LA DUE COLONNE

Le due colonne sono uno degli emblemi fondamentali della nostra simbologia, ricorrono infatti sia nel corredo che nel linguaggio e, allo stesso tempo, sono un essenziale connotato

dell’architettura medioevale, architettura che vide all’opera gli uomini dai quali riteniamo di discendere.

La individuazione e descrizione di un simbolo è solo il primo passo verso il processo di conoscenza, che non si alimenta con la sola interpretazione, ma che tuttavia, su questa, fonda una base necessaria…

Il documento che segue è opera d’ingegno del carissimo Fratello Dario B. della rispettabile Loggia Italia 32 all’Oriente di Milano, che lo ha offerto quale contributo per la conoscenza dei nostri simboli; a lui da tutti noi un fraterno ringraziamento.

La libera circolazione del documento in rete è subordinata alla citazione della fonte e dell’autore.

Le due colonne sono uno degli emblemi fondamentali della nostra simbologia, ricorrono infatti sia nel corredo che nel linguaggio e, allo stesso tempo, sono un essenziale connotato dell’architettura medioevale, architettura che vide all’opera gli uomini dai quali riteniamo di discendere.

La individuazione e descrizione di un simbolo è solo il primo passo verso il processo di conoscenza, che non si alimenta con la sola interpretazione, ma che tuttavia, su questa, fonda una base necessaria.

La parola non può bastare per penetrate la complessità del processo attraverso il quale il simbolo non passivamente subisce un impossibile quanto inutile spiegazione razionale, ma attivamente agisce nell’intimo di chi lo avvicina.

Per parlare delle colonne è necessario riflettere sul significato che può avere per noi il riferimento alla Bibbia.

I nostri riti e la nostra simbologia hanno con il Libro una connessione notevole, almeno a livello dell’assunzione e rielaborazione di alcuni simboli o racconti simbolici, che sono entrati a far parte della tradizione e della cultura massonica.

Basti pensare alla leggenda di Hiram ed alla costruzione del Tempio di Salomone che, nelle stesse Costituzioni di Anderson, assumono un ruolo fondamentale.

La leggenda di Hiram è diffusamente raccontata da uno scrittore francese, Gerard de Nerval nel suo Voyage en Orient.

Su Hiram è possibile consultare nella sezione “Tavole Architettoniche”:

 Le Fonti tradizionali della Leggenda di Hiram

La Bibbia è così simbolo essa stessa, libro per eccellenza, summa di conoscenza, che contiene leggende, tradizioni, miti e simboli delle culture antiche, naturalmente filtrate e rielaborate, ma che mantiene, nel suo insieme, una molteplicità di letture e di significati, e conserva, sotto i veli della rivelazione, l’essenza dei simboli originari.

Direi che la Bibbia si può considerare allora come luogo dei simboli.

Per quanto riguarda le colonne molti autori di cultura massonica come Boucher, Ragon, Bayard e Alex Horne, più recentemente, dedicano lunghe pagine all’analisi del testo biblico, non tanto per venire a capo di una descrizione che comunque non può essere esatta, data la parziale lacunosità e aleatorietà interpretative dei vari testi e traduzioni, quanto per trarne gli elementi simbolici che nella descrizione sono evocati.

Leggiamo allora il testo biblico.

Le colonne di bronzo sono descritte nel l° Libro dei Re e nel II° delle Cronache.

“Il Re Salomone mandò a cercare Hiram di Tiro.

Era il figlio di una vedova della tribù di Nephtali, ma suo padre era di Tiro, artigiano del bronzo. Era pieno di saggezza, d’intelligenza e di scienza, per fare ogni opera di bronzo. Egli venne dunque presso il re Salomone e fece tutte le sue opere.

Egli fuse le due colonne di bronzo. Una delle colonne aveva l8 cubiti di altezza e un filo di l2 cubiti ne misurava la circonferenza (essa era cava e il suo spessore era di 4 dita).

Così era per la seconda colonna.

Poi egli fece due capitelli in fusione di bronzo, per porli in cima alle colonne. Uno dei capitelli aveva 5 cubiti di altezza e il secondo capitello aveva anch’esso 5 cubiti di altezza.

C’era una sorta di rete, di cordoni o catenelle attorno al capitello che si trovava in cima alle colonne, 7 per un capitello e 7 per il secondo capitello.

