L’evoluzione umana vien posta in pericolo dalla divisione del lavoro –
FICHTE
Ora, ciascun singolo si forma in grado eminente soltanto per la condizione che ha scelto.
Dalla giovinezza in poi egli viene per sua scelta e per circostanze accidentali determinato verso una forma di vita, e viene tenuta in conto della migliore quell’educazione che prepara il ragazzo per la sua futura vocazione nella maniera più conforme allo scopo; rimane posto in disparte tutto ciò che sta nella
più stretta relazione con quella, o ciò che in lui non può, come s’usa dire, essere utilizzato. Il giovinetto destinato a diventare un dotto impiega tutto il suo tempo a imparare le lingue e le scienze, e proprio con preferenza per quelle che sono necessarie per guadagnarsi il pane in avvenire, quindi con minuziosa esclusione di quelle che richiede la formazione del dotto in generale. Tutte le altre forme di vita e attività gli sono estranee, com’esse [del resto] sono estranee l’una all’altra. Il medico ha rivolto tutta la sua attenzione alla sola medicina, il giurista alla legislazione del suo paese, il mercante a quel determinato ramo del suo commercio, il fabbricante alla sola produzione del suo manufatto. Nel suo campo egli sa quanto occorre, e anzi con maggiore chiarezza e fondatezza: questo [sapere] gli è quindi particolarmente caro, e lo considera come sua proprietà acquisita; in esso vive come nella sua casa paterna. E tutto questo è bene, ciascuno fa in ciò il proprio dovere, e il tenore contrario non solo sopprimerebbe tutti i vantaggi della società, ma sarebbe dannoso anche al singolo, come al tutto.
Ma da ciò sorge in tutti necessariamente una certa incompiutezza e unilateralità, che, se non proprio necessariamente, almeno però abitualmente si trasforma in pedanteria. La pedanteria, che ordinariamente si confonde con la sola classe erudita, forse perché essa vi è più visibile, forse perché vi si dimostra maggiore intolleranza, domina in tutte le classi sociali e il suo principio fondamentale è
dappertutto il medesimo, cioè il seguente: di tenere in conto di educazione generalmente umana l’educazione appropriata al proprio stato particolare, e fare ogni sforzo per realizzarla. Così l’erudito pedante stima solo la scienza e deprime ogni altro valore; le sue lezioni e conversazioni in società di gente mista procedono allo scopo di comunicare ai suoi uditori una particella della sua dottrina e farli bramosi della precisione di pensiero ch’egli possiede. Il mercante pedantesco sprezza per contro l’erudito e proclama: «non vi è che computo e denaro! il denaro è la soluzione
[del problema]
della vita ragionevole e felice». Il guerriero sprezza l’uno e l’altro, stima soltanto forza fisica e agilità, coraggio bellico e difesa dell’onore com’egli la intende, e non gli rincrescerebbe arruolare tutti quelli che sanno battere il tempo di marcia. I teologi in modo eminente (poiché la loro classe ha ottenuto fra tutte il maggior influsso, o per amore del cielo o per timore dell’inferno) si affaticano, da quando hanno esistenza, a educare in tutti gli uomini, fino giù ai ragazzi del villaggio, dei teologi ben fondati e dei dogmatici di polso. «Mirate avanti tutto al regno di Dio, il resto è cosa meschina!» dicono i teologi, e con loro tutte le altre classi sociali, e sappiamo bene quello che intendono per il regno di Dio.
Così domina dappertutto una grande unilateralità, ora utile e ora dannosa: così ciascun individuo non è soltanto un dotto, ma teologo o giurista o medico, non è soltanto uno spirito religioso, ma cattolico o luterano, ebreo o maomettano, non è soltanto un uomo, ma politico, mercante, guerriero; e così dappertutto si impedisce, con l’educazione di classe più alta possibile, la più alta possibile evoluzione dell’umanità, il sommo fine dell’esistenza umana; anzi essa deve restar impedita, perché ciascuno è gravato dall’ineliminabile dovere di educarsi il più perfettamente possibile per la sua particolare occupazione, e questo è quasi impossibile se non si affronta il rischio dell’unilateralità