GARIBALDI E LA PACE NELLA PUBBLICISTICA PACIFISTA ITALIANA (1882-1915)
l . Premessa
Dando alle stampe La nascita del moderno pacifismo democratico ed il Congrès International de la paix di Ginevra nel 1867 1 ‘ Michele Sarfatti rilevò che la “zona d’ombra che ancora oggi caratterizza i rapporti dell’Eroe dei Due Mondi con il pacifismo ed i pacifisti” non doveva “intendersi come buio o silenzio”, giacché se ne erano in precedenza variamente occupati Giuseppe Fonterossi, Giuseppe Santonastaso, Anthony P. Campanella, Letterio Briguglio e Aldo Alessandro Mola. Ma sottolineò che, “forse perché lo stesso nizzardo, consapevole delle radici che aveva il suo mito, dedicherà solo poche righe delle sue Memorie al congresso del 1867 e alla LIPL; forse perché in genere i biografi che gli si sono avvicinati sono stati attratti principalmente dalle sue imprese militari: forse perché il movimento pacifista ha scarsamente goduto di storici e custodi della propria memoria; molto vi è ancora da ricercare e molto vi è ancora da riflettere sull’impegno pacifista di Garibaldi”i2’.
Tale considerazione vale tuttora. Tra le ipotesi da Sarfatti formulate la più corposa ci pare quella relativa alla scarsa attenzione dalla storiografia internazionale prestata ai movimenti e alle iniziative di pace sviluppatisi nel mondo fra l’Ottocento ed il primo conflitto mondiale (e oltre). Dal canto nostro desideriamo però mettere in evidenza anche l ‘ arduità delle perlustrazioni archivistica e pubblicistica. Non già che le pochissime indagini sinora condotte non siano in maggioranza ottime, e talvolta eccellenti. Tuttavia l’imponente documentazione disponibile, conservata non solamente in fondi pubblici, ma altresì presso privati, necessita onerosi sistematici scavi pluriennali. Per di più il deterioramento del materiale procede, quando non accade che biblioteche pubbliche decidano (almeno in Italia) di eliminare pubblicazioni altrove introvabili.
Va notato poi che le preziose opere scientifiche fin qui realizzate sembrano ignorate da taluni maîtres à pensar e addirittura da storici di vaglia. Per limitarci ai casi più illuminanti citiamo Norberto Bobbio, il quale sostenne che nel nostro Paese “una tradizione di pensiero e di azione pacifistica non è mai esistita”, pur soggiungendo che, se durante la Grande Guerra “qualche spiraglio di pacifismo vi fu”, si trattò “di pacifismo umanitario, prolungamento politicamente inoffensivo del mazzimanesimo, e di pacifismo giuridico, supremo ideale delle varie leghe o società per la pace , e François Fejto”, secondo cui uno dei fenomeni “più sorprendenti della fine del secolo XIX e dell’inizio del XX fu la crescita apparentemente irresistibile, in Europa e negli Stati Uniti, del movimento pacifista”, il pacifismo “dei progressisti liberali borghesi” ricevette “il sostegno delle masse socialiste, democratiche e anarchiche” e i congressi pacifisti attirarono “centinaia di migliaia di zelatori entusiasti”.
