LE NOZZE CHIMICHE DI C. RC. – TERZO GIORNO

Ora, non appena irruppe l’amorevole luce del giorno, ed il Sole cominciò a splendere

essendosi levato sopra le colline, e avendo ripreso il suo alto incarico nell’alto del Cielo, i

miei bravi compagni cominciarono ad alzarsi dai loro letti, e si prepararono senza fretta

all’Inquisizione. Quindi, uno dopo l’altro, entrarono ancora nella sala e dissero buon

giorno, domandandosi come avevano dormito stanotte. Avendo conosciuto i nostri limiti,

gli altri erano quasi sul punto di rimproverarci per la nostra viltà e per non avere

piuttosto, come loro, azzardato nuove avventure. Comunque alcuni di essi, i cui cuori

conoscevano ancora la compassione, non proseguirono oltre e ci lasciarono in pace. Noi

ci scusammo per la nostra ignoranza, sperando volessero adesso lasciarci liberi, avendo

già imparato qualcosa da questa disgrazia; mentre loro al contrario non erano ancora

scappati via tutti insieme, e forse per loro il grande pericolo doveva ancora arrivare.

Esiste una differenza significativa nell’atteggiamento di CRC rispetto ai suoi compagni.

Umiltà opposta ad arroganza.

Alla distanza tutti si riunirono ancora, e le trombe cominciarono a suonare ed i tamburi a

battere come in precedenza, e noi non immaginammo niente altro che lo Sposo fosse

pronto a presentarsi; il che era invece un grave errore. Infatti venne ancora la Vergine di

ieri, vestita di velluto rosso, ornata con una sciarpa bianca. Sul capo portava un verde

serto di lauro, che le donava grandemente. Il suo seguito non era più formato di piccole

candele, ma constava di duecento uomini in armi, vestiti come lei di rosso e bianco.

Ora, non appena si fu alzata dal trono, arrivò vicino ai prigionieri e dopo averci salutati,

disse in poche parole : “Che alcuni di voi siano consapevoli della vostra triste condizione

è grandemente piacevole per il mio potentissimo Signore, e Lui si è risolto ad adoperarsi

perché sia il meglio per voi.”

E avendo visto me nel mio abito, sorrise e disse “Buon Dio! Hai per caso sottoposto te

stesso al gioco? Immagino che ora possa essere soddisfatto di te stesso” con le quali

parole fece volgere i miei occhi al Cielo. Dopo ciò, lei comandò che fossimo slegati, riuniti

a coppie e portati in una posizione da cui avremmo potuto tranquillamente vedere le

Scale. “Perché” disse “è di gran lunga una migliore condizione quella di coloro che stanno

qui prigionieri, piuttosto che quella dei presuntuosi che sono ancora in libertà.”

Trombe e tamburi hanno annunciato la Vergine parecchie volte ormai. Questo deve

richiamare la nostra attenzione circa l’importanza della consapevolezza interiore. Notiamo

come lei usa i colori rosso e bianco, in modo opposto a quello di CRC quando ha

cominciato il suo viaggio interiore. Essi simbolizzano il singolo cammino di ridiscesa ed il

particolare processo alchemico associato a questo cammino. La Vergine indossa la corona

d’alloro della vittoria; Netzcah sull’Albero della Vita. Riconosce lo sforzo dei “prigionieri”

e decide di liberarli, in vista del giudizio.

Nel frattempo le scale, che erano interamente d’oro, furono appese nel mezzo della sala;

c’era anche un piccolo tavolo coperto di velluto rosso, e sette pesi piazzato su esso. Prima

di tutto ce n’era uno piuttosto grosso, vicino altri 4 più piccoli, in ultimo due grandi. E

questi pesi erano così pesanti in proporzione al loro volume, che nessun uomo avrebbe

potuto crederlo o comprenderlo. Ma ognuno degli uomini armati aveva insieme ad una

spada snudata, una forte corda; e furono distribuiti da lei secondo il numero dei pesi in

sette gruppi, e fuori da ogni gruppo ne scelse uno per il suo stesso peso, e quindi ancora

tornò al suo alto trono. Ora, appena ebbe fatto la sua riverenza, in un tono molto

stridulo, cominciò a parlare come segue:

L’oro è il metallo alchemico del sole e lo sefira Tiferet sull’Albero. Qui si tratta in effetti

dell’ “Opera del Sole” delle Tavole di Smeraldo – le scale della giustizia, il bilanciamento

degli opposti. Ci sono 7 pesi nella formula: 1 + 4 + 2 = 7; ma chi riuscirà a bilanciare questi

pesi? Chi passerà il giudizio? Chi sarà l’ottavo elemento di questa equazione? E’ la

Vergine, perché lei comanda le 7 bande. Perché l’8 è così importante? Perché ci sono 8

scalini nelle Tavole di Smeraldo e 8 sentieri verso il Tiferet nell’Albero della Vita. Le

Tavole e l’Albero sono collegate a questo punto.

Chiunque vada nello studio di un pittore

E non conosce niente della pittura

E ancora parlerà con molta ostentazione

Sarà deriso da tutti.

E chi entra in un ordine di artisti

Senza essere stato scelto

E comincia a dipingere con grande ostentazione

Sarà deriso da tutti.

E chi prenderà parte ad un matrimonio

Senza essere stato invitato

E nonostante questo vi si reca con grande ostentazione

Allora sarà deriso da tutti.

E chi salirà queste scale

E troverà che non pesa

Ma cadrà con grande rumore

E ancora sarà deriso da tutti

A questo livello, c’è ancora un altro avviso affinché gli indegni desistano dal procedere.

Naturalmente, noi non saremmo mai capaci di considerarci indegni, perché dovremmo?

Naturalmente tutti noi ci sentiamo morali, umili, dotati dei giusti attributi e propriamente

autorizzati a procedere, no?

Non appena la Vergine ebbe finito di parlare, uno dei paggi comandò ad ognuno di

piazzarsi secondo il suo ordine, e uno dopo l’altro entrarono. Della quale cosa uno degli

Imperatori non si fece scrupolo, ma in primo luogo si inchinò un poco davanti alla

Vergine, e poco dopo in tutto il suo imponente vestire, ella si alzò; quindi ogni Capitano

pose il suo peso, contro il quale (con meraviglia di tutti) l’Imperatore resistette. Ma

l’ultimo era troppo pesante per lui, così che dovette andare avanti; e lo fece on tale ansia

che (mi sembrò così) la Vergine stessa ebbe pietà di lui e chiamò con un cenno la sua gente

affinché lo sostenessero; ancora il buon Imperatore era legato e fu portato avanti al Sesto

Gruppo. Dopo di lui venne un altro Imperatore, che camminò verso la scala e avendo un

grande libro sotto il vestito, immagino avesse ferma intenzione di non fallire; ma era

scarsamente abile a sollevare il terzo peso, e fu impietosamente rimandato giù, ed il libro

gli cadde dalle mani e tutti i soldati cominciarono a ridere, e fu portato legato al Terzo

Gruppo. Così vennero anche altri degli altri Imperatori, che erano tutti pieni di vergogna e

derisi e messi in cattività.

All’inizio del XVII secolo, il tempo del Matrimonio Chimico, era importante per una guida

spirituale avere nel contempo anche autorità temporale. Ecco perché il giudizio comincia

da alcuni imperatori. Loro falliscono e sono portati via, legati e ricondotti ai rispettivi

gruppi. Questo è un giudizio karmico, ed il fatto che siano legati simbolizza le

conseguenze karmiche.

Dopo di loro vennero avanti un piccolo uomo con una barba castana e ricciuta, anche lui

un Imperatore, che dopo la solita riverenza, salì e arrivò così risolutamente che pensavo

che ci sarebbero voluti più pesi e che lui li avrebbe superati tutti. Nel vederlo arrivare, la

Vergine si alzò immediatamente, e gli si chinò innanzi, facendogli mettere un abito di

velluto rosso. E infine gli diede un ramo di alloro, di cui lei aveva una buona scorta sotto

il suo trono, sulle scale dove lo invitò a sedere.

Comunque, non sempre l’autorità temporale è un ostacolo. L’abito rosso è simbolo di un

particolare livello del processo alchemico. L’alloro è una prova del successo.

Ora come andò con il resto degli Imperatori, i Re e i Signori dopo di lui, sarebbe troppo

lungo da raccontare; ma non posso lasciare senza menzione alcuni dei grandi personaggi

che riuscirono. Comunque furono trovate in molti varie ed eminenti virtù (oltre la mia

speranza). Uno sarebbe potuto riuscire in una prova, il secondo in un altra, alcuni in 2,

alcuni in 3, 4 o 5, ma pochi riuscivano a raggiungere la perfezione; e tutti coloro che

fallivano erano infelicemente derisi da tutti gli altri. L’Inquisizione passò oltre la piccola

nobiltà, i sapienti e i non sapienti, e tutti gli altri, ed in ogni condizione i vagabondi

truffatori, e i farabutti autori di Lapidem Spitalanficum (la medicina universale NDT),

che stavano presso la scala con talmente grande indegnità che io stesso, a dispetto di

tutto il mio dolore, ero pronto per far scoppiare la mia pancia dal ridere, né avrebbero

potuto i prigionieri stessi frenarsi. Per la maggior parte non sarebbero stati abili a prove

così severe, ma scattarono fuori dalla Scala con frusta e flagello, ed erano condotti con

gli altri prigionieri, ad uno dei gruppi disponibili. Così rimasero così pochi che mi

vergogno a rivelare il loro numero.  

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LE NOZZE CHIMICHE DI C. RC. – SEDONDO GIORNO

SECONDO GIORNO

    Appena uscito dalla mia cella, e entrato nella foresta, mi sembrò che il cielo intero e tutti gli elementi si fossero adornati per quelle nozze. Mi pareva anche che gli uccelli cantassero più graziosamente di prima; i cerbiatti saltavano con tanta gioia che il mio vecchio cuore si rallegrava ed ero spinto a cantare. Così incominciai a cantare a voce alta:

    “Godi, uccellino,

    Nel lodare il tuo Creatore,

    Alza chiara e fine la tua voce,

    Il tuo Dio è tanto alto,

    Ti, ha preparato il cibo,

    Ti nutre sempre quando occorre,

    Sii soddisfatto cosí.

    Perché vuoi essere triste,

    Perché inquietarti con Dio

    D’averti fatto piccolo,

    Perché allora chiederti

    Come mai Egli non ti abbia fatto uomo?

    Taci, Egli ha pensato profiondamente su questo:

    Sii soddisfatto cosí.

    Cosa farei io, verme della Terra,

    Se cominciassi a discutere con Dio?

    Cercherò di forzare l’entrata al Cielo,

    Per rapire con violenza la grande arte?

    Non è possibile misurarsi con Dio;

    Che l’indegno se ne vada.

    Uomo sii soddisfatto.

    Non essere offeso

    Perché Egli non ti ha fatto imperatore.

    Se tu hai disprezzato il Suo nome,

    Egli ne tiene conto.

    Gli occhi di Dio sono i più chiari,

    Egli ti guarda fin nel cuore:

    Perciò non ingannerai Dio!”

    Cantavo questo dal fondo del mio cuore mentre attraversavo il bosco, che ne risuonava dappertutto; la montagna stessa echeggiò le mie ultime parole. Finalmente apparve un prato verde e uscii dal bosco. Su questo prato stavano tre cedri alti e belli che erano così larghi da offrire un’ombra splendida e assai desiderata, che godetti molto, perché, pur non avendo fatto molta strada, il mio grande desiderio mi rendeva stanco. Perciò mi avvicinai in fretta agli alberi per riposarmi un momento lì sotto. Avvicinandomi, scoprii una tavoletta attaccata ad uno degli alberi, sulla quale erano scritte, in lettere graziose, le parole seguenti, che poi lessi:

    “Ospite,salute: se tu hai sentito parlare delle nozze del Re, in tal caso pesa esattamente queste parole. Attraverso di noi, lo sposo ti offre la scelta di quattro vie per ognuna delle quali potrai raggiungere il Palazzo del Re, in modo che non ti perda in sviamenti. La prima è breve ma pericolosa e passa attraverso vari scogli che tu potresti superare soltanto a gran fatica. La seconda è più lunga ed è piana e facile se, con l’aiuto del Magnete, non ti lascerai sviare nè a destra nè a sinistra. La terza è in verità la Via Regia, e diversi piaceri e spettacoli del nostro Re ti renderebbero il cammino gioioso. Ma appena uno su mille può raggiungere la meta attraverso di essa. Tramite la quarta nessun uomo può arrivare al Palazzo del Re, perché essa consuma ed è adatta soltanto ai corpi incorruttibili. Scegli dunque fra queste tre vie quella che vuoi, e seguila con costanza. Sappi anche che qualsiasi via tu abbia scelta, per virtù di un destino immutabile, non ti è lecito tornare indietro che a gran rischio della tua vita.

