PER UNA STORIA DELLA MASSONERIA LUCANA – I MASSONI Dl BERNALDA

                                   PER UNA STORIA DELLA MASSONERIA LUCANA

                                          I MASSONI Dl BERNALDA

di

Francesco Guida

I Massoni Lucani nella congiura Napoletana del 1794

Secondo lo storico Tommasio Pedio, alla fine del Settecento le province del regno di Napoli pullulavano di logge massoniche, il cui epicentro era la capitale. La visibilità del movimento massonico si manifestò nel 1794 in occasione della prima cospirazione liberale a Napoli, soffocata nel sangue ancor prima di nascere Tale vicenda è stata considerata dagli storici il primo vero episodio del Risorgimento italiano . Il progetto di rivolta, organizzato da Carlo Lauberg, uno dei capi della Massoneria napoletana, di concerto con i francesi fu una vera e propria congiura massonica, anche se gli affiliati non erano più chiamati tali ma giacobini. Tra questi primi patrioti si annoverano anche dei giovani lucani, allievi del massone Carlo Lauberg, che pagarono col carcere e col sangue il loro anelito ad una società più giusta. Gli inquisiti come rei di Stato della Basilicata alla Regia Udienza di Matera furono in tutto 107. Ricordiamo alcuni di loro, assurti a protagonisti delle cronache giudiziarie del tempo, consegnataci dalla storia:

GIROLAMO E MICHELANGELO VACCARO, nati ad Avigliano il primo il 19-9.1775, il secondo 1’8.9.1774. Studenti a Napoli si iscrissero al club rivoluzionario con partecipazione attiva. Girolamo ricoprì la carica di presidente della Società patriottica. Sfuggiti alla cattura nel 1794, organizzarono ad Avigliano un club giacobino morirono a Picerno il 10 maggio 1799 contro le orde sanfediste;

DIODATI SINISCALCHI di Lavello, sfuggito alla cattura nel 1794, partecipò alla rivoluzione del 1799 e condannato all’esilio.

FRANCESCO ANTONIO POMARICI di Anzi, elaborò con Lauberg 1a trasformazione della struttura massonica in club giacobino. Fu scelto dal Lauberg come Capo Supremo provvisorio.

VINCENZO SARLI di Abriola, nato nel 1770 si recò a Napoli con l’abate Verga per completare gli studi di diritto. Coinvolto nei fatti del 1799, durante il decennio francese entrò in magistratura e raggiunse il grado di Sostituto Procuratore generale presso la Gran Corte Criminale di Salerno. Alto dignitario della Carboneria aderì ai moti del 1820-21. Morì nel 1844

Le logge lucane dal 1810 al 1925

Da un’esaustiva ricerca bibliografica ed archivistica è emersa una rete di logge che, sebbene in diversi periodi, ha sostenuto l’azione pre e postrisorgimentale della Basilicata. La prima documentazione certa riguardo le logge delle province napoletane emerge dal Grande Oriente Napoletano fondato il 1806 e retto da Giuseppe Bonaparte sino al 1808 quando gli subentrò Gioacchino Murat, disciolto nel 1815 con la fine dello stesso Murat. Dopo tale periodo la massoneria cede il posto alla carboneria ed alle sette politiche e scompare dal suolo italiano sino al 1859.

Nel 1859 fu fondata a Torino la loggia Ausonia, da cui sorse il Grande Oriente Italiano.


Ma la situazione massonica della penisola non era affatto chiara. Sorsero, infatti, negli anni successivi altre Obbedienze che rivendicavano altrettanta legittimità e tradizione, indispensabili requisiti per la regolarità massonica. Tanto è vero che nel 1860 sorsero a Palermo, a Napoli ed a Torino tre Supremi Consigli di Rito Scozzese, ciascuno autonomo ed indipendente, in antagonismo con il Grande Oriente Italiano. Solo nel 1874 si giunse ad una riunificazione completa tra tali gruppi sotto l’egida del Grande Oriente d’Italia. Quindi dopo la riunificazione del 1874 tali logge confluirono nel G.O.I. oppure si sciolsero oppure, in minima parte, continuarono autonomamente senza speranza di continuità. L’elenco termina col 1925, anno in cui il regime fascista, con una legge liberticida, costrinse la massoneria italiana a cessare la sua attività. 
     
