L´Armonia è l´elemento da recuperare
RAIMON PANIKKAR
La grande sfida per questa civiltà dominante,
così poco capace di ascoltare la parola degli altri, è quella di superare i
dualismi sui quali è fondamentalmente strutturata
Avrebbe voluto “danzare la scienza”
Raimon Panikkar il 13 settembre
scorso, in un teatro gremito fino all´inverosimile, davanti a un pubblico che
non perdeva una battuta delle sue parole. Si è dovuto accontentare di
“pensarla”, e lo ha fatto in un senso del tutto particolare: ha cercato di
‹‹soppesare tutti quegli elementi che la scienza tratta e di lasciarli
depositare dove volevano andare››.
Secondo il suo stile e la sua forma di pensiero, si è preoccupato più di
restaurare l´armonia cosmica del reale che di una critica diretta all´impresa
scientifica.
IL CONTESTO
Come intellettuale proveniente da un altro mondo culturale, ha voluto prima di
tutto delineare il contesto in cui si pone l´interrogativo sulla scienza e ha
evocato quell´80% dell´umanità sofferente e silenzioso che ha una visione della
vita diversa dalla nostra, capace però di relativizzare i nostri concetti di
verità, salvezza, progresso. In fondo l´Occidente, a dire di Panikkar, non ha
superato il monoculturalismo, come dimostra l´adesione acritica alla globalizzazione,
e confonde l´invariante umana con l´universale culturale. Ci sono dei gesti,
dal mangiare, al dormire, al respirare che sono comuni agli esseri umani, ma la
maniera di interpretarli varia da cultura a cultura.
La
grande sfida per questa civiltà dominante, così poco capace di ascoltare la
parola degli altri, è quella di superare i dualismi sui quali è
fondamentalmente strutturata e recuperare l´armonia, ‹‹che non equivale né
all´unità né al compromesso››. Panikkar adopera il termine greco ontonomia, la legge
interna dell´essere, per indicare che ogni cosa può trovare il suo posto nella
realtà senza fratture e senza conflitti. L´armonia, però, ‹‹implica un
superamento del pensare, perché include all´interno del pensare anche
l´amore››.
Per dare concretezza al suo discorso, il filosofo ispano-indiano indica tre
forme di ontonomia che l´Occidente deve recuperare con urgenza. Anzitutto
l´ontonomia del femminile, che non consideri quest´ultimo come un accidente del
maschile, non lasci ai maschi il monopolio dell´umano. In secondo luogo
l´ontonomia della natura, che sottolinei i diritti della terra a essere
trattata come madre e non “violentata come una meretrice”, secondo la vivida
espressione di Francesco Bacone all´inizio della modernità. Infine l´ontonomia
del divino, che prenda congedo da un Dio estrinseco come si è configurato nella
cultura occidentale, e recuperi la Trinità quale interrelazione del divino,
dell´umano e del cosmico.
IL TESTO
Quando Panikkar passa a esaminare il testo, ossia la scienza moderna, si chiede
come mai essa abbia avuto un così grande successo. La sua risposta fa appello a
diversi motivi. Il legame con la tecnologia, che ha portato innegabili vantaggi
a una minoranza dell´umanità, non può essere certamente sottovalutato, ma la ragione
più profonda è che la scienza ha rappresentato il sostituto del cielo. ‹‹Si è
presentata, anche per il fallimento delle altre realtà umane, come la via che
ci porterà al cielo, alla felicità, all´abbondanza, allo sviluppo, al
progresso››. Un´altra ragione non secondaria del successo della scienza è la
“lussuria del potere”: la conoscenza scientifica dà potere, a prescindere dal
suo legame attuale col capitale
.
IL PRETESTO
Dobbiamo ammettere – conclude Panikkar esaminando il pretesto che ci spinge a pensare la scienza – che la civiltà scientifica non ha avuto successo: ci sono oggi più guerre, più suicidi, più vittime, più infelicità; l´uomo è stato trasformato in oggetto, la soggettività è atrofizzata. Non rimane che emanciparci dal dominio della scienza: ecco il compito che s´impone all´uomo contemporaneo. Non si tratta di condannare o di mettere da parte l´impresa scientifica, ma di non lasciarsi dominare da essa. Per poterlo fare occorre superare il pensiero dialettico con una forma di pensiero che Panikkar chiama adualista, in cui non ci sia scissione tra conoscenza e amore, e soprattutto rendersi conto che il terreno della coscienza è molto più ampio di quello della razionalità. Solo l´impiego del simbolo ci libera dal monopolio della ragione e ci permette di accedere a quella coscienza vuota e primigenia, di cui parla un testo upanishadico, ‹‹là dove tutte le parole spariscono››.
