Inno al sole
“i tuoi raggi giungono fino in fondo al mare”
di Annalisa Ronchi
rilievo da Armana, del 1350 a.C. – Museo Archelogico del Cairo
Amenofi IV Ekhnaton offre un sacrificio ad Aton
(rilievo da Armana, del 1350 a.C. – Museo Archelogico del Cairo)
In una notte serena, lontano dalle luci della città, tutti siamo rimasti stupiti guardando il firmamento, questa enorme ed apparente sfera che avvolge la Terra e su cui sembrano infissi i pianeti e le stelle.
Non sappiamo chi furono i primi astronomi, ma sappiamo che almeno duemila anni prima di Cristo esistevano scuole di astronomia nel bacino del Mediterraneo, a Babilonia, in Cina e nell’America centrale. Gli studi astronomici si svilupparono non soltanto per desiderio di conoscenza, ma anche per venire incontro alle necessità pratiche dell’uomo. Le antiche tribù nomadi impararono ad orientarsi osservando il Sole, la Luna e le stelle. L’agricoltore primitivo doveva tener conto delle stagioni e capì che il loro avvicendarsi è legato all’altezza del Sole a mezzogiorno e alla presenza nel cielo notturno di stelle e gruppi di stelle ben definiti (buona parte delle costellazioni del nostro cielo sono ancora conosciute con la denominazione che i babilonesi del 3° millennio a.C. diedero loro).
Se viaggiassimo su una delle navicelle spaziali costruite dall’uomo, la visita del Sole e dei suoi pianeti ci impegnerebbe per decine di anni, ma usando la fantasia, tale viaggio può essere molto breve. Immaginiamo di fare una passeggiata attraverso il Sistema Solare, e se ogni passo equivale ad un milione di chilometri, allora il Sole si troverà a 150 passi da noi, Venere a 40 passi e Marte a 80 mentre Plutone, il più distante, a quasi 6.000 passi. La stella più vicina a noi, escluso ovviamente il Sole, è a (alfa) Centauri, che dista 400.000 passi.
Le stelle sono sfere di gas reso incandescente dall’energia derivante dalle reazioni nucleari che avvengono al loro interno, e così è il nostro Sole. Nulla ci è più familiare ed al tempo stesso così indispensabile per la vita, perché fornisce la luce ed il calore senza i quali il pianeta sarebbe inabitabile.
Per i pigmei della foresta pluviale, Khonuum era il dio supremo del cielo e ogni notte, quando il Sole moriva, ne raccoglieva in un sacco i frammenti disseminati (le stelle) e li ricombinava pazientemente a formare il Sole, cosicché esso potesse ricomparire la mattina seguente.
I Boscimani ritengono che la notte non sia freddo solo per loro, ma anche per il Sole, descritto come un vecchio dormiglione che vive solitario in una capanna isolata. Così, per proteggersi dal freddo, si tira addosso la sua coperta per stare caldo, ma la coperta è vecchia quanto lui ed è piena di buchi. È per questo che l’oscurità della notte è rotta dalla luce che filtra attraverso i buchi della coperta, le stelle.
Non essendo solido, ma una sfera fluida formata da idrogeno ed elio, la velocità di rotazione del Sole intorno al proprio asse è diseguale alle varie latitudini, così che normalmente si considera la velocità all’equatore, la quale si approssima ai 25 giorni. Il diametro è di circa 1,4 milioni di chilometri, la massa è 330.000 volte quella della Terra con una densità che è 1/4 di quella terrestre ed una forza di gravità 28 volte superiore a quella sulla Terra. Il colore delle stelle ci dà indicazioni riguardo alla temperatura della parte più esterna, cioè quella che vediamo, della stella stessa. Si va dalle stelle bianco-azzurre, con temperature tra i 30.000 ed i 60.000 gradi, alle stelle rossastre con temperature inferiori ai 3.000. Il nostro Sole è una stella bianco-gialla con una temperatura esterna di circa 6.000 gradi ed una temperatura interna valutata intorno ai 15.000.000 gradi.