    “Ecco quello che noi abbiamo voluto che tu sapessi, ma fa’ attenzione a non ignorare con quanto pericolo tu ti sarai affidato a questa via: infatti, se ti dovesse capitare di renderti colpevole del minimo delitto contro la legge del nostro Re, io ti prego, finché sei ancora in tempo, di ritornare al più presto a casa tua per la stessa strada che hai seguita per arrivare sin qui”.

    Appena letta questa scritta, tutta la mia gioia era di nuovo sparita e, mentre avevo cantato cosí allegramente prima, adesso cominciai a piangere: perché vedevo tutte insieme le tre vie davanti a me e sapevo che mi era concesso di sceglierne una sola. Avevo paura, se avessi preso la via rocciosa di montagna, di cadere miserabilmente nella morte; o se mi veniva in sorte la strada lunga, che avrei potuto o smarrirmi nel cammino o non compiere il lungo viaggio per un’altra ragione; non potevo neanche sperare di essere proprio quello, tra mille, che doveva scegliere la Via Regia. Vedevo ugualmente la quarta davanti a me, ma era cosí circondata da fuoco e da vapori che non potevo neanche pensare ad avvicinarmi ad essa.

    Riflettei, quindi, ad ogni possibilità: se dovessi tornare, o se dovessi scegliere una di quelle strade. Ero conscio della mia indegnità; mi consolava comunque il sogno di essere stato liberato dalla torre. Però non dovevo fidarmi arditamente di un sogno; rimasi a riflettere dunque per molto tempo, finché, a causa della mia grande stanchezza, la fame e la sete entrarono nel mio corpo. Tirai fuori quindi il mio pane e lo tagliai, il che fu avvertito da una colomba bianca come la neve che era posata su un albero e della quale non mi ero accorto. Lei, forse seguendo una sua abitudine, scese e venne dolcemente verso di me, ed io divisi volentieri il mio pane con lei: l’accettò e si ravvivò un po’ mangiandolo. La vide subito il suo nemico, un corvo nero, che scese sulla colomba, e, non curandosi di me, voleva rubare alla colomba quello che aveva, al che lei non poté fare altro che salvarsi fuggendo. I due presero il volo verso il Sud, ed io ero cosí adirato ed afflitto che corsi, senza riflettere, dietro il corvo malvagio, e senza volere percorsi la lunghezza di un acro nella via prescritta, mandai via il corvo e salvai la colomba.

    Solo allora mi accorsi che avevo agito senza pensare e che già ero entrato in una via, dalla quale non potevo tornare senza rischiare grande castigo. Me ne sarei consolato se non mi fosse dispiaciuto vivamente di aver lasciato la mia bisaccia e il mio pane sotto all’albero e di non poterli piú andare a cercare, perché, appena mi girai, mi venne incontro un vento cosí forte che mi avrebbe facilmente fatto cadere, mentre invece se continuavo per la strada non mi accorgevo di niente: cosa dalla quale capii che oppormi al vento mi sarebbe costata la vita. Cosí, accettai con pazienza la mia croce, mi misi in cammino e pensai che siccome doveva essere cosí, dovevo fare lo sforzo di arrivare prima della notte. Poiché sembrava vi fossero molte deviazioni, tirai fuori la bussola e non mi spostai neppure di un passo dalla direzione del Sud, benché la via fosse talvolta tanto impraticabile che dubitavo non poco di essa. Strada facendo pensavo continuamente alla colomba e al corvo, ma non potevo indovinarne il significato. Finalmente, vidi da lontano una vasta porta su un’alta montagna, verso la quale mi affrettai, benché stesse ad una grande distanza dalla mia strada, in quanto il Sole era già sceso dietro le montagne e non vedevo nessun altro paese dove sostare; attribuii questo a Dio, che forse avrebbe potuto volermi far continuare su questa strada ed impedire ai miei occhi di vedere la porta.

    Mi ci avvicinai in fretta, come già descritto, e arrivai che c’era ancora un po’ di luce del giorno in modo che la potevo vedere appena sufficientemente. Era davvero una porta regale splendida, nella quale erano incisi molti disegni, ognuno dei quali (come appresi dopo) aveva un suo particolare significato. In alto, sul frontone, c’erano le seguenti parole: “Procul hinc, procul ite, Prophani” (“Lontani da qui, allontanatevi, o profani”), ed altro di cui mi è stato severamente vietato di parlare. Appena arrivai sotto la porta, apparve un uomo vestito di blu cielo, che salutai in modo amichevole; egli mi ringraziò e chiese la mia lettera d’invito. Oh! Come ero contento di averla portata con me: perché avrei potuto facilmente dimenticarla, come avevano fatto anche altri, secondo quanto egli stesso mi raccontava. La presentai subito e lui non solo ne fu contento ma mi onorò molto, cosa che mi meravigliò, e disse, “Entra fratello, per me sei un invitato benvenuto”. Mi pregò di dirgli il mio nome. Quando gli risposi che ero il fratello della Rossa Rosa Croce, si meravigliò e anche di questo fu contento; poi disse: “Fratello, hai qualcosa con te per poter comprare un’insegna?”. Io risposi che la mia fortuna era piccola, ma se egli vedeva qualcosa su di me che gli piaceva, che la prendesse. Siccome mi chiedeva la mia bottiglia d’acqua, io consentii, e mi diede un’insegna d’oro, con sopra solo le due lettere S.C. (Sanctitate Constantia; Sponsus Charus, Spes Charitas – Costanza della santità; Sposo per amore; Speranza, Carità), raccomandandomi, quando questo mi avrebbe procurato del bene, di pensare a lui. Dopo di ciò chiesi quanti erano entrati prima di me, cosa che egli mi disse. Finalmente, per amicizia, mi diede una lettera sigillata per il guardiano seguente. Siccome mi trattenni abbastanza a lungo con lui, arrivò la notte e quindi fu accesa una grande torcia di pece sulla porta, perché, se qualcuno fosse sulla strada, potesse arrivarci in fretta; la via che arrivava fino al castello era chiusa tra due mura e vi erano piantati ai lati dei meravigliosi alberi con tutti tipi di frutta: e ogni tre alberi ad ogni lato della strada, erano state appese delle lanterne, che erano state accese con una torcia splendida da una bella Vergine in un vestito azzurro.

    Questo era tutto cosí maestoso e magnifico che rimasi lí piú tempo che non fosse necessario. Finalmente, dopo aver avuto abbastanza informazioni ed indicazioni, salutai amichevolmente il primo guardiano. Strada facendo, ero curioso di sapere che cosa fosse scritto nella mia lettera, ma siccome non dovevo pensare male del guardiano, dovetti frenare la mia indiscrezione e avanzare sulla strada finché raggiunsi altre porte che erano quasi identiche alle prime, solo che erano decorate da altri disegni e significati occulti. Sul frontone stava scritto “Date et dabitur vobis” (“Date e vi sarà dato”). Sotto la porta, attaccato ad una catena, giaceva un leone terribile che si alzò appena mi vide, e mi venne incontro ruggendo. A questo, l’altro guardiano, che era sdraiato su un blocco di marmo, si alzò e mi disse di non spaventarmi né preoccuparmi. Ricacciò il leone indietro e lesse la lettera che gli porgevo tremante. Poi mi disse con reverenza: “Sia benvenuto da Dio, l’uomo che volevo vedere da tanto tempo”. Nel frattempo tirò fuori anche lui un’insegna e mi chiese se la potevo scambiare. Siccome io non avevo niente altro che il mio sale, gli offrii quello ed egli lo accettò, ringraziandomi. Sull’insegna c’erano ancora una volta solo due lettere, cioè S.M. (Studio Merentis; Sal Memor, Sponso Mittendus; Sal Mineralis; Sal Menstrualis – Desiderio di meritare; Sale del ricordo; Da mandare allo Sposo; Sale minerale; Sale mestruale).

    Volevo parlare anche con lui ma si cominciò a suonare nel castello, ed il guardiano mi esortò a correre, altrimenti i miei sforzi e tutto il mio lavoro sarebbero stati inutili, perché lassú si iniziavano a spegnere le luci. Feci tanto in fretta che mi dimenticai, nella mia paura, di salutare il guardiano; ed ebbi ragione, perché non potevo correre abbastanza in fretta da non essere sorpassato dalla Vergine, dopo la quale tutte le luci si spegnevano. Non avrei neanche potuto trovare la strada se lei non mi avesse fatto luce con la sua torcia. Potei appena entrare dopo di lei, quando la porta si chiuse cosí in fretta che un pezzo del mio vestito rimase chiuso fuori, ed io naturalmente dovetti lasciarlo indietro perché né io né quelli che già chiamavano da fuori la porta potevamo persuadere il guardiano a riaprire; infatti, egli diceva di aver dato la chiave alla Vergine che l’aveva portata con sé nel cortile.

    Nel frattempo esaminavo la porta, che era cosí magnifica che non ne esiste una simile in tutto il mondo. Vicino alla porta c’erano due colonne. Sull’una era posta una statua sorridente con l’iscrizione Congratulator (Mi congratulo). Sull’altra una statua la cui figura triste nascondeva il viso; sotto di essa era scritto Condoleo (Compatisco). Insomma, scritte ed immagini erano cosi oscure e misteriose che l’uomo più abile sulla Terra non avrebbe potuto decifrarle. Se Dio lo permette, tutte quante saranno, però, portate alla luce del giorno e svelate.

    Passando sotto questa porta, dovetti ancora una volta dare il mio nome, che venne scritto per ultimo in un libro di pergamena e subito mandato con altri al grande sposo. Lí mi fu data per la prima volta la vera insegna dell’invitato, che era un po’ più piccola delle altre ma molto piú pesante, e su di essa erano le tre lettere S.P.N. (Salus per naturam; Sponsi praesentandus nuptiis (Salute per mezzo della natura – Da presentare alle nozze dello Sposo). Mi fu dato inoltre un nuovo paio di scarpe, perché il pavimento del castello era fatto tutto di marmo brillante. Dovetti dare quelle vecchie ad un povero scelto da me, tra i molti che erano seduti in buon ordine sotto la porta. Le regalai ad un vecchio; poi un paggio seguito da altri due che portavano torce, mi accompagnò in una piccola stanza. Lí mi dissero di sedermi su un banco, cosa che feci. Loro però piantarono le loro torce in due fori nel pavimento e se ne andarono, lasciandomi seduto lí da solo.

    Subito dopo, sentii un rumore ma non vidi niente, e poi fui preso da parecchi uomini; siccome io non vedevo nulla, dovetti lasciar fare ed aspettare quello che mi sarebbe successo. Mi accorsi ben presto che erano barbieri e perciò li pregai di non tenermi cosí strettamente perché ero comunque disposto a fare quello che mi avessero chiesto. Cosí mi lasciarono subito libero ed uno, che però non vedevo, mi tagliò in modo fine e ben pulito i capelli della testa, lasciando stare tuttavia i lunghi capelli grigi sulla fronte e sulle tempie.

    Devo ammettere che, in un primo momento, ero veramente disperato, perché alcuni di loro mi afferravano con tanta forza, ed io non vedevo niente, cosí che non potevo far a meno di pensare che Dio mi aveva abbandonato a causa della mia troppa curiosità. Infine, questi barbieri invisibili raccolsero diligentemente i capelli tagliati e li portarono via. I due paggi delle torce si presentarono di nuovo e risero di cuore perché io avevo avuto tanta paura. Stavano conversando un po’ con me, quando si cominciò di nuovo a suonare una piccola campanella per dare il segno (cosí mi dicevano i paggi) di radunarsi. Perciò mi dissero di seguirli, e mi illuminarono la via attraverso molti corridoi, porte e stanze in una vasta sala.

