IL SIGNIFICAT DI UNA FESTA

           IL SIGNIFICATO DI UNA FESTA

Il Solstizio d’inverno della R. L. Nigra, Oriente di Torino

Sappiamo che sin da tempi antichissimi tutte le genti, pur con diversità di manifestazioni e di riti, hanno sempre elevato inni di gioia e di riconoscenza per celebrare la festa del sole, entità universalmente riconosciuta rigeneratrice e fonte di vita. Gli Egiziani, ai quali la Massoneria è debitrice della maggior parte dei suoi misteri, celebravano la vittoria di Osiride, cioè, allegoricamente, la vittoria della luce sul Dio delle tenebre.


E facile, quindi, dedurre che queste feste erano per antonomasia, e sono ancor oggi, le feste dei figli della Vera Luce per i loro contenuti allegorici e filosofici.

Due volte l’anno, infatti, ‘noi ci riuniamo nei nostri templi per celebrare le due feste dell’Ordine conosciute col nome di San Giovanni d’estate e di San Giovanni d’inverno, oppure con quello, forse più appropriato, di «feste solstiziali».

Secondo un’antica tradizione, i Massoni, al tempo delle Crociate, si unirono ai Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme e si posero sotto la protezione del santo, dedicando a lui le loro Logge.

Fu allora che i Massoni adottarono come feste dell’Ordine quelle dei due San Giovanni.

Tuttavia, l’interpretazione secondo la quale si sarebbe sancito un segno d’unione tra la Massoneria e il Cristianesimo non ha un valido fondamento.

E forse meglio accettare il dato storico e conservarne la tradizione grazie al fatto che i due Giovanni rappresentano un’immagine di correttezza morale che ben si sposa ai nostri intenti.

Sappiamo infatti che San Giovanni Battista, precursore ed annun ciatore di Cristo, e San Giovanni Evangelista, fervente apostolo e discepolo prediletto di Cristo, offrirono durante la loro vita un esempio altissimo di carità e ricordiamo San Giovanni Evangelista che diceva: «Amatevi l’un l’altro. Questo la legge comanda!».

Questo stesso precetto, per i Massoni, è posto a fondamento della nostra Istituzione, valido in tutti i tempi ed in tutti i luoghi.

Senza addentrarci in un discorso puramente religioso dai toni agiografici, consideriamo i due Giovanni come uomini, spogliandoli degli attributo di santità, ma attribuiamo al loro nome il significato di una allegoria sulla quale è caduta la scelta della festività dell’Ordine. Vi è una affinità etimologica tra la parola «Giovanni» e «Giano»; esse hanno in comune la radice ebraica «Jom» che significa giorno. Ci pare opportuno richiamare alla mente che da Ianus, nome sotto il quale i Romani adoravano il sole, ha avuto origine il termine Janua che significa «apertura», apertura attraverso la quale filtra la luce del giorno.

Janus era chiamato anche Janitor perché apriva le porte del giorno e quelle dell’anno (Januarius era il nome del primo mese dell’anno). Ricorderemo anche che Giano era raffigurato con due facce, una delle quali volta al passato, l’altra all’avvenire ed aveva due chiavi, una destinata ad aprire e l’altra a chiudere l’anno.

Dobbiamo però dire che, in un’epoca in cui il Cristianesimo era fede dominante e dominatrice, ma non generalmente accettata, non è da escludere che gli adoratori del sole abbiano cercato di mimetizzarsi nascondendo il nome del loro Dio sotto quello di San Giovanni per poter così celebrare impunemente le feste solstiziali che coincidono appunto con quelle dei due San Giovanni.

La più importante di queste era quella celebrata in inverno e precisamente al solstizio invernale quando il sole, disceso al suo punto più basso, sembra morire quasi sommerso dalle tenebre che ne attenuano il colore e ne spengono la luce.

