L’OMICIDIO DI ACHILLE BELLORI

Marco Rocchi

L’OMICIDIO Dl ACHILLE BELLORI

1. Introduzione

Nel tardo pomeriggio del 3 1 ottobre 1917, a Palazzo Giustiniani a Roma, sede del Grande Oriente d’Italia, viene assassinato Achille Ballori, sicuro prossimo Gran Maestro della più prestigiosa obbedienza massonica italiana. A ucciderlo è un anarchico psicopatico, Lorenzo D’Ambrosio. In un clima avvelenato di antimassoneria, proprio nei giorni della disfatta di Caporetto, quello di Ballori viene indicato come il primo omicidio con una pistola mai registrato nella capitale. L’indagine criminologica viene affidata all ‘onorevole Enrico Ferri, psichiatra, positivista, massone anch’egli.

In un intreccio tra massoneria e antimassoneria, anarchismo ideale e anarchismo violento, positivismo e antipositivismo si snoda una vicenda che questo saggio cercherà di raccontare, nei protagonisti e nello sfondo culturale di quegli anni difficili.

2. L’omicidio nel racconto dei testimoni

Sono le 18.15 del 31 ottobre 1917 quando un uomo suona il campanello dell’ingresso di via della Dogana Vecchia di Palazzo Giustiniani, dal 1901 sede del Grande Oriente d’Italia . All’usciere dice di chiamarsi Giobbe Giobbi e chiede di conferire con Achille Ballori, il Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato.

Fatto accomodare all ‘ingresso, un impiegato tale Santolini, che degli avvenimenti di quel tragico pomeriggio sarà il principale testimone al processo ne informa il Ballori, che è impegnato in una discussione, nel suo studio, col Gran Segretario Ulisse Bacci

L’ospite viene fatto accomodare e, accertata l ‘identità di Ballori, grida: “Voglio parlare con lei, solo! Fuori tutti” mentre agita la mano che si rivela armata di rivoltella.

Senza ulteriori indugi, il Giobbi si mette a sparare all ‘impazzata colpendo ripetutamente Ballori e, mentre intorno impazza il caos, se ne va fischiettando l’overture di Cavalleria rusticana.

Frattanto, come riferisce il testimone Santolini al processo, “Tornato nella camera, trovai in quella della Giunta il Comm. Ballori sorretto dal Bacci e da qualche altro, il quale disse solamente: mi pare che mi abbia ferito qui, ed accennando la nuca cadde per terra. Cercammo di sorreggerlo, trasportandolo poi sul divano, ma egli quasi subito spirò’ .

L’autopsia rivelerà che una delle tre pallottole che hanno raggiunto Ballori, penetrata tra le scapole, lo ha mortalmente ferito al cuore.

L’assassino però non è ancora pago: si reca a casa del Gran Maestro in carica, Ettore Ferrari, ma la portiera, insospettita, gli dice che è assente.

Il giorno dopo, mentre si aggira nei pressi dell’abitazione dell’ex Gran Maestro ed ex sindaco di Roma Ernesto Nathan, viene arrestato. La polizia, infatti, ha messo sotto sorveglianza le abitazioni di tutti gli esponenti di spicco della Massoneria.

Il Giobbi viene interrogato, e in tasca gli viene trovato il passaporto con la sua vera identità: il suo vero nome è Lorenzo D’Ambrosio, è un farmacista avellinese di 47 anni, ha una moglie e due figli.

Assieme al passaporto, addosso gli vengono trovati un coltello a serramanico e una rivoltella Smith & Wesson calibro 7.65.

L’interrogatorio prima, e il processo poi, riveleranno un passato in manicomio e un odio viscerale per la Massoneria, a suo dire responsabile di tutte le sue sciagure.

3. Ritratto della vittima

Achille Ballori nacque a Dicomano, in provincia di Pisa, nel 1850. Divenuto medico, si dedicò alla attività professionale diventando direttore dell ‘Ospedale Civile di Mantova prima, e degli Ospedali Riuniti di Roma, poi. Fu anche docente alla facoltà di Medicina all’Università di Roma.

Dedicatosi alla attività politica fu tra i fondatori, nel 1913, del Partito Democratico Costituzionale fu anche assessore all’Igiene al Comune di Roma, nella giunta Nathan.

Della sua iniziazione massonica non conosciamo i dettagli, anche se è presumibile che avvenne nella Loggia Umanità e progresso all’Oriente di Pisa, nella quale risulta col grado di Maestro in un piedi lista del 1874. Nel 1891 fu Maestro Venerabile della Loggia Rienzi all’Oriente di Roma.