Ma un’ipotesi. da Sarfatti non avanzata, è a nostro avviso altrettanto importante. Dopo la guerra franco-prussiana e il fallimento delle tentate mediazioni libero-muratorie il Gran Maestro onorario del Grande Oriente d’Italia, Giuseppe Garibaldi, “era venuto attribuendo un nuovo compito alla Massoneria”, il perseguimento dell’unità mondiale. cui “si sarebbe dovuti giungere non attraverso il rovesciamento armato degli Stati esistenti, bensì con la loro lenta aggregazione in plessi via via più ampi, entro i quali sarebbero stati risolti i contrasti Poiché sino a un’età relativamente recente gli studi storici sulla Massoneria sono stati ostacolati, salvo rare eccezioni, da pregiudizi faziosi di segno opposto, ci sembra lecito ritenere che proprio il massonismo di Garibaldi abbia variamente arrecato disturbo a non pochi ricercatori. Del resto questo tema è tuttora controverso, sia per antiche condanne, sia a causa di “scandali” freschi. A riprova va considerata con estrema attenzione, per esempio. la dissociazione dello stesso Sarfatti, dalla scelta di Mola di inserire, nell’antologia Garibaldi vivo, “il Memorandum del 1860 ed il discorso di Ginevra (assieme ad altre lettere direttamente connesse alla proposta dell’arbitrato internazionale) all’interno del capitolo che riporta gli scritti massonici del generale”, dacché in tal modo “il recupero di un aspetto garibaldino molto spesso trascurato finisce per trasformarsi nella creazione di un nuovo quadro di riferimento assoluto e limitante”181 .
Per quel che concerne la disattenzione storiografica nei riguardi dei movimenti pacifisti, ai motivi di carattere generale sopra sommariamente descritti occorre poi aggiungerne uno tipicamente italiano. Le correnti pacifiste attive nella nostra penisola furono animate massimamente da (pochi) radicali, repubblicani e liberali di varia scuola, ascendenza e osservanza. Tuttavia la storiografia sui partiti, adottando un’impostazione che “è certamente frutto anche di un forte bisogno intellettuale legittimamente impostosi dopo il 1945, la necessità cioè di fare luce sulle origini di quei partiti che si accingevano a giocare un ruolo predominante nella politica della nuova Italia”, ha prodotto “una abbondanza di ricerche sul partito comunista e socialista e sul movimento dei lavoratori ed anche sul cattolicesimo politico”, mentre su repubblicani, democratici e liberali “si rivela scarsa e legata alla trattazione frammentaria di momenti isolati
Scopo del presente lavoro non è però l’approfondimento del pacifismo di Garibaldi bensì la ricerca, sinora elusa dalla storiografia, delle tracce da esso lasciate nella pubblicistica pacifista italiana tra il passaggio all’Oriente Eterno del Nizzardo e il primo conflitto mondiale.
2. I movimenti pacifisti nel mondo dall’età napoleonica alla Grande Guerra
Correva l’anno 1809. Taluni gruppi religiosi guidati da quaccheri proposero in Gran Bretagna la costituzione di società pacifiste. Quei pionieri credevano alla perfettibilità dell’uomo, assicurata dalla scintilla divina presente in ogni essere. Per conseguenza si astenevano rigorosamente dal recare offesa a qualunque aspetto della vita e della personalità umana. Si battevano contro la schiavitù, la tratta dei negri, l’alcolismo, la pena di morte, le guerre. Anche contro le guerre di difesa. (Giova ricordare, d’altronde, che, dopo la vittoria riportata ad Hastings il 14 ottobre 1066 da Guglielmo di Normandia sulle truppe di Aroldo II, il suolo inglese non aveva più subito invasioni). Il 14 giugno 1816 un quacchero, William Allen, fondò la Society for the promotion of Permanent and Universal Peace, da cui germinarono le Auxiliary Peace societies che si diffusero rapidamente anche nel Galles, in Scozia e in Irlanda.
Negli Stati Uniti d’ America, al contrario, la vicinanza della guerra d’indipendenza e di quella scatenata, essendo presidente James Madison, per azzerare l’influenza britannica sul continente e per acquisire alla Confederazione il Canada (1812-1914), e l’impossibilità dei quaccheri di pilotare a loro piacimento la corrente pacifista, fecero sì che essa si scomponesse in due tendenze. L’una, rappresentata dalla New York Peace Society, costituita il 14 agosto 1815 dal commerciante David Low Dodge, si opponeva a tutte le guerre, esplicitamente richiamandosi al messaggio di Cristo. L’altra, cui diede corpo la Massachussets Peace Society, eretta il 26 dicembre 1815 dal pastore Noah Worcester, rifiutava invece il pacifismo assoluto. Nel 1828 le diverse società pacifiste americane si riunirono in un’ unica organizzazione nazionale. l’American Peace Society, senza per altro che i dissidi fra radicali e moderati cessassero. Neanche il trionfo del pacifismo integrale, avvenuto nel 1837, riuscì a comporre le discordie, cosicché l’ala estremista si raggruppò nella New England Non-Resistance Society.
