EMMANUEL GIUSEPPE COLUCCI BARTONE
Macchina del Tempo: “Lo strano caso” di Jules Verne e Dante Alighieri.
Calma, non state per leggere un articolo fantascientifico o pseudo storico, riguardo viaggi nel tempo, nei quali sarebbero coinvolti i due scrittori nominati nel titolo; né tantomeno, quello sopra, rappresenta un titolo esca, finalizzato a catturare l’attenzione dei lettori.
In questo nuovo articolo-studio, in realtà, analizzeremo uno strano quanto particolare collegamento che ho avuto modo di osservare tra Dante Alighieri e Jules Verne, che va oltre i quasi sei secoli che li dividono e, nella fattispecie, che ho riscontrato all’interno di due loro opere specifiche.
Chiunque, conosce il ”Sommo Poeta”, e la sua opera più famosa che nei secoli è divenuta oggetto di studio, di ricerca, ma anche simbolo della stessa italianità nel mondo: la Divina Commedia. Non ritengo perciò che vi sia bisogno di ulteriore introduzione per l’autore fiorentino vissuto nel periodo medievale.
Forse più bisognoso di presentazioni (non essendo, al contrario di Dante, un autore facente parte della cultura popolare italiana) potrebbe risultare invece Jules Verne.
Nato nella francese Nantes, nel 1828, e morto ad Amiens nel 1905, è stato un famoso scrittore di romanzi di avventura, e iniziatore del genere fantascientifico che oggi siamo abituati a guardare nei vari film e serie Tv, che ormai da anni si sono stabiliti all’interno di questo genere narrativo.
Sebbene nella cultura italiana, soprattutto quella del nostro tempo, Dante Alighieri risulti certamente essere più conosciuto del suo ”collega” francese, nondimeno Jules Verne può essere annoverato senza esitazioni, tra autori più tecnici di sempre. Ma adesso cerchiamo di scoprire e conoscere le due Opere letterarie interessate, e secondo quali aspetti, sono stati rilevati elementi in comune, che metterebbero in relazione i due scritti.
Due autori: due opere a confronto
Come è giusto e logicamente corretto che sia, non si può analizzare e parlare delle opere di uno scrittore, prescindendo dall’analisi dello scrittore stesso; a maggior ragione se poi il suo prodotto narrativo, risulti essere estremamente complesso e denso di significati, simbolismi, intenzioni…
Per affrontare la trattazione di questo articolo, e partendo da Dante Alighieri e dalla sua opera più importante, La Divina Commedia che, in questo studio, farà da co-protagonista insieme a quella dell’autore francese, Le Indie Nere, non mi addentrerò ovviamente in una minuziosa analisi dei due scritti, sia perché non risulta essere questo, l’oggetto del presente studio, e sia perché un lavoro del genere, richiederebbe ben più di un articolo pubblicato (quantitativamente e qualitativamente parlando).
Ciò che invece si andrà ad osservare, relativamente alle due opere, avrà invece come campo d’indagine, molto più l’aspetto macroscopicamente ermeneutico e simbolico che i due autori abbiano avuto intenzione di rappresentare (o di celare) nei loro prodotti narrativi, e le loro relative somiglianze e correlazioni che eventualmente si riuscirà a trovare e dimostrare.
1. Dante Alighieri e la Divina Commedia
Come già affermato, la Divina Commedia dantesca, così come il suo autore, non necessitano affatto di presentazioni, o di noiose prefazioni o introduzioni intellettualoidi, soprattutto perché ho già provveduto a negare che fosse questo, lo scopo del presente studio. Non starò quindi qui ad annoiarvi, con quello che di tale favolosa opera letteraria già conoscete, o che potreste conoscere andando a documentarvi su studiosi che, dello studio dell’opera più importante del poeta fiorentino, ne abbiano fatto un impegno di vita.
Più che dilungarmi, allora, su ciò che la Divina Commedia sia, ho invece intenzione di porre all’attenzione del lettore, proprio ciò che la Divina Commedia non possa e non potrà mai essere.