                    
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       

Ritratti di massoni lucani

Mario Pagano

Nato a Brienza 1’8.12.1748 da Tommaso e Maria Anna Pastore, di condizione agiata, si trasferì a Napoli all’età di dodici anni per studiare dapprima le materie classiche, poi diritto e filosofia all’Università. Alacremente studioso nonostante la cagionevole salute si dedicò ad approfondire il pensiero di G.B. Vico prima, e di Voltaire, Diderot e Rousseau dopo. Pagano vagheggiava una società basata sulla giustizia delle leggi, sull’eguaglianza civile ma non politica, nel senso che al potere dovevano assurgere non i più ricchi ma i migliori, i possessori della virtù in senso platonico.

L’opera maggiore per cui viene ricordato dai posteri è rappresentata dagli Scritti Politici, ove sono rappresentate le sue idee politiche, filosofiche e morali, che a metà dell’Ottocento lo resero famoso in tutta l’Europa. Affiliato alla Massoneria nella loggia nazionale “Zelo”, riconosciuta dalla Gran Loggia di Londra aveva come compagni di loggia Domenico Forges Davanzati, Gaetano Filangeri, Felice Lioy, alcuni dei quali saranno con lui protagonisti e martiri della repubblica del 1799. Successivamente, a seguito dell’incontro con il vescovo luterano danese Frederick Munter, alto dignitario massonico degli Illuminati di Baviera, di passaggio a Napoli, abbandonò l’Obbedienza inglese moderata e lealista e costituì una loggia a forte caratterizzazione razionalistica e radicale, dipendente dall’Unione Eclettica di Ditfurth. Una delle caratteristiche di tali logge era il nome massonico usato per celare l’identità la propria identità ai persecutori.

Tale organizzazione massonica era stata infatti sconfessata dalle altre Obbedienze e perseguitata dai sovrani europei perché pericolosa per l’ordine sociale e la sicurezza degli stati. Pagano assunse il nome di Ianus Baptista La Porta, traduzione latineggiata di Giovanni Battista della Porta, autore della “Magia Naturale” e fantasioso scienziato che nel secolo precedente aveva vissuto non lontano dalla sua casa. In quella loggia furono celebrati nel 1787 i funerali massonici di Gaetano Filangeri, occasione in cui il Pagano compose un’ode massonica in onore dell’amico scomparso.

Nel 1787 ottenne la titolarità della cattedra di diritto penale all’Università, ove vi insegnava da dieci anni; nel 1789 fu nominato avvocato dei poveri nel Tribunale dell’ammiragliato e consolato di mare, ove si distinse per la tutela dei diritti dei pescatori e per aspre critiche al sistema economico che danneggiava i più poveri. Erano ancora i tempi in cui i massoni riscuotevano il rispetto e le simpatie della regina Maria Carolina.

Ormai gli scritti di Pagano si rifacevano apertamente a Locke, Montesquieu e Rousseau, alfieri del pensiero moderno, ma tali approdi gli alienavano sempre più le simpatie dei sovrani. Pagano era ormai avviato irreversibilmente sulla strada della rivoluzione. Nel 1794 fu esonerato dell’incarico di docente universitario e di avvocato all’ammiragliato. Finì imprigionato per due anni, sino al 25-7.1798 quando, espulso dal regno, si trasferì nella Roma repubblicanizzata dai Francesi.

Nel nuovo ambiente, per nulla consono al suo temperamento attivo si impegnò nella vita pubblica e insegno diritto pubblico al Collegio romano, rinunziando allo stipendio.

Quando a Napoli fu proclamata la repubblica, il 22 gennaio 1799, fu nominato tra i 25 membri della commissione costituente, con il compito di elaborare uno schema di Costituzione, Pagano portò a termine tale fatica, che venne discussa ed approvata dalla commissione ma non votata a causa del precipitare degli eventi. Si interessò tra l’altro, delle riforme costituzionali relative alla proprietà ed all’agricoltura, alla feudalità, al diritto penale introducendo l’abolizione della tortura.

Il 5 giugno, in una repubblica ormai agonizzante, ebbe il coraggio di battersi sulle barricate a difesa della città. Prigioniero del cardinale Ruffo, in spregio ai patti che prevedevano l’esilio, venne giustiziato il 29 ottobre 1799 in Piazza del Mercato.