Poi fece delle melagrane, due file tutto attorno di una delle reti, per avvolgere i capitelli che stavano in cima alle colonne. Fece lo stesso per il secondo capitello.

I capitelli che erano in cima alle colonne nel vestibolo erano in forma di giglio (può voler dire anche fiordaliso o altro come il fior di papiro o di loto, simili tra loro nelle decorazioni architettoniche antiche) di 4 cubiti.

E i capitelli sulle due colonne, in alto, presso il rigonfiamento (o toro) che sporgeva dalla rete (portavano delle melagrane) e le melagrane erano in file di 200 attorno (il primo capitello e 200) attorno al secondo capitello.

Egli innalzò poi le colonne davanti il vestibolo del Tempio. Alzò la colonna di destra che chiamò con il nome di Yakin, poi alzò la colonna di sinistra che chiamò con il nome di Boaz. (ora in cima ai capitelli c’era una sorta di giglio) Così fu terminato il lavoro delle colonne.”

Gli elementi biblici sono dunque sono dunque:

l – Innanzitutto l’autore, il maestro Hiram, competente e abile in tutti i campi della tecnica architettonica e dell’arte della fusione.

2 – Il materiale, il bronzo, una lega di due metalli : ecco già qui la circolarità dei significati, che si ritrovano continuamente, due sono le colonne, due i nomi, due gli elementi del metallo.

Il bronzo, dunque, è una lega di stagno o argento e di rame, e simboleggia l’unione, il matrimonio tra la luna e il sole, tra l’acqua e il fuoco, tra freddo e caldo.

3 – Il serpente di bronzo, issato sulla colonna da Mosè, preserva dalla morte.

Bronzo, serpente, colonna: l’albero della conoscenza del bene e del male, il serpente che offre il frutto alla donna, ancora i simboli si ritrovano nell’eterno ritorno.

Il bronzo è considerato un metallo incorruttibile, immortale, e quindi giustamente associato alla salvezza dalla morte.

Il bronzo ha una risonanza eccezionale, è la materia del gong e della campana, dei suoni che risvegliano e richiamano, e anche, per la connotazione di immortalità, dei monumenti.

Sono poi date, nel testo biblico, le dimensioni e quindi le proporzioni. L’altezza delle colonne è di l8 cubiti, ossia circa 9 metri, il diametro è, per una circonferenza di l2 cubiti, di 3,8 cubiti, ossia circa l metro e 90, e queste sono proporzioni relativamente classiche: le colonne del Partenone sono alte circa 9 metri e 62 (il fusto) ed il diametro 6 di circa l80 centimetri, quindi quasi identiche a quelle bibliche.

Il capitello sembra poi composto di due parti, una inferiore decorata a festoni in sette spire e melagrane, alta 5 cubiti (circa 2 metri e 50) e una di coronamento, a forma di giglio (o un fiore simile) alta 4 cubiti (ossia circa 2 metri).

Si può notare che le tre misure di altezza danno come somma l8+5+4 ossia 27, multiplo di 3, o anche 3 al cubo – 27 si può leggere anche 2+7+9, ossia 3 volte 3.

Comunque, considerando anche la circonferenza, che è di l2 cubiti, risulta che il modulo, il numero fondamentale è sempre il 3.

Il modulo è 3 e il numero delle colonne è 2 :l’l più l’l (uguali ma non identici, cifre verticali, come verticali sono le colonne e gli alberi e l’asse del mondo), danno il 2, somma delle unità e da loro diverso, terzo fattore della sintesi binaria.

Il simbolo è questo, è conciliazione-integrazione degli opposti, è sintesi ambivalente, e per questo non può essere descritto razionalmente, può solo essere percepito intuitivamente, ma oggettivamente inconcepibile, perché esprime la simultaneità di concetti contraddittori (il bene ed il male, il caldo ed il freddo, l’oggi e il domani … ).

E così le colonne sono simbolo per eccellenza, identiche, ma diverse, sono prototipo dei simboli.

Sopra il fusto c’è una decorazione del capitello, divisa come abbiamo detto, in due parti.

Inferiormente una sorta di trama a rete riveste il capitello in forma di festoni o di catenelle che si avvolgono in 7 spire.