Il Sole ha una posizione chiave in vari miti, nelle culture di tutto il mondo, pare infatti che, benché non fosse a conoscenza della fotosintesi clorofilliana o del ciclo dell’acqua o di molte altre cose, l’uomo intuitivamente comprese subito che quel disco splendente era dispensatore di vita ma anche di morte.
Con nomi diversissimi si invocava il dio Sole perché scacciasse le tenebre (anche in un’accezione figurata). Nei testi babilonesi il Sole è chiamato: «Colui che illumina il buio e rischiara il cielo, che in alto e in basso annienta il male, che tutti i principi si rallegrano nel contemplare e che tutti gli dei acclamano».
È certamente più semplice dire “Sole”!
In molte popolazioni, come quelle dedite alla navigazione, il Sole aveva anche un aspetto molto pratico, pensiamo solo ai Vichinghi, straordinari viaggiatori per mare. Non essendo dotati di bussola, avevano ugualmente trovato il sistema per orientarsi, malgrado il cielo fosse coperto per la maggior parte dell’anno: osservavano il cielo diurno, offuscato dalle nubi o dalle nebbie, attraverso il cristallo di una varietà particolare di calcite, denominata Spato d’Islanda, dotata di particolari proprietà ottiche di polarizzazione della luce. Sebbene i Vichinghi non avessero un animo molto sognatore ma al contrario fossero molto concreti, usavano onorare la nostra stella danzando nei cosiddetti “cerchi del Sole”, ma non furono i soli. In tutto il mondo si possono ritrovare costruzioni più o meno complesse, utilizzate per individuare i periodi più propizi per affrontare i lavori nei campi o altri momenti vitali e magari per celebrare rituali. Pensiamo ai complessi megalitici (dal greco megas = grande, e lithos = pietra) cioè le strutture preistoriche costituite da grandi rocce solitarie (allora chiamati “menhir”), o pietroni disposti a formare una camera (come i “dolmen” o come il sepolcro di Newgrange) o pietre verticali allineate (come a Carnac), o disposte a cerchio (come a Stonehenge e ad Avebury, i cosiddetti “cromlech”). La maggior parte di queste strutture si trova in Europa e sono state edificate a partire dal tardo Neolitico, ma complessi del genere sorgono anche in India, in Giappone, in Africa Occidentale.
Tali costruzioni dimostrano grande abilità nelle osservazioni astronomiche, come a Newgrange: sopra la porta d’ingresso si trova uno strettissimo passaggio, dal quale, il giorno del solstizio d’inverno, un raggio luminoso illumina l’intera stanza centrale per pochi minuti, dopo aver percorso i diciotto metri del corridoio d’ingresso. Un raggio luminoso che annuncia che il Sole torna simbolicamente a vivere.
La più importante delle aree culturali in cui il Sole era venerato è senza dubbio quella del Sud America, come esempio si può citare il complesso di Tiahuanaco, che si trova in un pianoro boliviano a 3750 metri sul livello del mare, a una quindicina di chilometri dal lago Titicaca. Qui esiste il Kalasasaya, il Tempio del sole, costruito tra il 200 a.C. ed il 200 d.C., dove la parte più importante è la Porta del sole, tagliata da un unico pezzo di andesite (una roccia durissima), alta più di tre metri e spessa circa un metro e mezzo. La parte superiore della porta è decorata da un’immagine di un Sole piangente.
O la città di Teotihuacan, dominata dalle immense piramidi del Sole e della Luna, distesa sulla piana di Città del Messico. Non si può dimenticare ill gioco con la palla caratteristico dei popoli di questa area, il quale riveste un significato simbolico-culturale poiché il moto della palla di caucciù era associata alla sfera del Sole che attraversa il cielo. Scopo del gioco era di tenere alto il Sole, cioè di far volare sempre la palla e chi la lasciava cadere a terra, cioè chi uccideva il Sole, veniva a sua volta ucciso. Oppure andiamo nel Perù arcaico: qui il Sole era considerato l’antenato divino della stirpe Inca.
