CONFUCIO

Confucio di Adele Menzio

E stato spesso accostato a Platone. Vedremo perché.

Collochiamolo, prima di tutto, nel suo tempo, 551-479 a. C. , quindi un secolo prima del filosofo ateniese.

Cinese.

Contemporaneo di Buddha, di Zarathustra, dei profeti ebraici e dei primi grandi filosofi greci.

Tanto Confucio quanto Platone hanno concorso a dare una impronta alla civiltà.

Confucio lascia un’eredità basata sulle regole del comportamento quotidiano e sui rapporti sociali. Platone è più astratto e volge verso l’utopia e la contemplazione.

Tutti e due coltivarono il sogno di uno stato etico governato da un Re-filosofo. Per Platone il Re doveva anteporre la conoscenza servendosene per governare. Per Confucio il Re doveva anteporre la morale e servirsi — come un educatore — della virtù per trasformare il popolo. Una profonda differenza possiamo evidenziare tra i due pensatori. Confucio non ha costruito alcuna teoria e — tanto meno — un sistema. Ricorre a brevi battute, a semplici apologie, Forse avrebbe amato tacere, come la natura che segue un suo ritmo silenzioso.

Secondo Confucio la verità si coglie in concreto nelle singole situazioni. Possiamo, sotto questa angolazione, paragonare Confucio a Budda e a Gesù che usarono un linguaggio semplice e diretto.

Dobbiamo evidenziare una diversa e sostanziale differenza cosmologica tra il pensiero orientale e quello occidentale.

Per Confucio l’universo non è stato creato, ma è un organismo in eterna auto-creazione. Vi sono due poli strettamente interdipendenti e correlati in una ininterrotta sintesi-antitesi. Da questo postulato derivano varie conseguenze. Non ultima quella della «complementarietà inseparabile di polarità». Cosa significa?

A somiglianza di quanto avviene nel cosmo l’uomo singolo si polarizza con la società. La vita deve essere concepita da ogni individuo come un organismo in ci le virtù civili e personali  condizionano vicendevolmente e si si armaminzzano..

Anche se il realismo di Confucio è fuori discussione, per quel suo occuparsi dei comportamenti quotidiani, non è chi non veda una buona dose di utopia specie quando egli affronta il problema dello Stato e del principe.

Altro tema della dottrina confuciana è il ruolo che il filosofo attribuisce alla cultura.

La conoscenza non è di tipo intellettuale, ma morale.

Lo studio deve condurre alla saggezza. Il saggio, colui che si rende capace di realizzare la via (che significa sperimentare su se stessi l’ordine universale) deve coltivare l’umanità (Ren). Rispetto, lealtà, sincerità, reciprocità, pietà. Questi sono i cardini del comportamento. Tra le molte massime confuciane ne ho scelta una che vorrei meditare con il vostro aiuto:

Zengzi disse: ogni giorno esamino me stesso su tre questioni: 1) Se agendo per gli altri sono state leale. 2) Se, trattando con gli amici, sono stato sincero. 3) Se metto in pratica ciò che trasmetto agli altri.

me un organismo in cui le virtù civili e personali si condizionano vicendevolmente e si armonizzano. Il concetto chiave di Confucio è questo: coltivando la propria personalità, affermandola e nobilitandola si giunge a far regnare l’armonia nel corpo sociale.

Che cosa di diverso c’è tra l’insegnamento di Confucio ed il fine della Massoneria: migliorare l’individuo per migliorare l’umanità?

Collimano perfettamente.

Il filosofo cinese dà alla morale (una morale feudale intendiamoci) un carattere molto elevato che si basa sull’autodisciplina e sulla sincerità.

Chi era Confucio? Apparteneva ad una famiglia imparentata ai principi del Sung. Era nato a Shan-Tung.

Praticamente si poteva considerare un discendente dei Re della dinastia Yin.

Nonostante la nobile nascita, rimasto orfano, visse povero. Lasciò presto il suo paese e girovagò, accompagnato da alcuni discepoli, offrendo i propri servizi ai feudatari locali. Si stabilì poi fondando una scuola

Come vedete, anche Confucio, come Pitagora, Socrate, Platone hanno avuto scuole, hanno creato delle comunità.

I suoi insegnamenti, impartiti oralmente, si basavano su alcune opere del passato che divennero poi i classici Ching di tutta la cultura cinese. Il suo scopo era quello di trasmettere la tradizione. Non vedo nulla di diverso nella Massoneria che, forgiando ed indirizzando le coscienze, vuole che l’uomo-iniziato acquisti la consapevolezza del proprio ruolo, ottenendo ciò con lo studio della tradizione. Le virtù esaltate da Confucio sono l’amore per l’umanità (Yen) e l’equità (Yi).