Il Vescovo Massone Giovanni Andrea Serrao

Nato il 4.2.1731 a Castelmonardo, l’odierna Filadelfia, presso Vibo Valentia in Calabria, da Bruno e Giuditta Feroce, sin dalla fanciullezza intraprese la carriera ecclesiastica traferendosi a Napoli, dove si formò culturalmente. Molto legato alla politica illuminata del sovrano Carlo III ed ai successori Ferdinando IV e Maria Carolina, si meritò la definizione di primo giansenista italiano.

Uno dei cardini del pensiero giansenista era la netta separazione tra Stato e Chiesa. Con i sovrani borboni, affascinati dalle idee liberali e massoniche, tanto che Maria Carolina, secondo alcuni storici. faceva parte di una loggia massonica femminile, ebbe un rapporto di feconda collaborazione.

A seguito del terremoto del 1783 che rase al suolo Castelmonardo, Serrao, oltre a prodigarsi per gli aiuti alla popolazione, progettò con il famoso giurista massone napoletano gaetano Filangieri, il progetto del nuovo paese conferendogli il nome di Filadelfia. I a pianta del paese, identica a quella della nota città americana, ricevuta dai massoni d’oltreoceano, era ispirata da criteri razionalistici ed illuminati di chiara matrice massonica, “lo schema rappresenta una tipica rielaborazione del castrum romano, fulcro della collaborazione tra architetto e filosofo, caldeggiata dal Grande Oriente’

Fu intimo amico dell’abate Antonio Jerocades, suo allievo nel Seminario di Tropea, noto massone fondatore delle prime logge in Calabria, e vivace agitatore politico. Era altresì noto il suo senso di carità. Istituì, tra l’altro, il maritaggio ( = dote) annuale per dodici ragazze povere.

Rientrato a Napoli Serrao assistette al mutamento della politica borbonica a seguito della rivoluzione francese del 1789, che aveva decapitato Maria Antonietta, sorella della regina napoletana.

Dalle simpatie per liberali e massoni la corona napoletana ne divenne acerrima nemica, allontanando e perseguitando gli stimati consiglieri come il Serrao. Rientrato a Potenza anche il vescovo illuminato manifestò la sua opposizione all’assolutismo regio benedicendo nel 1799 1’Albero della Libertà nella piazza grande della città. Passò, infatti, come tanti intellettuali “dall’idealismo monarchico all’idealismo democratico, che ha sempre per oggetto il bene sociale” ma non lo persegue più nell’opera illuminata del sovrano bensì nella forza del popolo. Ormai avversato dalla Chiesa di Roma e dai borboni, il 24. febbraio 1799 viene trucidato dalle bande sanfediste del cardinale Ruffo, che per disprezzo e monito portarono la sua testa infilzata su una picca in corteo per la città.

Non esistono prove documentali dell’affiliazione massonica del Serrao, ma tale appartenenza si deduce dai suoi scritti, dai suoi comportamenti, dalle sue frequentazioni, dalla stima che i massoni hanno sempre avuto di lui. A sua memoria sorsero tre logge, una a Filadelfia nel 1904, un’altra a Potenza nella seconda metà dell’Ottocento, retta da sacerdote Rocco Brienza, autore di una sua biografia, e l’altra a Chiaromonte nel periodo 1865-1869.

Rocco Brienza

Nato a Potenza 1’1.9.1818 da Luigi e Isabella Laguardia fu educato sin da tenera età agli ideali patriottici dal padre carbonaro e dalla memoria dello zio sacerdote giansenista, che partecipò nel 1799 alla lotta armata contro le bande sanfediste del cardinale Ruffo, morendo lo stesso anno di nascita di Rocco, in conseguenza delle torture inflittegli. Rocco Brienza, dopo un breve periodo a Napoli, continuò gli studi nel seminario di Potenza ove venne ordinato sacerdote. Il suo spirito libero si manifestò subito nell’ambiente ecclesiastico, guadagnandosi un trasferimento punitivo presso il convento dei frati cappuccini di Picerno, ove fu nominato docente con funzione di vicerettore.

