L’ESCATOLOGIA PITAGORICA NELLA TRADIZIONE OCCIDENTALE

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Per quanto l’esame dell’Escatologia pitagorica della Tradizione occidentale possa sembrare restrittivo in un convegno destinato a valutare l’incidenza del pensiero pitagorico sulla scienza e sulla cultura contemporanea, vi sono almeno due ragioni che inducono a considerarlo come centrale. La prima riguarda le relazioni fra la visione pitagorica ed il R.S.I., promotore con il G.O. d’Italia di questo Convegno. La seconda concerne come tale visione si è trasmessa sino ai nostri giorni all’interno di quella che è stata indicata con il nome di Tradizione Iniziatica Occidentale. Ambedue inducono a ritenere che esista, almeno in una parte delle Scuole Iniziatiche attuali, un filone pitagorico che ne costituisce il fondamento.

Entro questo contesto, essenziale risulta stabilire perché il Rito Simbolico, erede della Risp. Loggia. “Ausonia” di Torino e del G.O.I., decidesse in un Convegno del 1876 di aggiungere alla propria denominazione quella di “Italiano”. Decisione tanto più notevole per le implicazioni che aveva quando si tenga presente che in quello stesso anno il Grand Orient de France espungeva dai suoi Rituali il riferimento al G.A.D.U. sulla scia dell’impostazione positivistica diffusa da Augusto Comte.

Senza soffermarsi sulle condizioni della L.M. italiana dopo l’avvenuta unificazione nazionale è opportuno, per altro, ricordare che la corrispondente unificazione fra il G.O.I. di Torino con caratteristiche simboliche ed il G.O. di Palermo con caratteristiche scozzesi, aveva indirizzato il nuovo G.O. in una direzione assai simile a quella francese. Come ha rilevato Mola, nel tracciare la storia della L. M. italiana in questo periodo, prevalenti risultavano in essa sia le tendenze positiviste che un esteso anticlericalismo ed una marcata politicizzazione. Le une e le altre frutto delle circostanze storiche che avevano presieduto all’unificazione nazionale, ma, anche, degli indirizzi culturali sviluppatisi in Italia nella seconda metà del secolo XIX.

Significativa appare a questo riguardo la presenza, accanto ad un positivismo a sfondo spesso materialista, dell’idealismo neohegeliano divenuto alla moda dopo che Augusto Vera e Bertrando Spaventa lo avevano vitalizzato. Impostazione destinata ad assurgere a filosofia dominante con Croce e, addirittura, di Stato con Gentile, ma in ambedue i casi ostile a qualsiasi valutazione metafisica e contraria, come il positivismo, ad ogni approfondimento iniziatico. Note sono le posizioni assunte da Croce verso la L.M. ed il sarcasmo da lui manifestato per le sue caratteristiche rituali.

Non meraviglia, pertanto, che in tale situazione si sviluppassero indirizzi filosofici e culturali più vicini a ciò che positivisti e neohegeliani andavano negando. E non stupisce che tali indirizzi si rifacessero con una diversa lettura di Vico agli sviluppi che aveva avuto in Italia la filosofia prima e dopo la Scuola Pitagorica. Essenziale va considerato il contributo di un filosofo di Todi, Enrico Caporali che nella rivista “La nuova scienza” negli anni 1885-1890 e, poi, in opere di più vasto respiro sviluppò una critica alle posizioni positivistiche e neohegeliane sulla base delle concezioni italico-pitagoriche. Critica che si collegava a quelle neoplatoniche di Bertini, Bonatelli ed Acri.

