Lo scopo dei saggi è lo scopo finale dell’Umanità
Ciò che vuole l’uomo saggio e virtuoso, ciò che è il suo scopo, è lo scopo finale dell’umanità. L’unico scopo dell’esistenza umana sulla terra non è né cielo né inferno, ma solo l’umanità, che quaggiù portiamo in noi, e la sua massima possibile perfezione. Diversamente da questo nulla conosciamo: e ciò che noi chiamiamo divino, diabolico, bestiale, null’altro è che umano. Quanto non è contenuto nello scopo della perfezione più grande possibile, quanto non si riferisce ad esso, o non ha rapporto con esso né qual parte né quale mezzo, non può costituire lo scopo di nessun uomo, e l’uomo saggio e virtuoso non può proporselo come scopo sia nel più generale che nel più particolare dei casi: ciò che sta sopra o sotto, giace anche fuor della cerchia del suo pensiero, dei suoi sforzi, del suo agire. In una qualsiasi misura quello scopo viene alla luce in tutti gli uomini, senza che essi chiaramente lo pensino e lo perseguano di proposito, semplicemente pervia della loro nascita, e vien pure conseguito mediante la loro vita nella società: sembra come se non fosse il loro scopo, bensì uno scopo unito a loro.
Ma l’individuo cosciente lo pensa chiaramente, esso è il suo scopo, ed egli se lo pone qual meta cosciente di tutto il proprio agire.” Come viene esso perseguito nella grande società umana? Forse tutto opera in favore suo direttamente e senza deviazioni, con forze associate? Non pare. {La società] non pensa né lavora con la chiarezza e con la consapevolezza proprie dei singoli saggi: su lei pesano le colpe del mondo trascorso, e occupata com’è di questi peccati, essa appena ha tempo di lavorare per una posterità che a sua volta avrà da lavorare per un’altra. Essa deve sostenere la sua gran lotta con la natura ostinata e con il tempo infingardo; essa vuole acquistar vantaggio su entrambi, e intanto la sua attività È sottoposta a una condizione svantaggiosa, ma inevitabile: essa ha divisa in parti l’insieme dell’evoluzione umana, se ne è distribuite le varie branche e attività, e a ciascuna condizione sociale ha assegnato il suo campo speciale di collaborazione. Come in una fabbrica si risparmiano tempo e spese con ciò che il singolo operaio per tutta la sua vita fa soltanto quella data forma di molla, di chiodo, ruota, o recipiente, dà soltanto quel dato colore, sorveglia e guida solo quella data macchina, e ciascun altro del pari per tutta la sua vita eseguisce la tal altra forma di lavoro, cui da ultimo riunisce in un tutto un capomastro sconosciuto a tutti loro: egualmente procede [la cosa] nella grande officina dell’evoluzione umana. Ciascuna classe lavora e produce alcunché per tutte le altre, oltre a ciò che ciascuno dovrebbe fare per la propria parte e per la sua stessa persona: e quelle producono alla lor volta anche per lei ciò per cui non ha né tempo né attitudine l’uomo ben altrimenti occupato per il loro benessere.
Al benessere e al perfezionamento del tutto guida ogni opera dei singoli l’invisibile mano della provvidenza. Così scende il dotto nelle profondità dello spirito e della scienza, per evocare alla luce ciò che dopo alcune epoche sarà a tutti facile e giovevole, mentre il contadino e l’operaio lo nutrono e lo vestono; l’impiegato dello stato fa valere il diritto, che senza di lui dovrebbe applicare la comunità stessa, e il guerriero difende l’inerme, che lo nutre, contro la potenza straniera.