RIFLESSIONE SULLA MORTE O TRANSIZIONE
Introduzione
Per l’uomo la morte ha rappresentato un mistero, un enigma, sin dall’inizio della sua esistenza. Alcune antiche civiltà hanno compreso il carattere sacro e mistico della morte in quanto ponte tra i mondi visibile e invisibile. La nostra concezione della morte dà tutto il suo senso alla vita.
“Per quanto paradossale possa sembrare, la morte dà alla vita sulla Terra tutto il suo significato profondo, il suo peso specifico, nonché il suo valore spirituale e morale. Il disordine e il caos della vita moderna, con la sua cacofonia e bruttezza, provengono dall’incomprensione del fenomeno della morte.”
Dietro la comprensione della morte si nascondono tutti i valori morali dell’esistenza. Così, con la comparsa del pensiero materialista che, si dice, si situa verso l’epoca del Rinascimento, i valori spirituali precipitano nell’oblio, si elude la morte, la si teme e così nasce la superstizione. I piaceri effimeri, essendo più tangibili, predominano. Non ci si sorprende di vedere che la criminalità, il suicidio, la droga e tutti i problemi di questo genere sono in crescita.
“Se la riflessione sul carattere positivo e sacro della morte penetrasse di nuovo la coscienza dell’uomo, senza dubbio sarebbe diverso. “Risvegliandosi”, l’umanità prenderebbe coraggiosamente le misure… contro il suo smarrimento così prolungato”.
Ciò di cui ha bisogno il nostro mondo è di essere istruito nella vera Conoscenza: “Il grande problema dell’umanità è l’ignoranza a tutti i livelli” (Dalai Lama).
Quando si comprende la legge del Karma, o legge di causa ed effetto, le nostre azioni cambiano. Quando si riconosce l’ispirazione e l’intuizione, oltre a tutte le possibilità di proiezione del pensiero, i limiti dell’invisibile si dissolvono. Quando attraverso la fede, sostenuta dalla conoscenza e l’esperienza, l’immortalità diventa una certezza, non vi è più posto per la paura dell’ignoto, della solitudine e della sofferenza, né per la superstizione. Allora il termine transizione assume il suo vero significato e, come per il giorno e la notte, vita e morte diventano inseparabili complementi, eterni innamorati abbracciati.
I – La transizione: un ‘iniziazione
La morte e la nascita sono le due fasi “chiave” del nostro passaggio sulla Terra. Una ne segna l’inizio, l’altra la fine, a meno che non costituiscano entrambe una transizione della coscienza da un piano d’esistenza a un altro.
Come Rosacrociani siamo particolarmente interessati a questo processo della morte o transizione. Quello che gli conferisce tutta la sua importanza e significato è l’impatto che ha sulla nostra coscienza. Ecco perché la chiamiamo iniziatica.
Il nostro mondo ha perso tutto il senso iniziatico della morte e quindi della vita. Quando sapremo riconoscere che l’avvenimento importante o significativo della nostra esistenza è un’iniziazione, allora la vita e la morte assumeranno il loro vero significato.
Con la comprensione delle leggi spirituali, si possono comprendere meglio le leggi materiali, essendo sottomesse alle prime, al punto che diventa possibile il dominio dei due piani; poiché tutto ciò che è in basso è come ciò che è in alto e viceversa.
Il – Preparazione alla morte
Prepararsi alla transizione comprendendola meglio non la fa anticipare. Questo soggetto risulta ancora un tabù per molte persone, poiché tocca le fondamenta e i valori più profondi dell’essere umano. Ciò che consideriamo tabù spesso è qualcosa che abbiamo paura di affrontare, gli elementi che non vogliamo riconoscere in noi. Preferiamo avvolgere di mistero ciò che non possiamo spiegare e che, per ignoranza, crea in noi paura e superstizione. E vero che desideriamo conoscere tutti i misteri dell’Al di là, ma solo l’esperienza interiore può svelarceli.
1) La morte, un viaggio
La preparazione alla transizione è paragonabile ai preparativi per un viaggio. Prima di partire bisogna documentarsi, conoscere i luoghi e sapere come si vive. Anche al grande momento della transizione ci si dovrebbe preparare.