È interessante notare come questi indirizzi trovassero echi e riferimenti in uno studioso maggiormente legato alla L. M. come Arturo Reghini, nato nel 1878 e morto nel 1946, e di cui occorre ricordare sia l’azione in difesa dell’esoterismo massonico che il tentativo di dare vita con Frosini dal 1909 al 1921 ad un nuovo Rito, quello Filosofico, sviluppato in tale prospettiva. Particolarmente attinente al nostro tempo rimane la polemica che Reghini condusse all’inizio degli anni venti con Sacchi, G. M. dell’Ordine Martinista, a proposito dell’accusa rivolta da questo ultimo alla L. M. di eccedere nella segretezza. Sosteneva Reghini, al pari di quanto viene affermato oggi, che la segretezza massonica non aveva nulla a che fare con quanto comunemente si intende con tale termine, che essa andava considerata come la riservatezza propria delle “operazioni iniziatiche”, e che parlate della L. M. come di una società segreta finiva con il fare il gioco di coloro che per ben altri motivi ne volevano l’eliminazione.

Si comprende così come l’aggiunta di “Italiano” alla denominazione del Rito Simbolico avesse un esteso sottofondo che,Arturo Reghini accanto alla rivendicazione della Risp. Loggia “Ausonia” di una L.M. non infeudata né alle Logge francesi né a quelle inglesi allora esistenti in Italia, rinviava a motivi più profondi anche se affioravano soltanto in modo superficiale. Occorre, infatti, aggiungere che dopo il 1876 il Rito Simbolico, diventato R.S.I., malgrado si movesse in una linea più tradizionale ed accentuasse il valore di alcuni “Landmarks” come il 2°, il 4° ed il 12°, non sviluppò molto tali motivi. Ed è soltanto cento anni dopo, nel 1976, per una singolare coincidenza che il R.S.I. opera quell’approfondimento in senso pitagorico che gli ha consentito di realizzare il Convegno “Pitagora 2000”.

Più conseguente rimase la posizione del Reghini, ed è a questa che occorre rifarsi per comprendere come la visione iniziatica pitagorica si sia trasmessa sino ai nostri giorni, iniziando con il delineare il concetto di Tradizione Occidentale quale lo elaborò il Reghini. Malgrado, in realtà, che la distinzione fra Tradizione Orientale e Tradizione Occidentale sia comunemente accolta, e Guénon ne abbia data una esauriente differenziazione basata sulla coincidenza della prima con le dottrine indù, maomettane e cinesi, non altrettanto chiara è rimasta la delimitazione della seconda. Si è così ritenuto a lungo che la Tradizione Occidentale dovesse coincidere con la Tradizione Cristiana, o per meglio dire che, parlando di Tradizione Iniziatica in Occidente si dovesse intendere un retaggio esoterico che si rifaceva all’ebraismo, prima, ed al cristianesimo dopo. Numerose sono, del resto, le testimonianze che sembrano suffragare tale tesi soprattutto nella L.M. dalla dominanza delle concezioni cristiane in quella anglosassone alla distinzione delle Logge di S. Giovanni e di S. Andrea nel Rito Scozzese Rettificato di Willermoz, per citare soltanto due esempi.

A questa tesi il Reghini oppose una serie di analisi approfondite che si concretizzarono nella constatazione che soltanto intorno al XVIII secolo si ha la presenza nella L.M. di una terminologia ebraica sostitutiva di quella greca. Sotto questo profilo, come rilevò in un libro assai noto “Le parole sacre e di passo” del 1922, si assiste, per molteplici ragioni storiche e culturali in pare riprese da Ragon, ad una sostanziale modificazione dei presupposti iniziatici ed alla pressoché totale perdita delle incidenze misteriosofiche di origine greca.

È in numerosi scritti, che vanno dalla polemica con Sacchi e con Papus del 1923 alle note pubblicate con lo pseudonimo di Pietro Negri nel 1928 nella rivista “Ur”,Papus (Gérard Encausse) che Reghini tratteggia le caratteristiche di una Tradizione Occidentale non cristiana. A Sacchi ed al Martinismo rimprovera, fra l’altro, l’identificazione del tetragramma con il nome di Gesù e la riduzione della “numerologia” in senso cristiano operata da Saint-Martin. A Papus la tendenza di voler fare del Martinismo una sorta di “cavalleria cristiana”. Posizioni degne di rilievo ma non sempre esatte, come ha dimostrato Brunelli, almeno per quanto si riferisce alla interpretazione del “tetragramma” quale fu considerato dopo Martinez de Pasqually.

