DAL CIELO ALLA TERRA E DALLA TERRA AL CIELO

DAL CIELO ALLA TERRA E DALLA TERRA AL CIELO

Itinerario artistico iniziatico per l’anima degli uomini ovvero l’Amen delle stelle

Armando Rossi

Loggia di Ricerca Arte e Architettura: Antonello da Messina

Permettetemi, anzitutto, di indirizzare la vostra attenzione sulla forma della Loggia: un parallelepipedo di lunghezza da E ad O, di larghezza da N a S, di ampiezza dalla superficie della terra al suo centro e alto come il cielo.

Dalla spiegazione della tavola di tracciamento di I grado

Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare i miracoli della cosa una. E poiché tutte le cose sono e provengono da una, per la mediazione di una, così tutte le cose sono nate da questa cosa unica mediante adattamento. Dalla tavola smeraldina

Incipit

L’uomo come misura di tutte le cose, l’uomo come centro saliente di ogni pensiero e di ogni arte, ma anche l’uomo travolto dalle Moire, dalle proprie passioni.

Esiste una nozione di uomo che connetta strettamente la sua natura al vasto e molteplice mondo delle divinità?

Anthropos, nel suo etimo, racconta l’immagine umana nella peculiarità di volgere gli occhi insù. L’uomo è quell’essere che, a differenza di bestiacce e bestiole, intrattiene con le stelle un legame di privilegio, l’uomo è quell’essere che studia, comprende e apprende le stelle e discerne lo zodiaco dalle costellazioni, distingue il giorno dalla notte e sa che il cielo stellato non svanisce col sole ma li rimane e il non vederlo è solo un suo limite fisico ma non mentale.

Ciò che è si vede anche quando non è palese, chi ha occhi per vedere, veda e comprenda e sia da guida per chi non crede solo perché non riesce a vedere.

Ante factum

“Quando scoppiano i fuochi d’artificio: nessuno guarda il cielo stellato!”

Lo diceva un signore avanti con l’età a voce un po’ elevata, che stava dietro di me, per farsi sentire dal suo vicino, il quale ricordo annuì quasi per compiacenza. Mi ricordo però che io staccai lo sguardo dai brillanti colori dei fuochi artificiali che in quell’attimo (e solo per quell’attimo!) vivevano e guardai più in alto. E un’emozione più intima mi invase. Respirai profondamente…

Un cielo stellato che il nostro emisfero boreale talvolta ci regala in visione nel mese di luglio era là: monotono, perenne, instancabile, insensibile al richiamo di quei poveri ed insulsi colori spumeggianti dei fuochi artificiali ed artificiosi.

Una metafora. Una metafora di me, una metafora del mondo profano?

 

La Massoneria è quell’arte che insegna a staccare lo sguardo dall’estemporaneità della fenomenologia attuale ed istantanea, estemporaneità che forse – può produrre fallaci momenti di finta emozione che proprio come fuochi artificiali durano un attimo e non più, senza lasciare segno di sé un momento dopo.

E’ necessario imparare a staccare lo sguardo per volgerlo al cielo stellato. Quei cieli stellati che Vincent Van Gogh ha magistralmente dipinto rendendoci partecipi dei vortici d’aria che lo formano. Lui pittore complesso e sempre al limite della follia ci permette di cogliere l’invisibile, l’aria che sposta le masse e forma le tonalità dei colori.

E se la notte scende, le stelle, si sa, risplendono ugualmente e illuminano il cammino. Il cielo stellato, archetipo junghiano che in maniera litografica impresse l’anima dei primi uomini, avvia ed induce ad una filosofia concettuale secondo la quale l’identità tra cosmo e uomo è esperienza di vita e Dio è “sentito” come uno spirito che sa rivelare armonia cosmogonica nel “solenne silenzio del cielo stellato”. Tale equazione risulta essere addirittura un “fatto scontato” in Goethe.

Una legge geometrica in cui tutto è armonia

Il cielo azzurro, o blu, con tante stelle che lo impreziosiscono corre da Oriente a Occidente e da Settentrione verso Meridione, uguale da milioni di anni. Il Cielo stellato accomuna le civiltà precolombiane a quelle della Mesopotamia, accomuna i Fenici ai Sumeri, ai Cinesi, ai Tehuelche. Il Cielo stellato è comune per gli Induisti e per i Cristiani, unisce i Mussulmani ai Veda. Sempre!