Ma il momento della sua morte apparente coincide con quello stesso della sua rinascita perché l’astro riprende la corsa apparentemente interrotta e torna ad illuminare la terra.

Sotto il profilo filosofico noi identifichiamo nel sole (e quindi nella luce) la nostra stessa istituzione perché esso illuminandoci con la luce della verità dissipa le dense tenebre dell’ignoranza, dell’ipocrisia, dell’ambizione e dell’egoismo e riscalda i nostri cuori col fuoco di sentimenti che, arricchendo la nostra personalità, creano le premesse per una feconda esistenza e ci sono di guida nell’arduo camrmno imziatico.

I Massoni di tutto il mondo non vivono dunque le feste dedicate ai due santi in comunione d’ intenti specificatamente religiosi con il Cristianesimo, tuttavia anche sotto il profilo di una più generica religio- sità la coincidenza delle date sembra corrispondere pienamente agli intenti massonici.

Noi offriamo al  un solenne ringraziamento al solstizio d’estate per i benefici arrecati alla Terra col suo calore e per la messe raccolta; al solstizio d’inverno eleviamo una preghiera perché il A:. D . • . U . • . consenta all’astro di ricominciare il suo ciclo inondando il mondo con la sua luce vivificatrice, promessa di altra abbondante messe futura.

Non guasterà quindi uno studio comparato fra la nostra tradizione e quella cristiana.

San Giovanni Evangelista, figlio di Zebedeo e di Salomè e fratello di San Giacomo, secondo la tradizione nacque a Betsaida in Galilea. Era un pescatore e poco dopo la morte di Gesù cominciò a predicare la nuova fede nell’Asia Minore. Egli fu il primo vescovo di Efeso. Morì nel 99.

Il suo vangelo può essere considerato come un valido breviario di iniziazione. Infatti esso è il vangelo della Luce: questa è la ragione per la quale i nostri templi si chiamano Logge di San Giovanni, appunto perché in esse noi veniamo a cercare la Luce.

Mettiamo ora in evidenza qualche analogia tra il Vangelo di San Giovanni ed il nostro rituale d’iniziazione.

Nel primo capitolo del Vangelo di San Giovanni vengono date indicazioni sul cammino da seguire, cosa che richiede il rispetto più assoluto della morale: il nostro primo comandamento recita che si deve essere e conservarsi «liberi e di buoni costumi».

Nel secondo capitolo evangelico sono citate le parole di Gesù che, cacciando i mercanti dal Tempio, dice: «Non fate della casa del Padre una casa di affari».

Queste parole trovano il parallelo con quelle del nostro rituale quando diciamo all’iniziando che «deve lasciar fuori dal Tempio i metalli». La guarigione del malato (capitolo quarto) corrisponde al passaggio del profano, all’atto della sua iniziazione, da uno «stato» o «condizione» ad un’altra.

Anche i momenti più tristi vedono alcune coincidenze fra le due tradizioni.

Nel quinto capitolo si parla dell’allontanamento di qualche discepolo, cosa che capita anche nel nostro Ordine soprattutto per mancanza di un reale convincimento.

Gesù dice nel sesto capitolo: «Se qualcuno ha sete, venga da me e sarà dissetato». Anche il nostro Ordine disseta coloro che hanno sete, sempre che il loro spirito sia ben disposto ad abbeverarsi alla nostra fonte.

Nel settimo capitolo Gesù dice: «Voi conoscerete la Verità e la Verità vi renderà liberi»; poi, più avanti: «Chiunque si abbandoni al peccato, diventa schiavo del peccato».

Questa citazione si può assimilare a quella del nostro rituale che domanda: «Che cosa venite a cercare in Loggia?» ed alla quale l’iniziato risponde: «Vincere i miei vizi e le mie passioni, sottomettere la mia volontà e fare progressi nella Libera Muratoria».

Proseguendo, nel decimo capitolo, Gesù dice: «Vi sono altre pecore che non sono di questo gregge; bisogna che io le conduca al gregge, così vi sarà un solo gregge ed un solo pastore».

