IL RITUALE E IL TEATRO MUSICALE: ANALOGIE E DIFFERENZE

IL RITUALE E IL TEATRO MUSICALE:

 ANALOGIE E DIFFERENZE

di Marco Filippo Romano

Loggia di Ricerca Musicale: Santa Cecilia

LA GENESI

Questo mio lavoro nasce dalla mia esperienza personale. Nasce da una sensazione di “confort zone” all’interno della Loggia e durante l’esecuzione dei suoi lavori nello specifico. Perché il mondo del teatro trova nella libera muratoria e nella sua ritualità questa innata attrazione? Sicuramente perché parlano lo stesso linguaggio. Sono infatti tanti i musicisti e gli artisti che ne fanno parte. Ho sempre osservato in loro una certa disinvoltura nell’affrontare il rituale nel coglierne i ritmi, allora è nato in me il desiderio di mettere a paragone questi due mondi.

PREMESSA

Il Teatro è Rito, una cerimonia laica, a cui tutti partecipano a prescindere dal loro credo religioso. I gesti che si ripetono insieme alle parole compongono una sacra ritualità. Questo rito diventa una prassi abitudinaria, quindi un’azione che si ripete nel Tempo e nello Spazio, uguale a se stessa, pur non potendo essere mai la stessa. L’approccio ad una rappresentazione rituale deve essere il medesimo che ad una teatrale, perché nella nostra ritualità confermiamo la nostra identità, siamo sia attori che spettatori. L’oralità è un primo modo di porsi in modo teatrale: la narrazione si svolge attraverso i ritmi, la voce, i gesti, la corporeità di chi racconta, così che la parola si fa segno vivente attraverso l’umanità di chi la dice. Inoltre, il rito si fa dramma quando l’azione si articola secondo un sistema complesso di segni e di eventi carichi di significati esemplari, non solo raccontati ma agiti. Inoltre, il rito si fa figura o illustrazione più ampia quando si dispiega attraverso la rappresentazione iconica offerta alla devozione dei fedeli. E infine il rito diventa gioco, quando si apre al mondo del significato trasformando energie e attitudini del gruppo. Il sistema mitico-rituale e il sistema teatrale operano, all’origine, in modo unitario, attraverso una coalescenza di elementi variamente riconoscibili.

Dalla mia formazione e da ciò che nella mia vita convive con il mio essere c’è appunto la pratica teatrale e nello specifico prevalentemente quella legata all’opera buffa del 700 ed 800.

La nascita di questo genere musicale deriva da quelle rozze e popolari espressioni che si rifanno a quei riti-spettacoli in particolare le opere di Plauto, cioè che si rifanno all’origine ad una forma di commedia. Nel meridione d’Italia nasce un genere molto particolare la tubba e catubba più comunemente conosciuta come tammuriata, sarà questo l’embrione dell’opera buffa Formata da un ritmo giambico, che evoca divinità arcaiche domestiche come i lari e i penati latini.

Un elemento che troveremo nel tardo barocco con intenzioni evocative e misteriche. Sul piano musicale ciò che caratterizza questa specifica accezione è l’uso delle terzine e del tempo ternario che sono i cosiddetti “ritmi della bussata”, impiegati in molte composizioni anche dello stesso Mozart o da altri compositori che abbiamo trattato in passato nei lavori di questa loggia (Gianni Schicchi e Italiana in Algeri).

Non è solo il ritmo ma anche la tonalità e nello specifico quella in mi minore che suggerisce un elemento di riferibilità esoterica, scelta appunto per le opere che recano significati occulti.

Un esempio si ha in un’opera di Pergolesi, nello specifico un intermezzo buffo: “La Serva padrona” che si posizionava fra il primo ed il secondo tempo della tragedia del “Prigionier Superbo”, in un momento dove gli uomini insensibili” erano distratti ed incapaci di cogliere messaggi subliminali.

 

Non è un caso forse che la vita di Pergolesi si incrocerà con quella di uno fra i più noti rosacrociani del Regno di Napoli; infatti, nel 1734 gli venne commissionata una serenata per le nozze di Raimondo de Sangro principe di San Severo, una pagina piena di spirito rosacrociano ma che non fu mai portata a termine a causa della morte del compositore.

STRUTTURE A CONFRONTO

L’opera lirica, come qualsiasi altra opera teatrale, è divisa in sezioni dette atti o quadri. Ci sono opere composte da uno, due e perfino cinque atti. Ogni atto è a sua volta suddiviso in scene. La scena è la più piccola parte del melodramma, composta di solito da un’azione, e da un momento lirico che rappresenta l’espressione dei sentimenti dei personaggi. Una scena è generalmente composta dal recitativo, dall’arioso e dall’aria. In un’opera lirica spesso compare il preludio o ouverture. Non è altro che un piccolo brano introduttivo di forte impatto che richiama un tema più conosciuto all’interno dell’opera. Già da questi pochi elementi possiamo provare anche noi a suddividere il nostro rituale in Atti: Primo, Secondo e Terzo Grado. Le nostre scene saranno quindi Apertura e Chiusura e le Cerimonie.

All’interno di queste scene naturalmente vi sono le arie e duetti, ecco che il dialogo fra il Maestro Venerabile ed i suoi Sorveglianti lo potremmo definire un terzetto, l’esortazione una grande aria. Il momento corale sta nei gesti e movimenti che i fratelli eseguono insieme. Va naturalmente precisato che la grande differenza con il teatro musicale sta nella quasi assenza di forme cantate e per questo che parlerò genericamente di forma teatrale.

