BAMBINO SAPIENS: EVOLUZIONE O INVOLUZIONE?
Una riflessione sugli aspetti cognitivi dei nativi digitali
Claudio Spinelli
Professore Ordinario, Università di Pisa
Il mondo esisteva prima dell’uomo ed esisterà dopo
e l’uomo è solo un’occasione che il mondo ha per organizzare alcune informazioni su se stesso.
Italo Calvino, 1967
L’espressione “Bambino Sapiens” non è comunemente utilizzata, ma il mio scopo nella scelta di questo titolo, è quello di evocare la dinamica dell’evoluzione cognitiva della specie umana, che ha permesso – già 70.000 mila anni fa – la supremazia dell’”Homo Sapiens” (sapiente/intelligente) su tutte le precedenti specie umane, e di aprire una riflessione su un argomento dibattuto: se il “bambino digitale” stia subendo, dall’uso delle nuove tecnologie, un processo di evoluzione o di involuzione? I “bambini digitali” o “nativi digitali” sono quelli nati all’inizio del terzo millennio e cresciuti in un ambiente fortemente influenzato dalle tecnologie. Dalla nascita, la luce giallo-blu dello Smartphone o del Tablet ha occupato il loro campo visivo in perfetta armonia con tutti gli altri oggetti a loro familiari. L’evoluzione o l’involuzione cognitiva dei nativi digitali è direttamente proporzionata al modo di utilizzo dei dispositivi. Se la tecnologia è utilizzata in modo consapevole e responsabile, apportando un contributo positivo oltre a sé stessi anche alla collettività, potremmo assistere a una vera e propria evoluzione cognitiva. Immancabilmente, i social network offrono ai giovani molteplici vantaggi, come la possibilità di accedere a una vasta quantità di informazioni o di risorse educative; la partecipazione a iniziative di solidarietà e di volontariato (basta pensare ai cosiddetti “angeli del fango”, la recente mobilitazione dei giovani, nata dalle chat, che ha portato aiuto alla popolazione alluvionata dell’Emilia-Romagna e della Toscana); l’opportunità di coinvolgere tantissime persone su problematiche sociali o ambientali, con la possibilità di promuovere azioni concrete, come ad esempio la raccolta di fondi online a scopi umanitari per i minori colpiti dagli orrori dei conflitti in corso. I social consentono, inoltre, come è successo durante la pandemia, di rimanere in contatto con i familiari, amici o docenti anche quando sono fisicamente distanti. Al contrario, un uso eccessivo o poco attento della tecnologia digitale da parte dei giovani può avere un effetto involutivo: con conseguenze negative, sia sul comportamento sociale, sia sulla salute mentale. La prima domanda che dobbiamo porci, credo che sia questa: è sbagliato o è corretto demonizzare i social-network? L’uomo, per sua natura, ha sempre cercato, nei vari momenti del passato, un elemento da demonizzare, da ritenere il principio del “male”. E, oggi, sembra che i nemici, su cui è stato puntato il dito, siano lo Smartphone, Instagram, TikTok, Facebook e più recentemente anche l’intelligenza artificiale. Nella storia della società umana, le nuove conquiste scientifiche hanno sempre acceso un’iniziale resistenza. L’insidia del “nuovo” ha origini antiche: già Lucrezio, Seneca e Plinio il Vecchio avevano affrontato il tema dell’ambivalenza del “progresso” (progredior in latino: avanzare, procedere, progredire). Il progresso tecnico, secondo Lucrezio (98-50 a.C. –De rerum natura), era una “necessità storica”, anche se non garantiva all’umanità una maggiore felicità; addirittura, poteva perfino accentuare il suo declino morale, con degenerazione dei rapporti umani. Per Seneca (4 a.C.- 65 d.C. – Epistole a Lucilio) il vero progresso era quello spirituale e non quello tecnico. Per Plinio il Vecchio (morte 79 d.C. –Naturalis Historia) il vero progresso era quello che determinava un miglioramento morale. Inoltre, egli affermava che l’uomo era l’unico essere nato imperfetto, capace di danneggiare il suo simile: la maggior parte dei mali che capitano all’uomo sono cagionati dall’uomo stesso(“homini plurima ex homine sunt mala”); “L’uomo – sosteneva– non sa nulla se non glielo insegnano, né parlare, né camminare, né mangiare; in poche parole, spontaneamente non sa fare altro che piangere”. Infatti, in confronto agli altri animali, gli uomini nascono “prematuri”. I bambini devono essere educati e plasmati più di qualsiasi altro animale: escono dall’utero come se fossero vetro fuso e possono essere trasformati, aggiustati e modellati, con un grado di libertà sorprendente. Il loro cervello ha una proprietà fondamentale, quella della “plasticità”, cioè di modificare sé stesso: crea di continuo nuove connessioni sinaptiche, demolendo i vecchi circuiti neuronali e ricostruendone dei nuovi, per poi demolirli e ricostruirli ancora. Grazie