Iniziamo innanzitutto affermando, senza alcun dubbio, che si può riconoscere come lo scritto dantesco non sia stato affatto ideato (come alcuni debolmente hanno in passato ipotizzato), per divenire una ”chilometrica” poesia d’amore per un’ipotetica donna di cui il poeta si fosse potuto innamorare. Si può tranquillamente ritenere che il genio letterario assoluto che partorì un capolavoro del genere, sia stato ispirato da una motivazione ben più ”alta”, di una dedica amorosa.
La Divina Commedia (proseguendo), nemmeno può essere identificata come un tentativo, da parte del suo autore, di intentare la realizzazione di un’opera di stampo prettamente teologico-Magisteriale. La motivazione con cui si può pronunciare con molta sicurezza un tale assunto è che, nel pieno del medioevo, la Chiesa poteva vantare un assoluto monopolio relativo all’azione ex Cathedra docendo, cioè alla possibilità di pronunciarsi su dogmi di fede e questioni relative all’ambito teologico. Certamente Dante Alighieri, nella realizzazione di quel capolavoro che oramai da secoli l’umanità sta avendo la possibilità di leggere, fu chiaramente provvisto delle conoscenze teoretiche in ambito teologico e dogmatico, necessarie per poter realizzare un’opera simile, ma ovviamente non avrebbe mai avuto la presunzione, né la motivazione di fondo e né tantomeno l’ardire, di potersi aggiungere o sostituire alla Chiesa, in fatto di attività teologico-dommatica.
Andando avanti, possiamo affermare in itinere che un’altra cosa che la Divina Commedia non è mai stata, fu quella di fungere da opera Magisteriale, con cui sostituirsi alla ruolo della Chiesa, nel pronunciamento giudiziale sulla sorte ultraterrena delle anime dei personaggi che il poeta incontrò nel suo triplice viaggio (Inferno, Purgatorio, Paradiso). Le motivazioni, sono ovviamente le medesime o simili, di quelle analizzate nel punto precedente.
Ma allora, cosa fu realmente la Divina Commedia? Sintetizzando forse un po’ troppo banalmente la risposta, si potrebbe dire che essa, fu tutti e tre i punti precedentemente elencati e, contemporaneamente, nessuno di essi.
Molto più semplicemente ed ingegnosamente, si può affermare che Dante Alighieri abbia pensato la struttura di tale prodotto narrativo, per fare in modo che l’opera stessa, dietro ciò che poteva apparire, celasse invece ciò che realmente fosse. Dante Alighieri, allora, non fece altro che utilizzare lo strumento che tanti altri scrittori hanno spesso utilizzato: il linguaggio ermetico. Ovviamente il poeta fiorentino si servì di tale mezzo narrativo, in maniera certamente più moderata rispetto ad altri ermetici del passato, al punto che la Divina Commedia, non sembrò mai un’opera il cui significato apparisse totalmente oscurato da tante parole e frasi che apparentemente sembrassero non poter significare nulla; al contrario, invece, lo scrittore italiano fu così abile da nascondere, nella sua realizzazione letteraria, una serie di livelli semantici, ognuno con il proprio nucleo di significato, ed ognuno validamente accettabile, cosicché ad oggi, sembra ugualmente ammissibile l’ipotesi amorosa, l’ipotesi teologica o l’ipotesi Magisteriale.
Ciò che ad uno sguardo attento traspare, è che il poeta fiorentino abbia deciso di occultare un messaggio simbolico ed iniziatico, dietro la convincente parvenza di un’opera realizzata con uno scopo a tratti romantico, a tratti teologico magisteriale.
Come ben si ricorderà, la struttura narrativa della Divina Commedia, si incentra su di un viaggio che l’Alighieri compie, dopo ”che la diritta via era smarrita”, passando nei tre luoghi ultraterreni (inferno, purgatorio e paradiso), nei quali le anime dei defunti possono approdare secondo la dottrina cristiana, una volta staccatesi dai propri corpi mortali.
Si può quindi affermare che il poeta, al di là della triplice apparente metafora con cui decise di rivestire la sua opera, volle invece molto più specificamente affidare al suo scritto, evidentemente la tradizione e la custodia di una propria coscienza e conoscenza iniziatica, che decise di dissimulare per mezzo di simbologie ed analogie, dietro l’impalcatura di un viaggio.