Ma, soprattutto, perché attendere tanto prima di pensarci? Questa prospettiva aiuterebbe sicuramente a vivere la transizione in modo meno angosciante, più sereno e cosciente. Può sembrare paradossale, ma più si addomestica la morte, più si apprezza la vera vita e si sente la Vita in noi. Senza questa visione, vita e morte sono degli opposti che non hanno alcun reale significato.
2) Le diverse morti
Durante la nostra vita viviamo numerose morti o transizioni. Ognuna necessita distacco, accettazione e adattamento a un nuovo modo di vivere, a una nuova comprensione. C’è la morte di un essere caro, la separazione da un congiunto, un amico, la perdita di un arto, di un impiego, un trasloco, la rovina sociale o economica, la pensione, il passaggio delle diverse età della vita, la morte dell’ego e infine la morte del corpo fisico.
Ciascuna di queste perdite comporta un dolore. Come placarli? Non è un paradosso cercare di trovare una soluzione a una situazione senza uscita e inaccettabile? Così questa perdita ci pone davanti a due scelte, accettare o negare:
– accettare = adattamento = visione del futuro = vita,
– negare = stagnazione = ritorno al passato = morte.
La capacità di adattamento e accettazione determina la durata del dolore. Accettare di perdere per meglio ritrovare! In realtà le tappe vissute da chi trapassa sono le stesse per i congiunti che sopravvivono, con la sola differenza che uno cambia di piano mentre gli altri continuano su questo. Sia per l’uno che per gli altri c’è transizione, iniziazione, elevazione di coscienza. Solo il tempo e lo spazio li separano.
– tempo = durata di persistenza della tristezza,
– spazio = frontiera tra i mondi visibile e invisibile delimitata dalle vibrazioni materiali e spirituali.
Una visione più spirituale riduce i limiti tra il mondo dei viventi e quello dei morti. Le persone trapassate non sono degli scomparsi, ma degli invisibili. E risaputo che per molti che hanno perso un essere caro, il contatto con lui, durante un sogno o mediante una proiezione psichica, agisce come una terapia. Spesso questo contatto privilegiato dà la certezza che la persona trapassata esiste sempre, dando così fiducia nella credenza in un mondo superiore o almeno al di là di questo. Inoltre tale contatto reca solitamente un messaggio che conforta o permette di attenuare le colpe, le angosce o le paure. Sovente lascia una forte impressione d’amore e di compassione, oltre a una sensazione di pace profonda; il che permette alla persona contattata di concepire la propria vita in modo più sereno e fiducioso.
3) La morte dell’Ego
La morte dell’ego o, se si vuole, del “vecchio uomo”, con i suoi falsi desideri di possesso, di potere e di prestigio, costituisce un elemento centrale del sentiero iniziatico e particolarmente dell’esperienza della transizione. Dal punto di vista della psicologia moderna, l’ego è lo strumento, l’agente di ogni crescita (qualunque ne sia la sorgente). Paradossalmente è anche il freno di questa crescita a causa delle debolezze del suo sviluppo.
D’altra parte, secondo i buddisti tibetani, l’ego è un concetto illusorio che non ha reale sostanza. Sarebbe la fonte di tutti i nostri problemi poiché è sinonimo di attaccamento. Solo sviluppando la compassione possiamo arrivare ad annullare l’ego. La compassione non è l’amicizia, ma l’amore disinteressato, poiché distrugge l’attaccamento.
Secondo la visione Rosacrociana, possiamo considerare che il fatto di inviare buoni pensieri, in modo disinteressato e non personale, rappresenta una forma di compassione.
Il corpo soffre quando muore poiché non vuole riconoscere quest’altra dimensione dell’io vero. Non sa dove va e non vuole lasciare la presa. Il suo mondo è quello della materia. Viviamo in un corpo fintanto che abbiamo bisogno di proiettarci in esso al fine di comprendere, e infine riconoscere, la nostra vera natura spirituale. Soltanto allora avremo acquisito la convinzione che non possiamo perdere alcunché abbandonando il corpo fisico.
