IL SIMBOLISMO MASSONICO


Il quadro che abbiamo delineato non sarebbe completo se non facessimo abbondantemente menzione del momento centrale del naturalismo massonico che è il simbolismo, nel quale vengono a confluire tutte le tendenze finora citate.

Il “Libero Muratore”, dal momento del suo ingresso in Loggia, si trova dinanzi ad una quantità incredibile di simboli, più o meno accessibili; deve vedersela con le molteplici “parole sacre e di passo” di cui, secondo i più illuminati dei Massoni, dovrebbe conoscere il significato letterale e simbolico.

I riti massonici, pieni di detti simboli, non sono il retaggio inutile di una tradizione tenuta in piedi dalla forza d’inerzia e dalla staticità massonica; sono invece, gli strumenti più efficaci per ottenere dagli iscritti piena e totale ubbidienza e per conseguire quel “lavaggio del cervello” al quale già abbiamo accennato. “Dobbiamo o vogliamo ricordare … che nulla in Massoneria è ritualmente superfluo o meramente coreografico, ma tutto necessario e tassativo, perché fondamentalmente essenziale” (LV, 1956, 150 – corsivo nostro).

Ha ragione, quindi, il Gorel Porciatti quando dice: “Nessun rito è senza valore. Anche se compiuto macchinalmente, l’atto ritualistico ha la sua efficacia”. E aggiunge: “Consideriamo un Massone che si prepara ad entrare in Loggia; con mille preoccupazioni in capo cinge il suo grembiale pensando ad altro; poi prende macchinalmente la posizione prescritta, esegue il segno e la marcia del grado per giungere finalmente fra le colonne.

Anche se eventualmente tutto è stato fatto distrattamente, per abitudine, il Massone, senza che se ne renda conto, è occultamente influenzato, cosicché egli non si comporterà mai in Loggia come ad una pubblica riunione. Tutto procede come se ognuno degli atti successivi avesse avuto la sua ripercussione nel dominio misterioso del sentimento. Mancando il cosciente il grembiale avverte il subcosciente che occorre non essere più lo stesso uomo. La mano posta sotto la gola ha avuto realmente la virtù di contenere le passioni nel petto, affinché il segno della squadra possa affermare senza mentire: “Il mio cervello è calmo ed io giudicherò qui con imparzialità, con la rigida equità che mi impone il mio carattere di Massone”. Bisogna essere ben mediocri psicologi per guardare con scherno delle pratiche aventi di puerile solo delle apparenze ingannevoli” (GORMA, 38).

È purtroppo vero: nella simbologia massonica non c’è nulla di puerile e si commetterebbe un grosso errore a non considerarla in tutti i suoi molteplici effetti.

Invero i simboli massonici, e più ancora i Rituali, sono un forte strumento di suggestione e, diciamo anche, di confusione della coscienza di chi vi partecipa. Questo effetto non è ignoto ai vecchi Massoni, tanto che gli autori più avveduti insistono molto sulla necessità di mantenere intatte le caratteristiche tradizionali del rituale massonico: “Chi vuol modificare le forme Massoniche non è un Iniziato, non è un vero Massone. Novatori che pretendete riformare una istituzione la quale sopravvisse a tante generazioni senza alterare lo spirito suo, conservatene i Rituali se non volete che le vostre metamorfosi la uccidano!”, sentenzia il Gorel Porciatti (GORMA, 39).

Nella Riunione Annuale della Gran Loggia di Palazzo Giustiniani, il 30-31 ottobre 1954, un Venerabile di Torino che diceva di esprimere il pensiero di altri Fratelli, affermava “che non è vero che si senta il desiderio di modernizzare; o meglio chi sente questo desiderio, è probabile che non abbia compreso il senso intimo della Massoneria, che è inscindibile dal rispetto della tradizione. Onde sarebbe una follia rompere con la tradizione” (RA, 54, 62); così pure si esprimeva il Gran Segretario Umberto Genova, in una lettera del 7 marzo 1961: “La conoscenza delle nostre finalità ed aggiungerò un po’ di buon senso non sono patrimonio molto comune alla massa dei Fratelli della nostra Comunione. Con tutte le conseguenze che vediamo ogni giorno ad opera dei così detti innovatori, riordinatori, modernisti. Vedremo cosa accadrà”.

Tutti quindi concordano nella necessità inderogabile del tradizionale insegnamento simbolico a mezzo dei Rituali: “È nostro dovere alimentare la fiaccola dell’insegnamento esoterico, proseguire la tradizione iniziatica; compenetrarsi della profonda necessità rappresentata dalla iniziazione al terzo grado che è la chiave dei Misteri Massonici, la base per lo studio, per la meditazione, per lo sforzo intuitivo, per tutto quel segreto e tenace lavoro di mente e di cuore che deve dar ad ogni Massone la rivelazione dei Misteri dell’Ordine” (GORMA, 28).

L’iniziazione dunque assolve nella Massoneria ad una funzione fondamentale, non solo speculativa ma pratica; e di fatto lascia tali tracce da indurre a pensare che avere avuta una seria iniziazione equivalga ad essere Massone per tutta la vita. Galeazzo Ciano scriveva nel suo Diario: “Ho un colloquio con Padre Tacchi Venturi … Tacchi Venturi diffida di Starace”. Dice: “Chi è stato tre puntini, lo rimane per tutta la vita” (CID 1, 217).

“Il mezzo per procedere a queste investigazioni (del Vero) è lo stesso che ha permesso ai saggi delle varie epoche di raggiungere risultati grandiosi: l’Iniziazione” (GORMA, 26). E non c’è dubbio che, per un Massone, l’unica iniziazione possibile sia quella operata con il simbolo e con il Rituale: “La Vera Iniziazione … è tutta, dico TUTTA, contenuta nel simbolismo e nella Rituaria Massonica” (LIBSM, 22 – maiuscolato nel testo).

Se insistiamo sull’iniziazione massonica è per far intendere quale funzione capitale essa svolga relativamente alla formazione di ogni aderente; qui, veramente, il simbolo da forma si fa sostanza, tanto da potersi dire che l’uomo nuovo che vien fuori dall’iniziazione è quale i simboli ed il Rituale lo hanno formato;

allora s’intende che “il simbolo risponde al bisogno di dare forma reale ed oggettiva alle concezioni del nostro spirito, e se è alla radice di ogni civiltà passata, con l’evolversi della vita esso rifiorisce; infatti è di oggi la toga del magistrato, la sciarpa del sindaco, la corona d’arancio, l’anello matrimoniale, il battesimo del neonato, le gramaglie della vedova, ed infine la bandiera, simbolo palpitante della Patria per cui si vive si combatte e si muore” (GORMA, 39).

Dunque “L’iniziazione è l’ammettere a partecipazione o conoscenza dei segreti sacri, affidare così il tesoro già accumulato, indicare la via da seguirsi per accrescerlo, ed indicare quali sieno i mezzi migliori per procedere per essa; con l’Iniziazione, quando essa è completa, sono compresi due concetti: affidare la fiaccola e confidare che essa venga alimentata” (GORMA, 26).

Da quanto abbiam detto s’intende agevolmente che il simbolismo massonico, da un lato, e l’organizzazione ferrea, dall’altro, siano i due pilastri sui quali poggia l’edificio massonico, assai più che sui vaneggiamenti pseudofilosofici che nessuno intende e nessuno convincono. Ma la forza di convinzione di certi strani riti, zeppi di elementi simbolici dalle più strane provenienze, deve essere enorme soprattutto su coscienze deboli o poco formate. “Le iniziazioni massoniche sono, per i primi tre gradi, e sempre che sieno condotte ritualmente, quanto di più bello, di più completo e di più perfetto si possa realizzare nei tempi attuali, poiché toccano profondamente e risvegliano la sensibilità, colpiscono l’immaginazione e inducono alla riflessione, raggiungendo così lo scopo fondamentale di qualsiasi iniziazione” (GORMA, 26-27). Lasciamo da parte la “bellezza” e la “perfezione” dei riti; ma il resto, purtroppo, è tutto vero.