La conferma che ritengo di poter dimostrare di tale ipotesi appena formulata, giungerà con l’esame comparato dell’opera Verniana citata qualche paragrafo sopra: Le Indie Nere. Ma andiamo per gradi.
2. Il simbolismo grafico e semantico di Jules Verne
Prima di procedere ad una comparazione effettiva, tra le opere dei due scrittori, è necessario procedere ad un altrettanto attento esame di quello che sia lo sfondo innanzitutto psicologico, poi ermeneutico, culturale e letterario, dell’uomo Jules Verne; ciò appare necessario, non solo per poter gettare la base di un’uniforme possibilità comparativa tra i due protagonisti di questo articolo, ma anche e soprattutto perché lo scrittore francese non risulta assolutamente da meno, rispetto al suo collega italiano, in fatto di complessità ed ermetismo dei suoi scritti; anzi, si potrebbe forse azzardare ad affermare che Verne risultò perfino più intricato ed aggrovigliato, nel suo linguaggio letterario, rispetto ad un’opera come quella della Divina Commedia, che comunque fu la figlia di un periodo letterario e sociale assolutamente diverso da quello di fine ‘800 inizio ‘900, nel quale si colloca il francese.
Ma entriamo subito nel vivo; non ho dubbi che le premesse con cui abbia descritto la produzione letteraria di Jules Verne, abbiano certamente smosso la curiosità del lettore (o quantomeno di chi non conosca approfonditamente lo stile verniano), che giunto a questo punto, si starà chiedendo quale sarà mai la peculiarità narrativa, che abbia reso questo scrittore così interessante e famoso.
Ebbene, osservando già solamente a grandi linee, la produzione dello scrittore francese, si può notare la sua sterminata passione per quella che noi oggi definiremmo l’enigmistica; Jules Verne infatti, per comunicare, amava servirsi di qualunque gioco di parole o dei loro significati, che potesse dare poi vita a crittogrammi, anagrammi, logogrifi e palindromie. Jules Verne fin da giovane, come tante sue biografie ci testimoniano, amava comporre frasi che contenessero al loro interno anagrammi relativi a nomi di persone o parole, giochi fonetici di pronuncia attraverso i quali, una frase soprattutto se in lingua francese, se pronunciata con una cadenza velocizzata o rallentata, o una diversa pausa tra le parole, poteva invece significare un totalmente altro rispetto alla sua scrittura originaria.
Per far entrare il lettore nel concetto che qui si sta esprimendo, e quindi passando da illustrazioni teoriche ad esempi pratici della tecnica ermetica ed enigmistica di Jules Verne, si può pensare, per esempio, ad una delle sue opere più famose e conosciute: ”Viaggio al Centro della Terra”, nel quale per l’appunto, celando dietro un intento narrativo apparentemente solo avventuriero, una volontà comunicativa iniziatica invisibile (o quasi), possiamo osservare che il protagonista, Axel, viene iniziato a questo viaggio al centro della terra, da suo zio Lidenbrock, che scomposto e tradotto dall’etimo di lingua inglese di cui è composto, emergerà il significato di ”colui che spalanca gli occhi” (lid=palpebra e brocken=rompere).
Come alcuni filosofi e studiosi francesi hanno molto spesso proposto ed avanzato, tra i quali lo stesso filosofo Michel Serres, le opere verniane, dietro l’impalcatura narrativa classica di un’iniziale ricerca misteriosa o risoluzione di un enigma, nascondono spesso invece uno o più sentieri interpretativi che rimandano all’ermetismo, al simbolismo rituale o esoterico. Lo stesso filosofo francese, in una delle sue tante attività di interpretazione delle opere di Jules Verne, riferendosi al significato dell’opera verniana dell’isola misteriosa, afferma: ” L’Isola è il primo microcosmo nel cerchio delle acque. Chiusa in sé stessa, si entra per miracolo: dall’alto, con un pallone gonfiato dall’aria, dal basso mediante un passaggio sottomarino, dal centro attraverso una colonna di fuoco di un cratere. Miracolo d’aria, d’acqua, di fuoco e di terra”.