Intanto la londinese Peace Society cercava di far conoscere le proprie idee anche nell’ Europa continentale. Uno dei suoi dirigenti, Thomas Clarkson, ebbe un abboccamento con lo zar Alessandro I Romanov. Il quacchero Joseph Tregelles Price consegnò al re di Spagna Ferdinando VII le pubblicazioni della società, poi visitò a Parigi la neonata (1821) Société de la Morale Chrétienne, che annoverava tra i suoi membri Benjamin Constant. François Guizot, Alphonse Lamartine, Léonce-Victor de Broglie, Hippolyte Carnot ed era presieduta da François-Alexandre-Frédéric de la Rochefoucauld-Liancourt.
Aderendo, intorno alla fine degli anni quaranta, ai principi liberoscambisti, le società inglesi ebbero un certo qual successo in Europa e posero le basi delle prime riunioni internazionali della pace, appellate Congressi degli Amici della Pace Universale, che furono celebrate a Londra ( 1843), Bruxelles (1848), Parigi (1849) e Francoforte (1851 ).
Il Congrès international de la Paix di Ginevra (1867) principiò la seconda serie di assise. Mentre Napoleone III chiedeva di portare al Reno le frontiere del suo Impero per reagire al rafforzamento della Prussia bismarckiana recente vincitrice dell’Austria, nella città svizzera fu decisa la fondazione della prima associazione pacifista democratica europea, la Ligue internazionale 18de la paix et de la liberté, con cui Garibaldi fu in costante contatto dal 1872 al 1881
Una basilare evoluzione del pacifismo organizzato fu però contraddistinta segnatamente dai venti Congressi universali della Pace svoltisi a Parigi ( 1889), Londra (1890), Roma (1891), Berna (1892), Chicago (1 893), Anversa (1 894), Budapest (1896), Amburgo (1897), Parigi (1900), Glasgow (1901 ), Principato di Monaco ( 1 902), Rouen ( 1903), Boston (1904), Lucerna (1905), Milano (1906), Monaco di Baviera (1907), Londra (1908), Stoccolma (1910), Ginevra (1912) e L’Aia (1913). La costituzione del Bureau International de la Paix (1891) significò l’istituzionalizzazione di un movimento estremamente composito ma consapevole della necessità e dei vantaggi di un efficace e assiduo coordinamento.
Parallelamente si riunì la Conferenza interparlamentare, la quale nel 1899 prese il nome, che tuttora mantiene, di Unione interparlamentare: a Parigi (1889), Londra (1890), Roma (1891), Berna (1892), L’Aia (1894), Bruxelles (1895), Budapest (1896), Bruxelles (1897), Christiania (1899), Parigi (1900), Vienna (1903), Saint-Louis (1904), Bruxelles (1905), Londra (1906), Berlino (1908), Bruxelles (1910), Ginevra (1912), Aia (1913).