Il carattere di questo lavoro non ci consente di descrivere partitamente i Rituali dei vari gradi con tutta la simbologia massonica che comportano. Non possiamo però astenerci dal rifarci alla caratteristica essenziale che permette al lettore di orientarsi nel campo vastissimo dell’astruso simbolismo massonico.

Conformemente alle premesse naturalistiche, il tema centrale e il segno dominante del simbolismo massonico è l’uomo.

E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che anche il simbolo, anzi soprattutto il simbolo serve a “trasformare” l’uomo in senso massonico; infatti: “Quando si deve realizzare un programma di ordine prevalentemente pratico – quale è quello che si propone la Rispettabile Loggia ANKH – e cioè la CREAZIONE DELL’UOMO, di quell’UOMO che Diogene cercava al lume della sua lanterna, del Kabalistico ADAM KADMON, l’UOMO D’ARGILLA ROSSA, e, per intenderci meglio, dell’UOMO CHE, INTEGRATO NEI SUOI POTERI DIVINI, ASSURGE ALLA POTESTÀ DI NUME, MENTRE È ANCORA NELLA MASCHERA DI CARNE, – è il regnum regnare docet che ne decide il successo e non già la parola, la quale, una volta dato l’orientamento, diventa a ciascuno interiore e, pertanto, inespressa e valida in se stessa a nutrirsi della propria essenza ed a crescere in ricchezza di significati intraducibili nella ciarla abituale, la quale, invece, per la sua vanità acquisisce la natura diabolica.

Diabolos, in greco, significa ostacolo.

La parola vana è diabolica, perché ci ostacola il cammino, ci sbarra la via, ci ferma” (LIBSM, 20 – maiuscolato e corsivo nel testo).

Per non fermarsi, dunque, ma anzi progredire, l’uomo ispira tutta la simbologia massonica, come scrive G. Ceschina, sulla Rivista di Palazzo Giustiniani, con l’articolo: “Il simbolismo massonico nella sua applicazione all’uomo”, corredato da un grafico che lo rende più chiaro”:

“Tutti i riti, le favole, le leggende, i miti si riferiscono ad un solo argomento: l’uomo.

Così è anche per il simbolismo massonico.

Osserviamo il Tempio. Esso pure non può non rappresentare l’uomo, il grande Uomo, l’Adamo che racchiude in sé tutta l’umanità quale prototipo di essa.

Le due gambe saranno rappresentate dalle due colonne che si trovano ai lati della porta d’ingresso. E come la loggia posa sul 1° e 2° Sorvegliante, così il corpo umano posa sui piedi. Dalla parte opposta troveremo la testa dell’uomo, il cui triangolo, tracciato sulla fronte, equilibra la luna ed il sole, rispettivamente inclusi nell’occhio sinistro e destro di esso, allo stesso modo che la ragione in una superiore visione risolve i dubbi sorti dalla diversità delle opposte opinioni. Lì presso è Minerva, che sorse un giorno dal cervello di Giove, quale intelligenza illuminante l’uomo; più sotto vi è la bocca, rappresentata dalla parola saggia (verbo) del venerabile, che il 1° diacono, quale orecchio destro, raccoglie per trasmetterne l’eco a tutti i fratelli.

Giù per il collo, le spalle, le scapole, quali scalini di carne e d’ossa, si scende alla cavità toracica, che si presenta come una caverna. È la caverna degli Eletti del 9° grado, dove si svolge la lotta fra gli istinti e la volontà, è la grotta di Betlemme nella quale la pramantha s’accende illuminandola d’una luce sublime. La pramantha è il cuore; dalla parte del cuore v’è in loggia l’Ospitaliere caritatevole e la statua di Venere, dea dell’amore che nel cuore ha la sua sede.

Le passioni scatenate, che la volontà deve vincere, vengono su dal ventre, dove covano le cupidigie, le voracità, le voglie, le avidità e queste cercano di impedire il progresso dell’uomo, ed è là che v’è la tomba d’Hiram, con l’acacia che rappresenta l’anelito dello spirito, mai completamente estinto.

Più in basso una spessa tenda nasconde i misteri della generazione, che solo i kadosch possono scoprire.

Per completare il quadro, diremo che il braccio destro ben s’adatta a raffigurare l’energia dell’Esperto che guida il recipiendario nelle prove (Ercole), mentre il braccio sinistro è il Maestro delle cerimonie che adorna i riti di quella bellezza che Venere lì presso gli ispira.

Come la via della perfezione è quella che conduce il Massone dalle soglie del Tempio al luminoso Oriente, così la tappa successiva è rappresentata dalla via della realizzazione, che consiste nella diffusione di tale stato perfetto nel mondo esteriore. È la Massoneria che irradia di luce il mondo profano. Altri simboli dell’influenza delle forze spirituali sul mondo sono il triangolo rovesciato su un tratto di cerchio e le due teste d’aquila, queste ultime per indicare come tali forze siano dirette verso tutte le direzioni, allo stesso modo dell’aquila che si serve di entrambe le sue teste per volgere lo sguardo intorno a sé. È l’aquila del Conclave, del Concistoro e del Supremo Consiglio, cui va riferito il concetto di tale azione giusta e benefica, esercitata dai gradi della gerarchia scozzese nelle sue superiori assise” (LV, 1959, 131-132).

Ci si perdoni la citazione, anche troppo lunga, ma s’è resa necessaria non soltanto per dare un’idea dei termini e dei segni sui quali si insiste di più nel simbolismo massonico, ma anche perché l’articolo, nella sua schematica precisione, mostra come sia stretta e serrata l’unione tra gli elementi materiali dell’uomo ed i significati simbolici del rito massonico.

L’uomo è veramente lo sfondo del simbolo massonico, idea sempre presente nel simbolo, dalla quale tutte le altre traggono sviluppo e significato. Perciò, esaminando altre notevoli forme simboliche, abbastanza importanti per il nostro studio, vedremo che esse partono e prendono vita da qualche elemento del corpo umano e si riferiscono ad esso.

Così chi voglia por mente ad altri simboli esistenti nel Tempio ed ai riti che vi si svolgono, troverebbe, per esempio, che “le due colonne del Tempio ricordano quelle del vestibolo del tempio di Salomone (I Re, VII, 21), l’una alla parte sinistra dell’entrata del Tempio dal nome “Bohaz;” che significa “la forza, la fermezza”; l’altra a destra dal nome “Jackin” che significa “la stabilità, che Dio l’ha fermata” (significato letterale delle parole) … Questo binario fondamentale rappresenta il duplice aspetto del principio animatore di tutte “le cose: il Fuoco che si accende in tutti gli esseri e ne assicura la crescenza, lo sviluppo, la potenza, ed è raffigurato dalla colonna Bohaz; il Vento, cioè l’Aria che tutto avvolge e tutto circonda e tutto riceve nel suo seno, che dà la possibilità della vita universale, è raffigurata dalla colonna Jackin.

Le due colonne compendiano i due essenziali principii dell’Universo secondo le dottrine esoteriche e secondo ogni filosofia vivente. La colonna B.°. è Agni dell’antichissimo culto vedico, l’Eterno Mascolino, l’Intelletto creatore, lo spirito puro; la colonna J.°. è Soma, l’Eterno Femminino, l’Anima del mondo o sostanza eterea, matrice di tutti i mondi visibili ed invisibili ad occhio umano, natura o materia sottile nelle sue infinite trasformazioni.