E che dire di un’opera giovanile di Jules Verne, rimasta inedita ma ritrovata nel suo carteggio personale, che vede la sua trama svolgersi tra le rovine della Clavurerie (Clavé= la chiave) e le rovine dell’Emeri (secondo i giochi di parole verniani, Emeri come richiamo all’Ermetismo e ad Ermete Trismegisto); In questa opera, i personaggi, seguendo il cammino degli allievi(iniziati), giungono a decrittare un messaggio esoterico per mezzo della strega Abraxia, quando l’Abraxas è nel simbolismo, un pentacolo gnostico.
Insomma, le tracce del simbolismo ed ermetismo verniani, sono veramente copiose all’interno delle sue opere letterarie, che furono ben lungi dall’essere pensate come semplici romanzi d’avventura, strutturati con elementi di suspense e mistero fini a sé stessi, ma furono costruite ed innalzate all’interno di un’impalcatura ermeneutica che conferisce ad ognuno dei singoli elementi (dal nome dei personaggi fino all’ultimo apparente dettaglio marginale) un’appartenenza e significato organici e sistematici, con una ratio causale e finale, pienamente fondata sull’intenzione comunicativa dello scrittore stesso.
I due scrittori e loro opere a confronto
Giunti adesso alla fase conclusiva di questo articolo, andremo adesso ad effettuare quelle comparazioni simboliche, semantiche ed ermeneutiche, che ritengo di aver ritrovato all’interno delle opere dei due autori, che abbiamo visto accennare all’inizio di questa trattazione: La Divina Commedia e Le Indie Nere.
Nel paragrafo relativo all’opera dantesca, ci eravamo lasciati con dei riferimenti all’elemento principale e fondativo, sul quale tutta la Divina Commedia è stata costruita, ovvero proprio l’elemento del viaggio che, stranamente, è lo stesso elemento che caratterizza Le Indie Nere di Jules Verne.
Ovviamente, non è questo elemento alquanto generico, a voler costituire il fattore determinante di questo articolo; anzi, giunti a questo punto, dopo tante spiegazioni intermedie relative ai due autori protagonisti, ritengo di dover velocizzare la presente trattazione, di modo da renderne anche più fluida la comprensione, da questo punto in avanti.
Ciò che allora farò, sarà quello di esporre fin da subito, la teoria (o l’ipotesi) che ritengo di aver individuato in questo esame comparato di modo che, via via proseguendo, nei passaggi che seguiranno, sarà il lettore stesso a giudicare l’opportunità o meno di quello che verrà qui esposto.
Sia nell’opera dantesca che in quella verniana, mi è apparso subito evidente dopo un’attenta analisi, l’elemento non solo iniziatico, ma anche e soprattutto spirituale, non come lo si potrebbe intendere secondo paradigmi cristiani o religiosi, ma secondo quelle linee dottrinali facenti capo allo gnosticismo ermetico. Sia nella Divina Commedia che nelle Indie Nere, infatti, ho avuto la sensazione che i veri protagonisti non fossero quelli in carne ed ossa illustrati nei due scritti, ma fossero molto più speculativamente delle personificazioni dell’anima, e del viaggio che la stessa, secondo i due scrittori, dovrebbe autonomamente fare, in un cammino molto più gnostico ed individualistico, che non invece di vera fede e gerarchico nei confronti di un Dio Essente e Supremo.
Nella Divina Commedia, il poeta si trova misteriosamente smarrito nella selva oscura ed ai piedi dell’entrata dell’inferno; inspiegabilmente in ottica cristiana, dal momento che Dante al tempo doveva già essere stato battezzato. L’incipit avviene quindi con questo smarrimento dalla strada maestra ed il ritrovare sé stesso vicino all’entrata dell’inferno, cioè al caos ed al disordine della spiritualità.
Similmente, in Le Indie Nere, Verne fa iniziare l’opera nella vecchia miniera di carbone di Aberfoyle luogo della Scozia (casualmente), che stranamente è l’unica località scozzese del suo circondario, a non aver mai avuto giacimenti carboniferi. Similmente all’apertura dello scritto dantesco, anche qui c’è un’iniziale situazione di caos, confusione e pericoli, che qui l’autore rappresenta con pericoli di frane (elemento terra) incendi (elemento fuoco) inondazioni (elemento acqua) e scoppi di grisù (elemento aria) all’interno della miniera.