    In questa sala c’era un gran numero di invitati, di imperatori, re, principi e signori, nobili e non nobili, ricchi e poveri e plebaglia di tutti tipi che mi meravigliavano molto, e pensavo: “Che grande idiota sei stato, ad aver intrapreso un viaggio cosí duro e difficile. Guarda! Lí c’è gente che tu conosci e che magari hai stimato poco. Quelli sono tutti qui adesso e tu, con tutto il tuo pregare e supplicare, sei arrivato per ultimo e con gran fatica”. Questi ed altri pensieri mi furono ispirati dal diavolo, malgrado tutti i miei sforzi per respingerli.

    Nel frattempo mi parlavano prima uno, poi l’altro di quelli conosciuti da me: “Guarda, fratello Rosenkreuz, sei qui anche tu?”. “Sì, fratello,” rispondevo. “La grazia di Dio ha aiutato anche me ad entrare”, alla quale risposta ridevano molto, in quanto consideravano cosa ridicola aver bisogno di Dio per una impresa così da poco. Mentre chiedevo a tutti informazioni sulla strada che avevano percorsa (parecchi avevano dovuto scalare la montagna), s’incominciarono a suonare forte le trombe, che però non vedevamo, per chiamarci a tavola; molti allora si sedettero a seconda della posizione che sembrava a loro adatta: perciò c’era rimasto appena posto per me ed altra povera gente alla tavola piú bassa. Ben presto arrivarono i due paggi ed uno di loro disse una preghiera tanto bella e splendida che il mio cuore si rallegrò. Parecchi spacconi, tuttavia, non badavano a questa ma ridevano fra di loro, si facevano segni, fingevano di mangiarsi i capelli e facevano altri scherzi di questo genere.

    Dopo di che venne portato da mangiare, e benché non si vedesse nessuno, tutto era fatto con un tale ordine che mi sembrava che ogni invitato avesse il suo proprio servitore. Quando poi gli ospiti si furono rilassati un po’ e il vino ebbe tolto parte del ritegno dai loro cuorì, si vantarono tutti, facendo sfoggio dei loro poteri. Uno voleva tentare questa cosa, l’altro quell’altra e gli idioti piú grandi facevano il fracasso maggiore. Quando penso alle cose innaturali ed impossibili che li ho sentiti voler fare, provo ancora oggi indignazione. Per finire si cambiarono di posto, ma gli adulatori s’infilavano tra i signori e si vantavano di imprese che né Sansone né Ercole con tutta la loro forza avrebbero potuto fare. Uno voleva liberare Atlante del suo peso, l’altro voleva tirar fuori di nuovo dall’inferno Cerbero, dalle tre teste. Insomma, ognuno aveva il suo vanto, e i grandi Signori erano cosí stupidi da prestar loro fede. I malvagi cosí audaci che, benché qualcuno ricevesse ogni tanto un colpo di coltello sulle dita, non ci badavano. Quando uno diceva di essersi impadronito di una catena d’oro, tutti gli altri andavano avanti in questo senso, in concorso uno con l’altro. Ho visto uno pretendere di sentire il suono dei cieli. Un altro poteva vedere le idee di Platone. Un terzo voleva contare gli atomi di Democrito. C’erano anche non pochi che avrebbero scoperto il perpetuum mobile.

    A mio parere, parecchi avevano una buona intelligenza, solo che, sfortunatamente per loro, essi stessi ne avevano un’opinione troppo buona. Finalmente c’era anche uno che voleva convincerci che vedeva i servitori che servivano a tavola, e sarebbe andato avanti per un po’ di tempo, se uno dei servitori invisibili non gli avesse dato un colpo sul suo muso da mentitore, di modo che non solo lui, ma anche molti che erano vicino a lui diventarono silenziosi come le mummie. Mi fece molto piacere, però, vedere che quelli che stimavo di piú si comportavano ben tranquillamente e non alzavano la voce, ma riconoscevano di essere degli ignoranti, per i quali i segreti della Natura erano troppo elevati, come loro erano troppo inadeguati. In mezzo a questo tumulto mi sarei quasi pentito del giorno del mio arrivo lí: perché mi faceva male vedere che c’era gente disonesta e frivola alla tavola piú alta, mentre io non potevo rimanere in pace anche in un posto cosí basso, perché uno di quegli scellerati mi scherniva come pazzo completo. Io non pensavo che ci sarebbe stata un’altra porta da passare, ma immaginavo che avrei dovuto passare tutte le nozze deriso e disprezzato, cosa che non avevo meritato né dallo sposo né dalla sposa, e stimavo dunque che essi avrebbero dovuto perciò trovare un altro che facesse da buffone per le loro nozze. Guardate come la diseguaglianza di questo mondo induce le anime semplici ad una mancanza di rassegnazione; ma questa era una parte della mia infermità, della quale avevo sognato, come dicevo prima. E il tumulto aumentava sempre di piú, a causa di quelli che si vantavano di storie false e inventate e volevano far credere a dei sogni evidentemente non veri. C’era, però, un uomo di buone maniere e tranquillo seduto accanto a me che parlava ogni tanto di cose belle ed interessanti. Finalmente disse: “Guarda, fratello, se arrivasse uno per mettere questa gente impenitente sulla strada giusta, verrebbe ascoltato?”. “No di certo,” risposi. “Così”, disse lui, “il mondo vuole essere forzato ad illudersi e non vuole ascoltare quelli che gli vogliono bene. Vedi con quali immagini pazze e pensieri stupidi egli tira la gente a sé. Lí uno sbeffeggia la gente con parole occulte mai sentite. Ma, credimi, verrà il tempo in cui le maschere saranno tolte dal viso di questi truffatori per mostrare a tutto il mondo che genere di ingannatori nascondevano. Allora saranno ancora una volta rispettate quelle cose che sono disprezzate da tanto tempo.”

    Mentre parlava cosí, e il rumore, perdurando, diventava sempre peggiore, si levò inattesa nella sala una musica cosí dolce e solenne che non ho mai sentito qualcosa di simile durante tutta la mia vita; ad essa, tutti tacquero per aspettare cosa ne sarebbe seguito. Questa musica era fatta da tutti i tipi di strumenti a corda che si possono immaginare, accordati con tanta armonia, che mi dimenticai di me stesso e rimasi seduto lí senza alcun movimento, di modo che quelli seduti vicino a me si meravigliavano. Questo durò quasi mezz’ora, durante la quale nessuno di noi disse una sola parola, perché, appena uno voleva aprire la bocca, riceveva un colpo inaspettato su di essa, senza sapere da dove veniva. Pensavo che, siccome non potevamo vedere i musicisti, avrei voluto vedere almeno gli strumenti che usavano. Dopo una mezz’ora la musica smise all’improvviso e non vedemmo né sentimmo niente altro.

    Subito dopo si levò un grande fragore e suono di tromboni, e un rullío di tamburi di guerra davanti alla porta della sala, il tutto cosí maestoso che sembrava che stesse per entrare un imperatore romano. Poi la porta si aprí da sola, di modo che le trombe diventarono cosí forti che quasi non potevamo sopportarne piú il suono. Nel frattempo entravano nella sala migliaia di luci che, da sole, si tenevano nel giusto ordine, di modo che noi ci spaventammo molto, finché i due paggi già menzionati prima entrarono nella sala portando delle torce brillanti ed illuminando la strada ad una Vergine bellissima seduta su di uno splendido trono d’oro che si muoveva da solo; mi sembrava che fosse la stessa che prima aveva acceso e spento le luci sulla strada, e che fossero proprio esse i suoi servitori: le medesime luci che aveva posto prima negli alberi. Lei non era piú vestita di azzurro ma aveva un abito splendente in bianco puro, che brillava di oro ed era cosí luminoso che non potevamo guardarla con insistenza. I due paggi erano vestiti nello stesso modo, ma un po’ meno splendidamente. Quando fu arrivata in mezzo alla sala e scese dal trono, tutte le luci s’inchinarono davanti a lei. Noi ci alzammo tutti dai nostri banchi, ma rimanemmo ognuno al proprio posto.

    Dopo che lei ci ebbe salutati onorevolmente, e ci ebbe dimostrato ogni riverenza e onore, e anche noi a lei, incominciò a parlare con voce dolcissima:

    “Il Re, il mio grazioso Signore,

    Che adesso non è molto lontano,

    Come anche la sua carissima sposa,

    Affidata a lui in onore,

    Hanno già visto con grande gioia,

    Il vostro arrivo.

    Onorano del loro favore ognuno di voi,

    E dal fondo del cuore ad ogni istante,

    Vi augurano che abbiate successo,

    Di modo che alla gioia delle loro prossime nozze,

    Non venga mischiata la sofferenza di nessuno.”

    Poi s’inchinò con cortesia, e insieme a lei tutte le sue luci, e subito dopo cominciò come segue:

    “Sapete che nella lettera d’invito,

    Non fu chiamato qui nessuno,

    Che non abbia ricevuto i doni piú belli

    Da Dio tempo addietro,

    E che non sia preparato con rigore,

    Come occorre in tali cose;

    Perciò non credo

    Che nessuno sia stato cosí audace,

    Sotto tali condizioni difficili,

    Da presentarsi qui

    Senza essersi preparato da molto tempo

    Per le nozze.

    Perciò essi hanno buone speranze

    Che vada tutto bene per voi,

    E sono felici di trovare tanta gente,

    In tempi cosí difficili.

    Ma gli uomini sono cosí audaci

    Che la loro grossolanità non li ferma,

    E si spingono avanti

    In posti dove non furono chiamati.

    Dunque, perché i furbi

    Non possano truffare,

    E nessun indegno s’intrufioli fra gli altri;

    E perché loro possano celebrare presto delle nozze pure

    Senza dover nascondere nulla,

    Domani sarà montata

    La Bilancia degli Artisti

    Per pesare accuratamente

    Quello che ognuno ha dimenticato a casa:

    Se si trova qualcuno in questa folla,

    Che non abbia completa fiducia in sé,

    Egli deve mettersi da parte in fretta,

    Perché se accade che rimanga qui,

    Non riceverà più grazia,

    E domani sarà punito.

    Quelli che vogliono sondare la loro coscienza,

    Dovranno restare qui, oggi, in questa sala,

    E fino a domani saranno liberi,

    Ma che non tornino piú qui!

    Se qualcuno è sicuro del suo passato,

    Che vada col suo servitore,

    Che gli mostrerà la sua camera;

    Lí potrà riposarsi bene oggi,

    Aspettando la gloria della Bilancia:

    Altrimenti avrà un sonno molto difficile;

    Gli altri staranno meglio qui.

    Perché colui che pretende troppo,

    Farebbe meglio a fuggir via.

    Si spera che ognuno agisca per il meglio.”

    Appena finito di dire queste parole, s’inchinò ancora una volta, e salì con gioia sul suo seggio: poi cominciarono a suonare ancora una volta le trombe, che però non potevano fermare i sospiri pesanti di molti di noi: infine i suonatori invisibili la condussero fuori, mentre la maggior parte delle luci rimanevano nella sala, ognuna legandosi ad uno di noi. In un tale perturbamento non è possibile esprimere quali pensieri deprimenti e quali gesti di disperazione furono scambiati. La maggior parte era sempre decisa a tentare la Bilancia e, se non fossero stati all’altezza, ad andarsene in pace (cosí speravano). Avevo riflettuto in fretta, e siccome la mia coscienza mi aveva convinto della mia mancanza di comprensione e della mia indegnità, decisi di rimanere nella sala con altri e di contentarmi del posto che avevo ricevuto piuttosto che proseguire con pericolo. Dopo che gli altri se ne furono andati un po’ per volta alle loro camere (ognuno nella sua, come ho saputo dopo), guidato ciascuno dalla propria luce, rimanemmo in nove, compreso quello che aveva parlato con me a tavola; ma le nostre luci non ci abbandonarono.

    Dopo un’oretta, uno dei paggi venne portando un rotolo di corda, e ci chiese in tono solenne se eravamo decisi a restare lí; quando demmo la conferma, sospirando, egli ci legò, ognuno in un posto speciale, e sparí con le nostre luci, lasciando noi poveretti nel buio. Allora cominciarono a scorrere le lacrime a molti, ed anche io non potei trattenere le mie. Benché non fosse vietato parlare, l’angoscia e la miseria facevano tacere tutti. La corda era fatta in modo particolare, sicché nessuno poteva romperla né toglierla dai piedi. Mi consolava però sempre il pensiero che molti di coloro che erano andati a dormire avrebbero poi subìto una grande vergogna, mentre noi potevamo espiare la nostra audacia in una sola notte. Finalmente mi addormentai con i miei pensieri tormentosi: benché la maggior parte del nostro gruppo non chiudesse gli occhi, io ero cosí stanco che non potei fare altrimenti.