In modo più specifico Reghini affronta la distinzione fra Tradizione Orientale e Tradizione Occidentale analizzando quella che può definirsi la Sapienza antica rispetto a Roma.Documento di Sacchi, Gran Maestro dell’Ordine Martinista Si ha così un Oriente che investe l’Asia, dall’Anatolia (il Levante) sino all’estremo Oriente, ed un Occidente che abbraccia la Grecia, Roma e le regioni settentrionali mentre intermedio rimane l’Egitto anche se più vicino all’Occidente. Non a caso, nota ancora Reghini, il meridiano che divide Occidente ed Oriente passa per la piramide di Cheope.

Tutto ciò conferma per Reghini le negazione dell’occidentalità del Cristianesimo e del carattere cristiano della Tradizione Iniziatica Occidentale. In pratica è, pertanto, da ritenersi che l’occidente è diventato cristiano a seguito dì una serie di eventi storici che ne hanno modificato ma non distrutto una dottrina largamente fondata sulle posizioni misteriosofiche che hanno il loro centro nell’antica Grecia e nelle regioni settentrionali.

Impostata in questa maniera la valutazione di come la Escatologia Pitagorica, quale parte integrante della Tradizione Iniziatica Occidentale non cristiana, si sia trasmessa sino ai nostri giorni, implica, in primo luogo, la determinazione di quest’ultima. Problema non facile in quanto legato alla caratterizzazione della Sapienza iniziatica romana abbastanza complessa nelle sue componenti. Come ha rilevato Mircea Eliade la religione dei romani ha subito tali e tante modificazioni che non è agevole rilevare in essa un nucleo iniziatico centrale definito. Le indicazioni offerte ancora da Reghini in uno scritto del 1934 su “Il simbolismo dodecimale ed il fascio etrusco” permettono, tuttavia. di identificare alcune notazioni essenziali e le linee più generali delle componenti della Tradizione Occidentale.

Nel loro complesso tali componenti possono analizzarsi in tre direzioni distinte ma confluenti fra loro. Costituiscono la prima alcune notazioni riguardanti la posizione preminente nella religione romana il Giano, divinità studiata da Guénon, anche in riferimento alla L.M. per i suoi molteplici significati;René Guénon l’esistenza presso i romani dei “Collegia fabrorum”, considerati spesso come antecedenti delle comunità massoniche; la presenza della leggenda di Saturno e delle Quattro Età dell’umanità, collegabile, secondo Evola, alla concezione mediterranea orientale degli Anni Cosmici ed a quella degli Yuga indiani; la delimitazione dei 12 fratelli Arvali come Collegio assai simile al Circolo degli Adityas dell’Agartha. Esprimono la seconda, più connessa alla Tradizione etrusca, la ripartizione dei cittadini romani in tre tribù e quattro curie; i 12 dei “consentes” o “complices”; i 12 “fasces” o “litui” a 12 verghe dei littori. Caratterizzano la terza, legata all’incidenza pitagorica, una serie di elementi analizzati da Gianola nel 1921 nei suo volume “La fortuna di Pitagora presso i romani dalle origini sino ai tempi di Augusto”, e fra cui merita di essere ricordata la leggenda delle relazioni fra Numa Pompilio e Pitagora.

Sempre in questa direzione può essere indicata, per l’epoca di Augusto, la restaurazione del “regno di Saturno” indicata da Virgilio nella IV “Egloga”, e l’annuncio dell’inizio di un dramma cosmico-storico con la fine dell’umanità, fatto dal neopitagorico Nigidio Figulo e riportato da Lucano nella “Farsaglia”. Annuncio che sembra ripetere i miti crepuscolari romani insiti nella visione delle 12 aquile da parte di Romolo e nella valutazione dei 12 mesi aventi ognuno la durata di cento anni indicati per la permanenza di Roma.

