il papa e di proclamare la repubblica. Il re disse a diverse persone che, come “premio supplementare”, gli si doveva permettere di “massacrare” Garibaldi e 30 mila volontari appartenenti alla “feccia criminale” dei seguaci di Garibaldi e Mazzini. Questo infelice termine “massacrare”, insieme allo “sterminare” usato nel 1860 da Cavour contro i garibaldini, veniva stranamente proprio da coloro che definivano Mazzini un “assassino” (MZ). onore – II E che questo fosse lo scenario morale in cui si muovevano i protagonisti di quella che poi ci sarebbe stata raccontata come epopea risorgimentale, si può desumere da questo altro avvenimento. Nell’agosto 1870 le truppe francesi lasciarono Roma, perché c’era bisogno di loro sul fronte del Reno, ma Vittorio Emanuele II continuò a tacciare i suoi ministri di vigliaccheria perché erano ormai meno desiderosi di prima di vederlo combattere a favore del suo ex alleato. Egli, infatti, puntava su di una vittoria della Francia e sperava di trovarsi di nuovo dal lato del vincitore. In effetti, fu solo la notizia della disastrosa sconfitta di Napoleone a Sedan che lo indusse improvvisamente a prendere un atteggiamento più realistico. Era chiaro che l’alleanza con la Francia non rappresentava che un duplice inconveniente ed il re, degno rappresentante della sua dinastia, “passò rapidamente dalla parte opposta”, avendo cura di spiegare al Papa che egli era costretto ad annettere Roma contro la sua stessa volontà. Le lettere di Lanza indicano che, ancora una volta, i fondi segreti furono utilizzati per suscitare una insurrezione che offrisse il pretesto per intervenire “a restaurare la legge e l’ordine”; ma neppure questa volta i romani si sollevarono. Si dovette così trovare una altra scusa per l’invasione ed alcuni municipi di là dal confine pontificio furono sollecitati ad inviare a Firenze petizioni invocanti protezione contro l’anarchia. Un breve scontro, una breccia nelle mura, e la Città Sacra cadde in mano dell’ultimo di una lunga serie di avidi nemici (MS). comportamento spregevole Il 27 dicembre 1858 Giuseppe Massari descrive nel suo diario una vicenda che vede Cavour e Napoleone III comportarsi in modo spregevole. “Il conte – annotava il Massari – mi fa vedere una lettera che Berryer scriveva a Napoleone III molti anni or sono per chiedergli 10 mila franchi in prestito. Napoleone III vuole ora si stampi quella lettera per punire il Berryer dell’arringa con cui ha ora difeso il conte di Montalembert. Prometto al conte di Cavour di fare in modo che l’Opinione appaghi il desiderio dell’imperatore” (GM). cavour statista rivoluzionario Nel 1859 Cavour, nemico giurato della rivoluzione, aveva tentato senza molto successo di dare l’avvio a rivoluzioni mazziniane in Lombardia e nell’Italia centrale; e lo stesso aveva fatto, sempre senza successo, l’anno dopo in Sicilia, a Napoli e negli stati del papa. Alla fine del 1860 si spinse più in là e impegnò le risorse dello Stato nel sollecitare un’altra serie di rivoluzioni in tutta l’Europa orientale. Parlava del desiderio di rendere le “razze latine” dominatrici del Mediterraneo; voleva “un moto insurrezionale che dal litorale dalmata ed illirico si estendesse sino alle rive del Baltico”, col dichiarato proposito di sfruttare quei moti in un’altra guerra contro l’Austria; una guerra che, abbastanza significativamente, diceva necessaria “per motivi di ordine interno”, cioè per rinsaldare negli italiani il senso della patria. Con parole che sembravano prese da Mazzini, il primo ministro illustrava ora la sua intenzione di creare nazionalità autonome in tutti i Balcani, aiutando i greci a prendere Costantinopoli e dando vita a una Ungheria indipendente. Quel progetto così ambizioso finì in un altro fallimento, benché Cavour fosse favorito dal fatto di potersi servire dei suoi ambasciatori e dei suoi consoli nei paesi balcanici per contrabbandare in quelle zone armi e denaro. Fra l’altro salpò segretamente da Genova una flottiglia di navi con carichi di armi, compresi pezzi di artiglieria pesante, il tutto registrato nelle polizze di carico come caffè. La flottiglia fu seguita sin dal primo momento dalla flotta austriaca e poi confiscata dai turchi. Cavour inoltrò una protesta formale per questa confisca, affermando che il contrabbando di armi avrebbe incontrato sempre la sua ferma opposizione; ma dalle scritte apposte sulle casse confiscate appariva chiaramente che esse provenivano dal Regio Arsenale di Torino. Il personale dell’ambasciata di Costantinopoli tentò affannosamente di ricoprire quelle scritte di vernice; ma era troppo tardi. Un diplomatico piemontese commentò: “Giammai cospirazione fu fatta con tanta innocenza battesimale”. Ma Cavour fece presto a trovare il modo di sfruttare quel fallimento per compromettere un concorrente, e tentò di convincere gli inglesi che quelle armi dovevano essere state inviate da Garibaldi. Tentò anche di deviare i sospetti su Mazzini, e inventò una storia fantastica secondo la quale quest’ultimo stava mandando a Roma sicari travestiti da contadini per provocare il crollo del regime papale (MZ). opinione in francia sul piemonte Se la nostra critica ai personaggi di quegli avvenimenti è agevolata dalla distanza temporale, dobbiamo riportare anche le opinioni contemporanee, per stabilire se la nostra è critica storica originale oppure condivisa. “Quand on est conduit comme à Turin par des enfants qui crient fort pour montrer qu’ils sont des hommes…”. “Quando si è guidati, come a Torino – esclamava alla Camera dei Deputati francese, Adolphe Thiers, ministro degli esteri di Luigi Filippo, a proposito delle intenzioni bellicose del Piemonte – da bambini che gridano forte per dimostrare che sono uomini. Quando si pronuncia la parola guerra bisogna chiedersi: siamo in grado di farla?” (MC). le ultime parole del benso di cavour morente Alle nove di sera del 5 giugno 1861 il re visita Cavour morente. Cavour gli dice tra l’altro: “E i nostri poveri napoletani così intelligenti! Ve ne sono che hanno molto ingegno, ma ve ne sono altresì che sono molto corrotti. Questi bisogna lavarli”. Cavour, nell’estremo delirio, pronunzia disordinatamente [o forse, meglio, gli attribuirono giornalisti interessati a propalare quella che doveva diventare una verità accertata] frasi come queste: “L’Italia del settentrione è fatta: non vi sono né lombardi, né piemontesi, né toscani, né romagnoli, noi siamo tutti italiani: ma vi sono ancora i napoletani. Oh, vi è molta corruzione nel loro paese. Non è colpa loro, povera gente: sono stati così mal governati! È quel briccone di Ferdinando! No, no, un governo così corruttore non può più essere restaurato: la Provvidenza non lo permetterà. Bisogna moralizzare il paese, educare l’infanzia e la gioventù, crear sale d’asilo, collegi militari, ma non si pensi di cambiare i napoletani con l’ingiuriarli. Essi mi domandano impieghi, croci, promozioni: bisogna che lavorino, che siano onesti, e io darò loro croci, promozioni, decorazioni: ma soprattutto non lasciargliene passar una: l’impiegato non deve nemmeno essere sospettato. Niente stato d’assedio, nessun mezzo da governo assoluto. Tutti son buoni di governare con lo stadio d’assedio. Io li governerò con la libertà. In venti anni saranno le province più ricche d’Italia. No, niente stato d’assedio” (FD).
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