    Nel mio sonno ebbi un sogno che forse non ha molto significato, ma che ritengo comunque utile raccontare. Mi parve di essere su un’alta montagna con una grande vallata larga davanti a me. In questa vallata c’era una grande folla di persone, ognuna delle quali aveva un filo attaccato alla testa, col quale era appesa al cielo. Alcuni erano appesi in alto, altri in basso e parecchi stavano quasi sulla terra. Ma c’era un vecchio che volava nell’aria portando a mano una forbice, con la quale tagliava ognì tanto il filo a qualcuno. Quelli che erano vicini al suolo erano piú rapidamente a posto e cadevano senza rumore, ma quando toccava ad uno in alto, cadeva in modo da far tremare la terra. Alcuni avevano la fortuna di sentir scendere al suolo il loro filo, in modo che erano già sulla terra prima che questo fosse tagliato. Un simile capitombolare mi divertiva molto, e mi piaceva fino in fondo al cuore quando uno che si era alzato al di sopra delle sue capacità cadeva giú con tanta vergogna, e magari trascinava con sé alcuni di coloro che erano vicini. Ero anche felice quando uno che era sempre rimasto vicino a terra poteva venir giú cosí tranquillamente e dignitosamente che neanche i suoi vicini se ne accorgevano.

    Al colmo della mia felicità venni per caso spinto da uno dei miei compagni di prigionia, in modo che mi svegliai e mi irritai con lui. Poi ricordai il mio sogno, e lo raccontai al mio fratello che era steso accanto a me dall’altro lato. Gli piacque, e sperò che fosse il presagio di un aiuto. Passammo il resto della notte in questa conversazione ed aspettammo il giorno con grande desiderio.

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GRANDI MASSONI

Grandi Massoni: La Massoneria ha visto presenti tra le Colonne dei suoi Templi figure di uomini di statura eccezionale, che con le loro imprese hanno lasciato tracce incancellabili della loro esistenza, in tutti i campi d’azione dell’uomo. Tra questi giganti nella storia dell’umanità ricordiamo: Y (Industria) 1) Henry Ford (1863-1947), un personaggio proveniente dalla proverbiale gavetta, ha sempre deprecato la carità professionale, adoprandosi invece per costruire un’industria organizzata a servizio sociale, ovvero un sistema capace di eliminare la necessità della filantropia attraverso sistematici interventi del sistema produttivo su quello assistenziale. I suoi sforzi furono coronati dal più lusinghiero dei successi, avendo realizzato un colosso mondiale nella produzione automobilistica. Era solito ripetere che “il fondamento dell’economia è il lavoro. Il lavoro è l’elemento umano che rende utili agli uomini le stagioni fruttifere della terra. É il lavoro umano a rendere proficuo il raccolto dei campi. Questo è il fondamento economico: ciascuno di noi lavora con materiali che noi non creammo né potevamo creare, ma che ci furono offerti dalla natura, cioè da Dio. Fondamento morale è il diritto dell’uomo sulla sua attività. Esso è diversamente statuito: è chiamato talvolta diritto alla proprietà, talaltra è mascherato nel comando “tu non devi mai rubare”. É il diritto di proprietà di un altro uomo che fa del furto un crimine. Quando un uomo si è guadagnato il suo pane, egli acquisisce il diritto a questo pane. Se un altro uomo glielo ruba, questi fa molto più che rubar pane: egli invade un sacrosanto diritto umano”. 2) Vittorio Valletta (1883-1967) è stato per circa cinquant’anni ai vertici della massima fabbrica automobilistica italiana. Un’industria, la FIAT di Torino, che sotto la sua guida doveva trasformarsi da modesta a colosso industriale internazionale. É stato l’uomo della “Topolino”, ed ancor più della “500” e della “600”, ed il suo nome evoca il tempo del cosiddetto miracolo economico degli anni 50 e 60, quando l’Italia cominciava a muoversi in massa su quattro ruote, consumando in progressione geometrica. Iniziato intorno al 1920, su invito dell’affermato avvocato torinese Giuseppe Di Miceli, fu fratello di Loggia del collega commercialista Luciano Jona (poi per anni presidente dell’Istituto Bancario San Paolo di Torino), fu “dormiente” nel corso dell’intero periodo fascista, assumendo nei confronti del regime un aspetto camaleontico. Lo stesso atteggiamento tenne nei confronti delle più alte gerarchie della Chiesa cattolica. Forse non aveva altra scelta, intendendo egli mantenere quel potere che ormai era nelle sue mani, un potere indispensabile per conseguire gli obbiettivi che intendeva perseguire. Nel dopoguerra ristabilì i suoi contatti con il G.O.I., ma soltanto a livello di Loggia coperta, restando così relegato agli essoterici margini elitari dell’istituzione muratoria. Occorre qui porre in risalto la certezza che, se nei vari periodi di intemperie storiche la Massoneria avesse affidato le proprie sorti a fratelli tanto potenti quanto iniziaticamente tiepidi come Valletta, l’Ordine sarebbe sicuramente estinto da molto tempo. Y (Sindacalismo) Il 28 settembre 1864 si costituì a Londra la prima “Internazionale”, denominata Associazione Internazionale dei Lavoratori. La prima sua sezione italiana venne fondata in una casa massonica dal fratello Enrico Bignami (1846-1921). seguendo una consuetudine di reciproca ospitalità tra le associazioni democratiche dell’epoca. Tra gli internazionalisti massoni della prima ora vi fu anche il leggendario Amilcare Cipriani (1844-1918), che restò fedele agli ideali muratori fino alla morte, pur non avendoli mai compresi appieno. Il più significativo esempio di sindacalista massone fu senz’altro Giuseppe Giulietti (1879-1953), per lungo tempo carismatico segretario generale della Federazione Italiana Lavoratori del Mare, oppresso dal regime fascista ed incompreso nella stessa istituzione massonica che addirittura lo inquisì per attività sovversive, senza valide ragioni. In nazioni straniere si dintinsero vari massoni sindacalisti, tra i quali: E. Vandervelde (1866-1938), fondatore del partito opraio belga, W. Leuschner (1890-1944), dirigente della Federazione Tedesca del Lavoro, ucciso dai nazisti, S. Gompers (1850-1924), fondatore dell’American Federation of Labor, che poi orientò pragmaticamente, prendendo le distanze dal socialismo marxista, John L. Lewis (1880-1969), leader indiscusso della United Mine Workers, il potente sindacato dei minatori, che guidò nel grande “sciopero del carbone”, grazie al quale i minatori, per primi e nel primo dopoguerra, ottennero l’orario ridotto ad otto ore giornaliere. Y (Pacifisti) in questo particolare ambito, il massone più rappresentativo fu probabilmente Léon-Victor Bourgeois 1851-1925), presidente della Società delle Nazioni (la prima versione dell’ONU) ed assertore dell’arbitrato internazionale, premio Nobel per la Pace nel 1920, Carl von Ossietzky (1889-1938), pacifista socialista indipendente, un dinamico antidogmatico di incondizionata solidarietà con la causa proletaria, premio Nobel per la Pace nel 1935, Daniel Carter Beard (1850-1941), leader dello Scoutismo internazionale, R,D. Abernathy (n. 1926), il pastore battista che guidò la “marcia dei poveri” su Washington nel 1968, Martin Luther King sr. (1900-1984), anch’egli pastore battista, carismatico attivista del movimento non violento per i diritti civili negli U.S.A. Y (Militari) Sono molti i massoni che si sono distinti negli eserciti di tutto il mondo, che spesso hanno portato alla costituzione di vere e proprie Logge militari, talvolta operative negli stessi luoghi in cui combattevano. Tra questi ricordiamo: Horatio Nelson (1758-1805), ammiraglio inglese, il celebre vincitore sulla flotta francese a Trafalgar, dove morì, Arthur Wellesley 1° duca di Wellington (1769-1852), comandante dell’esercito vincitore a Waterloo (1815) sulle truppe di Napoleone Bonaparte, Marie-Joseph-Paul de Motier, marchese di La Fayette (1757-1834), generale e uomo politico francese, dal 1777 attivo e stretto collaboratore di Giorgio Washington (v.) durante l’intera guerra d’indipendenza americana, Paul Peigné (1844-1919), generale francese, inventore balistico, mirabile esempio di separatore della figura professionale da quella massonica, Luigi Capello (1859-1941), generale dell’esercito italiano, ingiustamente accusato quale responsabile della disfatta di Caporetto, John J. Pershing (1860-1948), capo delle forze armate statunitensi durante la prima guerra mondiale, sempre ostentatamente un massone che considerava l’Ordine come un’istituzione patriottica, Omar Bradley (1893-1981), capo delle truppe alleate sbarcate in Normandia, Mark Wayne Clark (1896-1984), capo dell’offensiva alleata sul fronte italiano, apoteosi della seconda guerra mondiale, Douglas MacArthur (1880-1964), comandante supremo delle Forze Alleate nel Pacifico meridionale(1942). Y (Polizia)Soprattutto nel mondo anglosassone la Massoneria annovera numerosi affiliati tra le forze di polizia, dall’inglese Scotland Yard all’americana F.B.I. alla Mounted Police canadese. La famigliarità tra Logge e corpi anticrimine data all’epoca della milizia coloniale americana del ‘700, manifestandosi nella drammatica fase della “frontiera” quando nel 1863, in Montana, un gruppo di pionieri e cercatori d’oro, in prevalenza Massoni, si accordò sul “Vigilante oath”. Era il giuramento che sanciva la giustizia sommaria nei confronti dei responsabili di brigantaggio colti in flagranza di reato. Tra quanti hanno costruito la storia dei corpi di polizia del XX secolo spicca John Edgar Hoover (1895-1972), per vari decenni capo del Federal Bureau of Investigations (F.B.I.). Y (Cosmopoliti)Il letterato massone Christoph M. Wieland (1733-1813) sosteneva che “i cosmopoliti portano il nome di cittadini del mondo, poiché considerano tutti i popoli della terra come altrettanti rami di un’unica famiglia, e l’universo come uno stato di cui essi sono cittadini, per contribuire, sotto le leggi universali della natura, alla perfezione dell’insieme”. Il filosofo massone Johann Gottlieb Fichte (1762-1814), codificatore dell’idealismo patriottico attraverso i suoi Fondamenti dell’intera dottrina della scienza (1794), affermava che “come ogni cosa terrena per il Massone significa soltanto l’eterno, e solo per quest’eterno, di cui egli riconosce in essa la spoglia mortale, ha valore ai suoi occhi, così per lui tutte le leggi e gli ordinamenti del suo Stato e tutte le circostanze del suo tempo significano solo l’intero genere umano, e solo all’intero genere umano si riferiscono. Nel suo animo amor di patria e sentimento cosmopolita sono intimamente congiunti, stanno anzi entrambi in preciso rapporto: l’amor di patria è in lui l’azione, il sentimento cosmopolita è il pensiero; il primo è il fenomeno, il secondo è lo spirito interiore del fenomeno stesso, l’invisibile nel visibile”. Y (Patrioti) Tra quanti si distinsero per la dedizione ai più elevati ideali del patriottismo, ricordiamo i massoni Benjamin Franklin (1706-1790), artefice culturale e diplomatico della nuova grande America, Gustav Stresemann (1854-1943), Cancelliere e poi Ministro degli Esteri tedesco, promotore dell’ammissione della Germania nella Società delle Nazioni che, allorché raggiunto lo scopo, lodò apertamente il Grande Architetto dell’Universo, Simon Bolivar (1783-1830), liberatore del Venezuela dalla dominazione spagnola, Francisco Antonio Gabriel de Miranda (1750-1816), generalissimo e dittatore venezuelano, promotore dell’indipendenza dell’America latina, José Napoleon Duarte (1931-1990), presidente della repubblica salvadoregna, Salvador Allende Gossens (1909-1973), presidente della repubblica cilena, spodestato ed ucciso in un golpe militare guidato da Pinochet, Bernardo O’Higgins (1776-1842), uomo politico liberale cileno, capo della rivoluzione antispagnola del 1811, Josè Martì (1853-1895), scrittore e combattente per l’indipendenza di Cuba dal giogo spagnolo, Benito Pablo Juarez (1806-1872), uomo politico messicano, capo della rivolta contro Massimiliano d’Austria (1864), presidente della repubblica del Messico dal 1867 alla morte, José Mercado Rizal (1861-1896), eroe nazionale filippino, Eleutherios Venizelos (1864-1936), capo della rivolta cretese contro i turchi, proclamatore dell’unione di Creta alla Grecia nel 1805, Mustafa Kemal Atatürk (1880-1938), generale e statista, depose il sultano Maometto V e proclamò la repubblica turca, di cui fu presidente fino alla morte, Lajos Kossuth (1802-1894), protagonista della rivolta ungherese contro la dominazione asburgica, presidente della repubblica ungherese fino all’esilio impostogli dallo zar Nicola I, Pasquale Paoli (1725-1807), capo della lotta dei corsi contro Genova che rioccupò l’isola con l’aiuto dei francesi, per cedere poi definitivamente la Corsica alla Francia nel 1769, Marthinus Wessels Pretorius (1819-1901), uomo politico boero, presidente del Transvaal (1857) e dell’Orange (1860), Giuseppe Garibaldi (1807-1882), l’eroe dei due mondi, uno degli artefici dell’Unità d’Italia, e tra i suoi mille Nino Bixio (1821-1873), storico dei mille, difensore della repubblica romana (1849), deputato e poi senatore del Regno d’Italia, ed Aurelio Saffi (1819-1873). triunviro con Mazzini ed Armellini nel governo della repubblica romana, concorse valorosamente alla difesa di Roma, e poi esiliato a Londra. Y (Esperantisti) Uno dei campi d’azione cosmopolita nei quali l’intervento diretto di singoli massoni s’è fatto sentire è quello linguistico, particolarmente intorno al progetto esperantista, che dal 1889 catalizza le energie di numerosi “cittadini del mondo”. Tra questi ricordiamo Ludovico Lazaro Zamenhof (1859-1917), oculista polacco, di origini ebree, geniale creatore dell’Esperanto, fondatore nel 1905 della Universala Framasona Ligo, mediatrice tra massonerie regolari ed irregolari, Mario Dazzini (1910-1985), attivissimo nell’ambiente esperantista mondiale, presidente della Federazione Esperantista Italiana, e Carlo Gentile (1920-1984), ricercatore esoterico, grande animatore dell’esperimento massonico esperantista italiano. Y (Cinema) Tra i massoni che sono o sono stati grandi registi e produttori cinematografici, ricordiamo: Jack Warner (n. 1916), William Wyler (1902-1981), Louis B. Mayer (1885-1957), Darryl Zanuch (1902-1979), Adolph Zukor (1873-1976), Cecil Blount De Mille (1881-1959), Walt Disney (1901-1966) e Guido Brignone (1887-1959). Numerosi gli attori massoni, tra cui celebri sono stati: Tom Mix (1880-1940), Douglas Fairbanks (1883-1939), Wallace Beery (1889-1949), Donald Crisp (1880-1974), Oliver Hardy (1892-1957), Clark Gable (1901-1960), John Wayne (1907-1979), Ernest Borgnine (n. 1918), ed in Italia Gino Cervi (1901-1974), Amedeo Nazzari (1907-1979) ed il grande comico Antonio de Curtis detto Totò (1898-1967). Y (Teatro)Numerosissimi sono gli autori teatrali italiani iniziati alla Massoneria, tra i quali:Carlo Goldoni (1707-1793), Sem Benelli (1877-1949), Annibale Ninchi (1887-1967), Giovacchino Forzano (1884-1970) e Ludovico Parenti (n. 1938), mentre tra gli attori teatrali italiani sono da citare Gustavo Modena (1803-1851), Ernesto Rossi (1827-1896), Tommaso Salvini (1829-1915), Cesare Rossi (1829-1898), Ermete Novelli (1851-1919), Ruggero Ruggeri (1871-1953), Angelo Musco (1872-1947), Ettore Petrolini (1886-1936), Renzo Ricci (1899-1978), Riccardo Billi (1906-19872) e Paolo Stoppa (1906-1988). Y (Sport) Celebri figure massoniche nelle attività sportive ricordiamo: Giuseppe Evangelisti (1873-1935), pioniere del ciclismo, Alexander Joy Cartwright (1820-1892), pioniere del baseball, James Naismith (1861-1939), pioniere della pallacanestro, e tra i grandi pugili Daniel Mendoza (1764-1832), Ray “Sugar” Robinson (1920-1989), William Harrison “Jack” Dempsey (1895-1983), Jack A. Johnson (1878-1946); infine Sir Malcom Campbell (1885-1948), che alla guida della mitica auto “Bluebird” stabilì, e mantenne a lungo, il record mondiale di velocit