Per tutta la vita siamo stati più volte davanti alla morte dell’ego, ma gli abbiamo detto no: “Ho paura di perdere qualche prerogativa. Sono attaccato ai miei pensieri, ai miei beni, agli esseri cari”. Tanto che abbiamo dimenticato questi momenti di richiamo della coscienza. Credendo di aver detto no alla morte, noi abbiamo detto no alla vita. Ma dato che i nostri meccanismi di difesa sono sempre allerta, perseveriamo finché, un bel giorno, comprenderemo chi è questo vero Io in noi, chi è questo Maestro interiore. Egli non è altri che il Saggio che noi siamo e che, nella sua grande saggezza, attende di essere riconosciuto e ascoltato.
“Tutti ricerchiamo un titolo, chi quello di “signore”, chi quello di “presidente”, di “figlio”, di “ricco” o chissà quale altro. Volere tali titoli prova il nostro attaccamento al corpo, poiché possono essere applicati solo ad esso. Il primo passo verso la realizzazione spirituale consiste nel realizzare che siamo distinti dal corpo. Il solo modo per sottrarci a queste influenze è praticare il distacco, abbracciare il servizio di devozione al Signore.”
III – La solitudine di fronte alla morte
Non è la nostra anima che teme la transizione, ma l’io razionale in noi. Temiamo la sofferenza che gli ultimi momenti possono causarci, temiamo di diventare un peso per gli altri, perdere la nostra autonomia, dover dipendere. E, soprattutto, temiamo la solitudine. Poiché in quel grande momento saremo soli.
Perché paventare la morte con paura, angoscia, incertezza e a volte persino come un nemico da combattere, mentre è la nostra più grande alleata? La notte non è infatti salutare per il riposo e per la rigenerazione che ci procura?
Questa dimensione della solitudine è una fase importante nell’accettazione della morte e della vita. Tale solitudine e tale silenzio si vivono anche nello stato immediato della morte, dai tibetani chiamato “tra-due” o “Bardo”. Quest’ultimo consente all’essere di confrontarsi con se stesso, di riconoscere il proprio Sé e differenziarlo dal corpo dal quale si è appena separato. Poi di prendere coscienza della sua vera identità e quindi chiedersi dove va, cosa farà e così uscire dallo stato tra-due. Se in vita ha già riconosciuto questa dimensione del Sé, non vive più questa solitudine e questa paura nello stesso modo. Il passaggio agli altri piani di coscienza è senza dubbio molto accelerato e più felice poiché più cosciente.
IV – La meditazione come modello della transizione
La morte è per molti aspetti simile al processo della meditazione. E la più bella e sublime meditazione che l’essere possa raggiungere. Perché? Perché libera da una fase dell’evoluzione limitata nel tempo riportandoci alla nostra dimensione spirituale, continua ed eterna. Dimensione definitiva, almeno fino all’incarnazione successiva.
Per meglio capire o immaginare questo processo della transizione, mettiamo in correlazione le varie fasi della meditazione e della transizione nel prospetto che segue:
CORRISPONDENZA TRA
MEDITAZIONE E TRANSIZIONE
MEDITAZIONE TRANSIZIONE
CONCENTRAZIONE
Fase attiva con focalizzazione
Perdita oggettiva dei 5 sensi
Perdita degli attributi vitali del corpo fisico
Focalizzazione del pensiero verso un altro piano di coscienza
L’anima lascia il corpo fisico
CONTEMPLAZIONE
Fase passiva senza focalizzazione
I pensieri si spiegano davanti alla coscienza
La vita si spiega davanti alla coscienza
Esperienza soggettiva della vita
LASCIAR ANDARE
MEDITAZIONE
Armonizzazione con la coscienza cosmica
Fusione con la coscienza cosmica
Pace, gioia, ispirazione,
illuminazione
Unione, unità
RITORNO
Ritorno alle attività quotidiane Reincarnazione
Rigenerazione attraverso l’influsso cosmico
Le tre tappe della meditazione corrispondono a 3 livelli:
Vita (volontà) – Concentrazione
Amore (coesione) – Contemplazione
Luce (unità) – Meditazione
Al momento di cominciare una meditazione, il corpo si calma, si rilassa e perde coscienza dell’ambiente circostante. Quando moriamo, il cuore cessa di battere, il corpo perde i suoi attributi vitali e la coscienza lo abbandona.