Ai movimenti pacifisti aderivano in effetti persone spinte da moventi anche molto diversi tra loro: non violenti intransigenti che sulla base di ragioni religiose o morali condannavano tutte le guerre; filantropi che per umanitarismo avversavano le guerre di aggressione e più raramente quelle di difesa; economisti liberoscambisti a giudizio dei quali la libera circolazione delle merci avrebbe unito le nazioni così strettamente da impedire i conflitti armati; industriali e commercianti interessati insieme al mantenimento della pace e alla soppressione delle barriere doganali e perciò sostenitori degli economisti liberoscambisti; repubblicani convinti che la principale causa di guerra consistesse nella sovranità di cui erano titolari le monarchie e che in risposta preconizzavano la repubblicanizzazione degli Stati: radicali e liberali progressisti che si sforzavano di organizzare politicamente la società nelle nazioni. di ridurre le spese militari attraverso un miglioramento delle relazioni internazionali e di recuperare in tal modo le risorse necessarie alle riforme sociali da essi auspicate; giuri sti che, constatate le colossali lacune del diritto internazionale, individuavano nel progressivo sviluppo di quest’ultimo la strada maestra per la riduzione delle controversie internazionali; socialisti che accusavano la società capitalistica di essere il motore delle guerre, salvo poi dividersi (molto aspramente) tra riformisti e rivoluzionari. Ma anche uomini politici internazionalisti decisi a costruire una cooperazione interstatuale.
Ci fu collaborazione fra Unione interparlamentare e il Bureau
International de la Paix? Talvolta sì. soprattutto nel senso Bureau-Unione.
Nondimeno già nel 1892 l’Unione si staccò dalle società pacifiste allestendo un
proprio ufficio interparlamentare e, dopo aver tenuto
sue conferenze nelle stesse città prescelte dai Congressi universali, abbandonò spesso questa consuetudine. Pur lavorando entrambi per un ordine internazionale basato sul diritto, pacifisti e interparlamentari erano invero separati da pesanti differenze.
3. Le correnti pacifiste in Italia
Non è nostro compito offrire in questa sede un’ articolata sintesi delle intricate vicende delle correnti pacifiste italiane, su cui contiamo di tornare molto presto e diffusamente dando alle stampe i primi risultati di alcuni anni di scavi archivistici c spogli pubblicistici. Ci limitiamo dunque a osservare che il torinese Bertinatti, intervenuto il 21 settembre 1848 al secondo Congresso degli Amici della Pace Universale dimostrò che una rondine non fa primavera. La rivoluzione nazionale non era ancora compiuta. Sicché non sorprende la risolza con cui Marco Minghetti qualificò il “voto della pace universale (nato) prima nella gran mente dell’ Alighieri” donde passò ad altri “filosofi” che, “dopo di lui, idearono un anfizionico mondiale, o almeno europeo, destinato ad esser l’arbitro delle questioni che nascessero fra gli Stati”, e, da ultimo. rinnovellato e caldeggiato “da una società filantropica d’ America, che trasrerì sua sede in alcune regioni di Europa”, un “[n]obile intento, che sarebbe per ogni parte laudevole, se non fosse di esagerazione, e inefficace nei mezzi che si propongo. no”. Imperroché, argomentò Minghetti, “la speranza di comporre i litigi dei potentati mercé un tribunale di arbitri, è veramente utopia: mentre, se il tribunale fosse disarmato, non sarebbe ubbidito; se armato a ragguaglio del suo incarico, sarebbe un potentato più forte degli altri. e imporrebbe la propria volontà, anziché farsi conciliare delle altrui.