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LA MASSONERIA è ANCORA IN GRADO DI POTER MANTENER LE SUE PROMESSE . . .

“La Massoneria è ancora in grado di poter mantenere le sue promesse di fronte all’ondata di wellness (benessere) spirituale che tenta di soddisfare l’individualismo dei nostri contemporanei? Il R.S.A.A. potrà giocare ancora un ruolo importante nel processo di rinnovamento spirituale?”

°  °  °

Per affrontare correttamente l’argomento, occorre chiarire che cosa sia e da dove nasca il Wellness spirituale. Si deve anzitutto osservare come, a dispetto del nuovo ordine economico mondiale, fondato sul capitalismo finanziario, l’anelito dell’uomo al sacro non si sia estinto e non si sia esaurita la spinta propulsiva verso la spiritualità. Il nuovo secolo continua a essere fondato sul “mito”, piuttosto che sul “logos”, con una forte caratterizzazione religiosa. La crisi economica planetaria favorisce, però, il diffondersi di una religiosità disordinata, non sempre ancorata alle grandi religioni monoteistiche.

   La sociologa francese F. Champion parla di una “nebulosa mistico-esoterica”, formata da un certo tipo di mentalità con alcune caratteristiche fondamentali, quali: il primato dell’esperienza personale e solitaria, la concezione olistica del mondo, un moderato ottimismo, il tentativo di trasformare se stessi attraverso tecniche psico-esoteriche, la ricerca di esperienze fuori dell’ordinario. Possiamo sintetizzare tutto questo come ricerca di una felicità esclusivamente individuale.

   Questa “nebulosa” teorizzata dalla sociologa è un condensato di Neopaganesimo, di New-Age e di Next-Age.

   La New-Age, movimento sorto in California negli anni ’60 del secolo scorso, si basa su dottrine e tecniche psico-spirituali e raccoglie, attorno ad alcuni sentimenti e convinzioni condivise, individui che farebbero fatica a trovare un comune denominatore. E’ una corrente spirituale che non fa riferimento a una Chiesa o a un Ordine Iniziatico, ma piuttosto a una costellazione di gruppi diversi collegati da alcune idee e aspirazioni comuni. Essa si fonda sull’avvento imminente dell’Età dell’Acquario, ricca di una nuova spiritualità che permetterà di uscire dalla gravità della materia.

    La Next-Age è un’evoluzione della New-Age e nasce a metà degli anni ’80, sulla spinta della disillusione diffusa verso il concetto di felicità collettiva, che porta a declinare l’idea di felicità alla prima persona singolare anziché a quella plurale.

Da questa sub-cultura, che abbandona l’utopia per l’edonismo privato e narcisistico, nasce il Wellness spirituale contemporaneo, la ricerca del benessere soggettivo e personale.

   Molti studiosi sono convinti che l’Era del Wellness e della Next-Age sia in fase di conclusione, poiché si ritiene che non sia più il tempo di benessere personale o di narcisismo individualistico. Un’epoca si sta chiudendo e non potrà più tornare: l’egemonia economico-culturale della Civiltà occidentale si è notevolmente ridotta e il Capitalismo globale ha già scelto i suoi nuovi territori sui quali far circolare risorse e capitali. L’Occidente sopravvivrà, ma non potrà più fungere da faro del Mondo; con la fine del modello occidentale, necessariamente, cesserà un certo stile di vita consumistico e edonistico. Il crepuscolo dell’Occidental Way si porterà dietro anche Next-Age e Wellness, perché finirà per sempre l’individualismo occidentale.

   La risposta alla domanda se la Massoneria sia in grado di far fronte al Wellness è, a mio avviso, affermativa in quanto, nella logica di quanto esposto in precedenza e nell’attesa che la pretesa occidentale di una sorta di esclusiva del benessere imploda del tutto, la Massoneria e soprattutto il R.S.A.A. possono e devono svolgere un ruolo fondamentale nel processo di rinnovamento spirituale dell’umanità. Il compito di un Ordine Iniziatico è essenzialmente di tipo spirituale: aiutare l’uomo a liberarsi dai vincoli e dalle illusioni del mondo materiale. L’uomo occidentale ha bisogno di ritrovare una visione del mondo che non sia basata sui valori che hanno dominato in questi anni: materialismo, storicismo, ottuso razionalismo. Il Rito Scozzese Antico ed Accettato, permeato di una spiritualità autentica, può aiutare l’individuo a ritrovare la Tradizione, dando supporto e sostegno a chi decide di percorrere la Via Iniziatica.   

   Forgiare degli autentici Massoni diventa fondamentale, non soltanto per trarre dalle tenebre materiali la forma esoterica in parte dimenticata, ma per formare uomini sempre più importanti nella società civile, quali portatori di valori spirituali universali capaci di sconfiggere l’individualismo più deleterio.

Eros Rossi 33 \

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LE NOZZE CHIMICHE DI CHRISTIAN ROSEKREUK – PRIMO GIORNO

Le Nozze Chimiche di Christian Rosenkreuz

Anno 1459

PRIMO GIORNO

    Una sera, prima della Pasqua, ero seduto al mio tavolo secondo la mia abitudine, mi intrattenevo lungamente col mio Creatore in umile preghiera. Meditavo i grandi segreti che il Padre della Luce, nella sua Maestà, mi aveva lasciato contemplare in gran numero. Mentre volevo preparare nel mio cuore un pane azzimo senza macchia, con l’aiuto del mio amato Agnello pasquale, all’improvviso si levò un vento così terribile che non potei far a meno di pensare che la montagna nella quale era scavata la mia dimora sarebbe crollata a causa della sua grande violenza. Poiché non mi sorprendevo di questo o di cose simili, che venivano di solito dal diavolo (il quale mi aveva procurato molta sofferenza) mi feci animo e continuai nella mia meditazione, finché qualcuno mi toccò, inaspettato, sulla spalla, e fui tanto spaventato da questo che quasi non potei girarmi, sebbene allo stesso tempo restassi così tranquillo come la debolezza umana può permettere in tali circostanze. E poiché mi venne tirato parecchie volte il vestito, voltai infine lo sguardo e lì v’era una donna di splendente bellezza, dal vestito azzurro e graziosamente disseminato di stelle d’oro, come il cielo. Nella mano sinistra portava una tromba, tutta d’oro, sulla quale era inciso un nome, che potei leggere chiaramente, ma che in seguito mi fu vietato di svelare. Nella mano destra portava un grande fascio di lettere, in varie lingue, che lei (come ho saputo dopo) doveva portare in ogni Paese del mondo. Aveva anche delle ali grandi e belle, tutte piene di occhi, con le quali poteva prendere il volo e volare più velocemente di un’aquila.

    Avrei potuto forse notare qualcos’altro di lei, ma siccome rimase così poco con me e mi causò tanto spavento e tanta meraviglia, non posso dirne di più, eccetto che, quando mi voltai, frugò tra le sue missive, e tirò fuori finalmente una letterina, che mise sul tavolo con grande reverenza e, senza neanche una parola, se ne andò. Nel prendere il volo soffiò però con tanta forza nella sua tromba, che tutta la montagna ne risonò, e per quasi un quarto d’ora non riuscii a sentire più nemmeno la mia voce. In un’avventura così inaspettata, io, povero me, non sapevo consigliarmi nè aiutarmi: perciò caddi sulle ginocchia e pregai il mio Creatore perché non mi lasciasse accadere nulla contro la mia salvezza eterna. Poi presi, spaventato e tremante, la lettera, la quale era così pesante che, anche se fosse stata di oro puro, non avrebbe potuto esserlo di più. Mentre l’esaminavo con attenzione, vidi un piccolo sigillo col quale era chiusa. Su questo era incisa una croce sottile con l’iscrizione: “In hoc signo vinces”. Dal momento che trovai questo segno fui più rassicurato, perché sapevo che un tale segno non piace al diavolo, e ancora meno viene usato da lui. Perciò aprii con cura la lettera: dentro trovai, scritti su fondo blu con lettere d’oro, i versi seguenti:

    “Oggi, oggi, oggi,

    Sono le nozze del re.