Nella Divina Commedia, Dante ritrovatosi in questa selva oscura, ed avendo compreso di aver smarrito la retta via, tenta allora l’esplorazione di questo luogo che lo avrebbe condotto alle porte dell’inferno, dal quale, anche volendo non avrebbe potuto fare ritorno sui suoi passi. Decide allora di proseguire, addentrandosi nell’inferno, insieme alla sua guida, Virgilio. Giunto nell’inferno, per lo spavento e la stanchezza, Dante perde i sensi svenendo.
In Le Indie Nere, allo stesso modo, il protagonista, Harry Ford, decide di esplorare con degli amici, una galleria della vecchia miniera, con la speranza di poter assicurare alla miniera un nuovo splendore. Ma quando avevano deciso di fare ritorno sulla strada di partenza, il passaggio venne totalmente bloccato, facendo smarrire la via del ritorno, e rendendo incastrato il protagonista in una ”miniera” oscura. Nel frattempo, similmente al dantesco Virgilio, giunge in aiuto come guida per Harry, il suo amico Jack Ryan per aiutare il suo amico a fuggire da quel luogo. Anche in Le indie Nere, il protagonista sviene perdendo i sensi, all’inizio delle peripezie.
Nella Divina Commedia, tutto ciò che nei tre viaggi effettuati da Dante, faccia apparire distaccati i luoghi e i relativi personaggi, soprattutto quelli che gli fungono da guida, sarebbe in realtà da interpretare come un unico filone composto di tre atti, piuttosto che tre mini-opere ognuna indipendente ed autoreferenziale dall’altra. Se è vero che il cammino che compie il poeta fiorentino, simboleggia la percorrenza del sentiero di trasformazione compiuto dalla sua anima, i tre personaggi che egli incontra come guide (Virgilio, Beatrice e San Bernardo di Chiaravalle), rappresenterebbero allora ognuno un attributo o itinerario di percorrenza, per raggiungere un certo punto di arrivo o grado di perfezionamento dell’anima. Seguendo allora quanto premesso precedentemente, su di un’interpretazione unitaria della Divina Commedia, si potrebbe allora ipotizzare che anche all’inizio del suo viaggio all’inferno, Dante avesse già chiaro dinanzi a se, sia dal punto di vista narrativo dell’opera che anche simbolico e quindi sostanziale del suo significato ermetico, quale sarebbe stato il punto di arrivo del suo itinerario sovrannaturale. Se si presta infatti attenzione, si possono scorgere nelle strutture semantiche e simboliche dell’inferno, delle anticipazioni del purgatorio, il quale a sua volta lasciava intravedere in alcuni passi delle anticipazioni di cosa sarebbe potuto essere il terzo ed ultimo mondo: il paradiso. Rileggendo in maniera organica la Divina Commedia, si può osservare che tutto il viaggio del poeta, dallo smarrimento nella selva oscura, fino alla visione della Presenza Divina, sia un tutt’uno strettamente collegato e connesso.
Allo stesso modo, nell’opera verniana Le Indie Nere, il protagonista Harry Ford viene salvato, o meglio allontanato da vari pericoli che gli si presentavano, da parte di una salvatrice (una ragazza di nome Nell) che rimane inizialmente misteriosa e sconosciuta al protagonista. Ciononostante, Harry sente un inspiegabile quanto irrefrenabile senso di attrazione verso questo salvatore a lui sconosciuto.
Insomma, così come la natura e la sostanza della propria anima fungono da richiamo per Dante Alighieri, che viene a trovarsi in un viaggio nel quale seppur presentandosi incognita la destinazione, ciononostante esercita sul poeta fiorentino un’incomprensibile attrazione e richiamo al proseguimento del cammino, allo stesso modo Harry Ford trovatosi intrappolato e smarrito nel suo viaggio, viene aiutato e preservato nella continuazione del suo cammino, da parte di un personaggio anch’esso femminile come la dantesca Beatrice, che rimane anch’ella ignota momentaneamente al protagonista, ma che anche lei esercita su Harry Ford il desiderio di cercarla e conoscerla.
