LUNGA LETTERA

LUNGA LETTERA

Cari fratelli, nel mio ultimo soggiorno all’ospedale di Bordeaux, avendo a disposizione molto tempo, feci riflessioni e letture che, al ritorno sottoposi a un Fratello in una “lunga lettera”. Per me era stata una esperienza importante che mi aveva indotto a rivisitare (ma la parola è inadeguata) completamente i miei venti anni in Massoneria. Il M:. V :. mi ha chiesto di leggerla in tempio, e eccola qui. Non ho cambiato neanche il “tu” col quale indirizzavo il Fratello. Ho menzionato riflessioni e letture, e comincio dalle letture.

Mi sono accorto che in tutti questi anni ho letto un mucchio di roba sulla Massoneria, omettendo ciò che è più importante, e cioè i documenti. Stufo di sentire banalità su quell ‘oggetto vago e indistinto che è la “tradizione”, ho pensato di cercare le fonti, per quanto possibile. Quasi tutte inglesi, ma ho scoperto che in Francia sono state estesamente tradotte. Almeno una (il “Regius”) anche in Italia. Per fonti intendo i testi massonici pre-andersoniani. Per inciso, le Costituzioni di Anderson sono un malloppo di un centinaio di pagine. Di tutti quelli che ne parlano (generalmente male) vorrei sapere quanti le hanno lette.

Mi sono letto due testi di epoca decisamente operativa (1390 e 1410 circa) e cioè i due manoscritti noti come Halliwell (Regius) e Cooke. Non so se tu li hai letti (forse li ignori avendo fatto il mio stesso errore), e comunque te ne riassumo i tratti essenziali (molto simili nei due testi).

Vengono riepilogate le origini mitico-storiche della Massoneria a partire da Noè e da Nemrod (costruzione della Torre di Babele) per passare al mondo ebraico (Abramo che in Egitto iniziò Euclide alle arti liberali, Davide, Salomone, il Tempio). Sempre presente (qui come in testi successivi) il mito delle due colonne sulle quali era stata incisa tutta la sapienza pre-noaica (quella che poi Abramo trasmise a Euclide), e che sopravvissero al diluvio.

Si insiste molto sull’importanza delle sette Arti Liberali considerate essenziali per l’architetto, e sulla connessione e quasi identità tra Massoneria e Geometria, questa ultima inventata da Euclide per misurare la terra di Egitto e le piene del Nilo.

Si passa alle origini cristiane (i Quattro Santi Coronati che cristianizzarono l’Inghilterra). Ognuno dei due testi contiene una preghiera e il tono nell’insieme è decisamente cristiano-devozionale.

Ci sono riferimenti al passaggio della Massoneria dal vicino Oriente alla Francia e da questa all ‘Inghilterra.

Il grosso dei due testi è composto da Antichi Doveri e cioè da un insieme di norme morali-deontologiche-organizzative e di regole sull’assunzione degli apprendisti e sul rapporto col nobile committente eccetera eccetera. Già presente un vincolo di segretezza.

Quei che non c’è è forse ancora più importante di quel che c’è: è infatti assente qualsiasi riferimento a un rito di iniziazione, così come qualsivoglia altro elemento di carattere esoterico.

Di quasi due secoli più tardivo (1583), il manoscritte “Grand Lodge no I” non è molto dissimile dai due più antichi per la parte normativa. E assai più ricco di riferimenti ai vari re cristiani protettori della corporazione. Inoltre compare il riferimento ad un rito di ricevimento nel quale il recipiendario tiene tra le sue mani il libro della Costituzione.

Siamo qui al periodo della transizione verso la Massoneria speculativa, aperta ai non-muratori, come dimostrano alcuni catechismi di poco successivi. Questi vari catechismi seicenteschi esprimono un’evoluzione che si manifesta con alcuni caratteri e in particolare:

  • compare una forma arcaica di iniziazione che si esplica con la comunicazione dei due nomi delle colonne del tempio di Salomone (“Mason Word”, che è anche un mezzo di riconoscimento: si cita anche un segno manuale);
  •  la forma è quella del dialogo
  1.  alcuni aspetti simbolici sono accentuati (Salomone)
  •  c’è un riferimento alla “Mason Word” in connessione con la “seconda vista” (esoterismo).

Nel “Manoscritto di Edimburgo”(ultimi anni del ‘600) c’è un breve rituale con caratteri simbolici più accentuati, un giuramento, riferimenti al Tempio di Salomone.