Non è difficile vedere in questo il simbolo del serpente che si avvolge in spire sull’albero della conoscenza, l’asse del mondo che si eleva dalla terra al cielo – 7 è la somma di 4 + 3 ; 4 è il numero della terra, 3 quello del divino e del cielo. La catena, poi, e la rete, si collegano ad altri significati, come quello del pavimento a mosaico o della nostra nappa a frastagli o nodi d’amore.

La rete in particolare, apre un discorso che potrebbe farsi più esteso rammentando figure come il Re Pescatore della leggenda del Graal o la statua del Disinganno, avvolta da una rete, nella Cappella San Severo a Napoli.

La lettera greca chi (X) diffusa dalla simbolica cristiana, segna l’inizio, la matrice della trama a rete. Questo simbolo universale rappresenta anche il numero che è la somma dei primi quattro: la tetraktis, la serie la cui somma è dieci o, appunto, la X dei romani.

L’unita, le due nature, i tre principi ed i quattro elementi, sommati, danno per totale dieci, numero che è appunto espresso in cifre romane con una X che, a sua volta, è costituita da due V congiunte per i vertici, cioè da due cinque. Ciò sta ad indicare che il simbolo della X è anche la rappresentazione della doppia quintessenza (cosi suggerisce E. Langella in un libro sulla Cappella San Severo).

Fulcanelli, dopo,dopo aver ricordato che la cintura di Offerus, il portatore del fanciullo, quello che sarà il San Cristoforo dei cristiani, ha una trama incrociata, come una rete, fa notare che queste linee incrociate si trovano sul cosiddetto dolce dei Re Magi, che si consuma all’Epifania, e sono simili a quelle che presenta la superficie del solvente quando è canonicamente preparato.

Tale è il segno, dice, che tutti i filosofi riconoscono, per marcare esteriormente la virtù, la perfezione, l’estrema purezza intrinseca della loro sostanza mercuriale.

Questo segno è anche detto il sigillo di Hermes : non ha forse Mercurio, come attributo, i sandali di cuoio incrociato?

In architettura, questa trama a rete è stata ripresa nei capitelli bizantini, che hanno talvolta la caratteristica forma a cesto di vimini incrociati. Lo stesso Vitruvio fa derivare la forma del capitello corinzio da una leggenda legata all’osservazione di un cesto di fiori e Bramante, nell’incisione Prevedari, riprende, in memoria dell’antico, proprio un capitello a cesto.

Ma il cesto è anche crogiuolo, contenitore della materia in trasformazione, e una simbolica intersezione a X segna il muso del gatto, animale sacro agli egiziani, come ancora fa notare Fulcanelli, e così si potrebbe ancora andare oltre.

Permettetemi, qui, una disgressione architettonica perchè mi sembra possa legare il simbolismo massonico a quello che troviamo nelle costruzioni dei fratelli costruttori operativi che ci hanno preceduto.

Di fronte alle chiese romaniche, in particolare quelle dei Maestri Comacini,

troviamo spesso un’edicola o un protiro, cioè una costruzione che precede, segna e protegge l’ingresso, sostenuta da due colonne, in genere appoggiate su leoni detti appunto stilofori.

Sui Maestri Comacini possibile consultare in questa stessa sezione:

 I maestri Comacini

In altri casi, come a San Donnino a Fidenza, due colonne senza funzione di sostegno, sono addossate alla facciata. A san Donnino, per esempio, in corrispondenza della colonna a sud si trovano pannelli scolpiti che rappresentano il Carro di Elia o Alessandro che con il carro ascende al cielo, entrambe le figure potendosi leggere secondo una simbologia cosmica della facciata.

Un geroglifico egiziano (che ci fa osservare Schwaller de Lubicz nel suo libro “Del simbolo e della Simbolica”) il Papiro d’Ani, rappresenta due leoni rivolti verso l’esterno in direzioni opposte, con al centro un globo: l’apparizione del sole all’orizzonte tra due leoni, chiamati ieri e domani, così commentata “a me appartiene ieri e io non conosco domani, che cos’è? ieri è Osiride, domani è Ra”.

“C’è, per l’intelligenza obiettiva, dice Mircea Eliade, un passato ed un futuro, ma mai un presente, e c’è, per la realtà, un presente invariabile, eterno, fuori del tempo … il simbolo non è la verità, ma è la realtà : è obiettivamente determinato nel tempo e nello spazio, ma in quanto simultaneità, sintesi, è fuori del tempo”.