E dalle Colonne lo possiamo sempre ammirare. Il Tempio è incompiuto, volutamente, poiché il lavoro massonico è infinitamente perfettibile, ma non raggiungerà mai la perfezione. La raggiunge solo là: all’infinito! Il cielo stellato è il tetto naturale del Tempio di Salomone e comunica al Libero Muratore l’infinitezza del creato e lo esorta verso una spiritualità elevata a cui occorre tendere. A cui occorre aspirare.

Anche nell’io dell’Apprendista? Mi chiedo.

L’Apprendista non sa, ma vuol sapere. L’Apprendista quella sera del mese di luglio comprese come il cielo stellato è stato, è, e sarà, un segno, un simbolo che indirizzerà la via e la sua vita. Kant nella conclusione della Critica della Ragion Pratica scrisse: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione, sempre nuove e crescenti, e quanto più spesso e a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”

Corpus

Nell’antichità il termine “Tempio” ha significato un recinto, una delimitazione[1]una porzione del cielo, o un luogo delimitato da cui osservare la volta stellata, posto tra cielo e terra, tra macro e microcosmo, tra finito e infinito, il Tempio diviene il luogo privilegiato della riflessione, della elevazione spirituale.

Ciò che del cielo attraeva l’uomo erano   principalmente le stelle, quelle luci in mezzo al buio che sorprendevano e stupivano, e che per millenni hanno costituito la mappa unica e sicura per coloro che percorrevano il mondo per terra e per mare, per chi come i marinai cercavano la rotta per la nuova terra o per il ritorno verso casa (se questo era il loro desiderio) o per chi, come i Re Magi, seguivano la stella per trovare un essere divino. Ancora oggi si guarda alle stelle, profanamente, perché ci suggeriscano la giusta rotta da seguire.

Il cielo stellato ha sempre rappresentato l’emblema dell’infinito. . La sua rappresentazione nelle opere architettoniche ne ha costituito un limite indefinito che permetteva a chi entrava di sentirsi un unicum con l’universo.

Emblematici i cieli stellati del Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna o quelli nella tomba della regina Nefertariin Egitto nella valle delle Regine.

Proprio quest’ultima rappresentazione può considerarsi la più antica volta celeste della storia.

l’origine delle parlate diffusesi in una consistente parte dell’Europa, dell’India e dell’altopiano iranico, nonché di alcune regioni dell’Anatolia, dell’Asia centrale e della Cina occidentale.

Si tratta di una struttura ipogea ricoperta da più di 3500 mq di dipinti che illustrano il viaggio nell’aldilà di Nefertari. Tutto il soffitto è un intero cielo stellato di un intenso blu scuro.

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Si tratta di un aspetto molto affascinante in quanto la stella a 5 punte è la raffigurazione del pentagramma, della stella pitagorica ed è la figura geometrica costruita sulla base della sezione aurea, proporzione e dimensione già nota agli Egizi.

Queste distese di stelle, generalmente, non hanno riferimenti astronomici ma in alcuni casi gli astri sono raffigurati in modo tale da far pensare a delle vere e proprie mappe stellari.

Le rappresentazioni più antiche di mappe stellari sono in Europa senza dubbio i frammenti rinvenuti nei Templi megalitici di Malta 3.600 a.C. ed il manufatto noto come Disco di Nebra, rinvenuto in Germania quindici anni fa ma risalente a non più tardi del 1.600 a.C.

Nel corso dell’arte classica è difficile trovare grandi esempi di cieli stellati. Qualche frammento fittile di epoca greca mostra il Dio Eosforo che porta la luce del mattino accompagnato da qualche sporadica stella (raffigurata in questo caso con sedici raggi).

Il cielo stellato interamente a coprire la volta interna lo ritroviamo significativamente a Padova, in un altro scrigno pieno di colore e bellezza. È la Cappella degli Scrovegni, affrescata da Giotto intorno al 1300 con scene tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento.

Qui la volta a botte è interamente dipinta di blu oltremare, colore associato alla sapienza divina e ottenuto con preziosa polvere di lapislazzuli,

San Gimignano

mentre le stelle dorate ad otto punte sono leggermente in rilievo rispetto alla superficie della volta.