Questo si deve intendere come un richiamo ai doveri del Massone il cui lavoro non si deve mai arrestare e deve sempre essere rivolto a spandere nei mondo quella luce che egli ha trovato nella Loggia ed a cercare nel mondo profano nuove persone atte ad essere condotte nei nostri templi per ricevere la Luce Massonica.

Inoltre, nelle Logge, il giuramento si presta sulla Bibbia aperta nella pagina del prologo del Vangelo di San Giovanni nel quale si legge: «Al principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio ed il Verbo era Dio…»

Una possibile esegesi di questa parola suggerisce che il Verbo (o «Logos»), creatore del nostro sistema solare, non sia il Dio onnipotente, ma il demiurgo intermedio tra l’uomo e Dio e fa una distinzione tra il Dio supremo designato come «il» Dio ed il «Logos», che è «un» Dio. E opportuno cercare di comprendere l’idea del Logos che si può considerare come simbolo della Luce e del fuoco-principio che non è la causa Prima, ma la sua manifestazione ed emanazione che ha prodotto il nostro universo.

La figura di San Giovanni coincide col simbolo del fuoco e della luce con la particolarità che se la festa del Battista è caratterizzata dall’accensione dei fuochi (i falò di San Giovanni) quella dell’Evangelista coincide con quella dell’abete: l’albero sempre verde.

Il fuoco di San Giovanni Battista brucia nel seno della natura ed è una manifestazione esteriore della Luce che si diffonde radiosa nel momento in cui il sole ha raggiunto il suo apogeo.

Al contrario, d’inverno, l’albero brucia nell’interno del focolare: esso è il fuoco che brilla nelle tenebre perché, nel momento solstiziale, vince le tenebre stesse allorché il sole inizia il suo cammino ascendente. Spendiamo ora qualche parola per illustrare le affinità tra i nostri simboli e quelli attribuiti a San Giovanni Evangelista.

Il primo attributo è l’Aquila, uno dei simboli più arcaici. Essa è il simbolo di un uccello che fissa la luce del sole e vi vede l’ombra del passato, il presente e l’avvenire.

Secondo la Kabbalâ, l’aquila raffigura l’Oriente ed è l’immagine di Uriel, l’angelo del fuoco purificatore.

San Giovanni parla di questo uccello, intermediario tra il piano umano ed il piano divino, dicendo: «L’Aquila è l’uccello che vola più alto e che contempla fissamente il sole; tuttavia, la sua stessa natura impone che esso debba ridiscendere per poi spiccare ancora un altissi mo volo».

Parimenti, il coraggio umano può risorgere e rinvigorirsi se ci sono in noi forze sufficienti e rinnovare lo spento ardore. Anche per l’Evangelista, come per il Battista, ritroviamo il simbolismo dell’Agnello: la lettera simbolica attribuita a San Giovanni è la lettera «G» o meglio la lettera gamma minuscola che rappresenta graficamente in astrologia la testa dell’ariete.

San Giovanni è spesso rappresentato con in mano un vaso dal quale esce un serpente, simbolo della luce e della conoscenza, della risurrezione e dell’immortalità, o un dragone. Questo vaso sacro si ricollega all’esoterismo della coppa simbolica che si trova in molte leggende mitologiche.

E il vaso simbolico il cui magico liquore procura la santità e la conoscenza. E il vaso di Ganimede che versava l’ambrosia, il nettare degli Dei; è il vaso delle leggende celtiche del ciclo di Artù, è anche il Graal che servì a Cristo quando celebrò l’ultima cena e nel quale Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue che colava dalle sue ferite. Si sa che il Graal era fatto di un enorme smeraldo il cui colore verde simboleggia la luce e, per estensione, l’iniziazione.