A Machu Picchu è presente, tra le altre cosa, l’Intihuatana, la “pietra che intrappola il Sole”. Quest’opera straordinaria consiste di un semplice pezzo di roccia fresca, grigio e cristallino, scolpito a complessi motivi geometrici che formano curve e angoli, nicchie rientranti e speroni sporgenti, sormontati al centro da un dente verticale. Misurava equinozi e solstizi e sono presenti i simboli delle più importanti costellazioni andine. Il tempio del Sole di Cuzco era letteralmente ricoperto di oro (che era definito “escremento del dio Sole”). Ed il legame tra il metallo immutabile ed il nostro astro è rimasto anche nell’alchimia con il significato di conoscenza esoterica, uno stadio più elevato dell’evoluzione spirituale.
Il Sole (come è accaduto ed accade tuttora) al pari tutte le altre stelle, è nato da una nebulosa, una enorme nube di gas e polveri non distribuite uniformemente nello spazio. In una zona più densa, la materia inizia a contrarsi e a ruotare. A causa di ciò si forma un disco di materia, con una protostella al centro, che per via della attrazione gravitazionale intrinseca, diviene sempre più calda e sempre più densa finché le condizioni di temperatura e di pressione innescano le reazioni nucleari. Nella parte esterna del disco, la materia tende ad aggregarsi tramite urti anaelastici costruttivi, che via via portano alla formazione dei vari pianeti.
Il Sole ha raggiunto la forma di protostella 5 miliardi di anni fa, e nei 500 milioni successivi si è formato il Sistema Solare.
Fin qui, a grandi linee, quello che dicono gli scienziati, ma l’uomo ha usato l’immaginazione e, a volte, la poesia, per giungere a incredibili spiegazioni.
Dopo che fu creata la terra emersa dal mare primordiale, ci si accorse che tutto era ancora buio. Allora Tartaruga chiamò intorno a sé gli animali per esaminare la cosa sotto ogni aspetto. Tutti convennero che era necessario appendere una grande luce in cielo.
Nessuno aveva la capacità di portarla lassù e allora Tartaruga chiamò Piccola Tartaruga, poiché pensava che forse avrebbe potuto arrampicarsi sul difficile sentiero che portava in cielo. Tutti gli altri animali avrebbero contribuito ad aiutarla con i loro poteri magici e così fecero una grande nuvola nera piena di rocce, nella quale lampi fragorosi fendevano l’aria con gran frastuono.
Piccola Tartaruga vi salì e venne portata in giro per il cielo a raccogliere dai lampi quanta più luce possibile. Con tale luce formò una grande palla calda e luminosissima, il Sole; poi si mise di nuovo al lavoro e raccolse ancora lampi, che però le bastarono soltanto per formare una palla più piccola, la Luna.
A questo punto Tartaruga comandò agli animali scavatori di preparare al margine del cielo due buchi, da cui Sole e Luna potessero transitare: da uno scendere e attraverso l’altro arrampicarsi ancora in cielo. Fu in tal modo che, secondo gli Irochesi, si formarono il Sole e la Luna.
Nella mitologia scintoista giapponese, Izanagi e Izanam, rappresentano gli antenati originali, la prima coppia. Dopo la morte della moglie, l’inconsolabile Izanagi partì per la “terra delle tenebre” (Yomotsukuni) nella speranza di riportarla indietro. Non vi riuscì e sentendosi macchiato da quel ravvicinato incontro con la morte, andò a lavarsi al mare. Quando Izanagi si lavò il viso, dall’occhio sinistro emerse la dea del Sole, Amaterasu, e dall’occhio destro il dio della Luna, Tsuki-yomi. Ad Amaterasu venne assegnato il governo del cielo, ma tra i suoi compiti vi era anche la tessitura delle vesti delle sacerdotesse shintoiste.