Quello degli Scrovegni non è un caso isolato. Nel basso Medioevo, infatti, so no molte le chiese con volte dipinte a cielo stellato (basta ricordare le crociere della Basilica superiore di San Francesco ad Assisi, o quelle della cattedrale di Siena o del Duomo di San Gimignano).

Nello stresso periodo si possono trovare esempi anche fuori dall’Italia, come nella tardogotica cappella di San Biagio nella Cattedrale di Toledo o nella coeva chiesa di Santa Maria a Cracovia.

Il cielo stellato nelle chiese va ben oltre il mero significato della volta celeste, esso idealizza, come studio “scientifico” e speculazione filosofica, il cielo dei giusti e dei santi. Proprio l’enfasi religiosa ha determinato la diffusa credenza che il cielo sia sede di esseri superiori che, guardando verso il basso, trovavano divertimento nell’osservare la vita e le gesta dei deboli abitanti della Terra.

Prima del Cristianesimo solo gli uomini migliori ovvero gli “eroi” erano degni dell’interesse divino ed alcuni, per la loro prodezza in battaglia o per un ‘altra non comune qualità, venivano addirittura divinizzati, quali semi-dei.

È chiaro quindi come la sede celeste sia sempre stata considerata simbolo di ciò che vi è di superiore, essendo riservata normalmente ad esseri divini e, solo saltuariamente, a quei rari uomini che avessero dimostrato qualità eccezionali per nascita o, più raramente, per libera scelta.

La volta stellata rappresenta l’incomprensibile, l’infinito e, non ultima, la speranza in un futuro migliore, immateriale, una dimensione che liberi l’umanità dalla sofferenza della vita terrena, meglio se per l’eternità: un luogo in cui lo spirito possa riscaldarsi attraverso l’irraggiamento diretto della fonte di “luce” primigenia[2].

Della fine del Quattrocento è la testimonianza di un altro cielo stellato sulla volta di una cappella. Ma la notizia, stavolta, è quella della sua scomparsa, ovvero all’affresco di Piermatteo d’Amelia che ricopriva il soffitto della Sistina prima dell’intervento di Michelangelo.

Pochi anni dopo, nella seconda metà del Cinquecento un altro splendido soffitto stellato posto a copertura della Cappella Reale di Hampton Court, uno dei palazzi reali eretti da Enrico VIII in Inghilterra. Secondo lo stile dell’epoca si tratta di particolare due opere che compone. “Quatour por la fin du temps” e “Le visioni dell’Amen”.

I colori che Messiaen trasfigura nei suoni – quello sfolgorante arcobaleno sulla testa del settimo Angelo, le colonne di fuoco, il blu del mare, il verde della terra, e tutti gli altri colori dell’Apocalisse – appaiono vividi e smaglianti nei sogni dell’autore. I colori diventavano suoni e i suoni si coloravano di blu e arancio, di limpida           luce stellare.    Un suono definito da tutti limpido come un cielo stellato. E il silenzio – grande solenne che segue l’apertura del settimo sigillo – non rappresenta tanto un’eco dilatata degli ambigui e oscuri silenzi del cielo notturno, quanto il sogno di una quiete inesprimibile.

Il cielo stellato come metafora dell’attesa del giudizio per tutti

gli esseri viventi, da contemplare, da rispettare, da osservare e cercare di comprendere. Chissà. Forse possiamo anche noi oggi provare a capire che cosa significa Apocalisse, come ha fatto Olivier Messiaen e dalla visione privilegiata del cielo stellato del Tempio Massonico possiamo trarne un insegnamento per il nostro tempo e per la crescita di ognuno. Non a caso nella composizione della Visioni dell’Amen [3][4]dopo l’Amen della creazione, segue l’Amen delle stelle, per chiudere con l’Amen del Giudizio e l’Amen della Consumazione.

Ma se l’arte ha saputo nella storia interpretare ed utilizzare il cielo stellato per le proprie esigenze queste non hanno mai contribuito in forma diretta ad una ritualità, ad una liturgia. Il Cielo stellato ha costituito un “naturale e semplice” collegamento tra la terra (luogo degli uomini) e l’infinito (luogo della divinità) e da tutti ampiamente e pienamente utilizzato, come abbiamo potuto vedere.