Nel 1893 fu eletto Gran Maestro Aggiunto. Nel 1899 fu elevato al 33 0 grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato, di cui divenne Sovrano Gran Commendatore nel 1908. Al momento dell’omicidio ricopriva ancora tale carica, ma era anche designato come futuro Gran Maestro, poiché era l’unico candidato alle elezioni che si sarebbero tenute di lì a poco

Le esequie, dopo l’esame autoptico, avvennero secondo le sue volontà: “Dispongo che per i miei funerali non si spenda che quanto è strettamente necessario. Voglio che sieno fatti con rito civile e che la mia salma sia cremata’

Fu tumulato al cimitero del Verano nella tomba monumentale dei Gran Maestri.

4. Ritratto dell’assassino

Lorenzo D’Ambrosio è un farmacista avellinese di 47 anni, ma al momento dell’omicidio è da qualche tempo residente a Roma.

Fu Michele Angiolillo, passato alla storia come l ‘anarchico che assassinò nel 1897 il presidente del consiglio spagnolo Antonio Cânovas del Castillo a convertirlo, nel periodo del servizio militare, ad una forma di confuso anarchismo individuale.

Noto alle forze dell ‘ordine già dal 1905, due anni dopo così viene descritto in un rapporto della prefettura di Avellino: “Ha frequentato le classi ginnasiali e liceali ed è fornito di diploma di chimico-farmacista; è lavoratore assiduo e conduce personalmente una farmacia in questa città, ritraendo dalla stessa i mezzi di sussistenza. Frequenta la compagnia di socialisti ed altri sovversivi di qui. Nei suoi doveri verso la famiglia si comporta mediocremente; non ha mai occupato cariche né politiche né partitiche né amministrative; attualmente professa idee anarchiche e precedentemente ha militato nei partiti popolari di Avellino; nel partito anarchico non ha alcuna influenza; manda e riceve corrispondenze dalla Svizzera e dal Regno. Non ha mai dimorato all ‘estero; ha fatto parte della cessata camera di lavoro di Avellino, contribuisce alla pubblicazione del giornale La cronaca rossa; attualmente collabora alla redazione del giornale ‘ora che si pubblica in Palermo. Fa propaganda con poco profitto, tra le pochissime persone che lo avvicinano, e cioè fra una decina di giovinastri che convengono abitualmente nella sua farmacia. Non è capace di tenere conferenze e finora non ne ha tenute; verso le autorità serba un atteggiamento scorretto; non ha preso parte a manifestazioni di partito a mezzo della stampa, però in occasione di anniversari, commemorazioni ha sempre inviato la sua adesione di solidarietà, Non ha riportato condanne, non è stato proposto per la giudiziale ammonizione né per l’invio a domicilio coatto”  .

Nello stesso rapporto si parla del D’Ambrosio come “alquanto esaltato di mente e di carattere irascibile” e si dice che “per la sua condotta equivoca non gode di stima nel pubblico” . Nel 1914 è costretto a vendere la farmacia e, dopo varie vicissitudini e peripezie in giro per l ‘ Italia, nel 1917 soggiorna per qualche tempo nel manicomio di Nocera. Dimesso, si trasferisce a Roma.

Ha sviluppato delle ossessioni paranoidi che riversa soprattutto sulla Massoneria, che nella sua mente confusa è responsabile di tutti i suoi guai; nell ‘interrogatorio seguito al suo arresto, dichiara: “La Massoneria mi perseguitava da molti anni. Inoltre tempo fa una mia sorella che era in America morì asfissiata ed è chiaro che l ‘ha fatta morire la Massoneria. ( … ) Due anni or sono ad Avellino mia moglie si affacciò alla finestra della casa nella quale abitavamo e incominciò a gridare aiuto. Corsero le guardie: mi arrestarono e mi condussero ai Manicomio. Chi aveva organizzata tutta questa orribile commedia? La Massoneria! ”

Ma, paradossalmente, D’Ambrosio dichiara anche che non aveva nulla di personale contro Ballori, che descrive con parole di stima: “Debbo dichiarare che non avevo ragione alcuna di speciale antipatia per il Ballori, persona di ottimo cuore e di grande onestà. La mia intenzione era di colpire la Massoneria nelle sue personalità più rappresentative: avevo idea di uccidere, oltre il povero Ballori, anche Ettore Ferrari ed Ernesto Nathan. Che io non avessi ragione di odio contro il Ballori ve lo dimostri il fatto che stamane ho comprato due mazzi di fiori per deporre sulla sua tomba. Se non mi aveste arrestato avrei seguito fino all ‘ultimo il mio programma. Sabato mi sarei recato ai funerali del Ballori, e avrei fatto una strage” .