Tali riferimenti testimoniano esistenza di un complesso di dottrine a sfondo iniziatico fondamento di una Tradizione Occidentale non cristiana che si continua nei secoli successivi. Degna di nota la posizione di Apollonio di Tiana e dei neopitagorici, in cui confluiscono elementi ermetici come quelli presenti nella “Tavola di Smeraldo” riferita, talvolta, allo stesso Pitagora e ritenuta scoperta da Apollonio. Significativa, anche, la permanenza di incidenze pitagoriche nella cultura europea del XII e XIII secolo probabilmente avvenuta attraverso gli arabi. In un testo ermetico di questa epoca, la “Turba philosophorum” stampato nel 1702, si legge, infatti, “il nostro maestro Pitagora è il piede dei Profeti e la testa dei Sapienti”.

In epoche più recenti è del resto noto come nel 1813 Fabre Olivet abbia pubblicato la prima traduzione dei “Vers dorés de Pythagore” in una prospettiva che ha fatto di questo studioso uno dei più approfonditi conoscitori dell’Ermetismo e della Sapienza antica. Si potrebbe anche, aggiungere come un accenno a Pitagora si trovi nelle “Costituzioni” di Anderson per quanto oscurato da una dizione non precisa.

Quest’ultimo riferimento non deve, tuttavia, fuorviare nella considerazione delle caratteristiche della L.M. anglosassone, espresse da Anderson, rispetto a quelle della L. M. continentale più vicina alla Tradizione Occidentale. Note sono le critiche dello stesso Reghini alla posizione speculativo-operativa propria alle Logge anglosassoni e riportata in Italia, fra gli altri, dal Porciatti, e le sue considerazioni sulla L.M. come dottrina e tecnica per la “liberazione” dell’uomo in sintonia con le indicazioni di Guénon. Noto è, del pari, come ancora Reghini, in un volume su “I numeri sacri nella Tradizione Massonica”, ritrovasse numerosi elementi pitagorici nella Simbologia massonica. Fra questi il “Delta”, la “Stella fiammeggiante” e la “Tavola da tracciare”.

Se da questa sommaria analisi si passa a considerare quello che si può definire come il “Corpus” dottrinale pitagorico non sarà difficile affermare che esso va inteso come una “Scienza totale” a struttura olistica. In questo senso Mircea Eliade ha rilevato che in Pitagora “la conoscenza scientifica era integrata in un insieme di principi etici, metafisici e religiosi, accompagnati da diverse tecniche corporee”. Ed Evola ha aggiunto che la caratteristica della dottrina pitagorica era quella di “abbracciare domini diversi in un’unica sintesi”. Esempio paradigmatico di tale tendenza l’ideale politico pitagorico, trasmessoci da Giamblico nella “Vita pythagorica”, e che sviluppa sul piano profano una completa impostazione metafisica.

Ma se queste sono alcune caratteristiche della dottrina pitagorica ricavabili dagli autori classici e moderni, più difficile risulta stabilire quanto di essa spetti a Pitagora, e quanto ai suoi continuatori. Dubbi esistono sulla stessa figura storica di Pitagora, talvolta confuso con un altro Pitagora neopitagorico del I secolo d.C. a cui va ricondotto il simbolismo della Y pitagorica. Ancora discussa è, d’altra parte, la successione delle fasi della Scuola pitagorica, anche se la ricostruzione più attendibile sembri al momento attuale quella di Holger Thesleff. Secondo questa si avrebbero in tale Scuola quattro periodi distinti, indicabili come Pitagorismo primitivo, Pitagorismo del V secolo a. C. con Archita, Pitagorismo dell’età ellenistica ed, infine, Neopitagorismo con Apollonio di Tiana e Numenio di Apamea. Ne deriva una valutazione complessa delle modalità espresse nel tempo dai Pitagorici sul piano iniziatico, confermata, fra l’altro, da come si sono attribuiti ai discepoli di Pitagora le qualifiche di “acusmatici” e di “matematici”, dando maggiore peso a volte alla prima e a volte alla seconda di esse.