a questo processo, definito “pruning” (potatura): una vera e propria potatura delle connessioni cerebrali non necessarie, il cervello riesce con rapidità a cambiare i suoi comportamenti adattandosi alle necessità che via via incontra. Il cervello dei bambini è come una spugna, assorbe tutto ciò che gli viene immesso. E, quale trasformazione subirà la materia cerebrale dei “nativi digitali” dall’uso indiscriminato delle nuove tecnologie? Una delle principali preoccupazioni è che l’acquisizione di una mentalità scientifica e tecnica, da parte delle nuove generazioni, porti ad un deterioramento nel comportamento etico; a una vera e propria disumanizzazione, fino alla dissolvenza dell’”essenza” stessa dell’uomo, cioè della sua “umanità”: basata su valori che pongono al centro la “dignità e il rispetto della persona umana”. Questo inquietante rischio era già stato preannunciato, in passato, da filosofi, come Martin Heidegger (Lettera sull’Umanismo- 1947) e Günther Anders (L’uomo è antiquato -1956), e da scienziati, come Albert Einstein (Lettera dell’aprile 1946). Purtroppo, non è possibile, e non è mai stato diversamente da millenni, mettere in discussione il valore della scienza; tutto, comunque, dipende da come la si usa. La scienza è alla base della civiltà umana, anche se può nascondere imprevisti; un esempio eclatante è stata la scoperta della reazione di fissione nucleare e la costruzione della bomba atomica, con i suoi effetti devastanti su Hiroshima e Nagasaki. Sappiamo benissimo che il “male” si introduce sempre sotto la parvenza del “bene” ed è impossibile discernere, inizialmente, il male dal bene, perché essi sono intrecciati. Il bene e il male rappresentano due aspetti della stessa cosa; come la verità e la menzogna – come ci insegna la parabola evangelica del Buon Seminatore. Questo concetto, ci permette di comprendere che prendiamo coscienza del male, come della menzogna, solo in un momento posticipato…solo dai loro effetti. Probabilmente la moderna tecnologia provocherà sull’uomo …sulle nuove generazioni una “mutazione antropologica”; una modificazione nel modo di pensare e di agire. Quest’ultimo aspetto credo che sia un nuovo e pressante problema sociale su cui riflettere! Alcuni dati recenti (da parte del Dipartimento di Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità), sui comportamenti giovanili in Italia, sono allarmanti: due milioni di ragazzi fino a 17 anni sono colpiti da disturbi neuropsichiatrici, con un incremento degli accessi al pronto soccorso pediatrico del 12%; con un aumento dei comportamenti autolesivi e suicidari, rispetto al periodo pre-Covid, del 27%. Il 59% dei ragazzi, tra i 13 e i 25 anni, presentano disturbi di condotta alimentare (bulemia/anoressia); il 12% degli studenti, prevalentemente maschi, sono affetti da disturbi da uso eccessivo di videogiochi: una forma di dipendenza digitale (digital addiction) associata a comportamenti ossessivo-compulsivi. Da sottolineare, inoltre, che il cervello in questo periodo della vita è più reattivo alla dopamina: il neurotrasmettitore del piacere, che induce gli adolescenti a ricercare di continuo una gratificazione, incrementando il rischio di abuso o di dipendenza; analogamente a ciò che succede per l’alcool e la droga. Questi soggetti manifestano il loro disagio mentale, con il silenzio, con l’isolamento (in casa o in camera), escludendosi dal mondo reale e rifugiandosi nel mondo virtuale (Social, video-game). Questo fenomeno di “esclusione sociale volontario” viene definito con un termine giapponese “Hikikimori”, che significa starsene in disparte. Dietro questa loro “fragilità”, spesso, si nasconde un’“aggressività”, che può manifestarsi con fenomeni di incitamento all’odio – hate speech – o di cyber-bullismo o di revenge porn (diffusione, per vendetta, di immagini sessualmente esplicite allo scopo di umiliare la vittima). Un’altra complessa e sensibile questione, connessa all’uso dei social, è l’”erotizzazione precoce dell’infanzia”, a causa dell’esposizione – tra i 9 e i 14 anni- a video erotico-sessuali, che pur essendo mistificati (falsi e alterati con astuzia) sono accettati come “normali e reali” e di conseguenza come modelli comportamentali-imitativi. Le immagini pornografiche possono determinare negli adolescenti alterazioni dello sviluppo psicoaffettivo e spingerli, al fine di soddisfare a tutti i costi le proprie emozioni, ad azioni impulsive e violente. Il “suicidio” rappresenta la seconda causa di morte nei giovani tra i 15 e i 26 anni (la prima sono gli incidenti stradali). Esso nasce, per lo più, dall’”angoscia del futuro” (crisi economica, ambientale, guerre). La visione della mancanza di un