Altro elemento di somiglianza (per non dire di strettissima similitudine) è la guida iniziale che aiuterà i protagonisti delle rispettive opere, a proseguire ed avanzare in una parte del loro itinerario simbolico; Dante Alighieri avrà con sé infatti Virgilio che sarà sua guida nel viaggio verso l’inferno, e in quello verso il purgatorio, ma che non potrà accedere al paradiso, perché non degno di poter godere di quella luce, essendo il poeta latino espressione e simbolo della materialità e del pensiero terreno.
Ugualmente nell’opera di Jules Verne, il protagonista Harry Ford, avrà inizialmente come guida nel suo viaggio, Jack Ryan il quale anche lui, similmente al luogo dantesco del purgatorio attraversato dal fiume Lete, oltre il quale Virgilio non potrà andare, vede in questo caso Jack Ryan fermarsi dinanzi alla ”prova dell’acqua” del Lago Katrine da cui non ne uscirà purificato, ma rimarrà intrappolato e schiavo degli elementi umani e materiali che lo tengono legato alla sfera corporea e non gli permettono di elevarsi verso la sfera spirituale.
Altro punto di contatto tra la Divina Commedia e Le Indie Nere, riguarda proprio il viaggio iniziale; se infatti da una parte, Dante deve prima passare dall’inferno senza rimanerne intrappolato, simbolo della vittoria sulle passioni e vizi che ostacolano l’uomo nell’incontro con la sua anima in una progressione spirituale, allo stesso modo Harry Ford dovrà prima liberare Nell dalla prigionia nella quale è stata tenuta, dal suo padre putativo Silfax, nelle viscere oscure della caverna. E’ interessante, a questo proposito, osservare l’etimologia dei nomi di Nell e Silfax; il primo può farsi infatti derivare dal greco Helios che significa sole, ma anche dal celtico Hel che indica la dimora delle anime dei defunti. Non a caso, in un dialogo tra Harry e Jack, quest’ultimo rivolge al protagonista un ammonimento alquanto indicativo, di fronte al suo desiderio di scendere giù nel tentativo di salvare Nell; dice così Jack: “Harry, questo significa sfidare Dio”, al quale fa seguito la risposta di Harry Ford che dice: “No Jack, perché io implorerò il suo aiuto per riuscire nel mio intento”.
Ad ulteriore conferma sia della somiglianza delle due opere, che dell’analisi etimologica dei due nomi, c’è da analizzare anche l’etimo di Silfax, che tiene prigioniera Nell. Silfax infatti, deriva dalla combinazione di due termini latini sil dal verbo sileo che significa silenziare o tacere, e fax che invece è il corrispettivo del termine torcia che dimostra come tale personaggio sia il chiaro alter ego del lucifero della Divina Commedia.
Così come Dante, per ricongiungersi con la sua anima divinizzata, dovrà affrontare e superare l’inferno, simbolo evidentemente delle pulsioni umane verso la materia, allo stesso modo Harry Ford, nel suo tentativo di salvataggio di Nell, si dovrà scontrare con un’iniziale tendenza della ragazza, che nei primi momenti volge il suo pensiero e le sue preoccupazioni, verso quello stesso carceriere che prima la teneva prigioniera: lo stesso Silfax.
Sarà proprio Jack Ryan ad aiutare Harry nel ritrovamento della prigioniera, così come Virgilio aiuta Dante a percorrere e ad uscire sano e salvo dall’inferno, luogo nel quale evidentemente Dante si riteneva prigioniero.
Così come Dante Alighieri superato l’inferno, giunge nel purgatorio, dove si devono subire quelle sofferenze e prove, necessarie a purificare l’anima prima di giungere nell’ultimo viaggio, allo stesso modo Harry Ford riesce a trarre in salvo Nell dai sotterranei della vecchia miniera, ma non può ancora coronare il suo sogno di unirsi a nozze (simbolo evidentemente del paradiso e della beatitudine) con la sua amata, se non dopo aver affrontato e superato alcune prove.
