APPUNTI PER UNA STORIA DELLA CREMAZIONE
di
Anna Maria Isastia
Seconda Parte
Il conflitto tra la chiesa cattolica, ancorata a posizioni tradizionali, e la massoneria, proiettata su posizioni di avanguardia culturale, ha segnato la storia dell ‘Italia liberale.
Tra le molte questioni che in quei decenni furono dibattute, con toni anche aspri, e con conseguenze di lungo periodo, ci fu la cremazione dei cadaveri, che era stata introdotta, per la prima volta in età moderna, nella Francia rivoluzionaria, a fine settecento. Il paradigma cremazionista apparve, nel secolo scorso, indissolubilmente legato alla propaganda massonica, anche se esso non nacque tra i massoni, ma tra i liberi pensatori, molti dei quali erano anche i fratelli.
L’incinerazione, che nei secoli precedenti non era stata considerata pericolosa per la fede, fu combattuta ad oltranza per colpire il complesso del progetto di laicizzazione della società, di cui i massoni erano considerati i più tenaci propugnatori.
Nella seconda metà del secolo scorso i massoni italiani si fecero paladini della scelta cremazionista per una serie di motivi che si possono sintetizzare nella fede inattaccabile nella bontà delle loro posizioni e nella necessità di portare la luce del progresso laddove erano le tenebre della superstizione.
Il pensiero sociale che si richiamava agli ideali mazziniani, che molti massoni condividevano, era coniugato con la sperimentazione scientifica, il razionalismo hegeliano, nel quale si attuava la secolarizzazione dell ‘escatologia ebraico-cristiana, con I ‘attesa di una concreta realizzazione in terra del mito pleromatico. Accanto alla ricerca scientifica alcuni praticavano le discipline ermetiche e quelle alchemiche, che trasmettono un sapere, un patrimonio di conoscenze che risale al mondo antico, e si attardavano a riscoprire miti e riti dell ‘antico Egitto già evocati da Cagliostro un secolo prima.
Crogiolo di tradizione e di modernità, dicotomicamente legata al passato e al futuro, ai “profani” sfugge quasi tutto del pensiero elaborato in loggia. Secondo la tradizione, del resto, un iniziato deve essere considerato tale solo quando ha avuto esperienza diretta – e perciò acquistato una coscienza individuale- di un modo nuovo e non comunicabile di percepire le cose. L’esperienza esoterica non può essere partecipata direttamente utilizzando i concetti del normale linguaggio, ma solo ricorrendo a metodi indiretti che si fondano sul simbolismo.
Qabbalah e diànoia, religiosità e ateismo, impegno sociale e distaccato elitarismo da iniziati: tra i massoni si possono rintracciare filoni di pensiero tra loro assolutamente antitetici, difficili da far convivere.
Alla qabbalah in particolare hanno attinto tutti: alchimisti e massoni, illuminati e carbonari si sono riconosciuti nella sua dottrina fondamentale “che insegnava nulla esistere di puramente materiale, ogni cosa sussistere mercé il fuoco divino che la investe, la nutrisce e feconda, tutto essere affratellato in Dio, generazione, legge, vita, anima dell ‘universo” Altrettanto forte è l’insistenza sull ‘elemento conoscitivo, inteso come illuminazione riservata a pochi iniziati, e il dualismo spirito-materia. Il tappeto a scacchi bianchi e neri, presente in ogni loggia, è il monumento alla gnosi, vero fondamento del gene massonico.
Se vogliamo tentare di capire la scelta cremazionista dei massoni del secolo scorso dobbiamo partire dalla consapevolezza della potenzialità insita in alcuni uomini di potersi reintegrare nell ‘assenza prima.
Il sentimento iniziatico non traspare negli scritti o nei discorsi, neanche in quelli pubblicati sulla rivista dell ‘Ordine. Bisogna penetrare più in là, saper leggere i simboli che sono l’unica traccia a noi pervenuta di un più complesso approccio al tema della morte.
La morte come metamorfosi è un concetto centrale nella riflessione del massone che la vive come un momento del processo di mutazione generale, della legge di trasformazione-evoluzione. Chi entra in massoneria deve morire alla vita profana e rinascere a quella iniziatica. Per il massone il trapasso non è che l ‘iniziazione ai misteri di una risurrezione, nel contesto di una metamorfosi della natura di cui il fuoco è principio e simbolo. In questo rituale processo nulla può essere lasciato alla materialità profana. Nel linguaggio alchemico il fuoco è una sostanza pura, eterna, indispensabile per il compimento della Grande opera. Il fuoco è lo strumento della modificazione degli stati che nella natura appaiono a prima vista stratificati e insuperabili; è il mezzo affinché la vita, trascorrendo dall ‘una all’altra forma, si riveli. Attraverso il fuoco l’uomo dovrebbe bruciare tutte le sue scorie e, divenuto pura scintilla, unirsi alla fonte da cui si è separato. Il valore dei riti funebri che fanno ricorso al fuoco sta dunque nel modificare ciò che è mortale trasformandolo in ciò che non può morire. Un massone cui la cultura italiana deve molto scriveva: “Ardere! Ecco una forma di dissoluzione, che non ispaura, ma quasi rallegra, come rallegra fra gli alari domestici lo scoppietar d’una fiamma.- Ardere! C’è una bellezza artistica in questo scomparire dalla vita ardendo!- Ardere! Parola sdrucciola che suona fervore, rapidità, caldo soffio di vita! E sarà vita di fatto, questo nostro trasformarci in così breve ora!. Scenderemo atomi invisibili a baciare le corolle dei fiori, a scherzare nei campi coll ‘erbe, entreremo nel respiro degli alberi, voleremo forse colla bufera a visitar plaghe di cielo e regioni lontane: oh rapida trasformazione! ln breve ora confusasi coll ‘intimità del gran Tutto! “
La trasmutazione dell’essere fisico e animico che, attraverso il fuoco, avviene fisicamente sul cadavere che viene sottoposto alla cremazione, si compie, anche nell’essere fisico e animico di chi partecipa alla cerimonia funebre rituale nel tempio crematorio.
La cremazione rispondeva ad una serie di esigenze molto sentite. Annullare il binomio morte buona uguale morte cattolica, rendere tutti gli uomini uguali difronte al mistero della morte, deificare il defunto, creare una nuova e diversa ritualità della morte attraverso una cerimonia civile.
La cremazione fornì lo spunto ad un dibattito che trascendeva la questione di come conservare il cadavere. Lo scontro vero riguardava i rapporti stato chiesa e il ruolo della chiesa nella società. Lo stato cercava di conquistare degli spazi, la cultura laica si batteva con le armi della scienza per sottrarre alla chiesa il monopolio delle coscienze, rivendicando la dignità della morale laica e di una spiritualità diversa da quella cattolica.
I cremazionisti rivendicavano il dovere di avere maggiore fiducia nell ‘uomo, nella ragione, nella scienza, nella morale che deve sussistere all ‘ infuori di ogni religione. L’idea della sacralità della persona umana non doveva essere esclusivo appannaggio di una sola religione. Il comune sentimento del mistero che accompagna la vita e la morte potevano essere vissute in modi diversi” .•