Il verde è il colore attribuito all’Evangelista (raffigurato nelle vetrate gotiche con una veste di questo colore)

Il colore verde era quello stesso di Hator in Egitto, di Venere, dea delle arti magiche, di Giano, che aveva conoscenza del passato e dell’avvenire, di Gamesa, dea della saggezza in India e di Freya, dea della luce presso gli Scandinavi e i Vikinghi.

Nel Corano il mantello del Profeta era di color verde, così come dello stesso colore erano immaginati vestiti i beati nel paradiso di Allah. San Giovanni nell’ Apocalisse ci dà una spiegazione di questo simbolismo: «All’improvviso ebbi un’estasi e vidi un trono nel cielo e qualcuno assiso su quel trono. Colui che era assiso pareva simile ad una pietra di diaspro ed il trono era circondato da un alone e sembrava uno smeraldo»

San Giovanni in questo brano ha voluto dire che il color verde, che è anche simbolo del limite tra la terra e il cielo, ci facilita la comprensione del divino che deve essere ricercato nel mondo fisico e nella metafisica. Il messaggio di San Giovanni opportunamente interpretato ci consente di valutare il grandissimo ruolo che la Massoneria può svolgere seguendo rettamente i principi posti a base della sua missione.

La Massoneria, infatti, può soddisfare nel contempo il bisogno di religiosità che è sempre nel cuore dell’uomo, anche se qualche volta latente e l’inquietudine metafisica che è nel suo spirito.

Ma le religioni particolaristiche con tutto il corredo teologico che le accompagna non vi corrispondono che imperfettamente perché ognuna di esse presuppone una fede che poggia su dogmi che bisogna accettare così come essi sono formulati.

La Massoneria che è priva di dogmi può invece essere considerata la piattaforma ideale di tutti gli uomini, quale che sia la loro fede, perché essa postula come fondamentali ed intangibili, permanenti ed universali, questi tre principî:

— il valore assoluto della persona umana;

— la preminenza della missione spirituale dell’uomo la cui vita non può e non deve essere considerata un semplice passaggio sulla scena del mondo senza che in esso vi lasci traccia;

— la illimitata perfettibilità dell’uomo attraverso la via della conoscenza che è guida alla verità e l’amore mediante il quale egli si stringe con un vincolo di solidarietà a tutti gli altri uomini.


ln un antichissimo rituale si legge: «Il Sole, simbolo visibile dello spirito, si è ritirato nelle caverne del Settentrione. Le giornate si sono accorciate ed allungate le notti. Il dolore è nelle nostre anime, perché il Sole è calore, vita, luce. Noi, Fratelli carissimi, ravvisiamo in questa rituale morte del Signore una fase dell’eterna lotta del Bene contro il Male. Ma il nostro dolore è temperato dalla certezza che il sole, dopo la sua annuale discesa agli Inferi, risalirà allo Zenith della nostra coscienza. Così lo spirito dell’uomo, dopo aver dormito nella misteriosa tomba di Saturno, vegliato dai neri corvi della morte, risorgerà a nuova vita in un volo di bianche colombe. E proprio in questa fase di solitudine e di tristezza che l’uomo deve riaffermare la propria indipendenza. Fratelli siate dunque vigili! ln tal modo contrastando il vostro stato di veglia con il fecondo silenzio della Natura, giungerete a conoscere voi stessi».

Il solstizio d’inverno, al primo posto tra le solennità dell’anno massonico, simboleggia la porta di accesso alla caverna, la transizione dal buio alla luce, dalla morte alla nascita; il solstizio estivo rappresenta l’uscita dalla caverna cosmica.

L’anno, che costituisce la misura corrente della lunghezza della vita, è quindi segnato da due punti estremi, da un ciclo di espansione e di concentrazione, un grande respiro, un ciclo con il quale l’uomo è in grado di rappresentarsi, di intuire l’eternità.

Attraverso l’alternarsi di splendore e di ombra, lo spirito dell’uomo è così in grado di afferrare il mistero della vita.

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