“Conoscere se stessi (1)
Vi propongo una serata un poco particolare come metodo di lavoro. Il M-. V. mi ha posto un tema da trattare che, come ricorderete, riguarda la conoscenza di se stessi, del proprio io, Non tratterò il tema in chiave storica, né filosofica, quindi non aspettatevi dotte citazioni di autori passati: cercherò invece di spogliarmi da qualunque tentazione intellettualistica per essere solo me stesso a proporvi del materiale sperimentale. A questo sforzo personale, chiedo corrisponda il vostro: prego anche di dimenticare per un momento cultura, letture, apprendimento intellettuale; di lasciare che le parole che dirò evochino sensazioni, ricordi, echi, esperienze vissute, che varrà poi la pena di mettere in comune dopo, durante la comunicazione che vorrei meglio chiamare “lavoro di gruppo”. Come vedete, con il permesso del M.-. V.-., è un esperimento di metodo di lavoro che vi propongo: chiedo di provare e poi, eventualmente, di giudicare dopo le tre tornate, di cui questa è la prima. Ciò detto sul metodo, ancora due parole sulla terminologia. Dal punto di vista iniziatico “conoscere” non significa “pensare”, ma “essere” l’oggetto conosciuto. Non si conosce qualcosa senza averlo realizzato: conoscenza ed esperienza fanno un tutt’uno e per questo tante volte ho qui affermato che il metodo iniziatico è metodo sperimentale puro. Però, per il profano, l’unica forma di esperienza possibile è quella sensibile, mentre l’insegnamento tradizionale sostiene la possibilità di più forme di esperienza, delle quali quella sensibile non è che una particolare. Queste forme corrispondono ciascuna a un modo di percepire e descrivere il mondo e possiamo pensarle in evoluzione l’una nell’altra, senza salti di continuità dal fenomenico all’assoluto. In realtà la tendenza intellettuale a risolvere questo o quel problema filosofico, creando teorie e sistemi, è vano e non conduce a nulla. Al mistero ci si avvicina per apprendere una esperienza del sacro, non per apprendere: il problema è come ottenere la trasformazione della esperienza superando quella puramente sensibile, quali sono i mezzi. Non a caso la via iniziatica occidentale utilizza una simbologia di Arte regia, di Grande Opera, di Costruzione del Tempio e quella orientale parla del Tao, della vita da percorrere: queste sono sistemi operativi, non di apprendimento. Il primo passo da compiere sulla strada della conoscenza di se stessi è proprio questo: divenire consapevoli che la realtà sperimentale che percepiamo con i nostri sensi non è la realtà, ma una “descrizione del mondo” che ci è stata presentata fin da quando eravamo bambini, da chi ci circondava: la famiglia, gli amici, la scuola, la visione comune. La “descrizione del mondo”, di cui parlo, non è un concetto filosofico, ma è la somma di quelle interpretazioni che tutti o momenti, anche ora, diamo delle percezioni che abbiamo attraverso i sensi, è quel sistema di interpretazioni che usiamo per percepire, dedurre, prevedere, relativamente alla nostra attività quotidiana. Esso è del tutto arbitrario e non corrisponde affatto alla realtà. La scienza profana ci aiuta dal punto di vista intellettuale: con gli occhi noi riusciamo a percepire solo una gamma molto piccola delle radiazioni luminose, essendoci precluse tutte quelle lunghezze d’onda che noi chiamiamo infrarosso e ultravioletto; con l’orecchio, in modo analogo, non percepiamo tutta una gamma di oscillazioni di pressione, molto più ampia di quelle che noi chiamiamo suoni; il tatto grossolano ci fa apparire solido e compatto ciò che è costituito di atomi e molecole ben distanziati ed in continua oscillazione, mentre il nostro cane è in grado continuamente di darci lezioni sulla effettiva utilizzazione dell’odorato. Sarebbe, pertanto, stupido pensare che la realtà sia ciò che noi percepiamo. Come se ciò non bastasse, ogni uomo è normalmente così sciocco da pensare di essere la cosa più importante del mondo: si sente in diritto di irritarsi di tutto e di andarsene sbattendo la porta, sele cose non vanno nel modo a lui congeniale, pensando magari di dare così prova di carattere. Così facendo si comporta, in realtà, da debole presuntuoso e distorce la percezione del mondo tanto da non poterlo più nemmeno percepire: come un cavallo con il paraocchi vede solo se stesso distinto da tutto il resto. La descrizione del mondo, già oggettivamente effimera e parziale, diventa ancora meno corrispondente alla realtà perché ulteriormente viziata dalla soggettività esasperata. Se non si ha paura di rompere con la propria descrizione del mondo, non in modo teorico e intellettuale, – ripeto ancora – ma utilizzando tutti i mezzi concreti per viverne l’arbitrarietà,consapevoli del senso di angoscia, di ansia e si incertezza al quale si va incontro, lo si faccia, senza perdere tempo, con decisione e consapevolezza, ricordando che, malgrado l’orrore delle situazione nella quale ci si viene a trovare, questo non è che il primo passo, anzi il primo viaggio, la prima prova, quella attraverso la terra. La seconda prova deve ancora venire. Abbandonato lo spettacolo-illusione dei fenomeni materiali ci si incontra con una realtà molto diversa da quella di prima, con la Forza primordiale che regge la vita di tutti gli esseri.La chiamavano Acque corrosive, Drago, Mostro che uccide; la sua natura è brama, appetito insaziabile, necessità irresistibile, furia cieca anelante alla propria soddisfazione.Non