IL MIRACOLO DELLA LUCE

IL MIRACOLO DELLA LUCE

Pieve dei Santi Vito e Modesto a Corsignano

COORDINATE GPS

Località: Pieve dei Santi Vito e Modesto a

Corsignano, Pienza (Siena)

43°04’37” N 11°40’17” E

La pieve dei Santi Vito e Modesto a Corsignano, anticamente conosciuta come Pieve di San Vito in Rutiliano, è un edificio di culto attestato fin dagli inizi dell’VIII secolo, situato su una collina che contempla le meraviglie della Val D’Orcia, a due passi dall’abitato di Pienza, in provincia di Siena.

La pieve è una costruzione in stile romanico a tre navate che, nonostante le numerose modifiche strutturali subite nella sua storia millenaria, conserva ancora un misterioso, controverso nucleo decorativo oggetto di numerosi studi ma di pressoché nessuna interpretazione particolarmente esaustiva. E se fossero gli occhi degli iniziati, per una indefinibile legge di affinità elettiva, i soli strumenti capaci di vedere nell’oscuro linguaggio degli antichi costruttori di edifici sacri? Proprio come il verbo che vibra nel sibilo del serpente dell’architrave del portale principale, la sapienza vibra attraverso il tempo, attraverso una tradizione iniziatica ininterrotta, passando di bocca in orecchio, da iniziato a iniziato, nel segreto ancestrale del linguaggio dei simboli. Come vedremo in seguito, l’inestimabile tesoro esoterico della pieve di Corsignano risiede intatto nell’impianto decorativo della parte più primitiva dell’edificio, che conserva ancora, al pari di uno scrigno di pietra, l’inestimabile eredità di un passato aureo assai lontano.

Qui i simboli parlano la lingua dei nostri antenati, gente semplice, gente vera, lontana dall’erudizione dei filosofi greco-romani, dal latino proclamato con toni aulici dagli emissari di Roma ma vicina, estremamente vicina, alla spiritualità proibita delle civiltà preromane che hanno abitato queste terre e lasciato, nel sangue della gente come nelle tradizioni popolari, un’impronta che la polvere del tempo ancora fatica ad ammantare. Come molte volte è accaduto nella storia occidentale, anche stavolta la Toscana è stata al centro di un fenomeno artistico sui generis che,  per certi versi, si potrebbe addirittura definire

“protoromanico”.

Qui tutto parla di creazione, tutto appare “disposto con misura, calcolo e peso”. Ogni schema simbolico complesso conserva in sé un nucleo essenziale composto da semplici leggi di Francesco Vannucci della R:.L:. “Carmignano Carmignani” n. 475 Or:. San Marcello Pistoiese (PT)

archetipiche, codici universali che, come i numeri primi per il teorema fondamentale dell’aritmetica, se opportunamente penetrati, ridotti all’essenza, consentono di aprire la porta dei segreti per entrare nel cuore stesso del mistero.

Lo stesso atto fondativo degli antichi edifici religiosi si proponeva di riprodurre in termini numerici, geometrici e simbolici, la sapienza creatrice di ispirazione divina, la sapienza di “Colui lo cui saver tutto trascende”.

Nelle “pievi vecchie”, quelle antecedenti al X secolo, si può ancora respirare la differenza che passa tra la sapienza, intesa come il risveglio di ciò che è già insito in noi, vivo nel nostro santuario interiore, e la conoscenza, un atto filosofico che  presuppone un percorso in divenire, legato ai meri processi del pensiero.

I percorsi di Luce, la quintessenza del linguaggio simbolico più primigenio, costituivano dunque un fattore imprescindibile per l’edificazione del Tempio.

Che siano affidati a parole, numeri, simboli o pietre, i segreti del linguaggio iniziatico non sono mai cambiati né cambieranno mai. Gli aderenti ai Grandi Misteri hanno sempre inteso riprodurre sulla terra un piccolo frammento di cielo, ove l’uomo religioso di ogni tempo e di ogni luogo potesse camminare lungo la via del risveglio, verso l’invisibile, fino a divenirne parte integrante, fino a ricomporre la perduta unità primordiale.

“Così in cielo e così in terra”, sembrano recitare le decorazioni a zig-zag dell’archivolto della facciata, tradendo le loro sottese radici di stampo ermetico, mai eclissatesi e mai completamente cadute nell’oblio. La doppia raggiera introduce inequivocabilmente una simbologia solare della quale è sotteso tutto il tema narrativo della pieve di Corsignano. La stessa sequenza di palmette, che con gran dovizia adornano l’archivolto, richiama al tema dell’ascesa nella Luce, dell’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, che prefigura in anticipo la resurrezione. Gli elementi decorativi che compongono l’impianto simbolico della facciata, le figure vagamente femminili, gli strumenti musicali e le danze, i nodi a forma di infinito, le teste di ariete, il disco solare e le teste antropomorfe fissate in espressione di giubilo, sembrano suonare la solenne sinfonia della vita, della rinascita, del “venire alla Luce”. Come in pieno senso pitagorico, tutta la geometria delle forme sembra come esprimere un’autentica musica solidificata, un’armonia sempiterna. Per i primi cristiani il simbolismo della Luce e

dell’ombra rivestiva un ruolo assai importante nell’edificazione degli edifici sacri, tanto che l’orientazione dei medesimi seguiva quasi sempre delle direttrici ben precise, specialmente in riferimento alla Luce del sole nei giorni degli equinozi e dei solstizi.

