LA NUDITA’ DELL’INIZIATO
La ricerca delle radici sollevando la polvere per trovare l’arché
di Mariano Bianca
Ogni cosa proviene da un’altra ed ogni cosa si proietta in un’altra: ognuna ha un’origine e Si muove verso una nuova forma che la trasforma lasciando inalterata la sua provenienza.
La sua origine si disperde lontano e ciò che sarà non è dato conoscere. Il luogo lontano dell’origine si avvicina e si confonde con quelli a cui ogni cosa si rivolge per cui origine e fine convergono e si uniscono per separarsi nuovamente.
L’origine è la radice, volta verso il basso o l’alto, che segna il fondamento che sorregge ogni cosa e fa sì che essa non si disperda per assumendo infinite forme correlate le une alle altre.
Ma non solo le cose dell’universo che si muovono in questo modo, ma anche ogni uomo che si rivolge alla ricerca dell’arché, delle origini che gli permettono di dare un fondamento e un senso al suo essere al mondo.
L’iniziato, diversamente da ogni altro uomo, fa sì che la sua ricerca dell’origine sia il centro della sua esistenza. Egli constata la sua presenza nel mondo, osserva gli affari umani e gli eventi del mondo, e da qui procede per accertare con la sua mente che lui stesso e il mondo che lo circonda si danno nella forma ignota che nasconde una lontana provenienza: una provenienza che affonda sempre più a fondo nell’essere, nella vastità del cosmo in cui tutto c’è e non c’è.
“LA PUREZZA”1893 – Magnus Enckell – Ateneumin Taidemuseo, Elsink |
L’iniziato rivolge il suo sguardo non solo al cielo e alla terra, ma ad ogni angolo del mondo, perché è in ogni suo interstizio che si cela l’archè di ogni cosa. In ogni angolo del mondo, in ogni evento, in ogni essere vivente, in ogni uomo, in ogni parola e in ogni silenzio l’iniziato può scorgere quello che sta cercando e che non troverà mai nella completezza, certo che ogni sua attenzione gli permette di sentire la voce dell’essere, i1 soffio che genera ogni cosa e la fa restare al mondo nel tempo limitato e la trasporta lontano.
Questa è la radice che sottostà sempre a tutto ciò che accade, per questo è un substrato che si cela togliendo quella polvere che copre ogni cosa che appare allo sguardo. L’opera dell’iniziato, in tal senso, non è tanto e solo uno svelamento di qualcosa che sta al di sotto, ma consiste nel togliere la polvere che ricopre le cose e che le fa apparire diverse da quello che sono.
La vita, di per se stessa, è un processo che ricopre ogni cosa di polvere ed è questa che l’iniziato deve saper togliere, ma deve anche fare in modo di non accumularla in sé e nella sua mente. La polvere consiste delle scorie della nostra esistenza che è sempre sottostante, ma la si può cogliere ed osservare solo se ci adoperiamo per ripulire la nostra mente dalla polvere e se siamo in grado di non accumulare su ogni nostro essere al mondo una quantità illimitata di polvere che non ci permette di cogliere in alcun modo la forma delle cose e le loro relazioni.
L’iniziato deve porsi nella condizione di vedere ogni cosa al di sotto della polvere che è stata accumulata su di essa dal fare degli uomini e dall’azione dei fenomeni della natura. La sua mente in primo luogo deve poter essere priva di qualsiasi scoria perché è proprio questa che cela il suo sguardo, che annebbia la sua vista che offusca il suo pensiero e lo distoglie dalla sua méta mirata alla ricerca delle radici. Se egli intende muoversi verso le origini, ricercarle con continuità, non può lasciare impolverata la sua mente, ricoperta di scorie e di pulviscolo umano e del mondo, ma deve operare perché ogni pulviscolo sia allontanato per poter mettere a nudo la sua radice, o meglio la sua nudità di fronte a se stesso e al mondo: l’iniziato non può che porsi di fronte a se e al mondo nella sua mera nudità, che è quella condizione in cui egli è sollevato da ogni pulviscolo ed è così un soffio: lo pneuma che lo regge in vita e lo fa trascorrere da una forma a un’altra. Questa è la prima radice: la sua nudità che si presenta a se stesso per poter guardare il mondo e cogliere anch’esso nella sua nudità, nella sua trasparenza che permette di vedere oltre.
La nudità dell’iniziato è la sua cifra specifica che lo caratterizza: egli per poter scendere e salire, per poter sprofondare e perdersi, per allontanarsi e ritrovarsi deve porsi nello stato di essere solo e nudo di fronte a tutto e primariamente di fronte a se stesso; questa nudità è stata sempre quella che ha caratterizzato tutti quegli uomini che non hanno dimenticando il mondo ma si sono posti inerti di fronte ad esso: si sono spogliati, si sono ripuliti dalle scorie, hanno spazzato via la polvere che li copriva attenti a non appesantirsi ancora da essa.
Da qui anche i rituali sacri che servono proprio per ripulirsi e così affrontare se stessi, gli altri e il mondo con la mente e il corpo ripuliti dalle scorie che continuamente si apprestano a seppellirci.