L’ultimo manoscritto pre-andersoniano che ho letto (il “Dumfries n. 4” del 1710) presenta ancora i caratteri arcaici dei testi operativi (preghiera, il mito delle due colonne ante-diluviane della conoscenza, le arti liberali), ma ha già molta esegesi biblica e molti riferimenti al Vangelo di Giovanni. La parte mitico-storica è sostanzialmente quella di tre secoli prima, ciò che indirettamente testimonia della validità (continuità) di questi documenti. Il riferimento alla fede cattolica è breve, ma preciso. Il rituale ha già elementi simili agli attuali. Compare Hiram, figlio di Vedova. Il  è chiamato

Lasciamo perdere Anderson (più o meno conosciuto) e passiamo alla successiva pietra miliare, e cioè al “Discorso” di Ramsay. Nell ‘opera di Ramsay, in particolare la seconda stesura (1737), si trovano per la prima volta molti caratteri che diventeranno tipici della Massoneria, come pacifismo, enciclopedismo, cosmopolitismo, il mito dell’origine cavalleresca, e soprattutto (guarda, guarda) l’esoterismo con concetti quali quello di scienza segreta, misteri massonici, trasmissione orale, parole sacre, e soprattutto conoscenza per pochi, originante da Salomone e “ritrovata” dai Crociati a Gerusalemme. C’è il bando alle donne (per prevenire eccessi e orge) e c’è l’esplicita affermazione del significato simbolico del lavoro svolto dagli operativi. E come sempre c’è l’elogio delle Arti Liberali considerate come indispensabili qualificazioni. Mi fermo qui con le letture, e passo alle riflessioni.

Non pretendo affatto che quel che ho letto sia tutto lo scibile massonico preandersoniano. Però lo considero un campione significativo: non ci sono poi moltissimi documenti di epoca operativa. Personalmente, ha rafforzato la convinzione che i concetti di iniziazione, luce massonica ecc., che hanno corso in Pedemontana, sono distorti. Ero già su questa strada, ed è quello che avevo oscuramente in testa un paio di anni fa quando avevo fatto una tavola nella quale argomentavo che con “iniziazione” si intendono cose svariate ed eterogenee.

In particolare, l’idea che la unica iniziazione valida è quella che si ricollega a una sorgente primordiale attraverso catena ininterrotta, se si sta ai testi preandersoniani che ho letto, risulta fasulla. Ma di questo ero convinto senza bisogno di leggere quegli antichi documenti. Per inciso, se così non Cosse, considerato il mediocre livello della pratica rituale in Massoneria, saremmo tutti iniziati fasulli.

Alcune cose risultano chiaramente dalle fonti storiche. Una è l’origine settecentesca e post-andersoniana (Ramsay) di moltissimi tra i caratteri essenziali della Massoneria, in particolare, dell’esoterismo. Un’altra è il carattere essenzialmente morale dell’insegnamento rituale massonico. Questo viene fuori chiarissimamente da tutti i documenti antichi che ho letto, e in particolare dai più antichi, dove l’insegnamento morale-deontologico è pressoché l’unico, mentre vi si associano da una parte la orgogliosa rivendicazione della nobiltà culturale (sì, culturale: tutta l’insistenza sulle sette arti liberali!) delle nostre radici; dall ‘altra parte il carattere francamente cristiano e insieme un approccio decisamente devozionale verso la problematica religiosa, senza altre velleità od ambiguità. Certo, a nessuno di quei fratelli pre-andersoniani sarebbe venuto in mente di mettere sull ‘altare il Corano o la Baghavad Gita al posto della Bibbia, come a volte è stato quanto meno ipotizzato in Pedemontana (in nome dell'”unità trascendente delle religioni”)! Di duale” neanche l’ombra.

Va detto che il carattere morale dell ‘insegnamento massonico emerge altrettanto chiaramente dai nostri moderni documenti, e in particolare dai rituali: basta leggerli per quel che sono, e non per quel che siamo stati abituati a pensare che fossero sulla base di interpretazioni forzate. Un fratello della Brofferio ha provato a definire la Massoneria sulla base di ciò che si trova nei nostri rituali e costituzioni e, al termine di un’analisi invero rigorosa, è arrivato al risultato seguente: La Libera Muratoria è Una Società privata dotata di regole tradizionali che integra i propri membri attraverso un progresso di gradi e un esoterismo specifico e tradizionale del linguaggio e della drammaturgia, i cui membri, singolarmente e come insieme, perseguono un percorso aperto di perfezionamento morale, interiore e sociale, il cui fondamento è dato dall’esistenza dell’Essere Supremo, i cui principi sono i principi fondamentali della Libera Muratoria, il cui fine è il bene morale dell’individuo membro, che si concreta nello stesso percorso aperto di perfezionamento, e il bene della società in generale, che si concreta nella applicazione e diffusione dei principi della Libera Muratoria.