Non tratteremo in questa sede la sequenza simbolica delle figure dell’architrave, un vero unicum del linguaggio esoterico di ogni tempo. Il mistero della Sirena bicaudata merita di essere vissuto segretamente, nel silenzio composto e intimo della rivelazione, nella più completa salvaguardia di un così mirabile tesoro iniziatico, lasciando, sempre secondo i canoni della tradizione alchemica, “la porta aperta al  castello chiuso del Re”.

La pieve di Corsignano è orientata verso l’alba locale del solstizio d’inverno. Purtroppo non è più visibile il cammino della Luce all’interno

dell’aula sacra, a causa del crollo dell’abside.  Fortunatamente però, a ridosso del solstizio d’inverno, si può ancora ammirare il fenomeno  del percorso di Luce che illumina la piccola cripta nonché il ciborio posto sull’altare. Gli indicibili segreti di una delle pievi vecchie più enigmatiche della terra di Toscana non si esauriscono certo nella decrittazione dei canoni architettonici su menzionati: tutti i grandi iniziati della storia sapevano bene che i misteri non sono fatti per essere compresi mediante la ragione, bensì per essere vissuti, penetrati attraverso il cuore e attraverso le pratiche rituali.

Grazie ai segreti del compasso, in ambito iniziatico il terreno della consapevolezza è senz’altro più fertile che in ambito profano, ma la percezione dell’infinito può unire comunque tutti gli uomini di buona volontà, purché sinceramente attratti dall’equilibrio delle misure, dalle proporzioni fondate su rapporti numerici nell’edificazione degli edifici sacri, tanto che l’orientazione dei medesimi seguiva quasi sempre delle direttrici ben precise, specialmente in riferimento alla Luce del sole nei giorni degli equinozi e dei solstizi.

Il miracolo della cosa unica si compie, perché la nostra stessa vita  è un miracolo, un orizzonte che non può essere contenuto negli angusti confini della ragione.

Varcare il portale della pieve di Corsignano è varcare il recinto della sacralità, ricongiungersi con l’altra sponda dello specchio, con l’altra metà del cielo, con l’altra metà del tempo.

Nella piccola chiesa plebana rimbombano nel vuoto i passi titubanti dei pellegrini, lungo la navata centrale, buia, deserta, nuda. I passi come

sassolini, sassolini che si perdono nell’oscurità impenetrabile di un pozzo, uno dietro l’altro, sospesi nel vuoto, finché non riemerge l’eco di

oscure profondità inesplorate, inquietanti ma irresistibilmente attraenti.

Da un passato lontano sovviene il brivido che si provava da bambini, quando capitava che durante  le scorribande campestri ci si fermasse a guardare nell’abisso di quei vecchi pozzi artesiani, tipici delle nostre campagne. Guardando nel nero dello specchio si era come intrappolati nella morsa della paura, ma anche assaliti dall’impulso irrefrenabile di scoprire le profondità del baratro, nonché le profondità della nostra stessa anima.

Ecco la discesa nell’abisso, mentre l’abisso stesso discende in noi. Allora emerge la percezione del vuoto, un vuoto cosmico che è al contempo piena potenzialità generativa, un’oscurità splendente che ben esprime gli intenti architettonici dei costruttori delle antiche pievi, spesso iniziati ai misteri e silenti promulgatori di un cristianesimo esoterico di stampo Giovannita.

La premessa ontologica del “non essere-essere”, del “Cháos” contrapposto ma complementare all’ordine, trova la sua rievocazione simbolica nel fenomeno creativo della Luce che penetra nelle tenebre dell’antro sacro, che feconda l’oscurità nel giorno del solstizio d’inverno, il giorno dedicato a San Giovanni Evangelista. Il vuoto potenziale appare quindi come una componente ineludibile dell’eterno dualismo

che sostiene l’universo, come ben espresso nella geometria sacra della pieve di Corsignano. Ogni oscurità chiama segretamente, inconsapevolmente la Luce! La sapienza architettonica degli antichicostruttori si sublima nella realizzazione di un Tempio che, esprimendo le stesse leggi dell’universo, come un piccolo modellino in scala, rappresenta il centro sacro, il punto dove cielo e terra si incontrano, dove si partecipa ritualmente all’atto creativo di matrice divina, al miracolo primigenio della vita, al miracolo della Luce.

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