CAPISCO PERCHE’CREDO O CREDO PERCHE’ CAPISCO?

Capisco perché credo o credo perché capisco?

Venerabilissimo, Rispettabili Fratelli Maestri,

questa tavola, pur breve, è divisa in due parti delle quali la prima (“Credere debole” e “credere forte”) è una introduzione che considero indispensabile per la seconda, dedicata a “Credere e capire” che è il tema propostoci dal Venerabilissimo.

l) “Credere debole” e “credere forte”

La parola “credere” si usa con due significati diversi. Il primo è quello di pensare, ritenere, avere un’opinione (esempio, credo che stia per piovere). Chiamerò questo il “credere debole”. Il secondo è quello di tener per vero (esempio, credo nella reincarnazione, credo nel secondo principio della termodinamica). Questo lo chiamerei il “credere forte”. Si considerino le due frasi seguenti: “credo che l’anima sia immortale” e ‘credo nell’immortalità dell’anima”. La differenza è abissale: il primo tizio “pcnsa” che l’anima sia immortale, il secondo lo sa. Esemplificazioni di questo tipo se ne possono fare molte e corrispondono a due diverse visioni del mondo, e in particolare della Massoneria. Personalmente, credo (ovvero, è mia opinione) che i Fratelli possono solo esprimere opinioni, in tempio (anche fuori dal tempio, peraltro).-

Le opinioni che i Fratelli esprimono possono anche corrispondere a loro certezze. Però queste saranno comunque viste come opinioni – si può obiettare – e così non cambia niente agli effetti pratici. In realtà non è proprio così. La suggestione esercitata da una certezza può creare nuove certezze. Nel mondo profano, è questo il meccanismo messo in opera dai più famosi predicatori, quali S. Ambrogio, S. Domenico, Pietro l’Eremita: quelli che convertirono intere moltitudini. Si può chiamarlo “il fascino della fede”, e a mio avviso si spiega con un fatto psicologico: la necessità di certezze, in particolare la necessità che l’Uomo avverte di non arrivare passivamente al capolinea del suo fugace viaggio dal nulla verso il nulla: sottrarsi al suo destino di annullamento, o quantomeno capire il perché. Mi riesce più difficile afferrare la molla psicologica dei predicatori stessi, quella che li induce a farsi un dovere del proselitismo, ma questo è un altro discorso.

2) Credere e capire

Nel tema propostoci dal Venerabilissimo, sembra chiaro che “credere” è inteso nel senso “forte”, ma il discorso può essere allargato. Il tema affronta il problema col quale non si può non confrontarsi. Molto alla larga, è il problema del rapporto tra fede e ragione, verso il quale esistono approcci molto diversi. Uno è quello dei santi, i quali hanno il dono, ovvero la grazia, e quindi non hanno il problema perché hanno già la risposta.

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Quanto a me, seguo una via iniziatica perché “credo” (ovvero, è mia opinione) che sia buona e che mi aiuti a capire. Ogni tanto mi chiedo se è proprio cosi. La verifica non è facile: quando anche uno si rende conto di aver fatto dei progressi verso una visione del mondo più lucida ed equilibrata, e ritenga di potere, in qualche momento, dire “ho capito”, gli resta il dubbio di avere fatto dei piccoli passi su una basc puramente psicologica con quel potente ausilio, anche mentale, che è il metodo massonico. Se invece io “credessi”, nel senso forte, forse non nutrirei questo tipo di dubbio.

E d ‘altra parte, uomini che hanno una fede, non proclamano affatto di aver capito. Anzi, il loro articolo di fede è proprio che un giorno capiranno, ciò che viene espresso con metafore quale quella della “visione beatifica”.

Personalmente, ritengo che l’iter “giusto” sia quello di partire da opinioni (il “credere debole”) con la speranza di arrivare a intime certezze (il “credere forte”) passando attraverso la comprensione. Riandando al titolo di questa tavola (“capisco perché credo o credo perché capisco?”) risulta chiaro che mi pongo in primis l’obiettivo di capire. Perché – mi chiedo – io oggi seguo la nostra via, che è una via iniziatica? forse il fatto è che le altre vie mi sono precluse. La via della dcvozione non è la mia, perché implica di credere per capire, ciò che  è per me impossibile. E allora che faccio? Ormai so benissimo che a furia di leggere libri non andrò molto lontano, non arriverò né a credere, né a capire.

Anni fa scolpii una tavola intitolata “Tornare la politeismo”, che forse poté apparire come uno di quci paradossi coi quali ogni tanto mi trastullo. Ma in realtà non era cosi. Il politeismo, e in particolare la via teurgica dei neoplatonici pcr me significa lo sforzo di capire, che si esprime come sforzo di comunicare per via teurgica con gli dei, i quali simbolizzano livelli superiori di comprensione. Penso che Proclo “credeva” perché aveva capito.

Chiuderei queste brevi notazioni con la citazione di uno scrittore del 1600. “Due sono i modi per convincere della verità della nostra dottrina: l’uno con la forza della ragione, l’altro con l’autorità di colui che parla”. L’autore sostiene la superiorità di questa seconda, e deplora che si faccia invece ricorso alla prima. Continua infatti: “Non si dice bisogna credere a queste Verità perché la voce che le dice è divina, ma si dice che bisogna credervi per la tale o tal altra ragione, che son tutti argomenti ben deboli, perché la ragione può essere piegata in ogni senso”.

Quest’uomo chiaramente aveva fatto la sua scelta: bisogna credere per capire. Però non era un iniziato, era un mistico cattolico, Blaise Pascal, e la dottrina era quella della religione cristiana.

R. Scch, 21 gennaio 1993 e .•.v (3 0 grado)

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