FRAMMENTI DI UN DISCORSO INCOMPIUTO
di Marco Veglia
Nello studio dei rapporti fra massoneria e letteratura è agevole scivolare, da un lato, nella bulimia commemorativa, che ascrive alla prima uno scrittore che abbia toccato o svolto temi declinati anche dall’esperienza latomistica, 0, dall’altro, nel difetto opposto, che rifiuta persino di riconoscere temi, nell’arco dell’operosità di uno scrittore, che abbiano una precisa e documentata pertinenza liberomuratoria. Nell’uno e nell’altro caso, si contano numerose occasioni perdute di fare chiarezza sul profilo, sugli intendimenti, talvolta ancora sulle strategie letterarie di autori di primaria grandezza, Si pensi a quanto abbia pesato la versione di Maria Pascoli sulla negazione della militanza massonica del fratello Giovanni, poi clamorosamente smentita dal testamento acquisito dal GOI, Tra le opere di Carducci della seconda metà degli anni Sessanta difficilmente si studia il libello che egli scrisse indirizzato ai Fratelli Liberi Muratori e che gli costò l’espulsione decretata dal Gran Maestro Frapolli, prima di rientrare a tempi e con la guida di Adriano Lemmi, quasi vent’anni più tardi. ” Poiché un primo problema storiografico è senz’altro da porre: quali e quanti scrittori furono documentariamente massoni dal Settecento al Novecento; quali, pur senza carte che ne accertino l’affiliazione, sono stati vicini a determinati ambienti e si sono a tal punto riconosciuti in certe prospèttive ideali che il Grande Oriente stesso S’è voluto riconoscere in loro (come, ad esempio, nel caso di De Amicis). È ancora possiamo e dobbiamo chiederci se vi siano generi letterari prediletti da scrittori massoni e se quella predilezione sia il frutto di una sensibilità educata nel quadro valoriale latomistico o se sia l’esito invece di una sperimentazione letteraria da ricondurre in autonomia al profilo culturale dell’autore, senza altri reconditi significati. Di. certo, poiché essa s’inquadra nel pronunciamento pubblico del GOL in tema di educazione popolare, ha un particolare rilievo, in questa prospettiva, la letteratura per l’infanzia, che può annoverare “persone prime” come Pascoli, Collodi, Vamba, senza dimenticare, pur con le cautele indicate, la morale laica di De Amicis. Il problema storiografico dovrebbe in questo caso estendersi a personaggi che si sono politicamente impegnati nel mondo della scuola, Francesco De Sanctis, Ferdinando Martini, Guido Baccelli, gli stessi Pascoli e Carducci nella loro veste di professori, Augusto Murri. Se, per il Settecento, altro è il caso di Alfieri > e di Goldoni, che andrebbe rincalzato con altri “minori” e con una produzione letteraria non di rado esplicita nei propri intendimenti liberomuratori (si pensi al caso di Tommaso Crudeli, di Aurelio Bertola, e, soprattutto, aggiungerei, di Francesco Saverio Salfi, autore di un Hiramo e di un libello intitolato Della utilità della Franca Massoneria sotto il rapporto filantropico e morale), altro è il caso di scrittori come Cuoco e Pagano, che del resto, specie il primo, ci aiutano, per affinità e per contrasto — si ricordino le pagine di Giulio Bollati su L/Italiano – a entrare nel mondo milanese del “Conciliatore”, dove, sia pur senza certezze, possiamo nondimeno ipotizzare che la vicinanza, se non la sovrapposizione, ad ora ad ora, con fermenti massonici fosse agevole e fosse come tale avvertita dal governo austriaco. Ma su tutto il Settecento massonico nei suoi riflessi letterari è da rimandare agli studi di Francesca Fedi, che ne è la massima esperta, e all’aritologia assai preziosa che ella curò, in collaborazione con uno dei nostri principali studiosi del Sette-Ottocento, William Spaggiari: Le Muse in Loggia (2002). Diverso il caso dell’Ottocento, dove il Risorgimento accresce in quantità e qualità l’esposizione degli scrittori massoni, anche su temi propriamente liberomuratori (accade al Garibaldi scrittore, al Carducci tardo di Rime e Ritmi come pure a quello giovane che calzava la maschera di Enotrio Romano, a cominciare dall’Inno a Satana che pur rivelava, all’interno della stessa massoneria, orientamenti diversi, se non divergenti, sul progresso politico, come s’intuisce dalle Polemiche sataniche che opposero fraternamente ma fermamente il massone Carducci al massone Quirico Filopanti). E lo stesso potrebbe dirsi del mondo del giornalismo culturale e politico, vuoi di un Ferdinando Martini, vuoi di un Vamba. Per Pascoli — mentre per D’Annunzio occorre attendere il sincretismo utopistico del periodo fiumano — ci si può avventurare in particolare negli studi danteschi, nel Fanciullino, nella prefazione a Odi e Inni, negli incompiuti Poemi del Risorgimento, con l’apice rappresentato dall’epigrafe scritta per la morte dell’amico e massone Andrea Costa. Emblematico, per evidenza di orientamenti politici democratici fatti scaturire da un ambiente di formazione fortemente massonico come quello ravennate, il caso di Olindo Guerrini. Molto diversi, di contro, nel Novecento, i casi di Salvatore Quasimodo e Piero Chiara, dove è molto difficile, se non altro, trovare rispecchiamenti letterari dell’esperienza massonica. Radicato nella Bologna carducciana, cresciuto nell’associazionismo della Corda fratres di Efisio Giglio Tos (il cui inno fu scritto da Giovanni Pascoli), ricordiamo in chiusura il caso di Angelo Fortunato Formiggini, che tragicamente si chiuse con le leggi razziali del 1938. Piace pensare, infine, a questa figura, alla sua Filosofia del ridere, alla sua impresa editoriale che sfociò, tra l’altro, nei Classici del ridere. Un intellettuale, un massone, uno scrittore e editore persuaso’ che l’intelligenza ironica, la sua capacità di smascherare le incongruenze e le mistificazioni della realtà, sia una delle massime virtù di un uomo libero, secondo quella che fu del resto la grande lezione del Settecento illuminista. Ridendo dicere verum. Dopo tutto, un buon promemoria.