    Se tu sei nato per questo,

    Eletto da Dio per la gioia,

    Puoi andare sulla montagna,

    Dove sono tre templi,

    Ad assistere agli avvenimenti.

    Stai attento,

    Guarda te stesso,

    Se tu non ti purifichi con cura,

    Le nozze possono farti male.

    Colui che è contaminato è in pericolo,

    Colui che pesa troppo poco, che si guardi!”

    Sotto era scritto: Sponsus et Sponsa.

    Quando lessi questa lettera, quasi persi i sensi, tutti i capelli mi si rizzarono sulla testa e un sudore freddo mi corse su tutto il corpo, perché, anche se mi ero accorto che queste erano le stesse nozze che mi erano state annunciate sette anni prima da un viso umano, e che aspettavo con grande desiderio da tanto tempo e che avevo trovato finalmente dopo calcoli rigorosi delle mie tavole dei pianeti, non avrei mai previsto che sarebbero avvenute in condizioni così dure e pericolose.

    Prima, avevo pensato che avrei dovuto solo presentarmi alle nozze, che sarei stato un ospite caro e benvenuto. Ma ora che tutto dipendeva dalla Grazia di Dio, della quale non ero sicuro neanche adesso, quanto più mi pesavo, tanto più trovavo che nella mia testa non c’era niente altro che una grande mancanza di comprensione ed una cecità delle cose segrete: a tal punto che non sapevo neppure comprendere quello che stava sotto i miei piedi e le cose con le quali vivevo ogni giorno, e tanto meno ritenevo di essere nato per la ricerca e la conoscenza dei segreti della Natura. Secondo la mia opinione, infatti, la Natura avrebbe potuto trovare un discepolo molto più virtuoso al quale affidare il suo tesoro, sia pur temporaneo e passeggero. Trovavo anche che il mio corpo e il mio comportamento (sia pure esternamente buono) e il mio amore verso il prossimo non erano ben purificati e puliti. Così pure si manifestava ancora il pungolo della carne, ed i sensi trovavano il loro piacere nelle apparenze magnifiche e nella pompa del mondo, e non nel far del bene al prossimo; pensavo sempre a come avrei potuto agire per il mio profitto attraverso la mia arte, costruire palazzi splendidi, farmi un nome eterno nel mondo ed altri simili pensieri carnali.

    Tuttavia, erano le parole oscure circa i tre templi, che non riuscivo a risolvere con nessuna meditazione, che mi preoccupavano particolarmente. Non sapevo forse neanche ancora quando tutto questo mi sarebbe stato meravigliosamente svelato. Trovandomi in tale spavento e speranza, andavo su e giù: mi trovavo però sempre solo con la mia debolezza e incapacità e allora non potevo aiutarmi in nessun modo, e mi spaventavo moltissimo davanti a questo preannunciato matrimonio. Quindi ripresi finalmente la mia vita abituale e la più sicura: mi misi a letto dopo aver finito una preghiera devota e fervente, in attesa che il mio buon angelo apparisse per divino destino (come già era successo parecchie volte) per comunicarmi che cosa, in quest’affare disperato, poteva succedermi per la gloria di Dio, per il mio bene e per il miglioramento e l’ammonizione cordiali del mio prossimo.

    Appena addormentato, mì sembrò di essere in una torre scura con un’infinità di altre persone, legate con catene, e tutti eravamo senza nessuna luce o chiarore e brulicavamo l’uno sopra l’altro come le formiche, e l’uno rendeva più pesante all’altro la sua miseria. Benché né io né nessuno fra noi vedesse niente, sentivo sempre l’uno alzarsi sopra gli altri nel momento in cui la sua catena o il suo peso diventavano anche soltanto leggermente meno pesanti, senza accorgersi che nessuno aveva molto vantaggio sugli altri, perché eravamo evidentemente tutti insieme poveri e del tutto ignoranti. Dopo essere rimasto insieme con gli altri per un bel po’ di tempo, sentendo ciascuno dare del cieco e dell’impedito all’altro, sentimmo finalmente suonare molte trombe e anche il tamburo di guerra, con tanta arte che ci sentivamo, malgrado tutto, ravvivati in fondo alla spina dorsale e rallegrati. Con questo suono venne tolta inoltre la chiusura della torre, e un po’ di luce arrivò sino a noi. Per la prima volta, potevamo vedere come eravamo in basso e come tutto era una gran confusione: e quello cui sembrava di essersi innalzato, si accorgeva invece di trovarsi tra i piedi degli altri. Ciascuno ora voleva essere il più alto, e così anche io non rimasi indietro e, malgrado le mie pesanti catene, mi spinsi avanti tra gli altri e mi alzai su una pietra che avevo scoperto. Benché parecchie volte fossi investito da altri, difesi la mia posizione il meglio possibile con le mani e i piedi. Eravamo ormai certi che saremmo stati tutti liberati: ma quel che successe fu diverso da quel che ci attendevamo. Dopo che i Signori dall’alto ci ebbero osservati guardando in giù attraverso l’apertura nella torre, divertendosi non poco al nostro dibatterci e piagnucolare, un vecchio grigio come ghiaccio ci disse di fermarci, e quando questo avvenne, incominciò a parlare, per quanto posso rammentarmi, come segue:

    “Se le aspirazioni della povera razza umana,

    Non fossero così presuntuose

    Quanto di buono le sarebbe dato

    Da una madre buona;

    Ma poiché non vuole obbedire,

    Rimane con tante preoccupazioni,

    E dev’essere imprigionata.

    La mia cara madre, comunque,

    Non vuole tener conto della sua disobbedienza,

    E lascia apparire i suoi preziosi beni

    Benché raramente,

    Di modo che valgano qualcosa:

    Altrimenti verrebbero considerati cose inventate.

    Perciò, in onore della festa

    Che noi oggi festeggiamo,

    Perché la sua grazia venga aumentata,

    Vuole fare un’opera buona.

    La corda verrà ora lasciata cadere:

    Colui che vi si attacca,

    Sarà liberato”.

    Non appena ebbe parlato così una vecchia donna ordinò ai servitori di lasciar cadere sette volte la corda nella torre, e di tirar su quelli che vi si sarebbero attaccati. Oh! Dio volesse che sapessi descrivere quale agitazione ci prese, perché tutti volevano afferrare la corda, e in tal modo ci ostacolavamo soltanto gli uni con gli altri. Dopo sette minuti fu dato un segno con una piccola campanella. A questo punto, i servitori tirarono su per la prima volta quattro fra di noi, e quella volta non potei assolutamente raggiungere la corda, siccome, come ho già raccontato, ero andato per mia grande sfortuna su una pietra vicina alla parete della torre, e perciò non potevo arrivare alla corda che pendeva giù nel mezzo. La corda fu lasciata cadere un’altra volta. Ma poiché per molti le catene erano troppo pesanti e le mani troppo deboli, non solo non riuscirono a reggersi ad essa, ma buttarono giù con loro molti che avrebbero potuto forse restarvi afferrati. Sì, parecchi furono anche tirati giù da qualcuno che non riusciva ad arrivarci egli stesso: così, nella nostra grande miseria, ci invidiavamo sempre. Mi spiaceva di più, però, per quelli che avevano un peso tanto pesante che le mani stesse venivano loro strappate dal corpo e non potevano neanche uscir fuori. Così, dopo cinque volte, furono sollevati pochissimi di noi, perché subito dopo il segno i servitori erano tanto veloci nel tirar su la corda che per la maggior parte capitombolavano l’uno sopra l’altro; e la quinta volta la corda fu tirata su anche senza nessuno attaccato. Perciò la maggior parte, me compreso, rinunciavamo già alla nostra liberazione e chiamavamo Dio, che volesse aver pietà di noi e, se fosse possibile, liberarci da questa oscurità, ed Egli ascoltò parecchi di noi. Quando la corda venne giù per la sesta volta, molti si aggrapparono saldamente.

    Siccome la corda dondolava da un lato all’altro nel tirarla su, arrivò, certo per volontà di Dio, anche a me, e io l’afferrai subito, stando sopra tutti gli altri e, contrariamente ad ogni speranza, venni finalmente fuori, cosa che mi diede tanta gioia da non farmi sentire la ferita nella testa, che ricevetti da una pietra appuntita nel tirarmi su, se non dopo aver dovuto aiutare, con altri liberati, il settimo ed ultimo tiro. Il sangue infatti mi corse su tutto il vestito a causa del lavoro, cosa alla quale non avevo fatto attenzione prima per via della mia gioia. Quando fu compiuto anche l’ultimo tiro, nel quale si era attaccato alla corda il maggior numero di prigionieri, la donna fece mettere via la corda e il suo vecchissimo figlio (cosa che mi faceva molta meraviglia) annunciò agli altri prigionieri il suo ordine, e disse, dopo un momento di riflessione, quanto segue:

    “Cari figli

    Che state quaggiù,

    È finito

    Quello che era previsto da tanto tempo,

    Quello che è stato accordato ai vostri fratelli

    Per la grazia di mia madre.

    Non dovete nutrire invidia:

    Tempi di gioia presto arriveranno.

    Allora l’uno sarà uguale all’altro,

    Nessuno sarà ricco o povero;

    Colui al quale è domandato molto

    Deve anche rendere molto,

    Colui al quale è stato affidato molto,

    Deve stare attento alla sua vita.

    Perciò cessate il vostro lamento:

    E’ poco aspettare qualche giorno”.

    Appena ebbe finito di dire queste parole, il coperchio fu chiuso di nuovo e assicurato, e il suono delle trombe e dei tamburi di guerra si levò ancora. Ma per quanto forte fosse quel suono, si sentiva sempre il lamento amaro degli incarcerati, che veniva dalla torre, e che mi fece scorrere le lacrime dagli occhi. Poi la vecchia si sedette con suo figlio su un seggio già preparato e diede l’ordine di contare coloro che erano stati liberati. Quando ne apprese il numero, e dopo averlo scritto su una tavoletta d’oro, chiese ad ognuno il suo nome, che veniva registrato da un paggio. Dopo che ci ebbe guardati tutti, l’uno dopo l’altro, sospirò e disse a suo figlio, in modo che io lo sentissi: “Oh! che grande pena mi fanno quelli nella torre! Dio volesse che potessi liberarli tutti”. A questo il figlio rispose: “Madre, così è stato ordinato da Dio, non dobbiamo opporci a questo; se fossimo tutti signori e possessori dei beni della terra, quando siamo a tavola, chi ci porterebbe da mangiare?”. A questo la madre non replicò altro. Ma ben presto disse: “Adesso, liberate costoro dalle loro catene”. Questo fu subito fatto ed io fui quasi l’ultimo. Allora, sebbene mi fossi regolato dapprima sempre secondo gli altri, mi inchinai davanti alla vecchia e ringraziai Dio, che attraverso di lei mi aveva portato, in modo clemente e paterno, dal buio alla luce; altri fecero poi lo stesso e si inchinarono davanti alla donna. Infine fu donata a tutti una medaglia in ricordo. Da una parte era inciso il Sole nascente e dall’altra, per quanto rammento, le tre lettere D.L.S. [Deus Lux Solis; Deo Laus Semper (Dio luce del Sole: Sempre lode a Dio)]. Poi venne dato a tutti il permesso di andare ed ognuno fu mandato ai suoi affari, con la raccomandazione di vivere lodando Dio e al servizio del nostro prossimo, e mantenere il silenzio su quello che ci era stato affidato, cosa che promettemmo tutti di fare prima di dividerci. lo non potevo camminare facilmente, ma zoppicavo con tutti e due i piedi, cosa di cui la vecchia si accorse, ne rise, mi chiamò ancora una volta a lei e mi disse: “Figlio mio, non lasciarti affliggere da questa infermità, ma ricordati delle tue debolezze e ringrazia Dio che ti ha fatto arrivare fino a questa alta luce, già in questo mondo e nella tua imperfezione, e sopporta queste ferite in ricordo di me”.

