Pimo premi
Lucia Bargelini
Liceo Classico – Massa Marittima
MOTIVAZIONE
Per la lucidità e profondità della trattazione, elaborata con notevole capacità di sintesi e permeata di riferimenti filosofici efficaci e pertinenti. Per aver colto il nesso fra libertà di coscienza e tolleranza, nella consapevolezza di quale patrimonio rappresentino per tutta l’umanità le diversità culturali, filosofiche, spirituali e la loro libera espressione.“
SVOLGIMENTO
“ Homo sum, humani nihil a me alienum puto” : in queste parole di Terenzio era già espresso il messaggio della tolleranza. Il rispetto per le opinioni altrui, infatti, può nascere soltanto dalla consapevolezza di essere uomo, e dunque accomunato agli altri dalla parzialità e dall’errore, incline a giudicare assoluto ciò che è invece relativo e ad esercitare la violenza per affermare la propria presunta verità. Questa presa si coscienza implica anche la difesa dei pareri contrapposti al proprio, che, costituendo un patrimonio per l’umanità, non devono rimanerci estranei.
Prima vera apologia della libertà di coscienza fu, nel 1689, l’Epistola sulla tolleranza di Locke: il filosofo inglese dimostrò che l’utilizzo della violenza in casi di eterodossia non aveva ragione di esistere perché, se da una parte la salvezza dell’anima non rientra tra i fini dello Stato, dall’altra la coercizione non è un mezzo di cui deve servirsi la Chiesa. Erano tuttavia esclusi da questa argomentazione i cattolici e gli atei, i primi colpevoli di riconoscere al papa un potere superiore a quello del sovrano legittimo, i secondi poiché negavano l’esistenza di Dio, supremo garante dei patti su cui si basa la società: la dichiarazione dell’universalità dei diritti dell’uomo giunse con l’Illuminismo, che per la prima volta pose scienza e filosofia al servizio della società, fissando come fine ultimo il raggiungimento della maggiore felicità possibile da parte del genere umano.
Voltaire nel Dizionario filosofico (1764) sostiene la necessità di una mutua tolleranza, in cui individua la “prima legge di natura”. Evidenzia inoltre come chiunque provi spontaneamente orrore se qualcuno, privatamente, perseguita un suo simile, ma non se la medesima azione è compiuta da una pubblica istituzione: questa diffidenza di fondo verso l’impiego della violenza da parte dello Stato, anche in quei campi dove è sempre stata considerata necessaria (“Uccidere è proibito, perciò si puniscono tutti gli assassini che non uccidono in numerose compagnie e al suono delle trombe”, dal Dizionario filosofico), gli deriva dalla concezione della libertà come rifiuto dell’eccessiva ingerenza del potere politico e di qualsiasi altro assolutismo, sia pratico che teorico. Da qui nasce anche la lotta al pregiudizio, affermazione presa per vera senza il vaglio della ragione, che incatena l’uomo ad uno stato di schiavitù e dà origine ad ogni forma di fanatismo poiché, come già notava il commediografo greco Menandro, “l’incredibile, spesso, per la folla vale più del vero, ed è più credibile.”
Nonostante tragga origine da argomenti totalmente irrazionali, l’intolleranza spesso si è servita anche della scienza, opportunamente rivista e snaturata, per sostenere le proprie tesi: la convinzione dei tedeschi di appartenere ad una razza superiore, ad esempio, fu il frutto di un’errata interpretazione del darwinismo e di alcune teorie filosofiche, convalidate dall’eugenetica.