Con questi limiti è tuttavia possibile formulare alcune ipotesi su quella che doveva essere la “Scienza totale” dei Pitagorici, analizzandola in tre punti distinti. Di essi il primo riguarda l’Organizzazione della Scuola, il secondo le Tecniche usate, il terzo l’Escatologia. Quest’ultima, anche se prima sul piano delle condizioni che conducono alla “liberazione” dell’uomo, diventa ultima in una ricostruzione razionale quando si proceda con la metodologia indicata da Guénon.

Entro questo contesto l’Organizzazione della Scuola, e meglio si direbbe la progressione secondo cui il “profano” diventa “iniziato”, è identificabile nelle due categorie degli “exoterici” e degli “esoterici”. I primi, a quanto ci hanno trasmesso i più antichi commentatori, suddivisi nei tre gradi degli “acusmatici” od uditori, dei “parlatori” e dei “matematici”. I secondi indicati come “perfetti” o “compiuti” o, anche, come “teleios”, termine usato per indicare colui che si avvicina ad una perfezione che è soltanto del “sebastikos”, ossia di colui che è da venerare. Da ricordare che gli “esoterici” potevano essere sia “attivi” che “speculativi”, ossia agire nel mondo profano o dedicarsi alla meditazione.

Senza insistere su un aspetto abbastanza marginale attinente ad una possibile corrispondenza tra tali categorie e quelle della L. M. quali si sono andate configurando nei secoli, è ipotizzabile che i gradi degli “exoterici” siano ritrovabili in quelli di “apprendista”, “compagno” e “maestro”. In questo senso la qualifica di “perfetto” o “teleios” potrebbe avvicinarsi a quella di “Maestro Architetto” del R.S.I. o al perfezionamento implicito nello “Holy Royal Arch”. Da un altro punto di vista la distinzione di livello pitagorica potrebbe farsi anche coincidere con coloro che sono pervenuti ai “Piccoli Misteri” e coloro che hanno raggiunto i Grandi Misteri.

Più complessa appare la valutazione delle Tecniche usate dai Pitagorici anche per i riferimenti che si ritrovano, soprattutto nei “Versi dorati”, a modalità aderenti a regole igieniche ed a presupposti coincidenti con il modo di comportarsi nella vita di tutti i giorni. L’accenno di Diogene Laerzio che fondamentale era per i Pitagorici “l’essere uniti da una comunanza di simboli” lascia, però, intravedere una metodica simile a quella della L.M.. Come il Massone il Pitagorico analizza e riflette su “simboli” che gli consentono di sollevarsi dal mondo profano verso i piani più elevati sino a raggiungere la perfezione. È probabilmente in questa prospettiva che deve considerarsi il momento indicato da taluni come “divinificatio”, e che rappresenterebbe il raggiungimento da parte dell’adepto della fase iniziatica finale.

Fondamento dell’Organizzazione della Scuola e delle Tecniche usate e, come già indicato, la Escatologia pitagorica alla quale bene conviene il termine di “liberazione” come è usato in senso iniziatico. A differenza, infatti, della “salvazione” cristiana per cui tutti possono raggiungere la meta dopo che il Cristo ha lavato l’umanità dal “peccato originale”, la “liberazione” iniziatica di alcuni e non di tutti e come tale si ritrova nelle dottrine pitagoriche. Essa costituisce il risultato di una serie di passaggi che soltanto alcuni possono compiere, e che induce a ritenere, come ha rilevato Mircea Eliade una stretta parentela fra la impostazione pitagorica, l’Orfismo ed i Misteri Greci. Collegamenti che non escludono secondo una osservazione del Burkert, la presenza di incidenze “sciamaniche”, dimostrate, fra l’altro, dalla diffusa opinione che Pitagora avesse, come gli sciamani, una “coscia d’oro”. Ne deriva una posizione che rende sempre più la dottrina pitagorica impregnata dalle finalità che caratterizzano la Tradizione Occidentale anche nei suoi riferimenti indoeuropei. Importanti sono, a questo riguardo, gli accostamenti ipotizzati da Evola fra il Pitagorismo e le dottrine iperboree, etrusco-italiche, preindoeuropee e preromane.