Ma c’è ancora un paradosso nella vicenda dell ‘anarchico D’Ambrosio: egli non sapeva, quasi certamente, che da sempre la Massoneria aveva affiliato importanti anarchici, tanto in Italia quanto all’estero. Basti pensare, per rimanere in Italia, ad Andrea Costa, al giovane Errico Malatesta, a Pietro Gori; e, tra gli stranieri, a Michail Bakunin, Francisco Ferrer, Elisée Reclus, solo per citare i più rilevanti,

Non è questa la sede per indagare (ma non è difficile intuirlo, se si confrontano gli ideali anarchici e quelli massonici) su quali basi si possa fondare questo connubio. Né è questa la sede per discutere delle cause di una certa anarchia antimassonica che, peraltro quasi solo in Italia, ha negato e continua a negare questa feconda convivenza.

5. Il momento storico

Non è facile ricostruire il clima antimassonico che investiva l ‘Italia negli anni che precedettero il fascismo e che doveva concludersi prima con le devastazioni delle logge da parte delle squadracce fasciste nel biennio 1923-25 per culminare con le disposizioni che mettevano fuori legge la Massoneria (Legge sulle associazioni del 19 maggio 1925).

Indubbiamente vi contribuì una antica anti massoneria cattolica che da sempre vedeva negativamente la Libera Muratoria, sia in quanto propagandista di libero pensiero (la prima scomunica risale al 1738), sia in quanto covo di ebrei da combattere (significativo l’impiego, in molte encicliche e bolle papali, del termine sinagoga di Satana per descrivere la Massoneria).

A questa pregiudiziale plurisecolare si era affiancata l ‘astio cattolico nei confronti di una classe dirigente risorgimentale e post risorgimentale che dapprima aveva privato il papato delle sue prerogative temporali, e poi aveva provato spesso con successo — a laicizzare lo Stato italiano.

Per discorrere del clima antimassonico dei tempi dell ‘omicidio Ballori, basterà citare — a mo’ di paradigma —un articolo che improvvidamente il giornale cattolico Il Corriere d ‘Italia pubblicò in occasione dell ‘affondamento del Titanic, ove si leggeva che la Provvidenza aveva affondato quella nave, perché a bordo c’era “l’onorevole Ettore Ferrari, gran Maestro della Massoneria. Il Massone sacrilego ha trascinato seco migliaia di vittime innocenti e incoscienti” . Notizia che si rivelò una clamorosa gaffe del giornale (senza entrare nel merito di una fede che preveda una Provvidenza che per eliminare un sacrilego non trovi mezzo migliore che affondare una nave facendo migliaia di vittime innocenti), perché Ferrari non era affatto sul Titanic nello sciagurato viaggio del 1912, e sarebbe spirato serenamente — limitatamente a quanto i tempi concedevano a un fervente massone nel suo letto, nel 1929.

Tuttavia, nel periodo dell ‘omicidio Ballori, alla anti massoneria cattolica se ne era affiancata una di matrice socialista (sebbene, in quegli anni, molti esponenti socialisti fossero affiliati alla Massoneria; il Partito Socialista era in effetti, su questo tema, profondamente diviso).

Di tale clima avvelenato ha modo di lamentarsi anche l’onorevole massone e repubblicano Napoleone Colajanni, nella discussione alla Camera del 22 dicembre 1917 dedicata alle cause della recentissima disfatta di Caporetto. Riferendosi a recenti episodi di violenza contro gli onorevoli Modigliani e Maffi, causati secondo i socialisti da articoli apparsi sul Giornale d ‘Italia, egli commenta: “Però dai socialisti si è commessa un’imprudenza. Mentre hanno negata efficienza alla propaganda, hanno detto che le violenze contro Modigliani erano state l ‘effetto degli articoli del Giornale d ‘Italia. Io dico che la cosa è possibile. Ma se è possibile al Giornale d ‘Italia influire contro l’onorevole Modigliani e l’onorevole Maffi, mi permettano i colleghi che io ricordi loro che pochi giorni or sono venne ammazzato il dottor Ballori, ed io con il loro ragionamento potrei dire che il delitto fu effetto della propaganda che essi hanno fatto continuamente contro la Massoneria! Voler negare l’efficienza delle parole e degli scritti è tale negazione di qualunque principio di psicologia, che francamente mi pare impossibile che ciò si sostenga da uomini colti e intelligenti’

Non manca anche, a complicare il clima di quegli anni, l ‘ eco di una scissione avvenuta pochi anni prima in seno alla Massoneria italiana. ln estrema sintesi, all’inizio del 1908, nel Grande Oriente d’Italia convivevano due anime: una radicale e anticlericale, capeggiata. dal Gran Maestro Ettore Ferrari e l ‘altra conservatrice e disponibile al dialogo con la Chiesa, rappresentata dal Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato, Saverio Fera.