Quando ho letto questa roba mi è parsa stravagante, ma in effetti, rileggendo tutta la relativa argomentazione, ho concluso che stravagante non è (la tavola è a disposizione di chi vuole leggerla).

Va ora detto che la nostra “deriva” massonica ci ha portato a approdi che con la Massoneria non hanno più niente a che fare, ma niente veramente. Ho pensato a questo una sera quando il Fr. Silvano, in una tavola che io peraltro condivido quasi totalmente, ha detto di essersi formato la convinzione che gli affetti famigliari sono un ostacolo sulla via iniziatica. È questa un’idea tipicamente indù (malgrado una fugace, citatissima comparsa nel Vangelo), e con questo arrivo all’ultima parte della mia lettera: è in India che un uomo di casta brahmanica, arrivato a cinquanta anni, butta via il cordone brahmanico e si fa monaco itinerante. Non c’è niente di simile nella nostra cultura, e tanto meno nella tradizione massonica.

Quella frase di Silvano non era particolarmente importante nel contesto, ma ho voluto citarla qui come esempio. Tuttavia, ben altro ci è arrivato dall’Oriente. Perché è sulla spinta di venti orientali che la nostra barca ha fatto la sua rotta. In particolare, ci sono arrivate due idee fondamentali: la natura divina dell’Uomo e (figlio di quella) il concetto di realizzazione iniziatica.

Mi chiedo come hanno potuto farsi strada due concezioni così estranee al bagaglio concettuale della nostra istituzione. Due concezioni che in Occidente si incontrano solo in qualche corrente mistica, alla Meister Eckart. Nei sopra citati testi medievali massonici l’atteggiamento è totalmente devozionale, e (ripeto) di “advaita” non c’è neanche l’ombra. E sì che il Domenicano (eretizzante) Meister Eckart era quasi loro contemporaneo. La mia risposta è semplice: queste idee sono puro Vedanta. Ora, chi ha portato il Vedanta in Pedemontana? Chiaramente, Mario Bianco.

Concedimi allora una considerazione dichiaratamente speculativa. Ho provato a cercare di ricostruire l’itinerario intellettuale e spirituale di Mario nei suoi ultimi anni. Sono arrivato alla conclusione che nei riguardi della Loggia ha perpetrato un affettuoso inganno. Non so se fosse un cultore delle Upanishad quando è entrato in Pedemontana, o se lo sia diventato dopo. Certo, erano il suo vero nutrimento, e ricordo ancora il tono addirittura affettuoso col quale parlava della “sua Katha” e della “sua Chandokya”. Il suo tentativo quasi eroico (per le energie che gli ha dedicato) è stato quello di innestare il Vedanta sulla Massoneria. Quando si è accorto che era un fallimento, se ne è andato, ma non ha avuto il coraggio di dire ragazzi, guardate che non funziona. Ha passato la staffetta a Adriano. Personalmente, penso che abbia avuto una chiara percezione del fallimento quella sera che, per un voto di differenza, gli abbiamo preferito Leo come MV. Classica e decisiva crisi di rigetto. Ma penso anche che se lo avessimo eletto non sarebbe cambiato niente: l’equivoco sarebbe forse durato un po’ di più.

Se quel tentativo fosse stato ispirato dalla lettura di Guénon, non lo so, e non credo. Non ricordo che Mario fosse un gran consumatore di Guénon. In altre logge chiaramente il ruolo di Mario Bianco lo ha avuto la lettura dell ‘opera di Guénon. Resta che l’itinerario di Mario è stato simile a quello di Guénon. Una apparizione tutto considerato fugace in Massoneria, seguita dalla emigrazione verso lidi giudicati più genuinamente iniziatici, o verso un guru giudicato autentico, e verso un impegno forte. Altro che quello nostro all’acqua di rose.