Otto anni dopo “il più ascoltato divulgatore di cultura storica dell’Ottocento italiano”, Cesare Cantù” figurò tra i primi iscritti alla Ligue internationale et permanente de la paix promossa dal francese Frédéric Passy. Ma ben più numerose furono le adesioni italiane al congresso convocato da Charles Lemonnier a Ginevra nel medesimo 1867: il Grande Oriente d’Italia, la milanese Società d’istruzione popolare, le napoletane Libertà e Giustizia e Falange Redenta, La Libertà di Ancona, le Società di Liberi Pensatori di Milano e Varese, le società operaie di Ostuni e Arpino, la Società di Mutuo Soccorso di Tunisi, la Loggia Dante Alighieri di Ravenna, la Società patriottica femminile di Milano, il Comitato napoletano per l’emancipazione delle donne italiane… A Ginevra confluì, in aggiunta a Garibaldi, uno scelto manipolo del variegato magma democratico, libero-muratorio e libero-pensatore composto, tra gli altri, da Benedetto Cairoli, Mauro Macchi, Timoteo Riboli, Giuseppe Ceneri, Vincenzo Caldesi, Alberto e Jessie White Mario, Giovanni Pantaleo, Quirico Filopanti, Carlo Gambuzzi. Giuseppe Missori, Giulio Adamoli. Nel comitato centrale della Ligue internationale de la paix et de la liberté entrarono Cesare Stefani, Tullio Martello, Alberto Mario, Ceneri, Gambuzzi e Riboli. II quale Riboli, in veste di consigliere della sezione di Torino — presieduta dall’ebreo David Levi, “l’intellettuale più prestigioso del primo gruppo dirigente nazionale” massonico’ ma anche l’antico mazziniano divenuto monarchico costituzionale — del comitato della Ligue, firmò con Levi, Giovanni Antonio Rossi, Angelo Bosio. Pietro Maguenonti, Enrico Coppia, G.B. Triberti, Marco Brava, Federico Pareto e Francesco Giraudi, all’inizio del sessennio rivoluzionario (1868-1874), un infocato indirizzo alla “Democrazia Spagnuola”US)
Con Garibaldi, Victor Hugo, Aurelio Saffi, Charles Lemonnier, il Grande Oriente della Massoneria italiana (pilotato da Giuseppe Mazzoni), Giuseppe Mussi, Agostino Bertani, Giuseppe Marcora, Mauro Macchi, Pietro Ellero c Alberto Mario, Riboli si associò poi al Comizio promosso l’11maggio 1878 dalle Socielà Operaie milanesi, mentre sembrava potesse scoppiare una guerra tra la Gran Bretagna e la Russia che, sconfitta la Turchia, aspirava all’egemonia sui Balcani. Di lì nacque in Milano
la Lega di Libertà, Fratellanza e Pace (5 settembre 1878), con sezioni a Torino, Reggio Emilia e Crema, che, col Consolato Operaio e con una misteriosa Società Umanitaria (da non confondere con quella fondata nel 1893 in virtù del lascito di Prospero Moisè Loria’, fu la radice dell’Unione lombarda per la pace e l’arbitrato internazionale, istituita nel capoluogo lombardo il 3 aprile 1887.
Assunto, il 9 marzo 1890, con l’approvazione del nuovo Statuto, il titolo di Società internazionale per la pace — Unione Lombarda, e costituita in ente morale con R.D. 15 febbraio 1891, l’associazione insubre fu di gran lunga la più solida fra le società pacifiste italiane. Dei 37 Circoli, Società, Unioni e Comitati aderenti e rappresentati al Congresso di Roma per la Pace e per l’Arbitrato Internazionale (12-16 maggio e dei 79 Comitati, Associazioni e Leghe aderenti al Congresso universale della Pace allestito nell’Urbe nel 1891, pochissimi sopravvivevano invero tra lo scorcio dell’Ottocentot21 e l’alba del Novecent Le correnti pacifiste non si irrobustirono un gran che neanche nell’età giolittiana. La fioritura di Società operaie e militari di S.M., Camere del Lavoro, Leghe professionali, Università popolari, “Istituzioni diverse” e Istituti educativi intervenuti o rappresentati o aderenti al primo Congresso Nazionale delle Società per la Pace (Torino, 29, 30, 31 maggio e 2 giugno 1904)/ non deve trarre in inganno. Eloquente, a questo riguardo, la lista dei delegati e aderenti al quindicesimo Congresso Universale della Pace che ebbe luogo a Milano nel 1906 . Le uniche attivamente durevoli società pacifiste italiane furono, oltre l’Unione Lombarda, la Società per l’ Arbitrato Internazionale e per la Pace di Torino e quel Comitato di Torre Pellice della Società Internazionale per la Pace che nel 1899 annoverava fra i suoi sodali, con pastori valdesi e ministri evangelici, Enrichetta Giolitti, figlia di Giovanni e moglie di Mario Chiaraviglio, futuro alto dignitario del Rito Simbolico Italiano. Ad un livello più o meno inferiore vanno collocati altri gruppi quali, per esempio, la Società
22
per la Pace e l ‘ Arbitrato Internazionale di Perugia e la Lega Italiana per la Pace di Beniamino Pandolfi-Guttadauro, già segretario generale della Conferenza interparlamentare, Presidente della Società della Pace di Venezia, Presidente Onorario della torinese Società Escursionisti “I Pionieri della e. sotto la Gran Maestranza di Ernesto Nathan, membro della Giunta del Grande Oriente d’Italia.