L´emancipazione dalla scienza significa, sul piano concreto, ‹‹non lasciarsi lavare il cervello dai media, dai libri, dagli scienziati, dai chierici e recuperare l´autostima e l´autodignità››. In senso positivo è un paziente lavoro per modificare il pensiero e, conseguentemente, lo stile di vita. Panikkar lo esprime con tre parole della saggezza greca: melete to pan, coltiva il tutto invece di analizzare le parti; ghignosce kairon, conosci l´opportunità che offre l´istante, esse sy, sii te stesso.
Il
dibattito mostra un Panikkar in gran forma che ribatte punto su punto alle
domande che gli vengono rivolte e focalizza la sua attenzione su alcuni snodi
essenziali del suo pensiero: l´atteggiamento contemplativo, l´esperienza del
tempo, l´impossibilità di conoscere tutto, la fecondazione reciproca fra le
culture.
LA CONOSCENZA MISTICA
Panikkar è convinto che, oltre la conoscenza empirica dei sensi e quella
intellettuale della ragione, ci sia una terza modalità di apertura alla realtà
che egli chiama conoscenza mistica, che in Occidente si è troppo atrofizzata.
Così ha imperversato il razionalismo e persino i credenti hanno ceduto alla
tentazione di pensare Dio e di oggettivarlo. L´uomo occidentale, che pretende
afferrare tutto con la potenza della sua ragione merita il rimprovero del
Buddha al monaco Radda: ‹‹Tu non conosci i limiti della tua domanda››.
L´influenza della scienza ha deformato l´esperienza del tempo perché l´ha
ridotto a una semplice variabile e ha fatto dimenticare che noi siamo tempo,
che ogni vita è unica e irripetibile e ciò che è unico non entra nell´ambito
della scienza. Solo l´esperienza interculturale può farci uscire dai vicoli
ciechi della nostra tradizione e darci la consapevolezza che ci sono altri
modelli di pensiero, che non si fondano, come il nostro, sul primato del
principio di non contraddizione, ma su quello del principio di identità. Il
guaio è – osserva Panikkar – ‹‹che tutti andiamo agli incontri con preservativi
culturali che impediscono la mutua fecondazione››.
LE CONCLUSIONI
È impossibile dar conto per esteso dei nove punti in cui Panikkar ha condensato
le sue riflessioni al termine del convegno. Ha ricordato, comunque, che la
cultura dell´Occidente deve essere ammirata per la ricchezza, la varietà e il
senso di autocritica che la contraddistingue e che autorizza molte speranze. Al
tempo stesso egli ha rimarcato che anche l´Oriente è in crisi e che ‹‹ci unisce
molto di più quello che non sappiamo che quello che sappiamo››. L´Occidente ha
bisogno di passare da un pluralismo interno alla scienza a un pluralismo delle
culture che costituisce ancora una novità e implica un´esperienza qualitativamente
diversa del cosmo, dell´uomo, di Dio. È urgente abbandonare l´antropologia
dualistica corpo-anima che ha dominato finora, e recuperare l´intuizione
dell´antropologia tripartita, corpo-anima-spirito, che è il grande simbolo
della Trinità. Panikkar, comunque, non invita a pensare secondo un modello, ma
forse a liberarsi da ogni modello, come suggeriscono le saggezze dell´Oriente.
Il momento che stiamo vivendo è molto grave, ma proprio nella consapevolezza
del pericolo c´è la speranza. La grandezza dell´uomo, come sapevano gli
antichi, è quella di essere, al tempo stesso, un microcosmo e un microtheos, un
cosmo formato ridotto e un Dio in piccolo. Per questo la speranza non nasce
dall´attesa di qualche evento futuro, ma dalla percezione della dimensione
invisibile.