Nella mitologia Papua si parla di Dudugera. Egli fu concepito in maniera misteriosa. Un giorno sua madre si trovava in un giardino presso il mare quando vide un grande pesce che si trastullava nell’acqua bassa. Attratta dallo splendore delle sue squame, entrò in acqua e si mise a giocare con lui. Il pesce era in realtà un dio. Qualche tempo dopo la gamba della donna, contro cui esso si era strofinato, cominciò a gonfiarsi e a dolere, e quando il marito incise il rigonfiamento ne balzò fuori un bambino, Dudugera.
Crescendo, l’aggressività di Dudugera incuteva timore negli altri ragazzi, che avevano paura di giocare con lui, e suscitava una tale avversione che venne gravemente minacciato. La madre, per metterlo al sicuro, decise allora di inviarlo da suo padre. Scese dunque al mare ed il dio pesce comparve, prese in bocca suo figlio e si allontanò verso oriente. Prima di essere portato via, Dudugera raccomandò alla madre di rifugiarsi all’ombra di una grande roccia perché egli stava per diventare il Sole, flagello dell’umanità. Sua madre e i suoi parenti seguirono il consiglio e dal loro riparo videro il calore del Sole aumentare e distruggere a poco a poco le piante, gli animali e gli uomini. Mossa a pietà da quello spettacolo, la madre di Dudugera decise di fare qualcosa. Un mattino, al sorgere del Sole, gli gettò della calce sul viso: in cielo si formarono così delle nubi che da allora proteggono la Terra dall’effetto nefasto del calore del Sole.
Gli indiani Piedi Neri narrano di un povero indiano che viveva di caccia e di bacche insieme alla moglie ed ai due figli. L’uomo sospettava che, mentre egli si assentava alla ricerca del cibo, la donna andasse ad incontrare un amante. Deciso a scoprire chi fosse, si rese conto che era un serpente a sonagli. Bruciò la tana dell’animale e corse a casa. La donna, furiosa, lo inseguì minacciando di ucciderlo. Il marito le tranciò il capo con un’ascia ma il corpo continuò a braccarlo. Il destino dell’indiano, il Sole, era di essere inseguito per sempre dalla moglie decapitata, la Luna, decisa a vendicarsi.
Wele (“colui che sta in alto”), la divinità suprema del cielo degli Abaluyia del Kenya, un gruppo settentrionale del popolo Bantu, creò dapprima il cielo e lo sostenne con dei pilastri. Quindi fece due fratelli, il Sole e la Luna, che dovevano aiutarlo nella creazione del resto dell’universo. Ma quasi subito quei due corpi celesti si misero a lottare tra loro. Prima la Luna espulse il Sole dal cielo, in risposta il Sole lanciò la Luna nel fango così da ridurne la luminosità. Per mettere fine all’aspra battaglia, Wele decise che i due fratelli non sarebbero mai più apparsi insieme nel cielo: da allora il Sole splende di giorno e la Luna di notte.
Nareau, divinità creatrice degli abitanti delle Isole Gilbert, nel Pacifico settentrionale, all’inizio del tempo era da solo. Così, impastando sabbia e acqua, creò due esseri primordiali, maschio e femmina. Nareau chiese loro di aggiungere al Creato l’umanità poi se ne andò in cielo. Sfortunatamente sorse una lite tra i due, che si concluse con l’uccisione e lo smembramento del componente maschile della coppia. Il suo occhio destro venne gettato nel cielo d’oriente e divenne il Sole; l’occhio sinistro fu lanciato nel cielo d’occidente e divenne la Luna; il cervello andò a formare le stelle, la carne e le ossa divennero isole e alberi.