Così come nella Divina Commedia il viaggio nell’inferno termina con l’attraversamento di Dante e Virgilio di un lungo passaggio, al termine del quale i due riescono a rivedere le stelle, segno che ovviamente il viaggio di risalita ed uscita, viene compiuto durante la notte, ugualmente all’interno di Le Indie Nere, Harry Ford porta fuori Nell dalla miniera, giungendo in superficie proprio durante la notte, al chiaro delle stelle e della luna, per permettere all’anima (rappresentata dalla ragazza) di non rimanere accecata da una luce improvvisa, bensì di percorrere la risalita in maniera graduale, con l’aiuto di una luce più tenue, come quella delle stelle e della luna.
Di fronte all’inadeguatezza di Jack Ryan, come guida al raggiungimento della meta finale, subentra quindi James Starr, personaggio statico e completo, rappresentante la pienezza della conoscenza e della saggezza, che è anche colui che dà inizio al racconto stesso, in quanto inviato proprio ad Aberfoyle, per risanare l’oramai decaduta miniera. James Starr, come suggerisce il suo cognome (Star, ovvero Stella), rappresenta quelle Altezze verso le quali l’anima del protagonista (sempre Nell) è chiamata a fare ritorno. E infatti sarà proprio James Starr, come possessore di quella saggezza e sapienza celesti, ad occuparsi di Nell quando questa verrà condotta in superficie da parte di Harry.
Si può quindi intravedere in James Starr il corrispettivo verniano che San Bernardo di Chiaravalle rappresenta invece nel poema dantesco. La sola differenza esistente, è puramente di carattere narrativo, che vede nella Divina Commedia un’apparizione graduale di certi personaggi guida, come San Bernardo e Beatrice al posto di Virgilio, che rappresentano i mutati attributi e virtù che sono necessari per il perfezionamento dell’anima, mentre nell’opera di Jules Verne, le virtù rappresentate da certi personaggi guida, sono invece già presenti, quasi come se l’individuo le possedesse innate, e dovesse solo riscoprirle, come se fosse una reminiscenza platonica. Chiaramente su questa differenza si può osservare il divario culturale e temporale di sei secoli che separa un autore immerso in una società totalmente cattolica, come quella dantesca, ed una società invece stabilizzata purtroppo nella filosofia razionalista e gnostica com’era quella francese ed europea di Jules Verne, e che pur tuttavia siano stati espressione di una volontà rappresentativa dei medesimi contenuti.
Giunti quindi in superficie, similmente al passaggio intermedio che Dante deve compiere nell’attraversamento del Purgatorio, anche i due ragazzi, Harry e Nell, non vedranno la loro unione immediatamente a seguito della risalita dalla miniera, bensì su decisione di James Starr, la ragazza verrà affidata in custodia ai genitori di Harry, nel mentre lo stesso sarà chiamato al superamento di alcune prove.
Sarà proprio qui che, come nella prova spirituale dell’acqua rappresentata dal fiume Lete, presso cui Dante, salutando Virgilio indegno di proseguire oltre, ritrova Beatrice a fargli da guida di unione tra purgatorio e paradiso, similmente Harry Ford, dinanzi alla prova purificatoria dell’acqua presso il Lago sotterraneo Katrine, perde Jack Ryan, personaggio legato alla materialità, per ritrovarsi a dover affrontare l’ultima prova insieme a Nell, che qui rappresenta sia l’anima dantesca, che la sua Beatrice.
Come avviene nel passaggio dal purgatorio al paradiso, in cui Beatrice e Dante sono rispettivamente posti in una situazione di silenzio/imbarazzo, che vede Beatrice inizialmente parlare con gli Angeli ma non con Dante, contemplando le verità e segreti celestiali, e Dante a sua volta in difficoltà a parlare e guardare Beatrice, a causa del rimorso dei suoi peccati, ma con il continuo desiderio di chiedere a Beatrice informazioni sul luogo che era loro intorno , allo stesso modo Nell ed Harry sono sottoposti alla prova del silenzio, in cui Nell deve trattenere sé stessa dal rivelare il suo segreto ad Harry, nel mentre quest’ultimo a sua volta riesce a stento a trattenere le domande che vorrebbero tanto uscire dalla sua bocca verso Nell.