è attrazione mitologica, né favola, né modello costituito dai teorici: ciascuno di noi ha avuto occasione di toccare inavvertitamente un oggetto incandescente o un filo elettrico scoperto;ciascuno di noi ha provato l’attimo di paura mortale: la reazione pronta, velocissima non è stata provocata né dall’“io”, né dalla “volontà”, ma da qualche cosa di più violento, profondo e veloce che ha agito. Tanti episodi di cronaca, la cui motivazione pare essere “improvviso impeto di ira cieca”,“colto da raptus”, “in preda al panico”, sono fenomeni in cui essa appare allo scoperto, violenta e tenebrosa. Ma anche escludendo questi attimi di esplosione, è possibile percepirne il sordo brontolio, quale sottofondo della nostra vita: le convinzioni radicate e irrazionali, gli atavismi, i moti istintivi, la componente animale biologica, cieco istinto e desiderio allo stato puro, che covano Sotto la crosta superficiale di noi “uomini civili” ne sono l’eco. Pur di soddisfare la sua brama, essa assume gli aspetti e le forme intellettuali più diverse, al fine di placare la “ragione” che le si oppone:più si “vuole” contro di essa, più essa si alimenta, più si cerca di dominare la propria paura, più questa cresce, più si cerca di riposare, più il sonno sfugge, più la coscienza cerca di soffocare la“passione”, più questa diventa violenta e morbosa, Abbiamo il coraggio di spiarla e di divenire consapevoli di alcune verità: voglio io la mia forma corporale, il mio respiro, le funzioni del cuore o del fegato? Ma peggio ancora, La “mia coscienza”, il mio “io”, la mia “volontà”, li voglio o li sono solamente? Sono io che possiedo loro o sono loro che possiedono me? Posso ancora parlare di qualche cosa di “mio”? i Ma continuo a scendere per distogliermi da me, nelle oscure profondità dell’abisso, negli inferi, laddove la forza perde ogni identificazione per diventare me e non me, natura pura e indifferenziata contenente, ad un tempo, idea e sostanza, morte e vita, vuoto e tempo sostanziato, indifferente al bene e al male, al giusto e all’ingiusto, al bianco e al nero, pura fluidità disponibile ad assumere qualunque forma: così facendo, nel momento in cui la ragione vacilla e lo spavento tocca il limite del sopportabile, si raggiunge la CONOSCENZA DELLE ACQUE, dell’Umido radicale della Tradizione, del Samsara dei Buddisti, cella Cakti degli indù, del serpente alato di Maya, simboleggiate dal triangolo con la punta verso il basso, segno di cieca precipitazione.
Contemporaneamente scopro che il mio destino di uomo è quello di cercare qualche cosa di fermo e di impassibile che soggioghi quella potenza; ho visto lo sbuffare infuriato del toro di Lidia e ne ho inteso lo spaventevole galoppo, so che il mio dovere-compito è quello di afferrarlo per le corna e immobilizzarlo come fece quell’Ercole che qui accanto a noi è rappresentato. Pura follia? Orgoglio smisurato? Vaneggiamento di superbia? Nessuno chiede di credere per fede anzi è obbligatorio non credere, ma provare: la pietra grezza da squadrare, domandola, è qui nella tua volontà profonda. nei più segreti desideri, in quelli che talvolta non si osa confessare nemmeno a se stessi. Coraggio: facciamola uscire, destiamola e creiamole resistenza e ne sentiremo l’impeto selvaggio, quello stesso che dobbiamo domare, facendo violenza all’umido radicale discendente, con il fuoco ascendente dello spirito, simboleggiato dal triangolo verso l’alto: l’unione dei due è il simbolo della vittoria equilibratrice, il sigillo di Salomone. Scegli fratello apprendista: da un lato vi sono gli uomini dormienti, schiavi, senza conoscenza; dall’altro vi sono i Vincitori del Drago. i San Giorgio, gli Ercole domatori del toro, i Camminanti sulle Acque; in mezzo è la corrente mostruosa che questi ultimi hanno attraversato, trasformando il cerchio senza centro, scatenata forza lunare, nel simbolo del sole trionfante, cerchio con il centro. Però ricordati, fratello apprendista, che hai osato entrare nel tempio e salire una scala di tre gradini, perché eri uomo libero e di buoni costumi, che qui si tratta di una lotta atroce nella quale giochi il tuo equilibrio mentale e la tua vita, nella quale avere paura e fermarsi sono cause di sicuro disastro. La via è senza ritorno; ciò che sai lo sai per sempre e non puoi più cancellarlo; via via che ti opponi alle acque, arresti una quantità sempre più elevata di energia: se cedi un attimo, essa ti travolgerà miseramente e senza possibilità di riprovare. D’altra parte, sii convinto che non c’è nulla al mondo che in iniziato non possa affrontare: un iniziato si considera già morto, per cui non ha nulla da perdere; egli va alla conoscenza come un antico guerriero andava in battaglia; vigile, con timore, con rispetto e con assoluta sicurezza; se soddisfa a questi requisiti, non ci sono errori da spiegare e se patisce una sconfitta, avrà solo perso una battaglia, e per questa non ci possono essere rimpianti. Impara a volere senza desiderare, senza paura, senza pentimenti. Uccidi la necessità; usa tutto e contemporaneamente non diventare un ricco di cui si è detto che “sarà più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che uh ricco entri nel regno dei cieli”. Se non desidererai nulla e non avrai paura di nulla, ben poche sono le cose di cui non diverrai padrone, ma non utilizzarne nessuna se prima non l’hai vinta in te stesso.
20 gennaio 1983 dell’e.’. v.’.
TAVOLA SCOLPITA DAL FR.’. FABRIZIO COLONNA