Da questa semplice e non esaustiva carrellata di esempi (gli esempi non sono mai abbastanza) emerge però un singolare e importante dato: il cielo stellato non è il punto di arrivo ma un mezzo attraverso il quale sia possibile raggiungere la divinità. Il cielo stellato non come meta ma come filtro, come elemento mediale in un sistema di rapporti tra uomo e sua trascendenza.

Che sia esso particolarmente dettagliato o semplicemente sfumato, semplice o prezioso nei materiali esso non “contiene” mai la divinità ma la “vela”, la cela e la contorna.

L’uomo dovrà attraverso la sua conoscenza mediare tra terra e divinità attraverso il cielo come metafora di ascesa. Verso il cielo il bene, al suo opposto il male.

Terra come elemento di mediazione con gli lnferi, cielo come elemento di mediazione con il Divino.

Quale rapporto esiste allora tra l’uomo e il cielo? È il medesimo che esiste tra l’uomo e la terra?

Corpus Massonico

Se il rapporto con il cielo è verso l’alto quello con la terra è verso il basso è il caso di ricordare uno dei due incipit del presente lavoro:

Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso

Il Tempio massonico è la peculiare rappresentazione di quanto scritto nella tavola smeraldina, non per mera definizione e attribuzione ma per specifico sistema.

La ritualità si svolge sopra un pavimento a scacchi e sotto la volta celeste e da questi due elementi è “contenuta”.

Il Tempio dei liberi muratori è trasposizione simbolica di un tempio ipetrale[5], cioè un tempio a cielo aperto. È noto che in antico le riunioni massoniche avvenissero en plein air. Perciò nel soffitto delle officine si apre un riquadro rettangolare (affrescato) che simula la volta celeste trapuntata di stelle.

21 x 29,7 cm, 2007, Éditions Durand

L’uomo ha da sempre levato al cielo, con primordiale stupore, il proprio sguardo interrogativo. Il Dante esoterico, summa della sapienza medioevale e fedele d’amore, fa sì che ciascuna delle tre cantiche della Commedia termini menzionando le stelle: e quindi uscimmo a riveder le stelle (Inferno)

/ puro e disposto a salir alle stelle (Purgatorio)  l’amor che move il sole e l’altre stelle (Paradiso)

Alla luce di alcune definizioni che abbiamo potuto percepire nell’excursus artistico possiamo affermare che l’uomo ha il dovere morale di tendere verso l’alto e quando questo viene meno la mediazione con la terra è “governata” dal pavimento a scacchi che concede, ricorda e riallinea chi lo percorre permettendo di riprendere il giusto equilibrio, mentre la mediazione verso l’alto è “governa” dal cielo stellato ovvero un “velo” o filtro rispetto alla Divinità alla quale tendiamo elevandoci attraverso la scala di Giacobbe che percorriamo esercitando le virtù su di esse adagiate e che incontriamo nel nostro cammino.

Il Tempio Massonico non è una porzione da cui osservare l’universo ma è l’intero Cosmo, uno spazio aperto che non ha pareti, ma essendo esso stesso Cosmo è impossibile delinearne le dimensioni e ovviamente è impossibile definirne le “visioni”. Questa o quell’altra costellazione sono semplice scelte poiché la volta celeste è simbolicamente rappresentata ma non definibile.

Il cielo stellato prescinde da ciò che in esso è rappresentato.

A Gerusalemme, in una caldissima sera d’agosto poco prima dell’avvento del Messia…

Il “Gadol Cohen ” si svegliò presto quella notte e volle riguardare ancora una volta quello spettacolo nel cielo che già aveva ammirato la sera prima. Uscì dall”‘Ulam ” del Tempio, in quell’afosa serata estiva, scandita dalle folate di un vento caldo, passando accanto alle colonne “Boaz” e “Jachin”. Uscì sulla spianata del Tempio ed il suo sguardo, dopo aver superato, alla sua sinistra, lo “lam Mutzach ” si diresse verso il cielo, con un moto di devoto rispetto, ‘tle-Qedem “.