Il capostipite degli dei degli abitanti dell’isola del nord di Nias, il proavo Luo Zaho, modellò un bambino con un pugno di terra, gli impose il nome di Sihai, infine gli donò una casa nel mondo. Sihai morì vecchio ma senza generare discendenza, dando vita però con il suo corpo esanime agli alberi Tora’a, Mahara e Feto, dai quali discendono tutti gli altri. L’occhio destro divenne il Sole, che rischiara il cammino ed il sinistro la Luna, che guida nella notte.
Tra gli Esquimesi si narra una vicenda più gioiosa (finalmente!): due giovani, fratello e sorella, si rincorrono per gioco in cerchio, sempre più velocemente finché salgono verso il cielo e diventano rispettivamente il Sole e la Luna.
Talvolta gli intensi campi magnetici del Sole liberano improvvisi lampi di energia, durante i quali delle particelle atomiche vengono eruttate nello spazio. Queste particelle raggiungono la Terra dopo un giorno, ionizzando gli strati superiori della nostra atmosfera, e producendo le Aurore Boreali. Queste sono uno spettacolo stupendo: il cielo sembra risplendere di luce colorata, che può assumere la forma di archi o drappeggi, splendenti e cangianti per ore.
Per i popoli nordici, l’aurora boreale è provocata dagli spiriti dei morti mentre danzano o quando giocano alla palla (un gioco molto diffuso, descritto come un misto di rugby, calcio e lotta ma con regole diverse a seconda del popolo). La tradizione narra che l’aurora danzerà al ritmo del fischiare delle persone dal cuore puro.
In molte culture si parla non di un Sole, ma di molti soli che avrebbero solcato i nostri cieli. Come nella mitologia degli Aztechi del Centro America, dove Tonatiuh era il quarto di una serie di dei solari o nella mitologia cinese che ci racconta di cosa avvenne durante il regno dell’imperatore Yao, molto tempo fa. Apparvero in cielo all’improvviso 10 Soli. A causa dell’immenso calore da essi generato la terra inaridì, le piante morirono e persino le rocce furono sul punto di fondere. I dieci Soli erano i figli di Di-Jun, dio del cielo orientale, e di sua moglie Xi He. I due vivevano in cima ad un albero enorme, alto centinaia di metri, che cresceva in una calda vallata oltre l’oceano. Ogni giorno, sotto il controllo di Xi He, uno dei Soli compiva il suo viaggio attraverso il cielo. All’alba Xi He accompagnava il figlio di turno sul posto di lavoro con il suo carro-drago. Inizialmente i dieci figli erano contenti delle disposizioni della madre, ma dopo qualche migliaio di anni si stancarono di quella routine e un giorno decisero di apparire tutti insieme, incuranti dei danni che avrebbero causato sulla Terra. La situazione si fece così grave che l’imperatore Yao pregò Di-Jun di rimettere in riga i figli, ma questi non sentirono ragioni. Allora Di-Jun inviò dal cielo l’arciere Yi, armato di un arco rosso e di 10 frecce bianche. Freccia dopo freccia, Yi cominciò ad abbattere i dieci Soli, ognuno dei quali esplose in una vampata di luce prima di cadere al suolo sotto forma di un corvo a tre zampe con il cuore trafitto da un dardo. L’imperatore Yao si rese conto che l’umanità aveva in realtà bisogno almeno di un Sole e sottrasse dalla faretra di Yi una freccia. In questo modo, uno dei figli di Xi He rimase illeso nel cielo e si evitò che la Terra sprofondasse per sempre nell’oscurità.
Oggi sappiamo che è la Terra a girare intorno al Sole ma fino a qualche secolo fa si teneva conto solo dell’esperienza sensoriale e quindi del fatto che il Sole si muove nel cielo, e l’uomo, con la creatività che lo contraddistingue, ha anche spiegato con quali mezzi lo fa.