Poi sfilano in noi tutti i pensieri e le azioni vissuti nelle ore e nei giorni precedenti, i più belli e i meno belli, quelli gioiosi e quelli tristi, ecc. Parimenti al momento della transizione passa davanti a noi tutta la nostra vita.
A questo punto della meditazione possiamo sia precipitare nell’intelletto continuando a razionalizzare i nostri pensieri, sia perderci nel gioco delle emozioni che fanno suscitare in noi. Questo stato, dopo la morte, corrisponde al Bardo. In esso, o si stagna o si è assorbiti perché non riconoscendo la luce divina non ci si può fondere in essa. In questo modo raggiungiamo molto difficilmente il vero stato di meditazione, o quanto meno sarà più lungo raggiungere la calma mentale propizia alla meditazione.
Tuttavia questo processo è a volte necessario per chiarire i pensieri e le emozioni che affiorano in noi. In seguito, sopraggiunta la calma, iniziamo le tappe verso la vera meditazione.
Nella meditazione il punto più importante è il “lasciar andare”, ossia abbandonare ogni attaccamento, desiderio, conformismo, per arrivare a uno stato di vuoto. Svuotata la dimensione materiale, ci riempiamo della dimensione spirituale. Questo è anche il punto più importante nel processo della transizione. Nella meditazione il lasciar andare significa perdita dell’io oggettivo, perdita delle illusioni e delle attese, l’essere ricettivo, disponibile per armonizzarsi, fondersi. Nella transizione lasciar andare significa separazione dall’essere fisico, perdita dell’ego o personalità esteriore, staccarsi da ogni attaccamento, persona, cosa, desiderio; essere disponibile, abbandonarsi senz’altra attesa se non quella di unirsi a Dio, fondersi con la Coscienza universale.
Lasciar andare è sempre la fase più importante. Allora si opera la transizione verso quell’altro piano di coscienza. La tecnica dovrebbe essere un sostegno per scoprire il proprio metodo di meditazione.
Non abbiate alcun timore che la meditazione sulla morte anticipi la transizione. Al contrario, vi ispirerà come vivere meglio. La Vita è indipendente dagli stati di vita e morte.
Se siamo animati dai più alti ideali, le emozioni più materiali e intellettuali lasciano rapidamente posto agli stati d’animo più elevati. Sale in noi la preghiera dell’anima con la quale affermiamo di volerci fondere con la nostra natura divina. Animati da tale volontà di raggiungere questo stato, siamo guidati verso i piani superiori. Allora raggiungiamo il vero stato di meditazione: l’armonizzazione e l’unione con la coscienza cosmica, da cui provengono pace, gioia e ispirazione o illuminazione.
Per colui che è trapassato viene il momento di fondersi con il grande Tutto. Completamente libero dagli aspetti materiali, raggiunge il piano di coscienza corrispondente al suo livello. Alla luce della sua natura divina e con l’aiuto dei Signori del Karma, comprende le sue azioni passate che determineranno quelle future. Poi si reincarnerà e, rigenerato attraverso questa unione cosmica, continuerà la sua evoluzione in un corpo fisico.
Dopo aver ricevuto l’influsso cosmico durante la meditazione, ritorniamo alle occupazioni quotidiane rigenerati dal contatto.
Perciò, se giorno dopo giorno mettiamo a profitto i nostri insegnamenti e meditiamo, al momento della transizione saremo più facilitati a staccarci dai possessi materiali, dagli esseri che ci sono cari, dalla nostra mente. E poiché la nostra vita è stata vissuta in funzione dei nostri ideali, al momento della grande iniziazione il nostro cuore e la nostra anima potranno essere pieni soltanto di gioia.
In tutta la nostra saggezza sapremo che non tutto forse è stato perfetto come avremmo voluto o forse non abbiamo avuto il tempo di portare a termine alcuni progetti. Ma conoscendo la legge del Karma, sapremo che potremo completare l’opera in un’altra incarnazione alla luce dell’esperienza e della comprensione acquisite.