Le proporzioni delle colonne del Tempio di Salomone quali ci sono tramandate dalla Bibbia conferiscono loro un aspetto fallico che le ravvicina a numerosi monumenti fenici consacrati al potere generatore maschile, ed il capitello terminantesi in calotta emisferica circondato da un doppio ordine di melagrane completa il simbolo della generazione” (GORMA, 51-52).

Vediamo qui accennato quello che pare un dato irrinunciabile del simbolismo e della prassi massonica: il culto fallico. Come vedremo, non si tratta soltanto di simboli ed allegorie: si tratta di un ordine d’idee che può generare grossolane oscenità.

Ci accingiamo perciò ad illustrare brevemente questo tratto del simbolismo massonico e ad accennare a qualcuna delle dichiarazioni e delle conseguenze più nefaste; può servire, infatti, a delineare, meglio che mille discorsi, la mentalità e la moralità massoniche.

Le due Colonne sono il simbolo della Vita: “L’equilibrio umano ha bisogno di due piedi, i mondi gravitano su due forze, la generazione esige due sessi. Tale è il significato dell’Arcano di Salomone, figurato dalle due colonne del tempio” (Eliphas Levi).

“Alle due colonne sono strettamente legate le parole sacre dei due primi gradi massonici” (GORMA, 53-54).

Questa corrispondenza tra le colonne del Tempio, le due lettere e le parole in esse scritte, è significativa. Gorel Porciatti cita quindi (GORMA, 54, nota 15) come “buona e copiosa fonte” l’opera del Reghini, “uno dei pochissimi lavori italiani attinenti alla Massoneria che meriti l’attenzione dello studioso”,

Il Reghini, infatti, nella sua opera: “Le parole sacre e di passo dei primi tre gradi ed il massimo mistero massonico – Studio critico ed iniziatico”, (Todi, Atanòr, 1922, alla pag. 102 – v. Tav. II), ci dà un elenco meticoloso dei vari significati delle parole Bohaz e Jakin,

Per chi non sapesse il greco, Reghini mette la nota (1): “Le Cteïs c’est la maison du fallus”, dice E. Levi, “Dogme de la Haute Magie”, pag. 125″.

Questo francese, fin troppo chiaro, ci viene ulteriormente spiegato nel volume: “Le basi spirituali (sic!! – N.d.A.) della Massoneria Universale”, riferendosi sempre al simbolismo ideografico ed alla corrispondenza fallica: “VITA, in egizio ANKH, in ebraico EVE – La Madre dei Viventi – (cioè di coloro che vivono e non di coloro che sono vissuti e morti!) è lo stesso di MARIA, in ebraico MYRIAM; e che Venere, non la Dea dell’Amore, ma la … FORMA o UTERO FEMMINILE, soprannominata MIRIONIMA (dai diecimila nomi) sono le stesse cose.

È la triplice affermazione d’uno stesso PASSIVO su cui deve agire il maschile JOD CABALISTICO per … Qui faccio punto.

… e taccio, perché effettivamente, l’intuizione esatta della Verità occultata maldestramente sotto un tenue velo potrebbe portare all’applicazione pratica … Ed io non so che cosa possa poi nascere: si potrebbe svegliare nel Fratello lettore un benevolo Nume (e questo è Bene), ma si potrebbe svegliare anche un bruto (e questo è il Male). Ed io non voglio fare il male, ma solo il Bene.

… credimi, l’ho fatto PER LA TUA SALUTE, non quella dell’anima – di cui hanno il monopolio i preti – ma per tenermi terra terra, di quella del corpo”. (LIBSM, 59-60 – maiuscolato e corsivo nel testo).

Non è facile comprendere il perché della ristampa anastatica fatta nel 1968. dalla Casa Editrice massonica “Atanòr”, del libro stampato nel 1926 da P. Piobb: “Venere la magica dea della carne”, un’opera “di sì grande importanza” perché “sintesi completa della religione di Venere” (pag. 1).

In mezzo a tanta colluvie di pubblicazioni pornografiche, oggi così sfacciatamente abbondante, era proprio il caso di ripubblicare quest’opera? A quale scopo? Che non sia quello di dare una giustificazione di un presunto diritto, al fatto di questa immoralità dilagante?

Ci torna, tanto malinconicamente, alla memoria, la lettera di Vindice a Nubius, scritta da Castellammare il 9 agosto 1838, nella quale svolge la teoria della Alta Vendita Carbonara romana: “Il cattolicismo, meno ancora della Monarchia, non teme la punta d’uno stile; ma queste due basi dell’ordine sociale possono cadere sotto il peso della corruzione. Non stanchiamoci dunque mai di corrompere. Tertulliano diceva con ragione che il sangue dei martiri era seme di cristiani. Or è deciso nei nostri consigli che noi non vogliamo più cristiani: dunque non facciamo dei martiri; ma popolarizziamo il vizio nelle moltitudini. Che lo respirino coi cinque sensi, che lo bevano, che se ne saturino; e questa terra, dove l’Aretino ha seminato, è sempre disposta a ricevere osceni e lubrici insegnamenti. Fate dei cuori viziosi e voi non avrete più cattolici. Allontanate il prete dal lavoro, dall’altare e dalla virtù: cercate destramente di occupare altrove i suoi pensieri e il suo tempo. Rendetelo ozioso, ghiottone e patriotta, egli diventerà ambizioso, intrigante e perverso…

Noi abbiamo intrapresa la corruzione in grande; la corruzione del popolo per mezzo del clero, e del clero per mezzo nostro, la corruzione che deve condurci al seppellimento della Chiesa. Uno dei nostri amici, giorni sono, rideva filosoficamente dei nostri progetti e diceva: “Per abbattere il cattolicismo bisogna prima sopprimere la donna”. Questa frase è vera in un senso, ma poiché non possiamo sopprimere la donna, corrompiamola insieme colla Chiesa. … Lo scopo è assai bello per tentare uomini come noi; non discostiamocene per correr dietro a qualche miserabile soddisfazione di vendetta personale. Il miglior pugnale per assassinare la Chiesa e colpirla nel cuore, è la corruzione. Dunque all’opera sino al termine!” (DLPO, I, 611).

È quanto, con meno retorica, asseriva Leone XIII nell’Enciclica “Humanum genus” del 20 aprile 1884: “… esagerando le forze e l’eccellenza della natura, e collocando in lei il principio e la norma unica della giustizia, (i Massoni) non sanno più concepire che, a frenare i moti e moderarne gli appetiti, ci vogliono sforzi continui e somma costanza. E questa è la ragione, per cui vediamo offerte pubblicamente alle passioni tante attrattive: giornali e periodici senza freno e senza pudore; rappresentazioni teatrali oltre ogni dire disoneste; arti coltivate secondo i principii di uno sfacciato verismo; con raffinate invenzioni promosso il molle e delicato vivere; insomma cercate avidamente tutte le lusinghe capaci di sedurre e addormentare la virtù. Ed a conferma di ciò che abbiamo detto può servire un fatto più strano a dirsi, che a credersi. Imperocché gli uomini scaltriti ed accorti non trovando anime più docilmente servili di quelle già dome e fiaccate dalla tirannide delle passioni, vi fu nella setta massonica chi disse aperto e propose, doversi con ogni arte ed accorgimento tirare le moltitudini a satollarsi di licenza: così le si avrebbero poi docile strumento ad ogni più audace disegno” (In CC, s. XII, vol. 6, 273-274).