Terminata e superata la prova, Harry riesce finalmente ad assicurarsi la vicinanza di Nell grazie ad un gufo che, fino ad allora faceva da alleato a Silfax, ma che da quel momento in poi prende le parti dei ragazzi, aiutando i giovani a superare finalmente gli ostacoli posti innanzi da parte del padre putativo e carceriere della ragazza, e ponendo finalmente in relazione diretta Harry e Nell.
In maniera quasi parallela, nel canto XXXI del Purgatorio è proprio un Grifone, animale alato per metà uccello e metà leone, che aiuta Dante a poter guardare definitivamente negli occhi Beatrice e a trovare il coraggio di interagire con lei, mostrando ora una e ora l’altra natura (quella di uccello e quella di leone), facendo così coincidere il parallelo del gufo, che nel racconto verniano prima mostrava una natura, (quella di antagonista) e alla fine ne mostrava un’altra (quella di aiutante dei due giovani protagonisti).
E’ proprio al termine di questa riconciliazione, avvenuta dopo una purificazione, che Dante dopo aver finalmente compiuto il suo percorso con Beatrice, è pronto ad incontrare San Bernardo come guida finale per la visione Divina, ed il coronamento delle sue nozze spirituali con la sua anima, così come Harry divenuto degno di poter stare al fianco di Nell a seguito del superamento delle prove purificatorie, vede sugellata la sua unione sponsale al fianco dello stesso James Starr.
La Conclusione
Ebbene, giunti al termine di questo articolo di analisi e ricerca, nel quale il lettore vorrà perdonarmi per l’eccessiva lunghezza del presente scritto, tengo innanzitutto a precisare, ribadendo quanto affermato nei paragrafi precedenti, che lo scopo del presente scritto non è mai stato quello di addurre una conclusione analitica oggettiva e scientifica dal punto di vista letterario e filologico; sono infatti consapevole che il materiale qui presentato, sia ben lontano dall’essere quello proprio di una ricerca scientifica e sistematica atta a sostenere un’ipotesi quantomeno condivisibile con relativa certezza.
No; ciò che ho avuto intenzione di presentare attraverso tale elaborato, è piuttosto da considerare come la presentazione di alcuni (molti, a dire la verità) elementi di congruenza narrativa, simbolica e contenutistica, che ho avuto modo di rilevare tra le due opere prese in esame.
Come è stato già esposto, va ovviamente tenuto da conto, il divario temporale ed anche culturale, intercorrente tra i due autori e tra i loro due scritti; è chiaro quindi che qualunque analisi con cui si deciderà di convenire o di confutare, gli elementi sopra esposti, dovrà essere un’analisi chiamata a tenere conto dell’ermeneutica comparativa, con cui confrontare non già contenuti simili, rivestiti di altrettanti simili contenitori, bensì contenuti simili, rivestititi da necessari e contingenti paralleli contenitori.
Le due opere che sono state qui analizzate, indipendentemente dalle opinioni di accordo o disaccordo che il lettore avrà verso le ipotesi qui esposte, rimangono chiaramente il frutto di due incredibili geni creativi e letterari, che hanno saputo far rincorrere tra di essi, la necessità di una trama avvincente, ed il bisogno di raccontare un contenuto significato, al di là di un simbolo significante.
Ci tengo poi a ricordare ai lettori, che la lettura e la conoscenza di determinati elementi simbolici ed ermetici presenti in certe opere letterarie, non debbano mai fungere da pulce nell’orecchio, con cui insinuare il dubbio di una lettura gnostica della vita spirituale di ognuno. Dobbiamo saper distinguere tra le Verità Spirituali salvifiche presenti nel deposito Ecclesiastico cristiano di fede, (le sole a poter garantire una corretta economia salvifica) dalle speculazioni simboliche e gnostiche di uomini che, in quanto tali, non possono essere reinterpretati a scrigni di pseudo verità nascoste, ma essere visti semplicemente per quello che furono: solamente appunto degli esseri umani.
Spero che la fatica veramente enorme che ha comportato la realizzazione di questo articolo, possa eventualmente sopperire, alle imperfezioni ed ai difetti narrativi, di cui certamente questo scritto non sarà privo.
Emmanuel Colucci Bartone
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