Lì procurò letture proibite e condannate teologicamente e politicamente. Lo stato di ozio forzato non si addiceva ad una personalità dinamica come il Brienza. Così su sua richiesta venne inviato a predicare in provincia. Nel corso tale attività venne in contatto con la setta patriottica dell’Unità Italiana, attirandosi l’attenzione della polizia. Arrestato il 9-4.1849 per eccitazione contro l’autorità regia fu condannato definitivamente a tredici anni di reclusione, che scontò parzialmente. Dopo l’amnistia del 1859 tornò a Potenza dove collaborò alla raccolta di fondi per l’armamento dei patrioti e con una setta politica di Corleto. Prese parte all’insurrezione di Potenza del 18.4.1860 e venne nominato segretario del Governo provvisorio lucano per sette giorni, successivamente fu inviato in Irpinia per organizzare l’insurrezione. Soggiornò per breve tempo a Napoli dove era membro della commissione per la riforma dei luoghi penali e della commissione per la vigilanza sugli ospedali. Contrariato per l’espulsione di Mazzini tornò a Potenza come segretario della commissione elettorale lucana, da cui si allontanò subito perché la scoprì non conforme agli ideali di giustizia ed uguaglianza. Si interessò di numerose problematiche con incarichi istituzionali. Dalla questione sul brigantaggio alla questione agraria, dalla commissione per la riduzione delle feste religiose al Consiglio sanitario, da cui si adoperò valorosamente durante l’epidemia di colera del 1867 che gli fruttò un encomio dal ministro. Respinse tale onorificenza con questa motivazione che rivela la grandezza della sua statura morale e dell’autenticità della  sua esperienza massonica: “Nulla feci, e se molto avessi fatto, avrei scelto il principio umanitario, che non ripone in questo o in quello la sua ricompensa”.

Nel 1861 fu eletto consigliere comunale interessandosi di istruzione e di annona. Il suo idealismo radicale, rimasto integro nel tempo, gli impediva di accettare compromessi. Così dopo cinque mesi di impegno municipale si dimise. Si batté con l’associazione “Emancipatrice del Clero italiano” contro la chiesa di Pio IX per un ritorno alla purezza evangelica, ma anche tale iniziativa fu osteggiata dalle autorità locali perché sospetto di simpatie garibaldine. In Massoneria fu Venerabile della loggia Andrea Serrao di Potenza. nell’ambiente massonico Brienza non risparmiò critiche al governo dell’Ordine, fidando sulla stima e l’appoggio del Gran Maestro Ludovico Frapolli.

Eletto membro del Consiglio dell’Ordine raggiunse il 32 0 grado del Rito

Scozzese.

Partecipò nel 1869 al famoso Anticoncilio dei liberi pensatori a Napoli, costituito in contrapposizione polemica con il Concilio Vaticano. Gli ultimi anni della vita li trascorse scrivendo di storia risorgimentale. Morì a Potenza il 17 febbraio 1900.

Floriano Del Zio

Nato a Melfi il 2 aprile 1831 dal notaio Tolomeo e dalla nobildonna Anna Maria Mandile, subì l’influenza dello zio paterno Antemidoro, già ufficiale murattiano, poi carbonaro e costituzionalista nel 1848. Floriano studiò nel seminario di Melfi, ove fu sospettato dal vescovo Sellitti di simpatie liberali.- Trasferitosi a Napoli per studiare giurisprudenza fu invece affascinato dalla filosofia, che forgiò la sua personalità al punto da non esercitare mai la libera professione forense ma la ricerca e la docenza in filosofia. Fece parte del circolo di filosofia che elaborò il cosiddetto hegelismo napoletano. Del pensiero di Hegel Del Zio approfondì in particolare l’estetica e la filosofia della storia.

Nel 1860 tornò in Basilicata ove organizzò la Brigata lucana partecipando alle battaglie del Volturno, di Caserta e di Sant’Angelo. Venne inviato a Melfi dal Comitato d’Ordine napoletano per organizzare le giunte a Melfi, Rapolla, Barile, Rionero e Atella. Il 30 agosto 1860 proclamò nella cattedrale di Melfi la decadenza dei Borboni e Vittorio Emanuele re d’Italia. Quindi ritornò a Napoli dove riaprì la scuola privata e a dedicarsi agli studi hegeliani sino al 1862 quando venne nominato dal ministro dell’istruzione pubblica, il massone Francesco De Sanctis, docente di filosofia al liceo di Cagliari. Lì collaborò alla Gazzetta del Popolo, organo della democrazia sarda, che entrò in polemica con il giornale milanese Il Promotore. Nel 1865 fu eletto deputato per il collegio di Melfi, costringendolo a rinunziare all’insegnamento ed a dedicarsi all’impegno parlamentare nelle file della Sinistra. Collaborò anche al giornale di tendenza socialista Libertà e Lavoro.