    A questo punto si alzò ancora una volta il suono delle trombe, cosa che mi spaventò in modo tale che mi svegliai e mi accorsi soltanto allora che era stato un sogno. Ma ero rimasto così fortemente impressionato che ero sempre preoccupato a causa del sogno, e mi sembrava di sentire ancora le ferite ai piedi. Da tutto ciò, capivo, che mi era concesso da Dio di assistere a queste nozze segrete e velate, e per questo ringraziai la Sua Divina Maestà, e la pregai con fede filiale che mi volesse tenere sempre nel suo timore e riempire ogni giorno il cuore di saggezza e di comprensione, e infine di portarmi per mezzo della Sua grazia allo scopo desiderato, anche se non lo meritavo. Dopo di questo, mi preparai al viaggio, indossai il mio vestito bianco, mi fasciai con un nastro rosso come il sangue, legato in forma di croce sulle spalle e intorno ai fianchi. Infilai quattro rose nel cappello: sperando che tutti questi segni mi facessero notare più facilmente nella folla. Come cibo presi del pane, del sale e dell’acqua, cose che mi erano state consigliate da un Saggio, e che avevo trovato molto utili a suo tempo in diversi casi. Prima di lasciare la mia casa, mi misi in ginocchio con il vestito di nozze e pregai Dio che, qualsiasi cosa avvenisse, mi conducesse a un buon fine, e giurai davanti a Dio che se mi avesse svelato nella Sua clemenza qualcosa, io non l’avrei usata per avere onore e considerazione mondana, ma per far rispettare il Suo nome, e al servizio dei miei fratelli umani. E con questo voto, con la speranza e la gioia, lasciai la mia cella.

ti.

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ANGELA CAPURSO – LA SARDEGNA

 Angela Capurso

Se una settimana appare un tempo troppo breve perché un luogo possa rivelare quello che ha da dire, occorre tener conto che ogni viaggio si dilata tanto nella sua dimensione pregressa quanto seguente, con effetti di lunga durata al rientro in termini di conoscenza, memoria e nostalgia. Il mio pre-viaggio in Sardegna, invisibile spinta al viaggio stesso, è cominciato da un libro. Lettura duale e dinamica, quasi a corrente alternata, quella che oggi adotto, come molti. Direi un lungo itinerario intrapreso a casa: ho lasciato che le immagini richiamate dalla prosa letteraria di Michela Murgia (Viaggio in Sardegna, Undici percorsi nell’isola che non si vede, Milano 2014) entrassero in contatto con altre immagini che scorrono sul monitor, in risposta alle richieste di informazioni sulle compagnie di navigazione, la storia e le foto delle località, le strutture e le disponibilità alberghiere, viabilità e tempi di percorrenza.

Durante il pre-viaggio si vagliano varie ipotesi alla luce di criteri di scelta univoci e razionali, mentre resta sempre prioritario il desiderio di ciascuno. Oltre al fantasticare sulla carta geografica e stradale, il modo alternativo di viaggiare senza fastidi è lasciarsi condurre dai libri di viaggio. Il libro a cui mi affido non suggerisce itinerari, ma undici parole-battistrada per la ricerca di altrettante piste di conoscenza, con luoghi e testimonianze da ritrovare un po’ sparsi tra le regioni storiche sarde. “Undici” , mi sono detta, “non sarà che è proprio il numero dei giorni del percorso degli iniziati al culto della Gran Madre?” Non c’è terra in cui silenzio e mistero siano connaturati come in Sardegna.

Dopo alcuni mesi, finalmente, il viaggio. Rileggo le pagine del diario di D. H. Lawrence, Mare e Sardegna, (1921, rist. Nuoro 2000 e Milano 2007): lo scrittore ha colto, durante la sua visita di appena nove giorni, l’anima di una terra e le relazioni con il mare che la circonda.

La lunga traversata in nave Napoli/Cagliari – complice il beccheggio a contatto con la superficie instabile del mare – dà l’esatta percezione che ci dirigiamo verso un’isola ontologicamente mediterranea, terra essa stessa e perno tra le terre, che gustiamo la giusta attesa dell’arrivo, mentre le prime luci del mattino disegnano i profili aguzzi di rocce color arancio, refrattarie all’azione del vento e dell’acqua, e che tocchiamo il suolo accolti in un porto, il meno frettoloso tra gli abbracci di benvenuto.

L’itinerario si snoda a partire dall’entroterra, dal cuore di roccia e granito del Gennargentu e del Sopramonte. Da Nuoro percorriamo la Barbagia con il bus lungo una strada che asseconda i fianchi di colline a vigneto e vallate. In silenzio. Tra panorami di granito. Lo spettacolo della natura triumphans ci rapisce: forre e cigli selvaggi coperti di lecci, ginepri, roverella per inerpicarsi fin sotto le cime quasi dolomitiche di Oliena, che fa da quinta al paesaggio. Lungo la strada provinciale 58 – da evitare la 22 non messa in sicurezza e priva di segnaletica – s’avverte un’atmosfera di trepidazione e di all’erta mentre ci si addentra nella regione storica barbaricina. Non è un caso che i Romani, con il più formidabile esercito della storia, abbiano rinunciato più che alla conquista, alla penetrazione culturale, lasciando il territorio in balia degli indigeni, ai loro occhi barbari.

La storia costituzionale e amministrativa della Sardegna ha vissuto il periodo più glorioso durante l’epoca dei Giudicati (sec. XI-XV), ma con la legge delle Chiudende (1820), avversata da gran parte della popolazione, ha inizio una fase di grave crisi e lotte per la trasformazione del sistema di sfruttamento collettivo del suolo in proprietà privata. La parcellizzazione delle terre e la crescita demografica divengono inconciliabili. Con lo stato piemontese e poi con quello italiano, i rapporti non trovano sempre equilibrio. La disubbidienza civile, spesso dettata da provvedimenti invisi o male accolti, sfocia nella reazione del banditismo sardo.

Vengono in mente i sequestri, le latitanze, le faide familiari, gli assassinii. Nomi come Graziano Mesina, i fatti di Santulussurgiu, del sacerdote don Graziano Muntoni e numerosi altri suonano minacciosi e inducono di solito il forestiero ad assumere un atteggiamento cauto e rispettoso per celare un più recondito e guardingo sospetto. Sarà una copia sbiadita della sensazione provata dai viaggiatori del Grand Tour nel Mezzogiorno, timorosi e al tempo stesso attratti dal Fra’ Diavolo di turno e dal cliché del sud/terra di banditi, mi viene da pensare.

La strenua difesa dell’identità territoriale rispetto ad altro portato dal mare, ha fatto sì, come spiega Michela Murgia, che la comunità barbaricina si sia dotata di un codice di comportamento fondato su norme non scritte, a partire dall’età nuragica. Mi vengono in mente i bellissimi confronti letterari di Ismail Kadarè su Eschilo e la vendetta (Eschilo il gran perdente, Nardò 2008) e la scoperta, da parte mia, del Kanun delle montagne albanesi. In effetti a ben leggere, qualcosa in comune con la storia della mentalità barbaricina, segno di radicata continuità della civiltà nuragica, esiste, specie nella concezione del valore della balentìa, “la virtù che consente all’uomo barbaricino, al pastore barbaricino, di resistere alla propria condizione, di restare uomo, soggetto, in un mondo implacabile e senza speranza nel quale esistere è resistere” (Antonio Pigliaru, Il codice della vendetta barbaricina, Milano, 2003, rist.).

Chi porta con sé in viaggio l’ingombrante fardello del pregiudizio, facendo della persona valente il ritratto di un uomo cupo, ostile e vendicativo, dovrà ricredersi e arrendersi dinanzi ad un’accoglienza tutt’altro che ombrosa, come quella che abbiamo ricevuto a Oliena, dove, in un luogo suggestivo e che vale tutto lo sforzo per raggiungerlo (non con l’autobus), abbiamo trascorso la più ospitale delle serate e, al mattino, il più panoramico dei risvegli.

Certo, nella omogeneità culturale delle società globali, il viaggio come ricerca di alterità, lungi dall’essere un faro spento, ne rappresenta, al contrario, una forte spinta. L’alterità dell’Italia interna, dei margini, dei borghi e dei paesi alimenta un turismo meno turistico, che non deve rischiare di divenire anch’esso turistico, pena la perdita dell’autentico. Il viaggiatore attento sa accorgersi della folklorizzazione delle tradizioni e tanto meno si accontenta dei “teatri di cartapesta” dei villaggi turistici o di paesi “non-paesi”, come Porto Cervo, che resta in letargo buona parte dell’anno per poi riprendere la sua happy vita stagionale.

È in paesi come Orgosolo e Oliena, per citare solo i luoghi attraversati con l’idea di rubare un po’ del loro cuore, che distingui con chiarezza la percezione di essere altro rispetto all’Italia che c’è in noi. L’intento didattico – non posso farne a meno – è quello di chiarire rigorosamente la distinzione tra tradizione e atto folkloristico. Il costume tradizionale, ad esempio (e questo avviene sempre meno anche nei paesi lucani più remoti), è indossato per se stessi e non per sfilate ad uso dei turisti. Le donne più anziane si affacciano sulla soglia della loro casa o escono dalle auto avvolte in neri mantelli dalle lunghe frange. Penso a quanto dolore alcune di loro hanno provato. Se si incrocia il loro sguardo, avverti la rapidità di un lampo. Lungo una scalinata una epifania: come Parche silenziose riempiono della loro ieratica e solenne presenza alcune orgolesi, con ampie gonne e mantelli neri. Una scena da fermo immagine. Non da meno gli uomini, di tutte le età, che non calcano più il copricapo dalla foggia singolare, ma i pantaloni di velluto nero a coste sono per vecchi e giovani, estate e inverno, come la tenuta dei giovani cavalieri incontrati lungo il corso Repubblica, pronti per gareggiare nei palii di S. Pietro e di S. Maria Assunta o nel Palio di Oliena (Su Palu de sos Vihinados). Se anche non sono più opera degli abili tessitori sardi, i maistos de pannos, non ha importanza, sta di fatto che rappresentano un capo d’abbigliamento del tutto normale e consueto.

Nella piazza di Orgosolo intitolata a Don Graziano Muntoni, il sacerdote ucciso nel 1998, all’ingresso del centro storico, il primo incontro con una lingua arcaica mette a dura prova ogni mia velleità di seguire le conversazioni dei bambini che giocano e dei passanti. Una forma di alterità si rivela anche nel tenace rispetto della lingua degli avi. Da quel punto dell’abitato, l’attenzione dei visitatori è catturata da una straordinaria fioritura di murales di contenuto civile, politico e storico, sui temi della giustizia e della pace, declinati a livello locale, nazionale e internazionale. Le strade, i vicoli, le piazze di Orgosolo rappresentano il più esteso e articolato libro di storia ed educazione alla cittadinanza all’aperto. La gente del posto sembra non farci più caso, nonostante i murales siano stati realizzati a partire dal 1969 con la partecipata condivisione tra il proprietario della casa e l’artista che individua e sceglie una porzione delle pareti esterne per esprimere il tema che ha ispirato la sua arte. Concedere come supporto fisico alla pittura le mura perimetrali rivolte all’esterno è, a mio avviso, una forma di assenso ideologico e fratellanza d’intenti. E non c’è nulla di più sacro della propria casa.

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PENSIERI ED AFORISMI

Pensieri ed Aforismi

Saggezza

Lottate per la felicità, come lottano per il denaro gli uomini da poco. E ricordate che l’amore è il seme e il frutto della gioia.

Amate gli altri perché possano amarvi, e amate voi stessi per poter amare gli altri.

Nascerete senza paura, perché chi vi darà la vita gioirà della sua fertilità.

Non avrete paura del marito o della moglie poiché vi sarete uniti per amore, e dall’amore non può nascere un nemico.

Sarete legati solo con le catene d’oro dell’affetto: non saranno le parentele a tenere uniti i fratelli affini soltanto per sangue.

Non avrete paura della solitudine, perché non sarete mai senza amici.

Non avrete paura del riposo, perché il mondo ha bisogno di lavoro e di riposo. Nemmeno del lavoro avrete paura, perché vi sarà congeniale: potrete nascere pescatore e diventare uno scriba, nascere contadino e diventare un guerriero.

Nessuno sarà oppresso da un campo troppo vasto per lui da coltivare, né ristretto da confini troppo angusti.

Non avrete paura della fame, perché vi sarà pane nei granai anche per gli anni magri.

Non avrete paura di crescere, perché gli anni vi mostreranno nuovi orizzonti.

Non avrete paura di invecchiare, perché in ogni nuovo orizzonte troverete nuova saggezza.

A ciascuno secondo i suoi bisogni,

da ciascuno secondo le sue capacità.

Karl Marx

L’uomo deve, prima di tutto,

governare se stesso.