Se l’intolleranza ha avuto precise giustificazioni sia morali che razionali, non si può dire lo stesso per il suo opposto, filosoficamente indifendibile: un’analisi critica ed obiettiva delle potenzialità e dei limiti della ragione conduce invariabilmente al ripudio di ogni forma d’intolleranza, che, negando un confronto costruttivo tra le varie opinioni, ostacola il progresso della conoscenza, oltre a violare i diritti umani. Sin da Eraclito si è comunque sviluppata una concezione del mondo fondata sul conflitto, e derivata più dall’osservazione dell’effettivo susseguirsi degli eventi che da una costruzione teorica ideale. Nel corso dei secoli, infatti, le vicende storiche hanno rispecchiato l’innata tendenza umana a diffidare a priori di tutto ciò che sia diverso e sconosciuto, dimostrando come l’intolleranza sia un istinto primordiale di difesa.
Il termine tolleranza, che indicava inizialmente il sopportare un peso (tolus, in latino), non assume solo il significato di graziosa concessione, di indulgenza di fronte all’errore, ma diviene espressione di libertà ed uguaglianza, tanto da coincidere non solo col rispetto profondo per le idee altrui, ma anche con la disponibilità ad impegnarsi e rischiare in prima persona perché ogni idea possa essere professata liberamente.
Nella storia, in cui “un delitto ben riuscito e favorito dalla fortuna viene chiamato virtù” (Seneca, Hecules Furens), la liberalità spesso è stata giudicata sintomo di debolezza, quando invece è proprio l’intransigenza a rivelare una fragilità di fondo, come sostenne anche Benedetto Croce. Questo per la duplice accezione del termine tolleranza che, se da una parte indica il rispetto dell’opinione altrui, dall’altra può essere inteso come incapacità di reagire a qualcosa di palesemente sbagliato. E’ da questa valutazione positiva dell’intolleranza che sono partiti i vari governi totalitari che, incanalando gli slanci irrazionali del popolo e sfruttando il nuovo sentimento “religioso” verso lo Stato, che si esprimeva tra l’altro attraverso il culto del capo, si sono assicurati un appoggio totale ed incondizionato da parte delle masse. Evidente manifestazione di questo fenomeno fu la necessità di un’incarnazione del male, identificato nel popolo ebraico, contro cui poter combattere: Lo Stato doveva non solo svolgere le funzioni che gli erano sempre state attribuite, ma riassumere in sé ogni aspetto della vita pubblica e privata, far coincidere diritto e morale. Proprio per questo il regime nazista mise sullo stesso piano l’impegno bellico e lo sterminio degli ebrei, tanto che, nei campi di concentramento, erano impiegati militari in numero sufficiente per bloccare a tempo indeterminato l’avanzata delle forze alleate lungo i confini della Germania.
Affinché la libertà di coscienza non venga più messa in discussione, occorre diffondere non il messaggio della tolleranza, rispetto al quale risulterebbero sordi coloro che in partenza non lo condividono, ma la cultura, poiché apre gli orizzonti mentali, porta ad apprezzare ogni aspetto dell’esistente e ricorda come tutto sia relativo, limitato ma allo stesso tempo valorizzato dal contesto che lo racchiude.
Là dove il sapere ha squarciato le tenebre del pregiudizio e del fanatismo , la tolleranza si raffigura come uno slancio spontaneo dello spirito, ma dove il popolo vede ancora nelle proprie catene l’unica via di salvezza, dove il motto illuministico sapere aude viene considerato eretico così come ogni tentativo di mettere in discussione l’ordine preesistente, questo valore non può essere trasmesso in alcun modo neppure da quelle autorità che in esso hanno riconosciuto un cardine del comportamento morale. Può anzi avvenire che siano stravolti quegli stessi principi che avrebbero dovuto produrre il rispetto dei diritti dell’uomo, così come è accaduto nel corso dei secoli ai canoni della religione cattolica; proprio quel movimento che aveva fatto dell’uguaglianza e della non violenza i cardini del messaggio pastorale, si distingue per crudeltà e sistematicità nello stroncare le ideologie contrastanti, mascherando i propri diritti sotto un’apparenza di missione evangelica, tanto che lo scrittore irlandese Jonathan Swift scrisse nella sua opera Thoughts on Various Subjects: “Abbiamo abbastanza religione per odiare il nostro prossimo, ma non per amarlo”.