Che cosa è allora questa polvere? Essa non è altro che ciò che copre l’arché, il nostro intimo essere, che soffoca gli ideali e la virtù, che appesantisce l’intelletto, che non permette di vedere con chiarezza, che ci lega ai meri interessi e fuorvia la nostra azione e così ostacola il cammino verso le radici. Questa polvere è il risultato dello stesso vivere quotidiano e si manifesta in ogni azione che non è libera ed è legata alla chiusura della nostra mente, a tutto ciò che non si muove verso l’ideale ma resta ancorato alla materia che spinge verso il basso, che non è la profondità bensì solo la superficie di ciò che sta sotto.
La nudità dell’iniziato è poi anche la sua disposizione ad essere un cratere, un recipendario, che può accogliere la saggezza senza timore di perdersi o di allontanarsi da quello che riteneva di essere e da ciò che reputava fosse il mondo.
La nudità è così anche la condizione del predisporsi a ricevere dimenticando quello che si è; ed in ciò consiste proprio ogni rito di iniziazione che, come sappiamo, è solo l’inizio del proprio camino. L’Iniziato si dispone ad essere nudo e a sollevare in ogni momento da sé la polvere che offusca la sua mente. Questo è il coraggio del vivere da iniziati senza nulla togliere al suo mondo interiore e al suo rapporto con il mondo. L’iniziato, inoltre, proprio per questa sua disposizione alla nudità, non è solo uno specchio del mondo, ma è primariamente una trasparenza che permette al mondo di entrare in lui così come è; se il mondo entra nell’iniziato allora egli si è reso trasparente all’essere e solo così può mirare alla ricerca delle origini, delle sue radici e delle radici di ogni cosa.
Cosa sono allora queste radici?
Le radici sono ciò che lega ogni cosa, e quindi anche ogni uomo, a una trama che investe tutta la realtà: le radici sono il legame ultimativo che permette di affermare la propria appartenenza a una dimensione che oltrepassa ogni condizione contingente: esse sono nell’uomo e oltre il singolo l’uomo.
Sono entro ed al di là di ogni cosa.
Con esse ogni iniziato trova le vie per entrare in se stesso e oltre se stesso, ma sempre aggrappandosi al filo di Arianna che permette di uscire ed entrare nella propria caverna e quindi anche nell’oscurità della realtà; nell’ignoto che appare lontano ma che è sempre raggiungibile ed irraggiungibile allo stesso tempo. Le radici non legano né verso l’alto né verso l’alto, ma in ogni direzione verso cui si pone il nostro sguardo: sono la fitta ragnatela che ci lega a ogni cosa del mondo; ciò non significa affatto che questi filamenti sottili siano la prigione del proprio essere, al contrario sono le direzioni invisibili verso cui ci rivolgiamo e con cui abbiamo intessuto dei legami che oggi possono esserci e domani possono scomparire.
Sono queste le radici che ricerca ogni iniziato, certo che la sua nudità e la sua solitudine gli permettono di sollevare la polvere e intravedere qualche arché; una ricerca che dà ragione del proprio essere al mondo e
che permette in ogni condizione di volgere lo sguardo oltre e non fermarsi né essere legato al contingente, al visibile, a ciò che appare.
Se il massone è un iniziato allora non può che seguire queste indicazioni e la sua vita nel tempio e nel mondo deve sempre essere ripulita dalle scorie e dalla polvere ed ogni suo incontro con il proprio fratello si deve caratterizzare dall’essere libero e ciò significa libero da scorie e polveri che offuscano il suo modo di essere. E’ proprio questo che dobbiamo imparare nel nostri templi perché e solo questo atteggiamento che ci può permettere di essere trasparenti, di accogliere gli altri ed il mondo senza alcun timore di non essere se stessi o di sperdersi. Un tale timore è solo il segno del nostro legame con i metalli, con il basso della superficie, solo con ciò che appare.
La ricerca delle radici verso cui tende ogni massone può svolgersi con l’acquisizione di conoscenze, di valori, di prospettive che permettono di trovare l’arché in ogni dove e in ogni alcunché che ci circonda; ma ciò non è possibile se la polvere ci ha sommersi e se siamo troppo pieni per poter ascoltare la voce e le parole che ci provengono da vicino o da lontano. Non si può allora che essere pieni e vuoti; pieni di ciò che abbiamo raggiunto e vuoti di fronte a ciò che possiamo raggiungere.
Solo così ci presentiamo a noi stessi e al mondo, nudi e trasparenti e ci possiamo aprire alla ricerca delle radici che possiamo trovare a fianco e lontano e non solo in ciò che riteniamo ce le possa palesare, bensì anche in quello che ci può apparire distante e incapace di fornirci qualche spunto per proseguire il nostro cammino: le radici non si cercano solo dove si pensa di poterle trovare, ma soprattutto là dove si pensa di non trovarle: è in questo ignoto che esse ci attendono e di fronte ad esse dobbiamo farci trovare nudi e trasparenti.
(tratto da Sixtrum – Anno 2001 – Numero 2 Equinozio d’autunno)