Ritornando sull’argomento, lo stesso Papa nella Lettera al Popolo Italiano “Custodi di quella fede” dell’8 dicembre 1892, scriveva: “Senza esagerare la potenza massonica attribuendo all’azione diretta e immediata di lei tutti i mali che nell’ordine religioso presentemente ci travagliano, … vi si sente il suo spirito; quello spirito … nemico implacabile di Cristo e della sua Chiesa…

Dalle rovine religiose alle sociali brevissima è la via. Non più sollevato alle speranze e agli amori celesti il cuore dell’uomo, capace e bisognoso dell’infinito, gittasi con ardore insaziabile sui beni della terra; ed ecco necessariamente, inevitabilmente una lotta perpetua di passioni avide di godere, di arricchire, di salire, e quindi una larga ed inesausta sorgente di rancori, di scissure, di corruttele, di delitti. Nella nostra Italia morali e sociali disordini non mancavano certo anche prima delle presenti vicende; ma che doloroso spettacolo non ci porge essa ai dì nostri! Nelle famiglie è assai menomato quell’amoroso rispetto che forma le domestiche armonie: l’autorità paterna è troppo sovente sconosciuta e dai figli e dai genitori; i dissidii sono frequenti, i divorzi non rari. Nelle città crescono ogni dì le discordie civili, le ire astiose tra i varii ordini della cittadinanza, lo sfrenamento delle generazioni novelle che cresciute all’aura di malintesa libertà non rispettano più nulla né in alto né in basso, gl’incitamenti al vizio, i delitti precoci, i pubblici scandali. … L’ordine sociale infine è generalmente scalzato nelle sue fondamenta. Libri e giornali, scuole e cattedre, circoli e teatri, monumenti e discorsi politici, fotografie e arti belle, tutto cospira a pervertire le menti e corrompere i cuori. Intanto i popoli oppressi e ammiseriti fremono; le sette anarchiche si agitano; le classi operaie levano il capo e vanno a ingrossare le file del socialismo, del comunismo, dell’anarchia; i caratteri si fiaccano, e tante anime non sapendo più né degnamente patire, né virilmente redimersi dai patimenti, abbandonano da se stesse, col suicidio, codardamente la vita”. (In CC, s. XV, vol. 5, 11 e 12-13).

E Leone XIII continua: “Cerca (la Massoneria) di lacerare l’unità cattolica, seminando nel clero stesso zizzania, suscitando contese, fomentando discordie, aizzando gli animi all’insubordinazione, alla rivolta…”. (In CC, s. XV, vol. 5, 16-17).

Sempre ricordando il saggio avvertimento del detto Papa di non attribuire “all’azione diretta e immediata” della Massoneria tutti i mali che oggi ci travagliano, non potremmo forse chiamare “profetici” i documenti pontifici citati e dire che i fatti segnalati allora, oggi assai più gravi perché più facilmente divulgati, avvengono o con essa o non senza di essa? Ricordiamo il già citato P. Berteloot: “Quale la filosofia, tale la morale: ordinariamente vanno insieme” (BEFMEC, 1, 67).

Ma torniamo, purtroppo, all’argomento che stavamo trattando.

L’insistenza con cui gli organi della generazione danno vita, nel complesso simbolismo massonico, a sensi e significati figurati e ad espressioni falliche, è dottrina antica e nuova, sempre la stessa.

Il P. Giuseppe Oreglia di Santo Stefano s.j. pubblicava, nel 1874, il Rituale massonico del 30° Grado, edito segretissimamente a Napoli, nel 1869 (RM, 7). A proposito delle parole sacre del 1° e 2° Grado, dice nella nota a pag. 15 che “per curiosità dei nostri lettori, non vogliamo privarli di una nostra osservazione fatta da noi (Domenico Angherà) nell’isola di Malta in tempo del nostro tredicenne esilio. Assistendo noi ai lavori massonici che si celebravano in quell’isola, e vedendo le iniziali B e J delle parole sacre dei due primi gradi simbolici cioè Booz e Jackin, leggendo per azzardo all’uso arabo le due dette parole, cioè leggendole al rovescio da destra a sinistra, si ebbero le parole Zoob e Nikai. Presso i Maltesi che parlano un linguaggio arabo corrotto sono queste due parole quelle per cui si esprimono…” etc.: cioè due parole turpi. E il signor Angherà pensa che quello sia il vero senso delle due parole sacre massoniche. Ma non lo rivela che nel Rituale del 30° grado; dove ogni velo, ed anche quello del pudore, “deve cadere” (RM, 100 – corsivo nel testo).

Proprio come dice il Ceschina, sopra citato nel 1959 (v. Tav. 1): “Più in basso una spessa tenda nasconde i misteri della generazione, che solo i Kadosch possono scoprire” (LV, 1959, 132). I Kadosch, cioè i puri, che stanno al 30° Grado della gerarchia massonica, loro soli, i prodigiosi cavalieri purissimi, senza macchia e senza paura, possono darci il significato di quella croce segnata nel punto focale dello stretto perizoma che, in ogni caso, suggerisce sempre torbide relazioni tra i misteri religiosi e gli stimoli del sesso (v. IL REGNO, Bologna, maggio 1960, 4).

Quello che, con discreto riserbo, accennava il P. Oreglia di Santo Stefano s.j. ci viene esplicitamente detto da Roberto Ascarelli, ebreo e quindi competente nella lingua ebraica, Presidente della Gran Loggia d’Italia di Rito Simbolico Italiano, in un volume di suoi “Scritti e discorsi” pubblicato nel 1971: “Il mondo, per il suo futuro, e cioè nella sua eternità, ha bisogno di procreare. Il “Iod” ebraico, che corrisponde grosso modo all’J di Jachin, è il simbolo del sesso maschile; il “Bed”, che corrisponde grosso modo al B di Booz, corrisponde al simbolo femminile, perché Bed significa casa, da cui l’idea di ricettacolo, caverna. utero.

Se vogliamo ancora una curiosa conferma magica di questa interpretazione e teniamo presenti unicamente le consonanti, ben sapendo che in ebraico non si scrivono le vocali, e scriviamo Jachin con un “caph” (c duro) e un “nun”, e leggiamo a viceversa, troviamo che il nun ed il caph sono il segno scritto del coito e della copula, mentre scrivendo il Bed (b) e il Zain (z) e li leggiamo a viceversa, abbiamo il segno scritto dell’organo fecondatore, il fallo (il leggere al contrario è comune dell’interpretazione magica cabalistica) (pag. 132 – corsivo nostro).

Dato il significato così pregnante che assumono gli organi della generazione nel sistema massonico, non sarà inutile ricordare quanto abbiamo accennato più sopra, e cioè che il Convento di Losanna, nel 1875, volle sostituire al nome di Dio l’espressione “Principio Creatore”.