Il sole sarebbe sorto in quel punto soltanto 2 ore più tardi, ma qualche pallida luce iniziava già ad annunciare timidamente l’alba. Lì, poco più in alto della linea dell’orizzonte, si posò il suo sguardo, su quel punto del cielo chiamato dagli astronomi del suo paese “Sartan “. Quasi al centro di questo settore, gli avevano insegnato, c’era un punto divino, davvero importante per tutti loro e per il Creatore.

Era un piccolo e ristretto agglomerato grigio di stelle, dalla luce fioca e lontana, chiamato “SharAischim ” Era quasi un punto, gli aveva spiegato il suo vecchio maestro rabbi, in cui la volta celeste era più sottile e le anime degli uomini scendevano tutti i sette cieli, provenienti dal “Magazzino delle Anime”, per incarnarsi nei loro corpi, seguendo i dettami della “Shevirat Ha-Kelim “, soltanto per volere del Creatore oppure risalivano lungo la scala di Giacobbe, secondo principi e virtù.

Due piccole fioche stelline20 erano poste ai lati della ‘Porta”, una un po’ a nord e l’altra un po’ più a sud, quasi a sorvegliarne e custodirne con rispetto il sacro accesso. Con umiltà pensò che anche la sua anima avesse fatto un giorno quello stesso tragitto, ed i suoi occhi brillarono di commozione, ma ricordò anche che, spesso, alcuni corpi celesti (Pianeti) vi finivano ‘dentro’ nel corso dell’anno. E quello, per tutti loro, era sempre un grande momento per onorare la magnificenza del Creatore. Anche quella sera stava succedendo quel momento meraviglioso e davvero speciale: il rosso “Maadim ‘ era proprio dentro alla “Porta”, ma c’era anche di più. La bianca “Nogah ” era posta un poco più a sud, ma davvero molto vicina alla “Shar Aischim” ed a “Maadim” che vi stava dentro in quel momento. Quello era un presagio nel cielo che sembrava fatto apposta per segnalare un evento davvero speciale, da ricordare per tutti loro, e che era stato scritto per sempre fra le stelle

Il cielo stellato, tra tutti gli spettacoli della natura, è quello che più è capace di scuoterci profondamente, stimolando la riflessione sulla nostra natura e sul “senso” della nostra esistenza, il cielo stellato è sentito come irraggiungibile, come ‘ultimo orizzonte” oltre al quale, al pari della siepe dell’infinito di Leopardi, non possiamo avventurarci se non con il pensiero. La sensazione di irraggiungibilità e di estensione illimitata nello spazio e nel tempo, suscitata dalla visione del cielo stellato genera in noi una mescolanza di sentimenti di ammirazione, per l’imponenza ed immanenza del Cosmo, e contemporaneamente di angoscia, nel momento in cui confrontiamo la nostra limitatezza con l’infinità del cielo. Il cielo è riprodotto sulla volta del tempio che non è, appunto, un luogo delimitato ma è l’intero cosmo nel cosmo.

La volta celeste posta sopra il Tempio, a prescindere dal suo contenuto fisico o della costellazione in essa rappresentata rappresenta anche un altro principio, spesso dimenticato della Massoneria, ovvero la crescita personale di ognuno Massone e il suo miglioramento personale.

Così come ci ha ricordato il G.M. nella sua ultima allocuzione[6]riportando la definizione di “religioso” delle scuole del Vedânta e della dottrina religiosa del Giainism0 [7][8]per le quali la Religione non è altro che il rapporto personale con un essere divino o trascendente a cui ci sottomettiamo e a cui rivolgiamo le nostre preghiere, per ottenere vantaggi materiali, oppure illuminazione spirituale, o morale e il cielo è universalmente il simbolo delle potenze superiori all’uomo, benevole o temibili.

In antichità gli Auruspici Etruschi indicavano con la presenza o assenza delle Stelle il «carattere» del Cielo, del Numinoso. In presenza di Stelle il responso divino è benevolo, al contrario un Cielo tempestoso rivela la collera divina.

Il cielo del Tempio è stellato, dunque benevolo.

Il Cielo rappresenta tutto ciò che sovrasta l’uomo, l’insondabile immensità, la sfera dei ritmi universali. Tutti gli esseri sono prodotti dall’unione «coniugale» del Cielo con la Terra, del Padre Celeste con la Madre Terra. In Egitto, però, curiosamente le polarità s’invertono. La dea Nut è celeste, il dio Geb terrestre: dalla loro unione nascerà, il Sole.