Che cosa è rimasto di tutto questo in Pedemontana? Per molti di noi è rimasta una posizione di comodo. Sparo alto, anzi altissimo. Con le mie cento ore all ‘anno di lavoro massonico, e con la pratica di un rituale nemmeno particolarmente “strenuo” arriverò dove non arrivano certi poveri “profani”, quali ad esempio certi monaci con le loro durissime regole. I quali poveretti si accontentano di perseguire una banalità quale la salvezza e non, come noi, l’obiettivo nobile della “realizzazione” (confesso che, a sessantadue anni, non sono ancora riuscito a capire la differenza). Non si hanno nemmeno particolari obblighi morali/comportamentali, dato che tutte le prescrizioni dei rituali vanno intese come simboliche. Comunque, basta crederci o, in qualche caso, far finta di crederci.

Altri per fortuna pensano che “lavorare al bene dell’Umanità” significa semplicemente “lavorare al bene dell’Umanità”, e lo fanno. Lavorano per questo, e lavorano per migliorare sé stessi. E ci riescono. Praticano rituali che potrebbero avere valore teurgico. Oppure magico. Oppure psicologico. Dei quali comunque percepiscono l’utilità. Mettono in un cassetto la “realizzazione iniziatica”, e fanno cose. Perseguono obiettivi (quelli tratteggiati nei vari “Antichi Doveri”) che la Massoneria ha fatto propri e che giudicano buoni e che costituiscono il legante dell’Istituzione. Sono quelli che salvano [‘Istituzione (e la Loggia) dal rischio di diventare una fabbrica di fumo.

Oggi “leggo” in modo diverso anche il rifiuto della magia. Non è solo l’ossessione della contro-iniziazione (un altro animale sconosciuto ai nostri antenati, a giudicare dai testi che ci hanno lasciato) e delle potenze infere presunte responsabili degli effetti magici. C’è di più: l’arte magica ha come oggetto il mondo naturale. Opera sulle cose fisiche (ta fisikà: penso che ciò valga anche per l’alchimia). Niente a vedere con la meta-ta-fisikà. Si situa quindi su un piano giüdicato “ignobile”. Nessuna azione magico-teurgica ci promette la “realizzazione” (in senso pedemontano).

Leggo in modo diverso anche il rifiuto della “cultura”. Chiaramente, la cultura non serve quando arrivi all’illuminazione. Ma lungo il percorso, proprio inutile non è: se non altro, affina ed affila il tuo mentale. Cultura è anche apprendere cosa pensavano grandi uomini del passato sui grandi problemi esistenziali: vita, morte, fede, conoscenza, amore …. E frame insegnamento. Questo vale per un semplice come me. Ma ahimé c’è un problema: sono davvero esistiti grandi uomini in passato? Erano degli iniziati quei presunti grandi uomini? In caso contrario, non vale la pena di perdere tempo ad ascoltare la loro voce. E, ammesso che fossero degli iniziati, erano nell’ortodossia, nella mia ortodossia? In caso contrario, eccetera, eccetera. Cosa possono insegnarci quei pellegrini a nome Socrate, Bruno, Pascal, Goethe? Non erano neanche massoni …

Lungo un itinerario come questo, è facile trovarsi senza cultura e senza illuminazione, anzi è addirittura probabile. La difficoltà del reclutamento diventa insormontabile. Posso seriamente avvicinare un tizio (che di Massoneria non sa pressoché niente) e dirgli, vieni con noi e diventerai come Dio? (Come farò? Non preoccuparti, poi ti spiego). Quel che è peggio, ogni sperimentazione diventa impossibile perché comporta il rischio di uscire da quella fasulla ortodossia per la quale è importante decidere se si debba dire “di fronte al  ” oppure “al cospetto del “: un’orgia del futile, che noi “vecchi” abbiamo troppo spesso condonato (qualche volta, anche alimentato). In queste condizioni, i “normali” fuggono. A parte noi vecchi che siamo mitridatizzati.

Quanto a me, mi rimprovero di non essermi mai posto questi problemi, quantomeno non in maniera precisa e recisa. Ho sempre predicato che il Massone dovrebbe essere impegnato in una costante verifica delle sue posizioni e delle sue conclusioni, e su di esse esercitare il suo spirito critico, il suo distacco ed un giudizio affinato e reso tagliente dal lavoro di Loggia. Non mi accorgevo che a questo mio riesame sfuggivano (forse sfuggono ancora) aspetti che sono tra le basi stesse della mia visione del mondo. Potavo qualche rametto, e non mi accorgevo che il tronco era mezzo vuoto dentro.

TAVOLA DEL FR.’. R. Scch,

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