Allorché, nel 1908, Ettore Ferrari propose la censura per quei parlamentari massoni che avevano votato contro la proposta di legge di Leonida Bissolati (socialista e massone) sull’abolizione dell ‘insegnamento della religione nella scuola elementare, l ‘ ala più conservatrice insorse e il 24 giugno Saverio Fera dichiarò risolte le costituzioni del 1906 che stabilivano i protocolli d’intesa tra Rito Scozzese e Grande Oriente. Ne seguirono l’espulsione di Fera (che nel 1910 coi fuoriusciti fondò la Gran Loggia d’Italia degli Antichi e Liberi Accettati Muratori) e l’elezione di Achille Ballori a Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese.

Saverio Fera morì nel 1915 e, di lì a poco, la Gran Loggia si sarebbe posta, col suo Gran Maestro Raoul Vittorio Palermi, confermando l’impostazione politica con la quale era nata — su posizioni di sudditanza nei confronti del nascente fascismo (il che tuttavia non giovò a salvare la Gran Loggia dalla legge repressi va del 1925), mentre il Grande Oriente, dopo una primissima fase di sostegno al fascismo, tornò sulle usuali posizioni democratiche e fece una pesante opposizione che costò a molti il confino o l’esilio e ad altri la vita.

6. L’indagine criminologica di Enrico Ferri

Enrico Ferri, nato a San Benedetto Po nel 1859, fu uno dei più importanti criminologi del suo tempo. Di formazione chiaramente positivista, allievo di Cesare Lombroso, fondò nel 1891 la rivista Scuola positiva.

ln politica aderì al Partito Socialista Italiano, di cui fu membro di spicco fino a rivestire la carica di segretario nazionale, prima nel 1896, poi nel biennio 19041906. Fu deputato per dieci legislature. Fu anche direttore dell ‘organo di partito Avanti! dal 1903 al 1908.

Aderì alla Massoneria e fu membro della Loggia VIII Agosto all’Oriente di Bologna; il suo nome risulta tra quelli divulgati dal settimanale L ‘assalto dopo che le squadracce fasciste avevano devastato, il 12 settembre 1924, la sede massonica di vicolo Bianchetti e ne avevano trafugati gli archivi.

Enrico Ferri, spesso criticato per il suo personalismo e per i frequenti cambiamenti di rotta politica che lo portarono anche ad uscire e a rientrare dal Partito Socialista (secondo i detrattori in perenne attesa di un ruolo di ministro), fu un criminologo di raffinatissimo livello.

A lui, e al professor Mingazzini (altro importante esponente della scuola positiva italiana, sebbene critico verso le teorie lombrosiane), furono affidate le indagini criminologiche e psichiatriche del D’Ambrosio.

Nel referto di Ferri si legge: “D’ Ambrosio è evidentemente un allucinato, (…) la sua forma di follia mi sembra essere la paranoia o delirio di persecuzione (…). Purtroppo il caso D’Ambrosio viene a confermare le critiche che la scuola criminale positiva ha sempre fatto al trattamento dei delinquenti pazzi stabilito dello nostre leggi, per cui la permanenza o la liberazione dal manicomio non offrono garanzie sufficienti per la sicurezza sociale”

In seguito alle perizie di Ferri e Mingazzini, D’Ambrosio venne riconosciuto totalmente infermo di mente e quindi prosciolto dall ‘accusa di omicidio, ma immediatamente internato, dapprima nel manicomio di Nocera (dove, come si è detto, era già stato in precedenza rinchiuso) poi, fino alla morte, in quello di Aversa.

7. Massoneria e positivismo

L’indagine affidata a un criminologo di scuola positivista nonché massone, ci offre il destro di analizzare sinteticamente la relazione tra Massoneria e positivismo, al fine di completare il quadro culturale in cui si svolse l ‘omicidio Ballori.

Non si può certo dire che la filosofia positivista recasse una pregiudiziale antimassonica. Anzi, con la sua netta separazione tra scienze positive e discipline metafisiche, essa sembrava la continuazione naturale quasi il necessario compimento del percorso iniziato con l’illuminismo, che tanto si avvalse della diffusione attraverso le logge e che tanto, d ‘ altra parte, diede come contributo al pensiero massonico.