Nelle religioni orientali come l’induismo, il taoismo e lo shintoismo, il cielo stellato è spesso visto come un segno di una presenza divina. In alcune tradizioni, le stelle sono associate a divinità specifiche e il loro movimento è interpretato come un segno di volontà divina. Ad esempio, nell’induismo, le stelle sono associate ai pianeti e il loro movimento è usato per la previsione astrologica. Nel taoismo, il cielo stellato rappresenta la totalità dell’universo e il suo ordine cosmico. Inoltre, nello shintoismo, le stelle sono considerate una manifestazione della presenza divina in cielo.

Nelle tradizioni esoteriche e spirituali, il cielo stellato ha un significato simbolico profondo. Ad esempio, nella Cabala ebraica, le stelle rappresentano gli spiriti degli uomini giusti che hanno raggiunto la purezza spirituale. Nell’alchimia, le stelle sono viste come rappresentazioni dei diversi elementi e forze cosmiche che influenzano il mondo materiale. Inoltre, nell’astrologia, le posizioni e gli allineamenti delle stelle al momento della nascita di un individuo sono visti come influenti sulla sua vita e il suo destino. In molte tradizioni spirituali, il cielo stellato viene anche associato alla conoscenza divina e alla via verso l’illuminazione spirituale

Nell’Apocalisse il Cielo è la dimora di Dio; al contrario, i Celti non pongono in Cielo la residenza degli Dei. Nella cosmologia dei popoli uralo-altaici vi sono nove cieli, raffigurati attraverso tacche incise sull’Albero del Mondo, la Betulla.

Nella mistica sufi, le stelle sono viste come simboli dell’infinito e dell’eternità, e la contemplazione del cielo stellato viene considerata un modo per avvicinarsi a Dio e alla verità divina.

Per gli Algonchini americani26 i cieli sono dodici; mentre gli Aztechi parlavano di tredici cieli e nove mondi inferiori27. L’espressione «Figlio del Cielo e della Terra» appartiene sia ai Misteri Orfici, sia al Taoismo. Il Figlio del Cielo e della Terra è l’Imperatore (Wang) come archetipo del Vero Uomo, dell’lniziato.

La disposizione della Loggia varia secondo i Riti ma esistono regole assolutamente obbligatorie da osservare: la Loggia, di forma rettangolare. rappresenta il cammino che conduce dall’Occidente all’Oriente, cioè “verso la Luce”: il Trono del Venerabile all’Oriente, il suo lato destro indica il Mezzogiorno, il lato sinistro il Settentrione. Il soffitto rappresenta il cielo stellato. Infatti il Tempio simbolizza il Cosmo: ecco perché pur conoscendone le “proporzioni” non esistono “dimensioni”: la sua lunghezza va dall’Occidente all’Oriente, la sua larghezza dal Settentrione al Meridione, la sua altezza dal Nadir allo Zenit.

La contemplazione del cielo stellato viene vista come un modo per aumentare la consapevolezza di sé, per connettersi con la dimensione cosmica e per raggiungere una comprensione più profonda della realtà.

Il Tempio o Loggia è un luogo aperto e questo è anche fisicamente riscontrabile nella tavola di tracciamento di I grado dove non esistono pareti o limiti fisici in nessuna direzione, limitato per essere utilizzato in basso dal pavimento a scacchi e in alto dal cielo stellato.

Il cielo stellato rappresenta la divinità, la saggezza e l’ordine cosmico e simboleggia la presenza divina nell’universo. Il cielo stellato della Sala del Tempio costituisce sostanzialmente ad un invito a raggiungere una comprensione più profonda della realtà e a cercare la verità. Esso rappresenta la necessità di mantenere un ordine e una struttura nella propria vita, come nel cosmo: le stelle rappresentano gli ideali e i valori che i massoni cercano di perseguire nel loro cammino spirituale e nella vita quotidiana.

Quando una Loggia è impegnata nei lavori rituali questi vengono svolti sotto un cielo stellato e testimonianza del rapporto trascendente che esso ha con l’uomo. Questo rapporto è visto come un legame che supera la dimensione materiale e che connette l’iniziato con una realtà più grande e divina.