Eletto per sei legislature si concentrò sulle grandi questioni come il trasferimento della capitale da Firenze a Roma, le leggi sulle guarentigie ed i problemi delle comunicazioni ferroviarie. Parimenti il suo impegno massonico lo portò a fondare a Melfi la loggia Vulture Riacceso, di cui fu Venerabile’4. Partecipò all’Assemblea Costituente massonica del 1869 a Firenze, in cui contribuì all’elezione del Gran Maestro Frapolli, ed alla discussione di grandi temi per il progresso sociale come l’emancipazione della donna, l’istruzione obbligatoria, la promozione di una campagna di opinione per il suffragio universale, l’abolizione del duello. Per la storia massonica Del Zio merita un ricordo particolarmente grato perché si batté all’Assemblea di Firenze contro la proposta del massone Olivieri di sostituire la formula Alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo con la formula Alla Gloria della Patria e del Progresso Infinito  . Se fosse passata tale innovazione la Massoneria italiana avrebbe perduto ogni crisma di regolarità e speranza di riconoscimento dalle massonerie estere, avendo abolito un simbolo di trascendenza essenziale per la sua tradizione.

Dopo l’impegno parlamentare Del Zio si ritirò nel 1866 a Melfi tornando al suo studio e dedicandosi all’impegno amministrativo nel locale municipio. Nel 1891 fu nominato senatore su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, il massone Giuseppe Nicotera. Morì a Roma l’1 febbraio 1914.

Pietro Lacava

Nato il 26.10.1838 a Corleto Perticara da Giuseppe e Brigida Francolini, fu educato in famiglia agli ideali patriottici. Il padre Giuseppe, laureato in legge a Napoli, liberale sin dal 1848, prese parte nel 1860 alla rivoluzione combattendo contro l’esercito borbone a Muro Lucano, al Volturno nella Brigata lucana, e contro il brigantaggio, di cui rimase vittima in un agguato 1’1.8.1861 a Rifreddo. Anche Pietro si laureò in legge a Napoli e partecipò dal 1857 al 1860 alle lotte risorgimentali. Negli anni giovanili subì l’influsso delle idee mazziniane e nel 1860 fu segretario del governo provvisorio della Basilicata, poi sottoprefetto a Pavia e questore a Napoli nel 1869.

Eletto alla Camera dei Deputati per 45 anni ininterrotti fu più volte ministro. Partecipò alla Assemblea Costituente Massonica del 1869 a Firenze insieme con il conterraneo Floriano Del Zio e rappresentò la loggia Manfredi di Napoli all’Assemblea Costituente del 1872 a Roma.

Eletto Consigliere dell’OrdineL8 contribuì alla stesura della Costituzione Generale della Massoneria italiana che, con l’entrata in vigore del 24-5.1874 innovò l’insegna dell’Ordine con la stella a cinque punte, la corona turrita sovrastante due mani strette a patto. Il simbolo della stella a cinque punte fu poi trasfuso nell’insegna della Re- • pubblica Italiana”).

Alla Camera dei Deputati faceva parte del gruppo progressista e fu stretto collaboratore del massone Giuseppe Nicotera che nel 1876 portò la sinistra al potere. I.acava non era uomo di impeto e di eloquenza ma di calma e moderazione, qualità che gli servirono a farsi apprezzare nei diversi ambiti. Aveva particolare competenza in materia di politica interna, lavori pubblici ed economia.

Rivestì, infatti, la carica di segretario generale del Ministero degli Interni, col primo governo Depretis, segretario generale nel III governo Depretis, ministro dei Lavori Pubblici nel governo Pelloux. Fu il primo ministro delle Poste e Telecomunicazioni fondato dal massone Crispi; ancora ministro dell’Agricoltura, dell’industria e Commercio nel governo Giolitti dal maggio 1892 al novembre 1893, ministro delle Finanze nel governo Giolitti dall’aprile 1907 al dicembre 1909. Durante l’ultimo governo Crispi si schierò con l’opposizione di destra appoggiando successivamente il governo Di Rudinì, e guadagnandosi da Depretis l’epiteto di “Lupo di Corleto”. Rivestì per qualche tempo anche la carica di vicepresidente della Camera. Morì a Roma il 1 Febbraio 1914.