Alberto Pike “storico ed esegeta del Rito Scozzese Antico ed Accettato, Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio del 33° Grado per la Giurisdizione Sud degli Stati Uniti d’America, che i clericali di tutto il mondo ritennero di diminuire chiamandolo il Papa della Massoneria, mentre Egli della Massoneria, fu, in verità, uno dei più benemeriti ed eletti Fratelli” (ACMA, 1947, ante 145), emanò, da Charleston, il 20 marzo 1876, un Decreto che il Bacci chiamava “il manifesto fatale” (RIMA, 1 sett. 1876, 2), nel quale, tra l’altro afferma: “Questa espressione “Principio Creatore” non è mica una frase nuova: dessa non è che un’antica parola rediviva. I numerosi e formidabili avversari della Massoneria diranno, e ne avranno il diritto, che il nostro principio creatore è identico al principio generatore degl’Indiani e degli Egiziani, e che potrebbe venir convenientemente simboleggiato, come anticamente era, col Linga, col Phallus, e col Priapo. Patha-Torè, dice MATTER nella sua Storia dello Gnosticismo, non è che un’altra modificazione del Phta. Sotto questa forma è PRINCIPIO CREATORE, o meglio PRINCIPIO GENERATORE. Questo Phta, questo Dio Phallico, tenendo il priapo in una mano, e brandendo con l’altra il flagello, era effettivamente il “Padre delle origini”, il Principio Creatore degli antichi Egiziani”. (RIMA, 1 sett. 1876, 4). Il P. Oreglia di S. Stefano, su “La Civiltà Cattolica”, commentava: “Mi spiace dover dire che il Pike, da schietto americano, ci dà qui francamente la vera spiegazione del Dio creatore e dell’Architetto dell’Universo massonico, quale esso è inteso in tutti i Rituali della Massoneria scozzese ed in tutti i simboli delle Logge. E ciò è tanto vero che il … signor deputato ed avvocato Mussi … nella sua qualità di Membro attivo del Gran Consiglio della Massoneria romana di Via della Valle, stampò in un suo almanacco massonico di Milano appunto questa stessa spiegazione fallica del Principio creatore, dicendo che questa è la vera idea che i Massoni italiani si fanno di Dio e della creazione. Nel che concorda … coll’Arciprete Angherà” (CC, X, 1, 108).

Il quale Arciprete, a sua volta, non aveva dubbi in materia: “Il Grande Architetto dell’Universo significa la fecondità della natura: ed è un vocabolo convenzionale per significare il Dio-Universo. Universus versus unum. Quasi si avesse voluto significare un centro di gravità universale. Tutto nel mondo si produce per effetto della arcana e misteriosa potenza della generazione” (Voce Pelasga, 16 ag. 1876, 9).

Il vecchio P. Oreglia di S. Stefano aveva ragione: che il Fallo fosse il “vero principio creatore per la Massoneria e avesse un posto d’onore nei riti delle Logge non è più un mistero.

Nel già citato volume stampato fuori commercio, a Firenze, nel 1945, leggiamo: “Appunto all’equinozio di primavera … i Rosacroce celebrano le loro agapi rituali, immolando l’agnello, ricordando la formula: “Ecco l’agnello di Dio”, cioè l’immacolata Natura che “toglie i peccati del mondo”. La rosa, il più delicato e più gentile degli emblemi massonici, fiore profumato di primavera, significa grazia, venustà, giovinezza.

… La rosa fu anche l’emblema della donna; siccome la croce simboleggiava anche la virtù generatrice del Sole, l’accoppiamento dei due simboli, la croce e la rosa, esprime in forma onesta e gentile, con discreta ed arcana figurazione, l’incessante riprodursi degli esseri…

La rosa sopra la croce è anche il modo più semplice di scrivere il geroglifico “segreto dell’immortalità della vita nell’universo”, cioè l’ultima e più recondita ed arcana conoscenza dei più alti misteri” (MASFI, 62 – corsivi nostri).

Vediamo ora il Rituale: “Tutti i Fratelli (del Grado 18°, Principi di Rosa Croce) circondano la Pramantha. L’istrumento consiste in una croce di legno, a bracci disuguali, di 10 o 15 centimetri di spessore, e 20 o 25 centimetri di lunghezza, tagliata grossolanamente, e aventi l’apparenza di rami di un vecchio albero.

Al centro della croce è un foro cilindrico coperto da un coperchio a forma di rosa.

La Pramantha propriamente detta dovrebbe essere un cilindro di legno dolce di 8 o 10 centimetri di lunghezza adattantesi al foro della croce, cilindro che, col solo strofinamento, dovrebbe infiammarsi.

Il Saggissimo toglie la Rosa Mistica, introduce la Pramantha nella croce e dice: I.°.N.°.R.°.I.°.

“Il Saggissimo ritira la Pramantha accesa che tiene in mano” (FLR, 328).

Il commento lo lasciamo al Gorel Porciatti per il quale questo rito darebbe una “sensazione tipicamente religiosa” provocata da qualcosa di misterioso quanto il segreto della sua origine, di misterioso e di potente quanto il simbolo della Croce, di quella Croce che “sin dal nascere della vita umana assunse una significazione di sconcertante potenza” (GORGS, 152).

Preferiamo soffermarci, invece, sul significato, davvero “sconcertante”, che la Massoneria crede di poter attribuire alla Croce. Seguiremo sempre il Gorel Porciatti, al quale non si può rimproverare di diffondersi poco: “… il Simbolo, nel riferimento astronomico, si richiama alla grande Croce Zodiacale di cui l’asse equinoziale corrisponde al momento in cui il Sole copre dei suoi raggi la costellazione della Vergine – astronomicamente “entra in Vergine” -, dopo di ché cede, per poi risorgere a nuova vita nel successivo solstizio. Da questo ravvicinamento, strettamente connesso alla già cennata “chiave del Nilo” il cui limo è prodigio di nuova vita, si ha ragione di credere sia nato il concetto della Croce Fallica, che, quale simbolo di principio fecondante era dai sacerdoti di Osiride esposto alle feste di Dio, per offrirlo alla venerazione del popolo” (GORGS, 163-164).

Anche la Croce dunque, e purtroppo, è un elemento importantissimo del culto fallico, al quale i Massoni si dedicano senza risparmi di simboli e di parole. Vediamone partitamente i vari significati.

“Tale Croce era costituita da un triplice fallo e si richiamava così ai tre elementi: Terra, Aria, Fuoco, uniti nell’elemento primitivo, l’Acqua, che era considerato quale origine delle cose” (GORGS, 164, nota 18). E ancora: “… il concetto fondamentale di rappresentazione della Vita, attribuito alla Croce, si trova ovunque decisamente affermato, non soltanto nella sua materialità ma pure nella sua forma trascendentale.

Il tratto orizzontale, che richiama il senso di giacere, il principio passivo, è concordemente assegnato, nella metà di destra od in quella di sinistra, all’Acqua, al Caos generante, onde assume decisamente il carattere di Principio Femminile; il tratto verticale esprimerà, per contro, con la sua direzione ascendente, il concetto di virilità, di potere, assumendo così il carattere di Principio Maschile: l’uno di Capacità (produttiva), l’altro il Volere (creativo)” (GORGS, 166).

Per meglio spiegare la “Rosa Croce”, il Gorel Porciatti aggiunge: “… la Croce Egizia, la Croce Ansata … indirettamente, si richiama a quella di questo Grado, attraverso ad un ravvicinamento simbolico con il Loto, sacro simbolo orientale, di cui la Rosa è la delicata paretra (? – N.d.A.) Occidentale. La corolla circolare del Loto si schiude su di uno stelo verticale che attraversa, “fora” il piano orizzontale delle Acque. Nel suo assieme costituisce il geroglifico della Croce Ansata (un’asta verticale cui si posa una orizzontale al cui centro è un cerchietto) che, nell’ermetismo egizio significa “chiave della Vita”, spiegando così, con un facile simbolismo vegetale, lo “Ad Rosam per Crucem” cioè il pervenire all’Essenza per mezzo della Croce” (GORGS, 167).

Non meno stupefacente è il significato che viene attribuito alle lettere I.N.R.I.

Il significato di esse, alle estremità dei bracci, “dovrebbe essere Jesus Nazarenus Rex Judaeorum. La scuola filosofica invece la fa corrispondere alle quattro iniziali delle quattro parole ebraiche il cui significato intrinseco si riferisce ai quattro elementi; dalle iniziali trae il bellissimo aforisma: Igne Natura Renovatur Integra” (GORGS, 169- 170).