Molto vicino a noi, nella mitologia greca, Elio lasciava al mattino il suo palazzo a oriente e attraversava il cielo su un carro d’oro tirato da quattro cavalli; la sera riposava nel suo palazzo d’occidente e di notte ritornava ad oriente attraverso il fiume oceano.
Il dio del sole degli Indiani Navaho del Nord America era Tsohanoai. Ha forma umana e di giorno porta il Sole sulle spalle, attraverso il cielo, mentre di notte lo appende ad un piolo infisso in casa.
Nun, personificazione delle acque primordiali secondo gli antichi egizi, veniva raffigurato come un uomo immerso nell’acqua fino alla cintola con le braccia alzate a sostenere la barca del Sole. Questa “barca solare” usciva dalla bocca di Nut (la dea del cielo) e trasportava il Sole per le dodici ore del giorno, quindi il Sole sbarcava per salire sulla “barca solare notturna” con la quale rientrava nel corpo di Nut, dove trascorreva le dodici ore della notte.
In Scandinavia, Frey era il dio del sole che solcava il cielo a bordo del suo carro trainato da due splendidi cinghiali.
Ancora in Grecia si parlava di Eos, la dea dell’alba e sorella di Elio, nota ai romani con il nome di aurora, che attraversava ogni mattina il cielo su un carro trainato da due bei cavalli, Fetonte (“lo splendente”) e Lampo (“scintillante”).
Una cosa molto evidente che riguarda il Sole è il cambiamento di colore nei vari momenti del giorno: rosso all’alba e al tramonto, giallo-bianco a mezzogiorno. L’effetto è attribuibile alla diffusione dei raggi di luce secondo Rayleigh. All’alba ed al tramonto, i raggi solari ci pervengono dopo un lungo tragitto attraverso la bassa atmosfera, e dunque dopo avere subito un grande numero di processi diffusivi. Questi depauperano la luce diretta del Sole delle sue componenti blu-violette, così che nei raggi che ci giungono prevalgono le componenti giallo-rosse.
Tra gli Aborigeni australiani il Sole era visto come una donna che si svegliava ogni giorno nel suo accampamento a est, accendeva un fuoco, e preparava la torcia di corteccia che avrebbe portato attraverso il cielo. Prima di esporsi, lei amava decorarsi con ocra rossa e gialla, la quale, essendo una polvere molto fine, veniva dispersa anche sulle nuvole intorno, colorandole di rosso, (l’alba). Una volta raggiunto l’ovest, sudata e sporca per via del lungo cammino, si lavava e rinnovava il trucco, colorando ancora di giallo e rosso le nuvole nel cielo (il tramonto). Poi la Donna-Sole cominciava un lungo viaggio sotterraneo per raggiungere nuovamente il suo campo nell’est. Durante questo viaggio sotterraneo il calore della torcia induceva le piante a crescere.
Nella leggenda di re Artù, Galvano era il cavaliere perfetto, lo strenuo sostenitore della cavalleria. In vari racconti si dice che la sua forza, esattamente come la forza del Sole durante il giorno, aumentasse fino a mezzogiorno e cominciasse a calare subito dopo.
Tra gli indiani Hopi, il dio del sole é proposto come un uomo che percorre a piedi il cielo. All’inizio del viaggio, essendo l’alba, è ancora piuttosto freddo così egli si copre con una folta pelliccia giallo-rossa, verso mezzogiorno il caldo si fa opprimente e l’uomo si toglie la pelliccia e resta con l’abito di pelle di daino, più chiara. Alla sera, accaldato per il viaggio ed il notevole calore, si toglie anche la giacchetta rimanendo a torso nudo e mostrando la pelle rosso- scura.