V – La morte e le grandi tradizioni
Chi non si è già posto le domande: Che succede e cosa diventiamo dopo la morte? Dove si va? C’è veramente qualcos’altro? E se tutto ciò non fosse vero? Perché si deve morire?
Abbiamo l’abitudine di dire: “Non lo sappiamo, nessuno è mai ritornato a dircelo”. Ma, secondo il grado di interesse e nella misura in cui l’argomento ha importanza per noi, a suo tempo, il nostro Essere interiore ci rivelerà questi segreti.
È bene tuttavia ricordarsi che le grandi tradizioni ci hanno lasciato numerosi scritti sugli stati postumi. Una breve sintesi dei punti più importanti potrà senza dubbio alimentare la nostra riflessione.
1) Il libro dei morti tibetano o Bardo Thòdol
Questo libro è un trattato scientifico che descrive in modo razionale le differenti tappe del viaggio dell’anima dal momento della morte a quello della rinascita.
“Questo libro appartiene alla categoria dei testi che insegnano la tecnica e l’arte di morire. Il suo interesse è centrato sul momento del “passaggio” e sui giorni e le settimane che seguono (1).”
Il termine “Bardo Thòdol” significa “Liberazione mediante comprensione nel piano che segue la morte”. Il libro contiene un insegnamento di grande saggezza. Alcuni passaggi vanno letti al defunto per consentirgli di liberarsi più rapidamente dei suoi attaccamenti materiali e umani e così riconoscere la pura luce. Se, sin dai primi giorni, il defunto non ha saputo riconoscere la chiara luce e fondervisi, dovrà iniziare il suo viaggio nei vari Bardos, che simbolicamente durano quarantanove giorni. In breve, in questi Bardos la coscienza del defunto sarà confrontata col mondo delle illusioni. Queste non sono altro che le illusioni, paure, chimere e fantasmi propri. Quanto più in fretta saprà riconoscerli, tanto prima si libererà allo scopo di reintegrare il suo stato divino (o fondersi col Buddha) oppure di reincarnarsi.
Il Karma determina le condizioni dell’esperienza che quest’anima vivrà. Il grande messaggio trasmesso da questa tradizione buddista tibetana è che dobbiamo liberarci da ogni illusione e attaccamento per poter raggiungere lo stato di Buddha.
“Il termine Buddha designa ogni persona che si è completamente risvegliata dall’ignoranza e si è aperta al suo vasto potenziale di saggezza. Un Buddha è colui che ha messo termine definitivamente alla sofferenza e alla frustrazione scoprendo una felicità e una pace durevoli, incrollabili (4).”
“E ciò può essere realizzato in questa incarnazione.”
Secondo tale tradizione, lo stato di Buddha si raggiunge attraverso il non attaccamento. Un buon mezzo per arrivare a questo distacco o morte dell’ego è lo sviluppo della compassione.
2) Il libro dei morti degli antichi Egizi
Il suo titolo esatto in verità è: “Uscita verso la luce del giorno.”
Nella tradizione egizia i simboli hanno un posto preminente come mezzo di trasmissione degli insegnamenti. Questo non sempre è semplice da comprendere né necessariamente esatto nell’ordine cronologico degli avvenimenti. I riti funebri erano molto elaborati.
“Lo scopo era di permettere alla coscienza Ka di riunirsi all’anima spirituale Ba.”
“La mummificazione serviva a conservare la coesione delle membra. Simbolicamente significa che l’anima conserva la sua identità e il dominio della Coscienza”.
“La conoscenza dei misteri dipende dalla riunificazione della Coscienza.”
“La descrizione della vita dopo la morte costituisce il carattere essenziale del Libro dei morti Egiziano.”
“Una parte del libro era usata come guida dai candidati all’iniziazione; la nozione di morte, in questo caso, diventava un termine tecnico che indicava il passaggio dal piano di coscienza quotidiano a quello della super coscienza.”
La lettura degli incantesimi trasmette forza e determinazione a colui che li legge. Questi testi danno l’impressione che sia l’anima in tutta la sua onnipotenza e onniscienza a parlare attraverso il lettore. La lettura di questo libro sarà senza dubbio di grande ispirazione, sapendo che questa Tradizione fa parte delle origini dei nostri insegnamenti rosacrociani.