Proprio nel testamento di Ballori si legge una affermazione di chiara matrice positivistica (specie negli accenni alla legge del progresso e alla scienza): “Ho avuto scrupoloso rispetto per ogni fede; ma non ho professato alcuna Religione rivelata, pur sentendo nella mia coscienza la forza dell’inesplicabile e dell’ignoto; ed a questa forza immensa ho creduto come ho creduto alla legge del progresso. ( … ) Ho tenuto nel dovuto onore la Scienza, ho adorato la Patria”

Non stupisce quindi che alcuni esponenti di spicco della filosofia positivistica abbiano trovato fertile terreno nell’ambiente massonico. E il caso, solo per citare i più noti, di Cesare Lombroso (affiliato alla Loggia Gerolamo Cardano all’Oriente di Pavia) e di Émile Littré, allievo di Comte (affiliato alla Loge La clémente amitié del Grand Orient de France).

Nondimeno, un altro celebre positivista italiano, Roberto Ardigò, ebbe parole non tenere nei confronti della Massoneria. In lui certamente risuonano le tante scomuniche cattoliche, assorbite quando vestita ancora i panni del canonico prima di essere lui stesso prima sospeso a divinis e poi scomunicato per apostasia.

Egli fu al centro, nel 1903, di una polemica con la Rivista della Massoneria Italiana; la riportiamo sommariamente per dare ancora una volta l ‘idea del clima antimassonico che si respirava in certi ambienti e, confidiamo, per sollevare almeno in parte il velo sui pregiudizi antimassonici,

Dunque, il 7 gennaio Ardigò scrive una lettera al giornale Risveglio liberale, indirizzata al direttore Genovesi, nella quale si legge: convengo interamente con

Lei che dice giustamente che La Massoneria in uno stato libero è un non senso: e che a combattere l’oscurantismo è più efficace l’opera indefessa ed aperta di educazione e di elevazione civile che non l ‘opera tenebrosa e nascosta di una setta: e che coll’esistenza di questa la gran massa popolare non può che perdere la fiducia nella giustizia pubblica del proprio paese, nell ‘idea che la massoneria sia poi in fine una associazione di interesse pei soci a danno di quelli che non vi appartengono. E fortuna per me che alle scomuniche sono avvezzo, e nulla temo perché nulla spero”

La replica, molto articolata, arriva immediata (in un supplemento alla Rivista della Massoneria Italiana, datato 4 febbraio), del quale riportiamo qualche stralcio saliente: conclude essere fortuna per lui che alle scomuniche è avvezzo, e nulla teme perché nulla spera. E intanto la scomunica la lancia lui! Ma la Massoneria fa sua la frase che alle scomuniche è avvezza davvero e non le ha temute e non le teme, non perché nulla abbia mai sperato e nulla speri, ma perché ha sperato sempre e spera nel trionfo dell ‘onesto e del vero, che, né le scomuniche dei Papi, né le persecuzioni dei Principi, né, molto meno, le condanne dei filosofi positivisti o no, possono impedire”

E continua, riprendendo una polemica innescata dal giornale cattolico Sole del Mezzogiorno: “Ma il Sole del Mezzogiorno, rilevando questo fatto e la pubblicazione della lettera contro la Massoneria, avvenuta pochi giorni innanzi, cosi commenta: «ciò vuol dire che il prof. Ardigò, ex-canonico di Mantova, benché apostata dalla fede cattolica, non è ascritto all ‘infame setta: altrimenti non avrebbe pubblicato quella lettera — e noi aggiungiamo: verissimo — e tanto meno avrebbe permesso che un prete si accostasse al letto dell’inferma sua sorella e noi aggiungiamo: falsissimo. — Tutto questo ci dà buone speranze pel ritorno, presto o tardi, del prof. Ardigò alla fede e alla Chiesa. Affrettiamolo con le nostre preghiere». — E non aggiungiamo una sillaba”

Dunque, questo il clima antimassonico cui il Grande Oriente risponde ribadendo i propri principi di tolleranza, così efficacemente espressi da quel “falsissimo” con cui si commentano le illazioni del giornalista. Ma una tolleranza che si esplicita nella sfera personale, lasciando integra la dimensione politica e sociale manifestamente anticlericale, laddove il termine anticlericale non significa contro i preti, ma piuttosto contro il clericalismo, ovvero contro la tendenza politica ad andare a prendere ordini nelle curie e nelle sacrestie. Insomma, la difesa di uno Stato laico che un paio di generazioni di patrioti risorgimentali e postrisorgimentali avevano provato a costruire e che verrà demolito e ad oggi mai più ricostruito grazie alla alleanza tra clericali e fascisti sancita con i Patti lateranensi 1929 poi consapevolmente inseriti nelle  Costituzione repubblicane.

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