Fratellanza significa amore per l’uomo. Ed equità, concetto superiore a quello di giustizia, non è forse paragonabile all’uguaglianza ed alla libertà così come sono intese in Massoneria? Infatti Yen e Yi mirano per Confucio ad instaurare tra gli uonuni sentimenti di nobiltà, dignità e rispetto.

Si legge, in un qualsiasi trattato su Confucio, che perno dell’insegnamento suo, è la «rettificazione dei nomi».

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Che cosa significa?

Il filosofo considerava il suo messaggio come la trasmissione di verità e di valori passati. Si presentava come un restauratore, come colui che intendeva «rettificare» (l’ideogramma Zheng è omofono dell’ideogramma che significa «governare

1 «nomi». Cioè far corrispondere i poteri ed i doveri dei funzionari alle funzioni originarie. In altre parole l’uomo, sia come singolo che come cittadino, deve adeguarsi alle realtà indicate dai nomi.

Troviamo qui una somiglianza con Socrate. Il greco si riferiva ai concetti, Confucio ai nomi. Ma se i nomi (ossia le parole) non sono altro che il linguaggio dei concetti ecco che è possibile un raffronto ravvicinato. Tutti e due avevano il senso dell’importanza etica della conoscenza.

In Confucio coesistono sia la figura del restauratore che quella del riformatore. Restauratore come depositario delle antiche tradizioni. Riformatore nel senso che cercherò ora di chiarire.

ln Cina dominavano due concetti fondamentali per la vita politica ed etica.

«De», che era il potere magico e «Junzi», indicava «il nobile per eredità

Caliamoci in una atmosfera feudale, se no rischiamo di non capirci. L’uomo che contava o era mago o era nobile.

Confucio opera un passo avanti straordinario. Il potere magico diviene «virtù» ed il nobile ereditario diviene «uomo superiore». Attraverso l’istruzione e la cultura si acquista la superiorità etica.

E una rivoluzione vera e propria.

Il confucianesimo ha ormai superato i due millenni ed ha percorso, sotto varie angolazioni, la storia tormentata della Cina rimanendo il suo fondatore il sommo maestro della civiltà orientale.

La stessa repubblica popolare cinese, quando inventò la «rettificazione politica» (un controllo politico e sociale assoluti), volente o nolente non fece che esasperare certi aspetti del neoconfucianesimo. Probabilmente anche per ragioni di opportunità: per fare accettare nel modo più indolore possibile certe riforme.

Oggi — dopo le campagne denigratorie dei comunisti più accesi che identificavano Confucio con la più bieca delle reazioni — il filosofo ritorna ad essere venerato.

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Confucio, nella sua scuola, svolgendo il ruolo di maestro operava con brevi aforismi molti dei quali si riferiscono ai riti.

Mi piace rivolgermi ad uno scrittore contemporaneo, Piero Citati, che così si esprime:

«… i riti che calmano le passioni e le fantasie degli uomini costringono ogni individuo entro confini fissati, stabiliscono le distinzioni, le differenze e le gerarchie, senza le quali la grande musica dell’universo perderebbe il proprio accordo.

Se rinunciassimo ai riti, la prudenza diventerebbe timore, il rispetto fastidio, il coraggio turbolenza, la sincerità rozzezza: ogni virtù piomberebbe nel vizio che le sta accanto come compagno sinistro Tutti sanno che la Cina è la patria della ritualità per eccellenza, che noi occidentali identifichiamo, con superficialità, nell’infinito numero di inchini e spreco di «onorevole questo ed onorevole quell’altro » cui la cinematografia ci ha assuefatti.

Ma se leggiamo Confucio ci accorgiamo quanto complesso sia il sistema rituale cinese e come tutti i riti, le cerimonie, le tradizionali forme di comportamento, le stesse buone maniere, mirino essenzialmente ad esaltare la dignità dell’uomo.

Confucio puntualizza l’interdipendenza tra forma e sostanza raccomandando di non sottovalutare la forma. Al tempo stesso condanna il puro formalismo e l’ipocrisia,

Ogni manifestazione deve essere sincera ed il rito va vissuto con rispetto e sacralità. Si è parlato, a proposito di Confucio, di religiosità laica. II filosofo infatti è molto lontano da ogni forma di irrazionalità fideistica. Egli ritiene che l’uomo, rispettoso, deferente, comprensivo ma soprattutto dignitoso, deve autocoltivarsi.

Una particolare attenzione Confucio conferisce all’arte: specie alla musica.

Astratta ed immediata, la musica è un mezzo catartico di comunicazione globale. Ma la si può comprendere solo se la si avvicina con la mente purificata. Il rinvio alla tradizionale ritualità ha per Confucio una funzione sociale preminente. La legge morale (che fa leva sul senso di dignità) dovrebbe rendere quasi superflua la legge scritta. Infatti la legge (specie quella penale) è un rimedio reso necessario dalla mancanza di educazione dell’uomo che ancora non si è auto-realizzato.

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