“L’iniziato partiva dal principio che il fenomeno della morte fisica era solo una metamorfosi della coscienza. Per lui l’anima, dopo aver varcato la soglia, percorreva le tappe successive di un’evoluzione normale.”
“Gli antichi Egizi ritenevano che nascendo sulla Terra, l’uomo moriva per il mondo dell’Al di là; le sue potenzialità sovrumane subivano un eclissi. La morte terrestre era invece una nuova nascita, una rinascita nello spirito, un ringiovanimento dell’io profondo. Il defunto diventava un neonato. Il piano nel quale approdava dopo il passaggio della soglia era la regione dell’assoluta possibilità. Libero dalla prigione materiale poteva vivere l’esperienza di una libertà totale.”
Il punto importante in questa Tradizione è che soltanto la Vita è reale e assoluta, non la morte. La metamorfosi è l’elemento chiave del pensiero egizio sapendo che consiste in molteplici trasformazioni. Questo sottintende evoluzione.
3) Lo Zohar
È’ il “Libro dello splendore” della tradizione giudaica.
Un’idea interessante dello Zohar è il paragone tra il sonno e la morte. Ogni notte, vi si legge, l’anima compie lo stesso viaggio che farà quando lascerà il corpo definitivamente. Lasciando il corpo vivere unicamente delle sue funzioni vitali, l’anima si eleva verso le regioni superiori. Se è pura non si lascerà sedurre dalle potenze impure e raggiungerà il regno celeste. Gli angeli le comunicheranno le verità e poi, al mattino, rinascerà rinnovata. Se gli stati di veglia sono stati impuri, l’anima dimorerà con gli spiriti impuri che la indurranno in errore. E, venuto il mattino, ritornerà al corpo che si sveglierà. Nel nostro Ordine, in modo analogo, ci è raccomandato di elevare i nostri pensieri verso il Cosmico prima di addormentarci.
4) Il Vedanta
Nato dalla tradizione indù, significa letteralmente: “La fine del Veda”.
“Secondo l’induismo, la Vita dell’Universo visibile e invisibile non è altro che illusione cosmica, maya, un gioco, Lila, entrambi sprovvisti di senso e realtà; solo la morte, realtà assoluta, può essere presa sul serio.”
Il messaggio offerto da questa Tradizione è che dobbiamo pervenire all’unità o alla non dualità. Solo l’illusione può velarci la realtà. Il nostro desiderio deve essere di unirsi a Brahman, poiché siamo ciò che pensiamo.
“Si diventa ciò che si è, secondo i propri atti e la propria condotta.”
“In verità si deve con zelo purificare questo pensiero che è il ciclo stesso delle rinascite. Si diventa identico a ciò che si pensa: ecco l’eterno mistero.”
“Secondo la Bhagavad-Gita gli esseri avvolti dall’ignoranza (tamas) sono incatenati dalla negligenza, l’indolenza e l’inerzia e rinascono dopo la morte in matrici di esseri privi di conoscenza. Coloro che ostentano il desiderio e l’azione (raja) sono attaccati al frutto delle loro opere e rinascono al mondo dell’azione (pitri-yana). Coloro che si attaccano alla conoscenza (sattawa) si assoggettano alla felicità e alla purezza e appartengono al Mondo senza macchia di quelli che conoscono i principi supremi (deva-yana). Ma coloro che non partecipano ad alcuna di queste tre tendenze (gunas) e che sono fermamente stabili al di sopra della conoscenza, dell’azione e dell’ignoranza, che considerano allo stesso modo la felicità e la sofferenza, l’onore e l’insulto, l’amico e il nemico, questi diventano il Brahman.”
VI – Esperienze di morte imminente (EMI, o NDE “near death cxperience”)
Gli scritti di queste Tradizioni sono oggi confermati dai racconti delle persone che hanno provato la morte clinica. Queste persone considerano la loro esperienza ineffabile, incommensurabile, un mondo di luce indefinibile. Una sensazione di estremo benessere, pace e calma con una delusione per essere ritornati alla vita sulla Terra. Hanno anche provato una sensazione di umiltà davanti all’ampiezza dell’avvenimento unita alla sensazione di far parte di un Tutto.