Queste considerazioni sull’eterno presente , riportano alle teorie fisiche moderne, come il principio di indeterminazione di Heisemberg, per il quale di un corpo, in determinate condizioni di altissima accelerazione non è dato conoscere la posizione, data la velocità e viceversa. Un principio che riguarda la apparente irrazionalità o illogicità di ciò che accade in condizioni nel quale interviene il concetto di infinitamente piccolo o infinitamente grande e quindi di limite.

Questo mi fa pensare che, tra le due colonne, appunto sulla soglia, sulla linea che segna il limite, i nostri fratelli costruttori ponessero la porta stretta, il luogo di passaggio tra il tempo umano e il Gran Tempo, il limite tra il tempo e il non-tempo, dove il presente è attimo eterno, il confine tra lo spazio profano e quello sacro, dove l’iniziato può trovare la strada che unisce la terra al cosmo.

Due sono le torri che affiancano la Chiesa di Sant’Ambrogio a Milano e due sono sempre le torri che chiudono ai lati le Cattedrali Gotiche, e spesso, queste torri, come a Chartres sono ornate di elementi compensatori alla loro natura simbolica: la torre nord, fredda, femminile e lunare è marcata da un sole che la riequilibra, o da un’immagine di Adamo, maschile, come a Parigi, mentre la torre sud, calda, maschile e solare è completata con una luna compensatrice, o Eva o la Vergine.

Le due torri ricordano senz’altro l’immagine del Tempio biblico, come lo fanno in maniera ancor più evidente le due enormi colonne tortili ai lati della facciata barocca della Sankt Karl’s Kirche a Vienna costruita dal grande architetto Fischer Von Erlach, quasi sicuramente massone, che ci ha lasciato anche una stupenda serie di disegni interpretativi, appunto, del Tempio di Salomone.

Le colonne tortili, presenti in genere nei portali di chiese romaniche e gotiche , sono evidentemente frutto della sintesi formale del concetto simbolico di tensione verso l’alto, di ascensione vorticosa che troviamo nell’asse attorno al quale è avvolto a spirale il serpente. Questo simbolo, per associazione, ci fa pensare, solo qui accennandolo, anche al labirinto, altro elemento presente nell’iconografia simbolica tradizionale,e che i maestri costruttori posero sovente al centro delle navate delle cattedrali.

Un’altra interpretazione del tema della colonna, in particolare di quella abbinata, quindi riferita alle colonne del Tempio, nel loro significato iniziatico, è quella della colonna annodata, ossia di una colonna costituita di elementi cilindrici, stretti a fascio e cordiformi, che si annodano nella parte centrale, per proseguire, oltre questo viluppo, ancora in linea retta verso l’alto.

Anche questo tipo di colonna lo si trova in genere in corrispondenza di portali o aperture di chiese romaniche o gotiche. Noti sono gli esempi della Cattedrale di Würzburg (due colonne che tra l’altro portano incisi i nomi di Yakin e Boaz) e, più vicino a noi, del Broletto di Como, opera appunto dei Maestri Comacini, che ne fecero una loro figura caratteristica.

La simbologia della colonna annodata può essere riferita sia a quella dei nodi d’amore (Leonardo ne decorò un soffitto del Castello di Milano) che a quella del percorso iniziatico, percorso che si snoda in un groviglio di vie nel quale districarsi “prima di poter proseguire, e che è ancora evocato sia dal Labirinto che dal pavimento a mosaico, o ancora dalle spire del serpente che si avvolgono attorno all’albero della conoscenza ( abbinato all’albero della Vita: due alberi, come due sono le colonne) come i sette festoni che avvolgono le colonne del Tempio.

Altri due oggetti simbolici riporta la Bibbia a coronamento delle due colonne: le melagrane, intrecciate con i festoni a rete e il lavoro a forma di giglio che corona il capitello.

Le melagrane sono in numero di 200 e il numero è qui il 2, e quindi relativo ad una simbologia binaria, come le colonne stesse.

Il significato più citato dagli autori, per la melagrana, è quello che richiama la simbologia associativa, come per tutti i frutti che hanno molti semi ; quello del legame che unisce i grani numerosi di questo frutto, numerosi come i massoni stretti nella loro fratellanza.

