LA SCALA SANTA
LA SCALA SANTA
di A.R., Maestro Venerabile
«A chi mi domanda ragione dei miei viaggi, solitamente rispondo che so bene quel che fuggo, ma non quello che cerco», scriveva Montaigne, e queste lucide parole valgono a maggior ragione per gli itinerari turistici che ormai tappezzano il nostro globo e ci fanno sentire sconsolatamente a casa anche nella più sperduta isola del Pacifico – come ci fa notare Elena Loewenthal – o fra affollate dune di deserto, o nel cuore di metropoli diverse che si assomigliano tutte malgrado le distanze. Anche le storie viaggiano e gli oggetti che a volte le raccontano. Soprattutto nel deserto, dove l’aria e il tempo spaziano fra un mulinello di vento e un miraggio di memorie, accendendo le fantasie.
«Il complesso edilizio della Scala Santa a Roma comprende la Scala stessa, altre 4 scale a questa parallele (2 alla sua sinistra e 2 alla sua destra) ed inoltre, alla sommità delle scale anzidette, la Cappella di S. Lorenzo o del Sancta Sanctorum, una volta Cappella privata dei Papi e sul cui architrave, sormontante l’altare, è scritto: “Non vi è luogo più santo di questo, su tutta la terra”; qui, poi, vi è l’immagine acheròpita del Redentore (acheròpita: ossia dipinta non da mano umana, ma da mano d’Angeli), immagine veneratissima dal clero e dal popolo romano, legati ad essa come ad un’ancora di salvezza, nelle calamità pubbliche e negli eventi storici dell’Urbe.
Inizialmente la Scala Santa non era ubicata dov’è ora, ma alcune centinaia di metri più in là, nei palazzi lateranensi, ed era salita dai pellegrini recantisi alla benedizione del Santo Padre; qui poi, verso il 1450, cominciò a prendere consistenza una leggenda che la diceva giunta a Roma nel 326, ad opera di S. Elena Madre di Costantino, che l’avrebbe prelevata in Terra Santa, dalla fortezza Antonia sede di Pilato in Gerusalemme. Tale Scala, dunque, sarebbe stata proprio quella salita e discesa più volte da Gesù nella mattina del Venerdì Santo, allorché stava per compiersi l’atto finale della Sua vita – della Sua ascesi – umana; allorché, cioè, stava per compiersi la grande trasmutazione della fase al Rosso, come già infatti testimoniavano il rosso della veste impostagli, per irrisione, da Erode, ed il rosso del sangue sgorgante dalle ferite provocate dalla corona di spine e dai flagelli.
E fu proprio il diffondersi di questa leggenda che spinse poi, circa un secolo e mezzo dopo, Papa Sisto V a ricercare per la Scala una più confacente sistemazione; sì che per suo ordine, in una notte del 1589, al lume di torce e fra canti di salmi e di preghiere, l’architetto ticinese Domenico Fontana (quello noto per avere innalzato l’obelisco di Piazza S. Pietro) la trasportò nella sua attuale sede.
L’orientamento è esattamente Ovest-Est, sì che chi sale la Scala lascia alle proprie spalle le ombre del tramonto e muove verso la Luce d’Oriente, là dove sorge il Sole. Chi sale la Scala, poi, giunge al fine ad una grata oltre la quale gli è dato di vedere il Sancta Sanctorum (“il più venerato Santuario di Roma”, secondo la definizione di Gregorovius) e la venerabile immagine del Salvatore dipinta dagli Angeli, di cui si è detto.
Infine, vi è il numero dei gradini: 28; e tal numero non può essere a caso poiché trova immediato riscontro nei 28 tabernacoli ogivali del Sancta Sanctorum. Sia ben chiaro, inoltre, che 28 non è un numero qualsiasi, ma sacro, specie alla dottrina pitagorica; ed a conferma di questo, si ricorda la seguente risposta che sarebbe stata data da Pitagora a Policrate che gli chiedeva quanti atleti stesse conducendo verso la saggezza: “Te lo dirò, o Policrate: la metà studia la mirabile scienza delle matematiche; l’eterna Natura è oggetto degli studi di un quarto; la settima parte si esercita alla meditazione ed al silenzio; ed in più vi sono tre donne; risolviamo questa semplice equazione di primo grado e troveremo appunto 28, il numero che Pitagora considerava sommamente perfetto. Un’altra conferma di questo ci giunge dalla vicina Basilica Pitagorica di Porta Maggiore, dove vi sono 28 stucchi funerari nella cella, e dove una volta officiavano i 28 componenti della confraternita sacerdotale.»