4. Garibaldi e la pace nella pubblicistica pacifista italiana
Sino dai Congressi degli Amici della Pace Universale le società anglosassoni misero l’accento sul grande valore della più ampia possibile circolazione delle proprie idee. Non diversamente si comportarono i Congressi universali della Pace di Londra (1890), Roma, Anversa, Amburgo, Principato di Monaco, Lucerna e l’ Assemblea generale di Torino (1898). Quegli sforzi produssero una fitta (ma molto eterogenea) pubblicistica: opuscoli, volumi, almanacchi, annuari c soprattutto fogli e periodiciC9‘. È vero che i pacifisti segnarono al loro attivo l’acquisto dell’Independance Belge, il grande quotidiano liberale di Bruxelles, effettuato verso i] 1896 da Gaston Moch, Charles Richet, Premio Nobel della Medicina nel 1913, ed Emile Arnaud, succeduto all’ex saint-simoniano Charles Lemonnier nella presidenza della Ligue internationale de la paix et de la liberté. Ma si pensi alla tormentata esistenza della pugnace rivista della Ligue internationale de la paix et de la liberté, “Les Etats-Unis d’ Europe — Die Vereinigten Staten von Europa” (titolo a intervalli irregolari completato da “Gli Stati Uniti dell’Europa”, “The United States of Europe” e “Los Estados Unidos de Europa e della Carnegie Endowment for International Peace definì le più rilevanti testate pacifiste europee: “Die Friedenswarte”, il periodico redatto dal massone austriaco Alfred Hermann Fried, collaboratore di Bertha von Suttner e Premio Nobel della Pace nel 1911 (circa 2.000 copie); “La Paix par le Droit”, in cui scrivevano i “fratelli” Charles Richet e Lucien Le Foyer, celebre libero-pensatore, insieme col venerato Frédéric Passy, Premio Nobel della Pace nel 1901, e col protestante Théodore Ruyssen, futuro segretario generale dell’Union internationale des Associations pour la Société des Nations (circa 4.500); “Concord”, la rivista dell’International Arbitration and Peace Association eretta nel 1880 dall’inglese Hodgson Pratt (circa 1 .800)’31). Né si dimentichi che l’organo del Bureau International de la Paix, intitolato dapprima “Cotrespondance autographiée” (1892-1895), quindi ”Corespondance bi-mensuelle” (1895 – Nr. 5, X VIC Année, Berne, IO mars 1911; dal Nr. 6. XVIe Année, Beme, 25 mars 1911 , “Correspondance bimensuelle”), acquistò nuova linfa soltanto per mezzo del sussidio concesso al BIP dalla dotaLione Carnegie, che rese possibile la stampa di 20.000 copie del “Mouvement Pacifiste” I et 2, 15 Janvier 1912). Fortuna molto minore arrise pcr altro all’organo della Conferenza interparlamentare, la “Conférence Interparlementaire”, uscita appena dal 1893 al 1897.