I significati che si sono voluti attribuire alle quattro lettere (dato che “varie ragioni” consigliano “ad essere estremamente prudenti nell’attribuire ai Vangeli un certo valore storico”, come molto spicciativamente (e senza cognizione di causa) dice il Gorel Porciatti (GORGS, 170, nota 23), sono svariati e quindi hanno dato vita a numerosi altri aforismi che egli ripartisce “in tre grandi categorie: mistico-gesuistico-cattolica, ermetico-alchimistica, filosofica” (GORGS, 177, nota 28).

Chi avesse vaghezza di conoscerli tutti, non ha che da consultare il testo appena citato. Noi ci limitiamo ad accennare a perle come queste: IGNATII NATIONUM REGUMQUE INIMICI, cioè gli Ignaziani (i Gesuiti) sono i nemici delle Nazioni e dei Re, oppure: IGNE NITRUM RORIS INVENITUR, cioè con il fuoco si trova il nitro (azoto)!!

Già il Luzio, del resto, aveva notato che “i minori gregari … si gingillano co’ simboli interpretati per loro ad usum Delphini“. E cita, in nota: “Un esempio per tutti, datoci dal Preuss, cap. III. In alcune Logge di rito scozzese, al grado di Rosacroce si lavora con dinanzi un bel crocifisso e tanto d’INRI sovrapposto. Credete che si debba intender per tutti Jesus Nazarenus Rex Judaeorum? Sarebbe un’ingenuità il supporlo. Il Jesus ecc. serve unicamente pe’ goccioloni che avessero scrupoli religioso-cristiani; ma per i più scaltriti c’è l’imbarazzo della scelta tra le interpretazioni eterodosse, putacaso queste: Igne Natura renovatur integra (naturalistica); Igne nitrum roris invenitur (alchimistica); Iustum necare reges impios (tirannicida); o un’altra interpretazione basata sulle iniziali di parole ebraiche, denotanti i 4 elementi” (LMR, I, 55, più nota 1).

Ma il culto fallico massonico non si limita alle irriverenze, per non dire di più, compiute sulla Croce. I Massoni si dedicano ad un vero e proprio culto del fallo, fatto di cose concrete e non di simboli, fino ad ispirare ad esso una vera e propria morale e conformare a questa i propri comportamenti.

Nel giuramento di 1° Grado, quello di Apprendista, è detto, fra l’altro: “Prometto e giuro di non attentare all’onore delle famiglie dei miei Fratelli” (FLR, 68). E per le … altre? Ecco un commento della Rivista della Massoneria: “La Massoneria, per vivere, per prosperare e per essere utile a sé ed alla umanità per cui lavora, deve sopprimere il prete, insegnare la sana morale, senza disgiungerla dal soddisfacimento dei bisogni della natura, e libera affatto d’ogni ipocrisia larvata, proseguire guardinga ma sicura, il suo corso conquistatore. Potrà esser certa di aver vinto il prete, il giorno in cui sarà padrone della donna, e questo giorno, purtroppo è assai lontano. La donna è del prete e col prete, perché questi la compiange, la perdona, e ne liquida i peccati a un tanto il braccio quando gli si presenta al confessionario. Il prete perdona le scappatelle delle fanciulle; il prete perdona le infedeltà delle maritate; il prete consola le vedove; ed in santa emulazione col frate, ha una parola e un’opera per le attempate e le dimenticate!

Noi invece, mentre desideriamo le mogli degli altri, mentre tendiamo reti alle sorelle ed alle figlie degli altri, vorremmo che le nostre mogli, figlie e sorelle, portassero un cartellino sulla fronte, ove fosse scritto: Guai a chi le tocca. Finché non daremo alle donne tutta la libertà e tutta l’istruzione possibile, finché non accorderemo loro perdono e tolleranza – giacché sono fatte come noi, ossa delle nostre ossa, e carne della nostra carne – le avremo sempre ossequienti e devote al prete, che in questo solo ha saputo seguire l’esempio del Cristo, il quale volle perdonato alla donna adultera …” (RIMA, 15 febb. 1879, 43 – corsivo nel testo).

Non proseguiamo con questo brano di prosa edificante, quando la Massoneria parlava chiaramente, dicendo pane al pane e vino al vino, perché il testo citato offre di per sé lo spunto e qualche breve commento. C’è da notare innanzi tutto con quale disprezzo la Massoneria tratta “il prete”, il quale dovrebbe essere addirittura “soppresso”; ma questo è il solito tono e non fa meraviglia. Più notevole è l’acume col quale viene descritto l’atteggiamento del prete durante la confessione: perdono e buffetti a tutte, alle fanciulle un po’ troppo vivaci, alle adultere, alle vedove e alle zitelle. Ecco perché “la donna è del prete e col prete”!!

Cosa fanno frattanto i nostri buoni Massoni? Si limitano a desiderare le donne, anzi “le mogli degli altri”, a tendere reti “alle sorelle ed alle figlie degli altri”; tuttavia, con bella mentalità sultanesca, vorrebbero che le proprie mogli, figlie e sorelle “portassero un cartellino sulla fronte ove fosse scritto: Guai a chi le tocca”!

S’impone dunque la conclusione ai Massoni così addestrati alla loro logica: bisogna staccare le donne dai preti (forse per poter più facilmente tendere loro reti). E quale il toccasana? Accordare “tutta la libertà e tutta l’istruzione possibile” alle donne (degli altri, s’intende!), “perdono e tolleranza” ed altre affermazioni dello stesso calibro.

Così, una volta inteso l’ordine d’idee in cui si muovono i Massoni in questa materia, non fanno più meraviglia certi fatti.

Ferdinando Ghersi (1798-1866) che “può essere ritenuto il primo Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio d’Italia in Torino dal 10 agosto 1864” (MZZ, 78, n. 475), come risulta da una lettera di Ludovico Frapolli del 7 luglio 1871, “vecchio nonagenario viveva con una giovane donna del popolo avente dei figli” (BA, II, 312).

Di Giuseppe Garibaldi (1807-1882), “Primo Libero Muratore d’Italia” (BAC, 269), Sovrano Gran Commendatore e Gran Maestro del Grande Oriente di Palermo (PAT, 11), su questo argomento non diciamo nulla perché… di Garibaldi non si può parlar male! Chi avesse voglia di erudirsi, in materia, non ha che da leggere l’opera di Giacomo Emilio Curatulo: Garibaldi e le donne, Roma, Imprimerie Polyglotte, 19-13.

In una Memoria stampata su “Pietro Cilembrini e la R. Accademia Valdarnese del Poggio”, letta in Montevarchi l’8 settembre 1889, leggiamo che questo sventurato (1817-1889), a 17 anni “già vestiva l’abito talare … contro la propria vocazione, preferendo egli darsi alla medicina; ma il padre l’obbligò a farsi prete, forse a ciò indotto dai pochi mezzi e dalla facilità colla quale nella carriera ecclesiastica si raggiungeva a quel tempo un comodo stato” (pagg. 17-18). “Amò viaggiare fino a che gliel permisero le sue piccole rendite. … Viaggiò sempre vestito da secolare, avendo un sacro orrore per la veste talare e per il tricorno …” (pag. 43). Con decreto 24 maggio 1849, dopo la restaurazione, entrò in carica il Ministero Baldasseroni di cui faceva parte il senatore Leonida Landucci per l’interno. Trascriviamo quindi, testualmente, quanto dice la Memoria: “… il Landucci affettava un certo sentimento di benevolenza verso il nostro Pietro e, sotto la maschera del gentiluomo, lo invitava spesso alla sua villa sopra il Leccio. Il Cilembrini, quantunque conoscesse i veri sentimenti del senator Landucci verso di lui, pure vi andava, perché … Perdonatemi voi specialmente, o signore gentili, se vi dico intiero il perché. Egli amava la conversazione delle donne belle; e dal ministro sembra che ve ne fossero a dovizia, compresa la moglie che era bellissima”; (pag. 27). Ora è documentato che il Cilembrini ebbe il diploma massonico di Maestro nella L. Amicizia di Livorno nel 1866 e poi, il 30 aprile 1867. veniva affiliato alla M. L. Capitolare Nuovo Campidoglio di Firenze.