Infatti, di 27 lettere era l’alfabeto sacro ebraico, e la ventottesima lettera, a tutti ignota, era ritenuta essere la lettera di Dio. Similmente avveniva con l’alfabeto greco, ove alle sue note 24 lettere si aggiungessero le 3 arcaiche: stigma, coppa e sampi. Di 28 giorni è poi il mese lunare, quel mese che governa le maree ed i raccolti, e la crescita di ogni cosa qui, sulla Terra. Ma v’ha di più: che 7, come noto – noto agli Antichi che stabilirono in 7 i giorni della Creazione; manoto anche ai moderni che ordinarono su settemplice base la materia mediante l’attribuzione, ad ogni atomo, di un massimo di 7 livelli (strati, o gusci) elettronici e diedero quindi un’articolazione settenaria alla tavola degli elementi di Mendelejeff – 7 dunque, come noto, ha questa caratteristica: che se lo sommiamo con i numeri interi e positivi che lo precedono, e che sono quindi in lui contenuti (se lo sommiamo cioè con 1, 2, 3, 4, 5 e 6), 7 allora fornisce, come risultato, 28; e far ciò, in matematica sacra, si dice “fare l’addizione teosofica di 7”; ossia prima scandire il numero nelle sue componenti – 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7, come si è visto – e poi riunire queste fra loro con un procedimento di sintesi.» (Tratto da J. Cohen, Echi alchemici nella Romanità antica, Milano, Kemi, 1980).
Il pellegrino e il pellegrinaggio erano figure sentite con grande intensità nel Medioevo: il distacco, l’alienzaione, la separazione dalla sicurezza del proprio ambiente per avventurarsi sulle infide strade dell’epoca richiedevano una devozione pressoché eroica, foriera di rinnovamento spirituale. Fu facile, quindi, che il pellegrino assurgesse a simbolo: egli è lontano da casa, su suolo straniero, ma la sua volontà tende ad una mèta non mondana; esperimenta fatiche e durezze del viaggio, ma anche la consapevolezza della Via: esprime il significato stesso della situazione terrena. Sul pavimento delle chiese si tracciavano labirinti regolari recanti al centro la Terra Santa: il fedele li percorre in ginocchio, sorta di pellegrinaggio sul luogo, sostituto simbolico del pellegrinaggio reale. Del resto il cattolicesimo è ricco di pratiche penitenzial-ascetiche passibili d’interpretazione simbolica: si pensi al rosario, alla preghiera domenicale o alla Scala Santa, da salire in ginocchio pregando, quasi un parallelo ascensionale dei citati labirinti.
La scala quindi è un simbolo importante, ed è una nota raffigurazione assiale ove in particolare si evidenzia la comunicazione intermondana; mette cioè in comunicazione cielo e terra. Il significato connesso alla scala permise di equipararla alla Croce di Cristo. Scrisse difatti Jacques de Saroug: [il Cristo] stette sulla terra come una scala ricca di pioli e si drizzò affinché tutti gli esseri terrestri si elevassero grazie a Lui. Essa (la Croce) è un cammino largo, come una scala fra gli esseri terrestri e quelli celesti. È così facile da seguire che persino i morti camminano sopra di essa: ha vuotato gli Inferni, ed ecco i mortali che salgono su di lei (cit. da Esdman, in Eranos Jahrbuch, 1950).
Lontanamente ricorderei anche la scala a 7 pioli dei Kadosh massonici, che percorsa in senso ascendente dall’iniziato e in senso discendente dall’avatar divino: tale la scala dai 7 colori (l’arcobaleno, altro simbolo di collegamento) che il Buddha percorre per giungere in terra. Ricorderei anche che la settima lettera dell’alfabeto greco (H: eta) è l’iniziale di Hèlios (sole) e costituisce pure il simbolo ermetico dello spirito: in essa riposa l’archetipo segnico della scala, al punto che i Framassoni medievali modellarono su questa lettera la facciata delle cattedrali gotiche, meravoglioso esempio, queste ultime, della pietra che tutti vedono ma pochi intendono.
Enorme è quindi l’importanza del 7, il numero che chiude il ciclo della creazione, e la faticosa salita sulla Scala Santa. Ed anche l’Alchimia ha la sua scala: così almeno è raffigurata in un bassorilievo di Nôtre-Dame de Paris: una maestosa Donna con i piedi sulla Terra e la testa fra i Cieli – cioè nei supremi regni – ed i cui attributi sono lo scettro – simbolo del potere che Essa conferisce ai suoi fedeli – i due libri – quello dell’esoterismo, chiuso, e quello dell’essoterismo, aperto – ed infine una scala a 9 gradini, che occorre per superare le fatiche delle 9operazioni ermetiche.
E chi voglia sapere di più su questa scala non ha che da leggere le opere di Nicolas Valois, dove è scritto: «La pazienza è la scala dei Filosofi, e l’umiltà è la porta del loro giardino, poiché a chiunque persevererà senza orgoglio e senza invidia, Dio farà misericordia».