I Lapponi spiegano la cosa con questa storiella: un pastore di renne ha sposato la figlia del Sole ed un giorno le chiese di aiutarlo ad incontrare sua madre (il Sole è una donna) per comprendere il perché dei suoi cambiamenti nell’arco del giorno. Lei le disse dove andare ad incontrare sua madre e il giovane uomo vide il Sole che cavalcava una renna. Il Sole spiegò a suo genero che lei andava intorno al mondo ogni giorno, cominciando al mattino come un orso, cambiandosi in una pernice a mezzogiorno, e in una renna femmina alla sera.
Il Sole, come si è visto, è stato spesso descritto con le sembianze di un essere umano, che rappresentava l’astro alle varie latitudini, in cui veniva più o meno temuto a seconda della forza con la quale colpiva la Terra, forza che può essere vivificatrice o mortale. Nei luoghi in cui un grave problema era la siccità, frequentemente il Sole veniva rappresentato con un aspetto non proprio bellissimo, come fra gli Indù: Surya, il dio del sole, é rappresentato come un uomo dal colorito rosso scuro, con 3 occhi e 4 braccia, che viaggia su un carro trainato da 4 o 7 cavalli e guidato da Aruna (“rosato”) all’alba; oppure tra gli antichi armeni, dove Vahagn aveva capelli di fuoco, la barba in fiamme e i suoi occhi erano come soli.
Un aspetto molto migliore era il dio del sole nei luoghi in cui quest’ultimo era fonte di prosperità o la cui presenza era anelata per molti mesi, pensiamo ad Apollo nei paesi del Mediterraneo oppure a Lug, delle antiche saghe irlandesi, che era noto per il suo bell’aspetto e per la sua abilità nelle arti e nei mestieri.
L’orbita lunare e l’orbita terrestre giacciono su due piani leggermente inclinati che si intersecano in due punti (i nodi) congiunti dalla cosiddetta “linea dei nodi”. Solo lungo questa linea si può avere il perfetto allineamento tra Sole, Terra e Luna e la casualità che i dischi del Sole e della Luna appaiano della stessa grandezza apparente (è un gioco di prospettiva) dà le eclissi, di Luna o di Sole. Nella eclissi di Sole, distinguiamo le eclissi totali (se la Luna è in perielio) ed eclissi anulari (se la Luna è in afelio).
In molti paesi del mondo, l’eclisse è spiegata con un animale o un essere mitico che tenta di divorare l’astro (Eschimesi, Nord e Centro America, Africa) e in genere si reagisce provocando rumori per spaventarlo e quindi allontanarlo. L’eclissi era una occasione di terrore e sgomento per i Babilonesi, in quanto pensavano che sette esseri malvagi attaccassero la Luna, o il Sole. In corrispondenza delle eclissi il sacerdote doveva seguire un rigido rituale: provvedeva a mantenere illuminato con una torcia l’altare, mentre intonava canti indirizzati agli dei e alle forze della natura. La gente, raccolta intorno, piangeva e gridava, con insistenza, fino alla fine del fenomeno.
Tra gli aborigeni australiani, una eclisse di Sole era interpretata come l’unione tra la Luna-uomo ed il Sole-donna.
Per una popolazione dello Zambesi, la Luna aveva aspettato che il Sole apparisse dall’altra parte della terra e poi gli aveva rubato una parte del suo fuoco. Adirato da questo furto, il Sole aveva gettato fango sul volto della Luna, cosicché questa era rimasta coperta di macchie scure (i nostri “mari”). Colma d’odio e del desiderio di vendetta, la Luna attende che si presenti qualche opportunità per cogliere il Sole di sorpresa. Quando ciò accade, la Luna schizza di fango il Sole, che in conseguenza di ciò smette di risplendere per varie ore (ed abbiamo la notte) o per pochi minuti (durante le eclissi).
… Molti sono i popoli, molte le lingue,
ma tu, o Sole,
sei il Signore di tutti loro, e ti affatichi per tutti loro,
perché i tuoi raggi arrivano fino in fondo al mare;
da te proviene il Nilo celeste che dà vita a tutti gli uomini,
come il Nilo terrestre dà vita all’Egitto …