ANALISI

Da questo, spero utile, preambolo nasce una mia analisi tecnica di quello che è il nostro rituale e di come potrebbe essere elaborato appunto in chiave teatrale. Per renderlo tale ha necessità di essere recitato a memoria, almeno in quelle parti che hanno una loro azione fisica, naturalmente non potrò entrare nello specifico di ogni grado, e neppure analizzare quello che è il rituale del Marchio o dell’Arco Reale che hanno nella loro forza una importante teatralità. Farò degli esempi pratici, sull’apertura del primo grado e sul rito di iniziazione. L’apertura della Loggia in Primo grado necessita di “attori”, nel senso di interpreti di una azione drammatica. Sia essi fermi o in movimento, come i diaconi, tutti compiono una “azione rituale”.

In questi il gesto deve essere sicuro, la parola ben scandita e nella giusta tonalità, affinché abbia un azione emotiva in chi l’ascolta, ed i movimenti all’interno dello spazio devono essere fluidi. A proposito del tono della voce, dobbiamo pensare che questo debba avere la stessa funzione che ha una tonalità di un brano musicale, attraverso esso dobbiamo entrare in contatto con il subconscio di chi ascolta. I colpi di maglietto devono essere, secchi, sonori, ritmicamente in tempo, evitando la distrazione che può provocare sincopi che destabilizzano l’attenzione. Ricordando sempre che il carattere ritmico ternario ha una sua funzione esoterica,

Le domande che il Maestro Venerabile pone ai suoi Sorveglianti devono essere chiare, specialmente le risposte devono sottolineare l’importanza dei ruoli, una ripetizione ritmicamente chiara ha in chi ascolta una assimilazione più veloce. Pensiamo ad esempio ad un terzetto d’opera dove un cantante decide di non andare a tempo o canta in maniera più forte degli altri, questo crea caos e destabilizzazione. Va detto che il nostro rituale nella sua traduzione italiana, ma credo anche nella versione inglese, non ha una metrica che si presta a questo, sta a noi quindi crearne una. Una rappresentazione Teatrale necessita di un luogo: il nostro Tempio.

Di un costume: il nostro abbigliamento ed i nostri paramenti, e nel caso del candidato di un abbigliamento particolare carico di significati simbolici. Noi non siamo solo gli attori ma anche la scenografia in cui avviene questa rappresentazione, non bisogna cadere nell’errore di pensare che tale spettacolo non abbia una funzione più alta, tutt’altro nobilita quelle azioni caricandole di forza. Lo stimolo nel creare una macchina teatrale perfetta porterà sicuramente noi tutti a vivere il Rito in maniera più profonda, creando una connessione che altrimenti non ci sarebbe, perché alla base di tutto ci sarà una concentrazione “mistica”. L’aspetto musicale all’interno di questo Rituale ne può sicuramente amplificare la forza, può indurre lo spettatore/attore ad un maggior coinvolgimento dei sensi. Deve quindi essere dosata, studiata nella sua collocazione temporale della cerimonia. Non deve prevedere musiche con testi cantati altrimenti ci sarebbe un conflitto fra il contenuto del rituale e il significato stesso del testo del canto.

Fondamentali devono essere anche le pause ed il silenzio. Mozart diceva che nella pausa risiedeva il suono più forte. A parer mio lo stesso coinvolgimento può avvenire anche da un uso appropriato delle luci. L’allestimento di questo spazio “scenico” deve migliorarne la qualità e non può certo sottrarsi ad un uso della tecnologia moderna, come un esempio è la diffusione del suono, parimenti si potrebbe studiare una illuminazione ad hoc per ogni momento della Cerimonia. Dal punto di vista tecnico è un errore pensare ad una illuminazione con candele, perché pur rifacendosi alle origini dello stesso rituale, non troverebbe un legame con gli abiti contemporanei o con musiche provenienti

da riproduttori digitali. L’uso delle candele, quindi, deve assumere una valenza prettamente simbolica. Questa spettacolarizzazione del rituale non è una mera messa in scena bensì possiede una grande valenza spirituale, dona una grande forza esoterica all’azione, ne canalizza le energie rendendole consonanti.

RIFLESSIONE CONCLUSIVA

Quindi il Rituale si deve fare interamente a memoria? Credo di no, questa la mia personale espressione, perché quelle che sono le parti più lunghe come le esortazioni, come il solenne impegno, raramente potrebbero essere recitate nella giusta forma a memoria.

Quanti attori negli anni si sono scontrati sul problema della lettura di un testo teatrale a memoria o no. Si potrebbe quindi permettere il momento di lettura, questo può anzi migliorare il flusso sonoro della voce rendendolo più intellegibile e facilmente assimilabile. Una critica potrebbe nascere sulla divisione del lungo brano in più attori.

Certo dal punto di vista della memoria agevolerebbe, ma questo, secondo il mio parere, va fatto solo in una fase di studio, durante una Cerimonia ci sono dei ruoli ed è la sua posizione all’interno dello Spazio o il suo ruolo a definire la funzionalità. Nel rituale, in alcuni momenti, viene scritto fra parentesi che potrebbe essere letto anche da un Ex Maestro, ma il continuo interrompere e il continuo cambio di ritmi porta inevitabilmente ad una distrazione.

Concludo suggerendo che dal mondo del teatro dobbiamo prendere il metodo di studio, che si riassume in tre fasi: la lettura condivisa del testo, lo studio e la ripetizione, e la percezione del proprio corpo all’interno dello spazio.

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