Fra “[tlhe most important European periodicals devoted to the movement for peace and arbitration” la Carnegie Endowment non segnalò però la ‘ ‘Vita Internazionale” apparsa a Milano dal 5 gennaio 1898 e profondamente imbevuta dei valori etici e degli ideali di progresso espressi dal positivismo votato alle riforme sociali. Eppure fino allo sbarco a Tripoli la testata guidata dall’antico direttore del “Secolo”, Ernesto Teodoro Moneta, fu l’indiscussa vessillifera delle società pacifiste italiane, che con essa largamente si identificarono. Alla “Vita Internazionale” che, stando a Moneta, costò sempre “molto più del suo reddito -l’Unionene Lombarda affiancò inoltre un popolare almanacco la cui tiratura (costantemente celata invece riguardo alla rivista) oscillò tra le 30.000 e le 50 000 copie e fu fonte di non del tutto trascurabili introiti.
Meno consistenti e tenaci “La Libertà e la Pace”, portavoce della Società per la Pace e l’ Arbitrato internazionale di Palermo, uscita dal 1891 al 1898 per impulso precipuo di Giuseppe
24
D’Aguanno, uno studioso schiettamente darwinista, e il mensile della Società Escursionisti “l Pionieri della Pace”, mentre fogli variamente esili o effimeri furono la taurinense “Pace” ( 1891 ), diretta dal chimico c filantropo cosmopolita Gian Giacomo Arnaudon; il “Bollettino dell’ Associazione Romana per la pace e l’ arbitrato” (1893) pilotata da Ruggero Bonghi, dal moderato filocattolico Cesare Facelli e del ‘fratello” Antonio Teso; l’ “Opera Pacifista Italiana” (1909), notiziario trimestrale della Società per l’ Arbitrato Internazionale e per la Pace di Torino in cui militava Achille Loria; la “Cronaca del Movimento Pacifista” (1912) dell’orientalista Angelo De Gubernatis, in acerrima lotta, a proposito dell’ impresa di Libia, con la napoletana “Luce del Pensiero” di Domenico Maggiore e con “Guerra alla Guerra!” (1913), il bollettino della Federazione Italiana per la Pace e l’ Arbitrato promossa da Maggiore, Enrico Bignami, Edoardo Giretti, Arcangelo Ghisleri, Mario Falchi, Luisa Mussa, Anna Perti Casnati, Arturo Dolara, Ernesto Ghezzi, Alma Dolens, Paolo Baccari, Elvira Cimino e Vittore Prestini.
Quanto spazio il pacifismo di Garibaldi ebbe nella multiforme pubblicistica prodotta dalle società italiane? Il Gran Maestro aggiunto Onorario ad vitam, Pirro Aporti, mise l’accento sulla “permanente causa di guerre politiche (risiedente nel bisogno di avere e di completare la patria” che Garibaldi. “guerriero sommo e convinto fautore di pace volle espressamente riservata al Congresso di Angelo Mazzoleni, nel marzo 1879 fondatore con Ghisleri, Gabriele Rosa, Ernesto Pozzi e Costantino Mantovani della Consociazione Repubblicana Lombarda, diligentemente inventariò le principali iniziative pacifiste del generale* Ernesto Teodoro Moneta, che si qualificò per “un oscuro gregario di Garibaldi”, elogiò il Nizzardo in antitesi con la “generalità dei Isuoij concittadini” nei “tempi ordinari”, e principalmente con la “generazione di patrioti, i quali, sognando l’impossibile ritorno della grandezza romana, avrebbero voluto fare dell’Italia moderna, anziché una delle nazioni più libere e più civili, una potenza militare di prim’ordine Arcangelo Ghisleri individuò nell’uomo delle guerre sante, delle sole guerre giuste e legittime, guerre di liberazione non di aggressione e di conquista”, il “simbolo dell’ autentico nazionalismo italiano
Potremmo continuare: ma l’ elenco delle citazioni sarebbe brevissimo e le successive sarebbero ancora più fuggevoli di quelle sopra riportate: sicché ce ne asteniamo.