futuro genera nei giovani un “presente” ansiogeno; così, il loro percorso esistenziale sembra mancare di una precisa destinazione, di una meta. Essi sembrano fuggire da tutto ciò che è “solido” e “durevole”; avvalorando la visione profetizzata da Zygmunt Bauman, nel 2002, della “società liquida”. I giovani digitali crescono spesso con un “Io ipertrofico”: non accettano consigli e non vogliono essere giudicati. Essi sono rivolti alla continua ricerca della notorietà virtuale. Il mondo virtuale, a sua volta, plasma la loro interiorità o identità, “idealizzandola”, orientandola verso un modello astratto di perfezione e di bellezza che tende a mutare di continuo e per questo definita: “Identità digitale fluida”. La loro ingannevole identità è poca propensa ad accettare gli “inciampi del vivere”, l’”incompiutezza del vivere”. Essa si scontra, man mano che crescono, con una realtà diversa da quella immaginata: le illusioni si trasmutano in disillusioni innescando possibili disturbi della personalità. Il rischio è che i giovani, confusi dalle varie “identità digitali” che via via assumono, si allontanino sempre più dalla propria “identità reale” e, contemporaneamente, anche dalla propria capacità “critica”, “riflessiva”, “emotiva” e “immaginativa”. Al contrario delle “relazioni a faccia a faccia” in cui domina la spontaneità, nelle “relazioni digitali” essi cercano di mascherare e reprimere le vere emozioni, specialmente quelle negative, come la rabbia o l’invidia. Essi preferiscono rinunciare alla propria “Libertà Emotiva” pur di evitare l’isolamento dai social, adeguandosi alle scelte della maggioranza o del “gruppo”. La percezione del venir meno della propria autonomia decisionale riduce, conseguentemente, anche l’“autostima”. Questo processo conduce, immancabilmente, a un “impoverimento della personalità” o della “unicità” dell’individuo stesso, trasformandolo in un vero e proprio “Automa Sociale”: un “individuo massificato e omologato; individui simili gli uni agli altri, incapaci di distinguere fra realtà e irrealtà. Un ulteriore fenomeno, che si sta delineando nel mondo giovanile in maniera sempre più netta, è quello dell’“impoverimento del linguaggio”, correlato all’eccessivo utilizzo degli Smartphone, all’informalità delle Chat e all’esiguo tempo libero dedicato alla lettura (infatti, da una ricerca promossa dalla Regione Toscana, nel 2023, su 15000 ragazzi da 11 a 17 anni: “La maggior parte degli adolescenti non legge nessun libro -non scolastico- in un anno e tra chi si dedica alla lettura il numero dei libri difficilmente supera la soglia di due”). Non dobbiamo dimenticare che i pensieri sono proporzionali alle parole che possediamo…e quando abbiamo poche parole, abbiamo anche pochi pensieri; per quel “misterioso meccanismo mentale” in cui il pensiero genera la parola e dalla stessa parola viene a sua volta definito e precisato, ma anche per la “complementarità del vedere e del parlare”: perché nel momento stesso che osserviamo, parliamo dentro di noi in modo conscio o inconscio, istante dopo istante: “vediamo-parlando”.
Sulla base di queste riflessioni, la domanda conclusiva che ci dobbiamo porre è come prendersi cura delle nuove generazioni? Io credo che iniziare a riflettere e a comprendere l’influenza dei mezzi tecnologici sullo sviluppo neuro-psichico dei bambini, sia utile per diffondere un movimento di pensiero che abbia come fine quello di controllare e arginare gli aspetti negativi di questo fenomeno. Se il nativo digitale beneficerà o meno dalla tecnologia, dipenderà da come essa verrà utilizzata. I giovani devono essere consapevoli dell’importanza che la loro partecipazione online avvenga in modo sempre più responsabile. Fondamentale sarà il ruolo svolto: dalla “famiglia”, spesso distratta nei confronti del disagio dei figli; dalla “figura del padre”, di cui oggi assistiamo a una completa evaporazione; dalla “scuola”, pilastro educativo dopo la famiglia, che sembra venire meno al proprio compito primario; dalla “società”, di cui oggi stiamo assistendo al suo fallimento, perché il suo elemento fondante, il senso della “socialità” (la relazione socievole tra individui), sembra sbriciolarsi; si sta diffondendo una sorta di “non-socializzazione”: sempre più virtuale, superficiale, rapida ed egocentrica. Io credo che sarà necessario, nel migliorare e responsabilizzare la popolazione giovanile all’uso della tecnologia digitale, che tutte queste istituzioni – la famiglia, la scuola e l’intera società- si sforzino ad intraprendere un “nuovo percorso di tipo culturale”, sinergico e sapiente (Sapiens!). Solo così, mi auspico, potremmo assistere a una reale evoluzione cognitiva del genere umano.