Altre associazioni simboliche portano anche ad altri significati, come quello sessuale legato alla fertilità.

Il frutto è tipico delle regioni medio-orientali e si trova stilizzato in decorazioni mesopotamiche.

E’ probabile che nella mitologia tradizionale esso sia confuso o sovrapposto con il frutto analogo della mela, del pomo.

Il giardino delle Esperidi, con le mele d’oro, la mela che Paride deve consegnare alla dea più bella, la stessa mela di Eva: come si vede il frutto è sempre in relazione con l’elemento femminile e potrebbe essere in realtà una mela-grana. E lo è senz’altro nel mito di Persefone, che è tratta agli inferi con l’offerta appunto di un chicco di questo frutto.

Il mito di Persefone o Proserpina, la discesa agli Inferi, fa parte delta cultura legata ai Misteri Eleusini (Eleusi è luogo di questo mito e i sacerdoti di Eleusi, durante i Grandi Misteri, si cingevano il capo di rami di melograno) e al simbolo del viaggio iniziatico, richiamato anche ritualmente dalla discesa nel ventre della terra Cerere, madre di Proserpina è la dea della terra, la terra madre.

Il chicco di melagrana che Persefone assaggia può anche essere il simbolo della scintilla di fuoco rubata in favore degli uomini per la civilizzazione della terra.

La melagrana evocava, nella Grecia classica il simbolo dei Misteri e, secondo Pausania, nella città di Argos la statua di Giunone aveva in mano una melagrana ed affermava (cito da Bonvicini: Esoterismo nella Massoneria Antica) “Il significato del melograno è un sacro segreto del quale non posso parlare qui”.

Per questo penso che la melagrana chiusa, non aperta, evochi appunto il mistero. Le pietre preziose che contiene sono il tesoro che racchiude, noto solo a chi conosce già il frutto e ne ha gustato i chicchi.

Infine il giglio. Anche in questo caso la confusione botanica ha portato a varie interpretazioni e rappresentazioni, ma un ritorno all’originale può essere utile.

Autori come Boucher o Bayard fanno notare, riprendendo altri come Huysmans o De Gubernatis, che non del giglio bianco (assunto poi dal cristianesimo) si tratta qui, ma più probabilmente del giglio di campo (o altri dicono, dell’anemone di colore rosso e che è detto tra l’altro Giglio di San Giovanni, perchè fiorisce nel periodo di questa festa, aggiungendo così un’ulteriore carica simbolica) ed è stato portato in Europa dall’Asia Occidentale.

Nella decorazione Mesopotamica , Fenicia ed Egiziana (il crogiuolo artistico al quale attinge il costruttore del Tempio di Salomone, che proviene appunto da Tiro, in Fenicia) sulla scorta di noti studi, come quelli di Semper o di Riegl, si possono chiaramente distinguere decorazioni a forma di foglia di papiro o di loto ed altre che sono proprio simili schematicamente al calice del giglio di campo con i petali ripiegati all’esterno ed un pistillo centrale che termina in una protuberanza evidente.

Questa forma è senz’altro analoga alle successive e classiche decorazioni a foglie di acanto, che troviamo nell’ordine corinzio, ma anche già, anche se con astratta schematizzazione, nelle volute ioniche, che si ripiegano verso l’esterno su se stesse.

Troveremo lo schema a forma di giglio in capitelli e decorazioni ellenistici e bizantini, e poi ancora talvolta nella scultura medioevale.

Il simbolo del giglio rosso a calice aperto con grande pistillo centrale ha chiaramente significato sessuale, riassumendo in sé sia l’elemento femminile, aperto, il calice, che quello falliforme, il pistillo. Siamo ancora di fronte ad una figura simbolica, binaria e ambivalente, come le colonne.

E per andare avanti, ma qui è meglio chiudere, per non abusare della pazienza dei fratelli si potrebbe osservare che il giglio rosso aperto, con i suoi sei petali, ricorda lo schema geometrico di due triangoli equilateri, sovrapposti e con i vertici uno in alto e l’ altro in basso, oppure ad osservare che cosa succede tagliando una mela non come solito secondo il meridiano, ma secondo il suo equatore.

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