Dopo l’esperienza rimane un punto in comune: tutti hanno una profonda convinzione della realtà spirituale. “Questa esperienza li ha avvicinati a Dio e non alla Chiesa.” (N. Giroux). Secondo Sogyal Rinpoché, l’aspetto più importante della morte imminente è il cambiamento che reca scomparsa della paura della morte. Il Dr. Kenneth Ring dice che si è constatato un cambiamento di valore, un comportamento meno materialista, più aperto alla spiritualità, una diminuzione della paura della morte. Dopo questa esperienza non più il 50%, ma la totalità delle persone, credeva nella reincarnazione. Non si tratta semplicemente di credere, si dice, ma della certezza di sapere, una conoscenza assoluta. Tutti coloro che hanno vissuto una EMI sono concordi nel dire che quando il corpo sta per morire loro non stanno per morire. I suicidi che hanno vissuto la stessa esperienza e sono ritornati, hanno vissuto lo stesso cambiamento e non vogliono più uccidersi di nuovo.
Il Dr. F. Smith riferisce che parecchi ricercatori hanno constatato che lo stesso tipo di esperienza può sopraggiungere in molte altre circostanze: rilassamento profondo, meditazione, stress intenso, sogno.
Vita e morte sono indissociabili. La nostra morte sarà ciò che è stata la nostra vita. Noi reagiamo di fronte alla nostra transizione nello stesso modo in cui abbiamo reagito davanti a tutti i grandi avvenimenti prodottisi durante la nostra vita. Il dopo morte non è altro che il seguito continuo di ciò che siamo stati in vita.
Tutte le Tradizioni sembrano d’accordo sul fatto che un’anima pura raggiungerà rapidamente i piani più elevati, mentre un’anima meno pura stagnerà più a lungo, poiché confrontata con le sue paure, passioni, desideri, emozioni, che ritardano la sua ascesa spirituale.
L’Ordine Rosa-Croce dice che alla transizione raggiungeremo il piano di coscienza a noi più adatto. Senza dubbio la meditazione, i pensieri, le parole e le azioni di natura elevata e altruista contribuiscono all’armonizzazione e all’elevazione del nostro essere.
Ogni Tradizione porta un insegnamento prezioso. Anche se talvolta sembrano opposte, esprimono ciascuna a suo modo quei principi che convergono verso una stessa realtà.
Conclusione: confronto con la Sfinge
La nostra visione della morte, non potrebbe essere rappresentata dalla Sfinge egizia che è il contrario della morte? La Sfinge è scolpita nella pietra che rappresenta la terra su cui poggiano le sue zampe di toro pronte ad agire. Il corpo di leone rappresenta l’animale in noi, l’animale domato, il leone riportato alla Vita. Le ali d’aquila le permettono di elevarsi per vedere dall’alto; è il simbolo dell’essere spirituale in noi. Poi quel viso umano che esprime la vita dopo che ha trasceso la morte, il tempo e lo spazio. Il suo sguardo è vivo e trafigge ogni coscienza. Infine, la Sfinge esprime l’eterna giovinezza o la vita eterna, poiché non ha età né sesso. Sembra dirci:
“Svegliatevi, non affondate nella materia, non spaventatevi delle vostre realtà; ridiventate coscienti di ciò che siete realmente: un Essere divino in possesso della vita eterna. Guardatemi! Io ho attraversato i secoli e sono sempre qua a ricordarvi chi siete…”.
In effetti la morte non esiste realmente. E’ soltanto una transizione verso un altro stato. La morte è una condizione terrestre e materiale; solo la Vita esiste. Molti mistici e poeti hanno descritto questo stato e lo hanno chiamato “Illuminazione”, “Coscienza Cosmica” o “Rigenerazione”.
Da questo punto di vista è facile immaginare fino a che punto la nostra morte sarà meravigliosamente cosciente. Essa, in realtà, non sarà mai una morte, ma la Vita nella sua piena realtà.