Che il pacifismo di Garibaldi sia stato evocato con assoluta parsimonia ci pare fuor di dubbio. L’individuazione dei perché richiede nondimeno la massima cautela. Si è tentati di arguire che l’ internazionalismo massonico garibaldino non fosse del tutto gradito a chi, come Moneta, talora aveva lanciato i suoi strali contro l’Ordine ed a chi, come Ghisleri, affiliatosi alla Comunione liberomuratoria “per inviti di Aporti”, presto se ne era allontanato chiarendo che “pei buoni e bravi, non c’e[ra] bisogno di quell’istituzione, perché già lavora[va]no del pari a muso scoperto nel campo profano e vi [avrebbero lavorato] anche se non massoni — per chi non [era] né buono né bravo cittadino, l’istituzione non
[avrebbe giovato]
né all’intelligenza né al carattere” . Ma ad Aporti ?
Svincolato da qualsiasi “scuola” o “partito” Garibaldi era tuttavia il campione più universalmente celebre della “democrazia italiana”. Ma da un lato questa non era affatto compatta (neanche nel campo garibaldiino dall’ altro le società pacifiste dovettero molto faticare, nonostante le assicurazioni date da Moneta e dalle redazioni della “Libertà e la Pace e della Pace per scrollarsi di dosso l’accusa di essere “a base repubblicana”, dal momento che in Milano, “donde partì il movimento più attivo per la propaganda”, esso era capeggiato da “egregi democratici, noti per avere qualche globulo rosso nelle Non ci sembra perciò errato, né in fondo azzardato, supporre che il desiderio di cooperare con moderati quali, per esempio, De Gubernatiso Ruggero Bonghi, Carlo Alfieri di Sostegno, Cesare Facelli ed altri esponenti della “Federazione Cavour suggerisse ai democratici di tutte le sfumature di sfiorare appena il pacifismo garibaldino.
E certo comunque che i più prestigiosi e autorevoli “amici della pace” di ascrizione democratica sempre fervorosamente condivisero il più discutibile i capisaldi del pacifismo di Garibaldi, ovvero la controversa teoria della guerra giusta diversa ma non opposta rispetto a quella messa in onore da Sant’Agostino. Di siffatta teoria, che al tempo dell’impresa di Libia aveva provocato nelle loro schiere acerbe lacerazioni, essi fecero l’apoteosi durante fa Grande Guerra. Al Comitato Promotore del Congresso Internazionale per lo studio delle basi di un Trattato di Pace durevole Edoardo Giretti garantì il 10 novembre 1915 che, “pur avendo voluto, come cittadino italiano e rappresentante al Parlamento, l’intervento dell’Italia nell’attuale conflitto europeo”, egli “nulla [aveva] da ripudiare del [suo] ideale e dei [suoi I principii pacifisti”, perocché non era “mai stato fautore della pace ad ogni costo e senza onore”, e si era “risoluto ad assumere la [sua] parte di responsabilità nella dichiarazione di guerra fatta dal Governo italiano soltanto quando [si era] convinto che l’Italia non poteva, senza venir meno alle sue tradizioni più gloriose, assistere passivamente al trionfo della violenza sul diritto ed allo schiacciamento forse definitivo della libertà dei popoli e della giustizia internazionale.
Ovvio che Moneta plaudisse. Ma altri aveva deciso l’intervento e si accingeva a dirigere con ferrea disciplina quattro anni di mobilitazione nazionale. Con intuito di fine politico Vittorio Emanuele III, consapevole dell’insistenza con la quale il pacifista Garibaldi aveva proclamato la necessità di marciare col re solo fino a quando questi fosse stato al passo con la “nuova Italia”, aveva però saputo attrarre al suo fianco anche garibaldini, mazziniani e radicaldemocratici che per decenni avevano animato società, leghe, comizi e congressi per la pace.
TAVOLA DEL FR.’. Cl. Spir.