Il Silenzio (Franco Sbaragli)
Se vuoi, ascoltami,
io sono il Silenzio.
Esistevo ancor prima del caos e sono rimasto dovunque.
La mia voce sale nella notte dei tempi attraverso ogni cosa:
dalla confusione dei pensieri, alla geometria delle forme.
Tutto in me nasce, vive e ritorna:
sono nel primo vagito e nell’ultimo respiro,
come la fiamma nel sole o il cristallo nel ghiaccio.
Coloro che hanno voluto udirmi, appresero da me l’Arte Reale
e la chiusero in muti libri di pietra.
Ascoltami, ascoltami sempre, perché ti parlo.
Non sia però la tua voce, a chiedere, ma la tua mente ed il tuo cuore.
Allora, ti risponderò con il canto dell’allodola al primo chiarore dell’alba,
con il riso ed il pianto di ogni creatura, con il respiro incessante della risacca.
La mia voce nasce dalla brezza del mare, sale nel vento torrido del deserto,
urla con la neve nella tormenta e si spezza d’un tratto.
Singhiozza e svanisce, come le tue passioni:
come il colpo del maglio, che vibra nell’aria fino a confondersi nel fruscio d’ala del falco.
Ti vedo vagare per i sentieri del mondo, dall’inizio dei tuoi giorni,
lo sguardo assetato che fruga ogni cosa, le mani sudate d’ansia,
la mente confusa dal cuore in tumulto.
Cerchi la verità, ma sei uno straniero; anche nella tua casa.
Ogni cosa ti sfugge, come acqua tra le dita e le tue labbra hanno sempre più sete.
Cerchi l’armonia nel frastuono della festa, nel tintinnio dei metalli,
nelle dolci forme della giovane meretrice;
poi ti sento piangere, insieme allo schiocco della vela,
che trascina lontano la tua nave, sul mare cupo delle tue illusioni.