Inserite in una prospettiva escatologica, la conoscenza matematica e la dottrina dei numeri, considerate spesso dai commentatori del pensiero pitagorico quali anticipazioni delle conoscenze matematiche moderne, acquistano un ben diverso valore. L’una e l’altra appaiono, indipendentemente dalla loro portata pratica, come momenti significativi per la conoscenza dell’Essere. Parafrasando Guénon si può affermare che per Pitagora ed i Pitagorici la matematica costituisce una “Scienza sacra” atta a fare pervenire gli adepti alla sua valutazione: L’Uno come la sacra “Tetrade” vanno intesi quali termini che esprimono le caratteristiche dell’eterna processualità che dall’unità dà luogo al molteplice e che da questo risale a quella. Impostazione tanto maggiormente accoglibile quando si ricordi, ancora con Guénon, che in epoche oramai lontane ma alla base della attuale non esisteva differenza che di livello fra le conoscenze esoteriche e quelle quotidiane. In altre parole non esisteva un concetto di scienza quale oggi postulato e la “Scienza Tradizionale” si poneva su un piano completamente diverso da quello da esso espresso.

La riprova del significato di “Scienza sacra” della dottrina dei numeri si ritrova nella Cosmologia pitagorica che ci è stata tramandata da Platone che non a caso affida ad un pitagorico, Timeo, l’illustrazione delle caratteristiche del cosmo. La stessa distinzione, di origine pitagorica, di un triplice mondo raffigurabile nell’Olimpo, nel Cosmos e nel mondo sublunare rafforza tale assunto. Induce quasi a ritenere che nella cosmologia pitagorica si possa ritrovare lo spunto per l’interpretazione di Guénon sulla esistenza di molteplici stati dell’Essere di cui la natura umana costituisce una delle componenti.

Ultimo punto che bene si inquadra in questa visione è quella che riguarda la dottrina della “metempsicosi”, spesso considerata come concernente pressoché esclusivamente la possibilità di una serie di passaggi da una specie all’altra in relazione a quello che l’uomo ha fatto nel corso della sua esistenza. In realtà, come ha dimostrato Reghini, la “metempsicosi”, rettamente intesa, implica la “palingenesi” ossia la capacità dell’uomo di sollevarsi dal suo stato presente per rientrare nell’Essere, avendo raggiunto la “liberazione”. Prospettiva molto più ampia della precedente, fra l’altro resa dubbia dall’impossibilità, rilevata da Guénon sul piano generale, dell’uomo di perdere lo stato che gli è proprio, e che non esclude, secondo la Tradizione Ermetica, la rinascita di chi non è rientrato nei Principio primo.

La conclusione che si può trarre da un esame per molti lati limitato ed impreciso nelle dottrine pitagoriche non è soltanto quella della larga parte che esse hanno nella Tradizione iniziatica Occidentale, ma, anche, dell’attualità della “escatologia” che ne costituisce il fondamento. In un’epoca nella quale il concetto di “operatività” ha perduto l’originario significato di “operazioni trasmutatorie” necessarie alla “liberazione” per diventare l’azione dell’iniziato nel mondo profano, il richiamo alle dottrine pitagoriche acquista un nuovo valore. Esso indica la limitatezza dell’agire dell’iniziato in tale mondo, anche se, al pari del “perfetto” pitagorico, può essere attivo in esso al fine di avviare non l’umanità che, come rilevava Guénon, è concetto equivoco di origine positivista, ma gli uomini verso la Luce. Sottolinea, al contrario, la profonda esigenza trasmutativa a cui gli iniziati devono ispirarsi e di cui il R.S.I. costituisce una delle vie per realizzarla con la validità che gli viene dai legami che mantiene con la Tradizione Iniziatica Occidentale.

 

Virgilio Lazzeroni

 

 

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