Non è da meno la Rivista della Massoneria nella quale può leggersi una commemorazione di Giovanni Pantaleo, (1832-1879), ex Frate Minore, “suocero del Gran Maestro Guido Laj” (ACMA, 1948, 142) e cappellano maggiore di Garibaldi. Dopo un’entusiastica tirata sulle doti del Nostro, nel tracciare con tono roboante qualche linea della vita di lui, così si esprime: “A Lione il nostro Pantaleo conobbe la sua Camilla della quale poco dopo (il 1870) fece la sua compagna, e si completò uomo!” (RIMA, 15-30 luglio 1879, 215). Non è chiaro se tale completamento fosse necessario per Fra Pantaleo, il quale non poteva considerarsi del tutto uomo prima di incontrare la Camilla e se siano indispensabili certe conoscenze per chiunque voglia chiamarsi uomo. Tuttavia le espressioni rivelano una chiara mentalità.

Un altro esempio: abbiamo qui, dinanzi a noi, un gruppo di 23 lettere autografe di Andrea Costa (1851-1910), Fratello attivo della Loggia Rienzi e dell’Areopago di Roma (ACMA, 1950, 1-2), tra i fondatori del Partito Socialista. Sono lunghe lettere, dirette al Sen. Giacomo Ferri, dall’agosto 1906 all’agosto 1908, di carattere familiare, riguardanti litigi e la separazione dalla moglie Angelina a causa di un’amante che il Costa aveva a Bologna e non voleva piantare.

Sentiamo venire spontanea un’obiezione: “Ma queste cose succedono anche nelle … migliori famiglie cattoliche”. Purtroppo è vero, ma non certamente in forza della morale cattolica!

Però non ci si venga a dire: “Sta di fatto che in poche famiglie, come in quelle dei Massoni, la moralità e la religiosità permeano ogni contatto e sono fonte quotidiana di insegnamento ed istruzione” (RIMA, 1970, 105 – corsivo nostro). Tutto sta ad intendersi come siano concepite la moralità e la religiosità, come abbiamo già visto.

Difatti, nella Massoneria, lo stesso simbolismo fallico si ritrova in quello che può chiamarsi il suo stemma: la lettera G nel centro della stella fiammeggiante a cinque punte.

Per il Gorel Porciatti non sembra esservi alcun dubbio sulle relazioni tra il simbolismo fallico e la suddetta G: “Nel Pentagramma, che figura soltanto al secondo poi al terzo grado la cosa è diversa: nel secondo siamo nel regno della Natura che geometrizza tutto, quindi il solo significato della G è Geometria così come indica il nostro rituale; nel terzo grado, i Misteri della Natura vengono approfonditi e viene raggiunta la certezza che in essa nulla si crea ma che tutto si genera, epperciò … il significato della G è Generazione.

Concludiamo perciò che in seno al Pentagramma la lettera G significa Geometria per i Compagni e Generazione per i Maestri che sanno come dalla morte venga la vita, come il seme che muore generi la pianta che nasce” (GORMA, 114).

Ci sia permesso riportare sull’argomento, in una nostra traduzione, un giudizio di Mons. Juin “prelato stimato e di gran cuore” (MELFS. 257) che, nel 1912, aveva fondata la Rivista internazionale delle società segrete, “la più seria” (MELFS, 257) tra quelle comparse in quel torno di tempo. In un interessantissimo articolo su Lourdes e la massoneria del tempo, Mons. Juin dice: “La lettera G nel centro della stella fiammeggiante a cinque punte, conferma col suo triplice significato i princìpi e lo scopo di questa società segreta, chiamata giustamente l’Anti-Chiesa (= La Contre-Eglise) da uno dei suoi più ferventi adepti, il Fr. Limousin”. (RISS, 7 giugno 1925, 396).

Trascriviamo il testo intero dell’articolo di M. C. Limousin: “La Massoneria, Chiesa dell’eresia”: “La M(assoneria) è una associazione – una istituzione … Non è così; è più di così. Solleviamo tutti i veli anche a rischio di provocare delle proteste. La M(assoneria) è una chiesa: la Anti-Chiesa, l’anticattolicismo, l’altra Chiesa, la Chiesa della eresia, del libero pensiero – poiché la Chiesa cattolica è considerata come la Chiesa tipo, la prima, quella del dogmatismo e dell’ortodossia”. (AC, dic. 1913, 201).

Continua Mons. Juin: “Questa G significa anzitutto God, la divinità esclusa da questo mondo con la rottura d’ogni rapporto confessionale e d’ogni dipendenza tra Dio e l’uomo: è la soppressione dell’ordine soprannaturale con la necessaria conseguenza del rovesciamento dell’autorità. Dunque la G irreligiosa della Massoneria porta fatalmente all’anarchia con tutte le sue rovine.

Questa G massonica significa poi Geometria: la scienza che sbocca nella divinizzazione pagana dell’uomo o nel “superuomo” della cultura tedesca. L’uomo non è più quel che Dio l’ha fatto con la Creazione e la Redenzione: si tratta della soppressione dello stato soprannaturale con la necessaria conseguenza dell’instabilità d’un ordine sociale nel quale la lotta per la vita diventa egoisticamente l’unica regola delle azioni umane ed il fermento di continue rivoluzioni, nascosto sotto il nome fallace di uguaglianza e di fratellanza: chi potrà contare le rovine accumulate, sotto questo punto di vista, dalla Massoneria in due secoli?

Finalmente, questa G significa Generazione, cioè i simboli e gli atti dei culti fallici dell’antichità, l’umanità scesa nel fango, nel regno inferiore della scimmia che reputa sua antenata; donde la soppressione della vita soprannaturale”. (RISS, 7 giugno 1925, 396-397).

Tuttavia le notazioni sulla stella fiammeggiante massonica non si esauriscono nella considerazione della grande importanza che assume nella simbologia e nell’accertato significato fallico che ha assunto la G che vi campeggia nel mezzo, perché va ancora notato come il simbolo della stella fiammeggiante è ispirato, come gran parte della simbolica massonica, al corpo umano, come nel Ceschina già citato.

Nel caso nostro, le cinque punte della stella corrispondono alla testa ed alle quattro estremità dell’uomo, come spiega il Gorel Porciatti: “La Stella Fiammeggiante che appare al Compagno vincitore delle attrattive terrene è la stella del Genio Umano; ha cinque punte che corrispondono alla testa ed alle quattro estremità dell’Uomo; è la Stella del Microcosmo che in Magia impersonifica il segno della Volontà Sovrana cioè dell’irresistibile mezzo di azione dell’Iniziato.

Per avere questo valore essa deve essere tracciata in guisa da potervisi inscrivere una figura umana; deve cioè avere una punta in alto (v. Tav. III). Se rovesciata essa assume un senso diametralmente opposto, non è più il Pentalfa, la Stella dei Magi, l’emblema della libertà acquisita allo spirito che domina la materia, ma diventa il simbolo dell’animalità degli istinti immondi; in essa, così rovesciata, si può inscrivere la testa di un Becco” (v. Tav. IV).