Nel platonismo, il cielo stellato rappresenta la dimensione delle idee eterne e l’uomo è invitato a elevarsi verso di esso per raggiungere una comprensione più profonda della realtà così come l’iniziato avendo accesso agli “strumenti” può andare oltre il semplice sguardo profano.

Nel neoplatonismo, il cielo stellato è visto come una manifestazione della divinità e la contemplazione delle stelle è considerata un modo per avvicinarsi a Dio, ragione per cui i nostri lavori si definiscono “rituali” essendo la ritualità l’unica strada che conduce alla Divinità.

Pur avendo visto le molte rappresentazioni nelle diverse arti del cielo stellato possiamo concludere che esso è sempre e assolutamente un riferimento esoterico e spirituale se posto come coronamento, sfondo o completamento di gestualità rituali o luoghi significativamente “rituali”. Il cielo stellato è sempre associato all’anima umana e alla sua dimensione spirituale, e la contemplazione del cielo stellato è sempre vista come un modo per raggiungere una comprensione più profonda di sé e della realtà, per il Massone una perfetta via da percorrere, come un ideale “Cammino di Santiago” lungo la Via Lattea.

La volta stellata è anche il simbolo dell’ideale di fratellanza, ciascun fratello è avvolto dalla stessa volta celeste, uniti l’uno all’altro dalle stesse luci e dallo stesso mistero, dallo stesso segreto; il fratello di Loggia è uguale, per ideale di fratellanza, al fratello di un altro differente luogo sulla terra, uguale al fratello di qualsiasi altra lingua troppo lontano fisicamente per essere incontrato nella vita profana. Il cielo della volta stellata del tempio, benché notturno, lo testimonia la presenza delle stelle, non è nero ma turchese colore di un momento particolare del giorno, quello dell’idea che, una volta infranto il velo della Notte, precede l’Alba e il Sorgere del sole della fratellanza.

Non ha valore rituale, quindi, questa o quella costellazione, il cielo stellato della Loggia, come in arte, non determina il valore esoterico del Tempio. Non importa quale sia la sua rappresentazione e cosa contenga – che rimane una libera scelta – ma l’importante è che ci sia poiché è un “simbolo”!

L’Iniziato che percorre la Via Iniziatica è in grado di ascendere al Cielo. Non si tratta di ottenere la Salvezza con la fede, quanto di ascendere al Cielo, diventando Divino.


[1] Dal termine indoeuropeo Tem. Il sistema morfologico dell’indoeuropeo (così come il sistema fonologico e in genere tutta la grammatica di questa lingua) è una ricostruzione frutto del confronto tra le lingue indoeuropee di attestazione più antica e, in mancanza di queste, tra le lingue moderne, ipotizzandone una origine comune. L’indoeuropeo è infatti l’ipotetica protolingua preistorica ricostruita che si ritiene comunemente essere

[2] Cfr. Michele Galassi – La volta celeste, il paradigma ermetico e la “coincidenza de lio osti” – Ma io 2015

[3] Parola ebraica (‘âmën), passata anche in altre lingue semitiche (siriaco, etiopico, ecc.), nelle versioni greche e latine del Vecchio Testamento e nei varî testi del Nuovo. Deriva dalla radice semitica ‘mn col senso “sostenere, esser saldo”, quindi “esser sicuro, certo, veritiero”

[4] Cfr Partitura per due pianoforti 108 Pagine;

[5] Si chiama così l’edificio, in particolare il tempio, privo di copertura nella parte centrale. Nessun tempio conosciuto era esattamente del’ tipo descritto da Vitruvio (III, 2) come ipetrale; vi si accostavano l’Olympieïon di Atene e il tempio di Apollo a Selinunte. cfr. A. Choisy,

Vitruve, l, Parigi 1909, p. 165

[6] Cfr. Religione e Sacro – Allocuzione nella Gran Loggia del 5 novembre 2022 Fabio Venzi

[7] Cfr. S.N. Dasgupta, Il Misticismo Indiano, Edizioni Mediterranee, Roma, 1995, pag. 31

[8] Gli Algonchini rappresentano l’insieme di tribù di na-

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