I Massoni di Bernalda

Innanzitutto è doveroso precisare che a Bernalda non fu mai eretta una loggia massonica, ma è altrettanto vero che vi furono massoni anche a

Bernalda. In un meridione d’Italia, piagato dall’arretratezza economica ed in particolare dall’analfabetismo (85 % della popolazione di fine Ottocento non sapeva leggere né scrivere) le famiglie dotate di censo mandavano i loro rampolli a studiare nelle grandi città sedi universitarie. Per il Sud il polo di riferimento culturale era Napoli.

Pertanto, i figli di famiglie aristocratiche o borghesi lasciavano la terra natia per studiare a Napoli, ove il fermento culturale era tale che, oltre ad attendere agli studi universitari, erano contagiati dalla passione civile, espressa dalla novità delle idee liberali. Prima dell’Unità ingrossavano le file dei cospiratori, dopo l’Unità formavano l’ossatura della classe dirigente. E’ la storia comune di tanti patrioti che assursero a rango di parlamentari, ministri, alti funzionari, ecc.

Anche Bernalda mandò i suoi figli migliori a studiare fuori regione. Costoro, dopo la formazione culturale e professionale non ritornarono nella terra natia se non per gestire il patrimonio familiare, solitamente legato all’agricoltura. Diversamente, trovavano pubblico impiego nelle libere professioni o nel pubblico impiego, che li portava a trasferirsi in altre città. Di Bernalda risultano nel libro matricola dell’Ai•chivio Storico del Grande Oriente d’Italia otto massoni, che vissero temporaneamente o definitivamente in altre città, e sono:

BELLISARIO GIULIO, fu Cosimo, nato a Bernalda 1’8.5.1872, di professione medico, emigrato in Libia a Tripoli e lì iniziato nella loggia Leptis Magna il 3.6.1920, elevato al grado di Compagno il 28.4.1923. Altro medico che emigrò nella colonia italiana di Eritrea, ad Asmara, fu l’ufficiale RINALDI GIUSEPPE di Rocco, nato a Bernalda il 16.2.1884, iniziato il 5-7.1913 nella loggia Eritrea, elevato al grado di Compagno e contemporaneamente a quello di Maestro il 19.12.1916.

Una situazione differente riguardava i militari, soggetti a trasferimenti, come il caso di DELL’OSSO GAETANO, di Giuseppe, nato il 23.8.1897 a Bernalda, sottocapo meccanico, iniziato alla loggia Imbriani-Poerio di Napoli il 28.6.1921 ed elevato a compagno il 24.1.1922; o come il caso di LORITO GIUSEPPE di Angelo, nato a Bernalda 1’8.11.1869, ufficiale di Artiglieria, iniziato 1’1.4.1905 alla famosa loggia Propaganda di Torino. Altri casi riguardavano persone che avevano trovato sistemazione in aree non lontane da Bernalda, come CAPUTI DOMENICO fu Emanuele, nato a Bernalda il 25.10.1885, di condizione impiegato, iniziato alla loggia Pensiero e Azione di Bari il 18.1.1923; come l’avv. ALESSANDRO DE BIASE di Giovanni, nato a Bernalda 1’1.11.1889, iniziato il 6.4.1916 alla loggia Giulio Cesare Vanini di Taranto; come il dottore in agraria ANGELO FISCHETTI di Giuseppe, nato il 16.8.1885, iniziato alla loggia Giuseppe Tortora di Cerignola il 25-3.1912, elevato a Compagno il 22.4.1913 ed a Maestro il 23-3.1914; altro caso di emigrazione qualificata interessò DOMMARCO GIUSEPPE di Angelo, nato il 27.2.1881 e trasferitosi a Roma ove fu iniziato il 4.11.1910 nella loggia Giandomenico Romagnosi, elevato a Compagno il 4.11.1911 ed a Maestro il 23.1.1915.

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