“Nei Catechismi massonici del (secondo) grado alla domanda rivolta al Compagno: – Sei tu tale? – questi risponde – Conosco la Stella Fiammeggiante. La risposta è un poema che racchiude la visione cui ha fatto cenno” (GORMA, 112).

Un ultimo particolare, che vale la pena di notare, è quello relativo alla prescrizione delle “stellette” sul bavero delle divise militari italiane. Si ispirano esse alla simbologia massonica, come sostenevano i vecchi “clericali”, oppure l’adozione delle stellette ha altri significati che nulla hanno a che vedere con la Massoneria?

Le stellette a cinque punte furono prescritte nel 1871, con una serie di provvedimenti diligentemente rievocati dalla rivista “Storia illustrata” (maggio 1966, 4). Per l’autore della citata pubblicazione, che rispondeva alla domanda se le stellette avessero relazione con lo “Stellone” e se questo è il “simbolo della Nazione”, non è ravvisabile alcun collegamento: “Circa l’origine, si ritiene che la scelta della “stella” non abbia un particolare significato. … Una donna formosa, con una stella in fronte o sulla corona portata sul capo, era comune nelle figurazioni dell’Italia nell’800. È naturale che quella stella, che, per essere generalmente vistosa suggerì il vocabolo “stellone”, sia assurta a simbolo delle fortune d’Italia. Troviamo la “stella” anche nello stemma della Repubblica. Possiamo quindi riconoscere, in questo segno di uso ormai centenario, un “simbolo” della continuità della Nazione” (STIL, l. c.).

Che le stellette dei nostri soldati non abbiano alcun “particolare significato”, non ci pare, tuttavia, del tutto pacifico. Intanto è bene notare che le varie prescrizioni delle stellette furono emesse quando era Ministro della Guerra il Gen. Cesare Ricotti-Magnani. L’Esposito conferma che il Ricotti-Magnani era Massone. Aveva, infatti, soppresso i Cappellani Militari, la Messa festiva e “sostituì la croce di Savoia con la stella massonica nelle uniformi dell’esercito” (ESPOSI, 273).

Certamente qualche dubbio può sorgere, per quanto non decisivo, se si pensa al significato che, già prima del 1871, aveva assunto la parola “stellone”. Alfredo Panzini, nel suo “Dizionario Moderno” (1950, pag. 663), alla voce “Stellone”, dice: “Lo stellone d’Italia, cioè la meravigliosa fortuna che assistette l’Italia nella storia del suo Risorgimento. Si dice anche: Speriamo nello stellone!, cioè nella fortuna della Patria; e si suole dire quando non si trovano argomenti più validi a bene sperare. Risale alle figurazioni simboliche dell’Italia sormontata dalla stella di Venere (De Mattei)”.

Il deciso parere che le “stellette” siano un “regalo massonico”, è chiaramente espresso dalla Sorella Maria Rygier, del “Diritto Umano” nel suo volume: “La Massoneria Italiana di fronte alla guerra e di fronte al fascismo” (Paris, Gloton, 1930).

Citiamo, in una nostra traduzione: la Massoneria “ha dato all’Italia il suo tesoro più prezioso: il pentagramma sacro, ed ha voluto che la stella fiammeggiante fosse messa in mostra sull’uniforme dei soldati, indubbiamente perché la virtù magica del sangue, versato per la Patria, vitalizzasse l’augusto pentacolo” (RYMI, 32).

Perché, “in materia tanto grave”, la sua “interpretazione personale potrebbe sembrare insufficiente”, si riferisce “all’alta competenza massonica del Fr. Giosuè Carducci” del quale cita alcuni versi della poesia “Scoglio di Quarto”: “… in quel vespero / del cinque maggio … / E tu ridevi, stella di Venere, / stella d’Italia … /”. E poi commenta: “I competenti di scienze esoteriche sanno benissimo che la Stella di Venere, detta anche Stella di Lucifero, quando sorge al mattino, è, precisamente, la Stella delle Iniziazioni. È proprio quella che … brilla sulla fronte degli Adepti, nell’ora della suprema Illuminazione, della liberazione indicibile.

È l’anima stessa dell’Italia che sembra racchiusa, da una congiura potente, in questa Stella, che i nostri pittori e scultori mettono sulla testa dei simulacri della Patria; che, in pieno regime fascista, è illuminata, nei giorni di festa, sulle facciate o le sommità degli edifici pubblici, più in alto che i fasci littori; ma che nessun civile, sia donna che ragazzo, ha il diritto di mettere sul suo vestito” (RYMI, 32).

E ancora: “L’Italia infatti circonda d’un rispetto tanto geloso, d’una volontà di possesso tanto esclusiva, il sacro pentagramma, che, quando, nel 1918, formò le legioni straniere con prigionieri cechi, polacchi o rumeni che domandavano di combattere sotto le sue bandiere, essa permise loro di scegliere quel corpo scelto che desideravano ma rifiutò loro le stellette, che solo i suoi figli hanno il privilegio di bagnare col proprio sangue” (RYMI, 33).

Curiosa anche la notizia che la Rygier fornisce sulla “Milizia” fascista: “Abbiamo affermato che il pentagramma è il segno caratteristico dei soldati in Italia. C’è tuttavia un’eccezione, una sola, che però conferma la regola: la “milizia” fascista non porta le stellette.

Mussolini ha profanato la maggior parte dei simboli cari all’Italia: anche il segno del braccio teso, che egli, nella sua ignoranza, ha preso per il “saluto romano”, e che era invece il gesto del giuramento tra i Quiriti; quel gesto che eravamo tanto felici di fare, prima della “marcia su Roma”, in onore della bandiera nazionale, al passaggio dei reggimenti, perché solo i colori della Patria possono essere salutati con un gesto che conferma la promessa di fedeltà.

Qual mai potenza misteriosa ha trattenuto il “Duce”, all’inizio del 1923, quando le “camicie nere” ricevettero uno statuto legale e furono assimilate agli altri corpi militarizzati, di dare alle sue brigate di assassini e di ladri, la Stella a cinque punte, conosciuta non solamente dai Massoni, ma da tutti gli iniziati, in Oriente come in Occidente?

Non m’incaricherò di rispondere a questa domanda. Mi limito solo a notare il fatto ed a rallegrarmi che un grande infortunio sia stato risparmiato all’Italia: quello d’esser causa, perché aveva adottato il pentacolo dei Magi per suo emblema nazionale, d’una profanazione ben più imperdonabile di tante altre” (RYMI, 34).

Un’altra informazione data dalla Rygier riguarda le elezioni che avrebbero poi portato alla dittatura: “Il 6 aprile precedente” (1924), la Massoneria aveva dato il suo appoggio “discreto” alle candidature antifasciste, soprattutto a quelle dell’opposizione liberale. Quest’ultima aveva anche voluto ornarsi d’un emblema rivelatore dei suoi legami con la Massoneria. Siccome la legge italiana prescriveva che le schede elettorali d’ogni partito portassero un disegno simbolico, affinché gli elettori illetterati potessero facilmente distinguerli dalle liste concorrenti, la democrazia liberale del Sud, che riconosceva come suo capo il Fr. Amendola, adottò come segno rappresentativo la Stella a cinque punte, cosa che aveva numerosi precedenti nelle passate battaglie elettorali. La democrazia liberale del Nord, raggruppata intorno all’ex presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi, fu ancora più audace: prese apertamente per insegna la Stella fiammeggiante, che mai fino allora era apparsa in Italia su stampe destinate a profani” (RYMI, 259-260).

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