GEOMETRIA
di M. Occhiena
Se un mio nipote, nell’età dei «perché?», mi avesse chiesto: «cos’è la geometria?», mi sarei trovato in un qualche imbarazzo. Ma poiché alle domande è giusto dare una giusta risposta, avremmo insieme consultato fonti attendibili. Ed avremmo trovato: «La geometria è un ramo della matematica che si occupa dei punti e delle figure da essi generati»; oppure «Propriamente l’Arte del misurare la terra; ma oggi si piglia in senso più largo e si dice della scienza che indaga la proprietà e la misura delle linee, delle superfici, dei solidi» e poi: «La geometria ci dimostra ed insegna le ragioni delle grandezze, delle figure e dei termini che sono in esse» ed ancora: «La geometria è l’arte per cui noi sappiamo le misure e le proprietà delle cose per lungo e per alto e per ampiezza».
Molto vero, ma forse non ancora tutto il vero.
Il tempo dei primi «perché?» è ormai lontano; nel tempo sono cresciuti e maturati e tempo è venuto per andare oltre il significato apparente delle parole.
Da qualche anno, per mia libera scelta, partecipo a lavori con i Fratelli, riunendoci tutti insieme in un punto geometrico. Così, ho avuto modo di meditare che il punto non è solo «il più semplice degli enti geometrici, privo di dimensioni», ma un inizio spirituale dal quale partire per giungere ad un altro punto che, a sua volta, sarà insieme arrivo e nuovo inizio.
Poiché in questi nostri lavori mi è stata presentata una riga, con essa traccio una prima linea che diventa la mia strada, il cammino da percorrere per tendere al perfezionamento di me stesso, e per ciò, in tale fase, la linea deve essere «retta»!
Questo tracciare e percorrere la linea, che diventa la Via, è il progressivo lavoro «alla ricerca della verità cui non è posto limite
alcuno» come mi è stato detto all’Iniziazione, aggiungendomi anche,
perché io bene lo intendessi e molto vi meditassi, «occorre che tu sia disposto a lavorare senza tregua al tuo perfezionamento».
Da allora mi si è via via insegnato e ho fatto maggior uso, della riga perché cominciassi a tracciare linee componendole in figure: primi passi nella difficile arte di costruire superfici per passare poi ai volumi, nell’intento sempre di giungere ad «architettonici lavori».
Nel frattempo ho imparato a capire che lince e figure sono misura ed armonia e che il cammino di lavoro da compiere entro se stessi, è quello di giungere a misura ed armonia considerate non più come solo fatto esteriore, ma come fatto di interiorità: all’estetica va aggiunta l’etica.
Speso alcun tempo a sgrossare pietra grezza con maglietto e scalpello, ho ricevuto dai Fratelli, che me ne hanno fatto consegna con fiducia, squadra, compasso, regolo, leva.
Ero partita da quel punto senza dimensioni ed ora, lavorando di riga e di squadra, mi trovo a tracciare non solo più linee ma a disegnare superfici. Ardirò al quadrato perché quadrata sia la mia vita e quadrati siano i princìpi che la informano e la regolano?
Tenterò il triangolo che mi addita un vertice?
Ed ancora, se mi è stato dato un compasso, ne dovrò fare uso (ahimè, non sono Giotto…). Se vorrò continuare nel lavoro, sempre partendo da un infinitesimo punto che ne diverrà il centro, traccerò un cerchio. Mi fermo a meditare: un punto infinitamente piccolo diventa un centro attorno al quale si sviluppa una linea — curva ora — che lo racchiude, linea curva che parte anch’essa da un punto e su quello stesso punto si completa. Ciò che è principio diventa fine e la fine genera un nuovo inizio.
Osservo questa figura bidimensionale che attinge alla perfezione, per quanto di perfetto sia dato all’uomo di fare e di raggiungere.
Cerco di capirne il significato al di là del segno grafico e delle sue proprietà (dei diametri, degli angoli iscritti, delle corde, di tangenti comuni) via via scoperte da Talete a Baltzer.
Questo cerchio lo posso anche riempire di colori: uno solo? Bianco? Nero? Non risulterà carente? Secondo la teoria dello yin e dello yang, il cerchio comprende entrambi i colori che rappresentano gli estremi per antonomasia, cosicché in esso sia tutto contenuto.
C’è della saggezza in questa teoria!
Maturata l’età dei cinque anni, il Venerabile mi ha additato la Stella Fiammeggiante che racchiude nel suo centro il brillare di una «G»: Geometria, appunto, della quale Talete disse: «È l’Arte della Misura».
Così ora mi dice il Venerabile e spiega perché io meglio intenda:
«La Geometria è l’arte di misurare. Il geometra ha sottomesso l’estensione al suo compasso e misurato le dimensioni dell’universo visibile. Tal metodo razionale ha condotto l’uomo, di verità in verità, fino all’infinito e perciò tale arte deve essere oggetto di studio speciale da parte del Compagno. La lettera “G” che tu vedi nel centro della Stella Fiammeggiante è il simbolo particolare del secondo grado. È l’immagine dell’intelligenza universale».
Ora il vero si approfondisce e se ne discopre la parte che ancora era mancante. Ma io devo continuare nei miei lavori e fare sì che essi diventino «architettonici» per poter «edificare templi alla virtù, scavare oscure, profonde prigioni al vizio». Ma per poter fare ciò mi manca ancora la terza dimensione: dalle superfici occorre passare ai volumi.
A sbozzare e disgrossare il cubo ho già dato mano; ora lo devo perfezionare e dopo iniziare ad innalzare una piramide, immagine del Monte Analogo, la cui cima si cela all’occhio ma che sarà percepibile a viste più acute: quelle dell’intelletto e del cuore, se la volontà saprà essere molta e sorreggere le fatiche dell’ascesa, se la consapevolezza saprà maturare passo dopo passo in continuo salire. Di là acquisirò «conoscenza» della sfera? Essa mi è già stata presentata, ma quanto a capirla, forse, per ora, ho solo tentato. «Un solido in cui i punti situati sulla superficie sono equidistanti da un punto interno detto centro». Sempre quel piccolo punto a far da centro. Sempre quel niente che dà origine al tutto. Sempre quell’infinitesimo piccolo che dà origine all’infinitamente grande: atomo e universo; micro-leggi che si dilatano in macro senza nulla perdere e nulla acquisire perché ordine ed armonia sono già all’inizio.
Sfera, forma che fai sognare, che induci a pensare!
Quanto a costruzione, di sferico per ora forse ho saputo solo fare… bolle di sapone che lievi, salendo, si portavano via piccoli frammenti dei miei arcobaleni. Erano affascinanti nel loro andar pet lo spazio, mentre per lo spazio le prime lucciole tracciavano misteriose vie luminose.
Ma se piccole sfere di sapone, piccole luci ancora fioche, tanto ci attraggono e ci affascinano, quanto più potrà attrarci, affascinarci ed appagarci la visione e la comprensione, seguendo «virtude e conoscenza», della sfera che tutto ingloba e tutto illumina?
Possa il mio cammino giungere a tanto e possa Pan l’Eterno accogliermi nella sua divina armonia!