Giuseppe Mazzini

Non avrete paura della morte,

perché ricorderete l’altra sponda del Grande Fiume

dove sarete misurati secondo il peso del vostro cuore.

Faraone Amanemhet I 1996 A. C.

Se si mantiene vivo nel proprio cuore l’ amore

per quanti sono degni d’amore,

e se si tengono gli occhi e l’anima

aperti al bello, al grande, al buono e al vero.

Fanny Lewald

Ogni età della vita riserva agli uomini

le sue gioie, le sue speranze e prospettive.

Johann Wolfgang von Goethe

La felicità trovata in fretta non è mai

solidamente fondata e raramente meritata.

I frutti del lavoro e della saggezza maturano lentamente.

Vauvenargues

Godi il presente con gioia,

senza preoccuparti di ciò

che ti porterà il futuro.

Accetta dunque anche il calice amaro

con un sorriso, perché non esiste

felicità perfetta sulla terra.

Orazio

Il tempo galoppa,

la vita sfugge tra le nostre mani.

Ma può sfuggire

come sabbia o come semente.

Thomas Merton

La cosa più importante

che un uomo possa possedere

è quella pace, quella serenità,

quella pace interiore

che nessun dolore può turbare.

Immanuel Kant

Esiste solo una via alla felicità,

e consiste nel cessare

di preoccuparsi per cose

che non è in nostro potere cambiare.

Epitteto

Amala vita, non odiarla;

quella che vivi, vivila bene;

e lascia al cielo di fartela lunga o breve.

John Milton

Non c’è cammino troppo lungo

per chi cammina lentamente,

senza sforzarsi;

non c’è meta troppo elevata

per chi vi si prepara con pazienza.

Jean de La Bruyere

Basta un istante per fare un eroe,

ma occorre una vita intera

per fare un uomo buono.

Paul Brulat

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ZEH SEPHER – IL SEGRETO DEI SEGRETI

Zeh Sepher – Segreto dei segreti –

Federico P.

Questo lavoro del carissimo Fratello Federico P. che si offre alla lettura e allo studio, è la prima traduzione integrale in lingua italiana di uno dei tredici capitoli sciolti dello Zohar. La sua collocazione è Volume III^ fogli 70a 77a.

Download ” Zeh Sepher”

[… 70a] Un giorno Rabbi Isaac e Rabbi Yossé erano immersi nello studio della Torah presso la città di Tiberiade, quando Rabbi Shimon passò accanto a loro e gli chiese: ” Qual è il soggetto del vostro studio?” “Discutiamo, risposero, del versetto di cui, Maestro, ci hai già dato l’interpretazione”. Avendo loro chiesto di quale brano si trattasse, risposero: ecco il libro della generazione dell’uomo. Nel giorno in cui Elohïm creò l’uomo, egli lo fece a rassomiglianza di Elohïm (Genesi V,I).

Una tradizione (Zohar I,55a) ci rivela che il Santo, benedetto il suo nome, mostrò ad Adamo tutte le generazioni future del mondo, le guide e tutti i suoi saggi. Il significato semantico della parola libro (Sepher), è proprio questo.

Esiste un libro superiore ed uno inferiore, quest’ultimo è chiamato libro dei ricordi (Zohar III 200a e 246b), mentre quello inferiore identifica lo stesso Giusto, il quale è chiamato Zeh.

La locuzione Sepher Zhe esprimerebbe, quindi, il Principio maschile e quello femminile, dall’unione dei quali vengono in emergenza tutte le anime che vivificano gli uomini; del resto è proprio dal Giusto che queste emanano.

A questo mistero fanno allusione le parole della Scrittura (Genesi VI,10): da li esce un fiume per irrigare il Giardino. Nel seguito di questo versetto la Scrittura ripete per due volte il nome Adamo. La prima volta lo fa’ per sottintendere l’uomo superiore e la seconda quello di qua in basso. Aggiungendo che esso fu creato ad immagine di Elohïm, [70b] vuol alludere al mistero del Principio maschile e di quello femminile.

L’uomo di qua in basso, infatti, venendo al mondo grazie all’azione simultanea del proprio padre e della propria madre, ottiene il nome di uomo (Adamo) e la nascita del suo corpo si compie in maniera analoga a quella della propria anima. Per questa ragione, l’uomo inferiore fu creato dopo quello superiore, (quest’ultimo) da sempre nascosto nel mistero supremo e primigenio.

La Scrittura riferisce che Dio creò l’uomo ad immagine di Elohïm; ora, come Elohïm non ha sostanzialità presentata con chiarezza, parimenti la sua è indefinibile, variando secondo l’età.

Secondo un’altra interpretazione, le parole: … a rassomiglianza di Elohïm, sottintendono i diversi organi dell’uomo corrispondenti alle seicentotredici prescrizioni della Torah. Questo spiegherebbe le parole della Scrittura (Salmi CXXXIX,5): mi hai creato per davanti e per di dietro. Le parole per davanti, indicano il mistero di ricordare, mentre per di dietro, quello di praticare [1].

Una tradizione ci rivela che con le parole per di dietro” è trasmesso quell’insegnamento che racconta l’effettuazione dell’uomo dopo il maaseh bereshit (opera della creazione), e con le parole per davanti, che questa creazione è avvenuta prima del maaseh merkavah (opera del carro). Quanto al termine rassomiglianza con Elohïm, quella dell’uomo è da intendersi letteralmente, come te, nostro maestro, ci hai esposto.

Le parole, libro della generazione dell’uomo, indicano anche le componenti della sua fisionomia: i capelli, la fronte, gli occhi, il viso, le labbra, le linee della mano e le orecchie, tratti grazie ai quali lo si può riconoscere.

L’uomo i cui capelli sono ricci e rialzati in alto, è un soggetto d’umore collerico, ed anche il suo cuore è arricciato [2] proprio come la sua capigliatura; il suo comportamento non è conforme ai principi morali. Si presti attenzione ad accompagnarsi con un simile tipo. Un buon compagno si rivela, al contrario, il soggetto i cui capelli sono setosi e fluenti sulle spalle, tutti gli affari, nei quali è associato, avranno definizioni favorevole, ma non quelli che intraprenderà da solo.

Elemento discreto per la penetrazione dei misteri superiori, non è però idoneo a custodire segreti sulle cose profane e insignificanti [71a]. Il suo modo di fare sarà altalenante, a volte sarà conforme ai principi morali altre volte la sua condotta sarà di rifiuto. Quando i capelli cadono sulle spalle, ma non sono setosi, annunciano un prodromo di un individuo che non rispetta il proprio Maestro e scientemente opera per il male. In verità si propone sempre di fare delle buone azioni, ma al dunque non rispetta i propositi. In età matura un simile tipo, muta in un soggetto rispettoso dei principi morali e sarà d’esempio per l’emendato comportamento. I suoi discorsi toccano unicamente cose di questo mondo; ma chi vi si assocerà avrà successo in quelle spirituali. Non gli si dovranno confidare i misteri superiori, mentre si conferma soggetto adatto a custodire quelli di poco valore. È una persona che ama l’esagerazione e le sue parole esercitano influenza su quanti le ascoltano. Secondo le spiegazioni del Maestro, quest’insegnamento emerge dalla lettera Zaïn.

L’uomo i cui capelli sono di un colore nero lucente, riuscirà in ogni suo affare materiale, sia esso di natura commerciale o d’altro genere. É un prodigo. La sua affermazione sarà, in ogni caso, subordinata alla mancanza di soci, chi sarà con lui conseguirà un successo iniziale di breve durata, dal momento che subito dopo gli affari precipiteranno. Anche questo mistero è contenuto nella lettera Zaïn.

L’uomo i cui capelli non sono di colore nero lucente, è destinato a subire, nei propri affari, alterne vicende, per cui a volte avranno esito favorevole in altre occasioni no. In ogni modo, è assai vantaggioso associarsi con lui ma soltanto per brevi periodi, considerato che alla lunga finirà con il trovare da ridire. Agli inizi non creerà problemi ma soltanto per il timore di una separazione. Un simile individuo, se consacrato allo studio della Torah avrebbe buoni successi, lo stesso sarà per chi è con lui. Non è in grado di custodire segreti per lungo tempo, è un pavido, ma affronta comunque i propri nemici i quali, in ogni caso, non potranno mai danneggiarlo. Questo mistero è espresso dalla lettera Yud, la quale è inconciliabile con la Zaïn.

Il calvo, è un soggetto astuto ed avaro e troverà, di regola, profitto nei propri affari. È un ipocrita, poiché esteriormente mostra una religiosità e una virtù che non corrispondono a quanto esso realmente pensa. Tutto ciò, in ogni modo, è riferito ad un calvo dalla nascita, quello che lo diviene in età matura, è un soggetto che testimonia un radicale mutamento della propria condotta; se precedentemente il suo modo di agire era conforme ai principi morali, si muterà in reprobo e viceversa. Quanto detto è valido anche per la calvizie che si manifesta sulla fronte, quella in alto sopra gli occhi, nel punto in cui si appoggia il filatterio.

La calvizie presente in un altri posti della testa, testimonia un individuo affatto scaltro e [71b] di lingua maldicente, che ama calunniare le persone con sottile malvagità, sussurrando, senza azioni da piazza. Vive momenti in cui teme il peccato ed altri in cui lo pratica apertamente. Questo mistero è espresso dalla lettera Zaïn, quando è unita alla Yud.

Questi sono i misteri che riguardano i capelli, segreti conosciuti da tutti gli iniziati nella dottrina esoterica e tramite i quali si può intuire del carattere dell’uomo stesso fatto a rassomiglianza di Dio.

I misteri che riguardano la struttura della fronte, sono espressi dalla lettera Noun, lettera complemento della Zaïn [3] da cui è a volte separata.

L’uomo la cui fronte è bassa e liscia, non è costante nelle proprie idee, si reputa saggio ma in realtà non comprende nulla, si agita senza riflettere ed è dotato di una lingua aguzza come un serpente. L’uomo che presenta sulla fronte delle profonde rughe che non si sviluppano parallelamente e non si accentuano quando parla e presenta grinze frontali parallele e poco marcate, è un individuo dal quale è bene tenersi alla larga e con il quale è opportuno avere rapporti soltanto per un breve periodo. È un individuo che agisce e pensa esclusivamente per il proprio vantaggio, tenendo in nessun conto quello degli altri. É un soggetto incapace di custodire segreti. La Scrittura dice di costui (Proverbi XI,13): è un mentitore che rivela segreti. Le sue parole sono completamente senza valore. Tale combinazione di elementi informa per tempo di un uomo che non merita il nome di spirito leale. Questo mistero è espresso dalla lettera Noun quando è unita alla Zaïn.

L’uomo la cui fronte è bassa ma arrotondata, si manifesta nelle proprie riflessioni come un individuo molto perspicace, ma la sua azione a volte è priva di ponderazione. Ha un cuore generoso verso tutti e si occupa di cose elevate. La sua amicizia è sincera. Se si consacra allo studio della Torah, un simile individuo, potrebbe divenire un gran dotto.

L’uomo sulla cui fronte si mostrano, ma soltanto quando parla, tre profonde rughe e altrettante piccole increspature al di sotto d’ogni occhio, che piange quando è in collera, ha un substrato spirituale migliore di quanto possa far supporre la propria esteriorità. Vive senza preoccupazione alcuna per i suoi affari materiali, caratteristica che manifesta con gli atti come con le parole; se si consacrerà allo studio della Torah, il suo investigare darà frutti. Ogni uomo [72a] che vi si assocerà avrà successo negli affari materiali. Un uomo di questa tipologia, a volte è fedele al Santo, benedetto il suo nome, e altre no. É condannato a perdere tutti i suoi processi, pertanto dovrà cercare di evitarli. Questo mistero è espresso dalla lettera Noun, quando è sola, non unita alla Zaïn.

Una fronte larga, ma non arrotondata, è l’indizio di due diversi tipi d’anomalie: per tutti gli uomini che presentano una configurazione di questa natura, si registra, comunque, l’abitudine ad abbassare la testa quando sono ritti o quando camminano.

Il primo modello è un’anomalia apparente che ognuno può acclarare; ed ha le caratteristiche di una vera e propria antinomia. In tale individuo si manifestano sulla sua fronte, e soltanto quando parla, quattro profonde rughe, le quali però spariscono senza nessuna traccia quando al contrario è in silenzio. Presenta anche altre profonde rughe al lato degli occhi, e quando ride la sua bocca si allarga. Un uomo di questo tipo è di nessuna positività per il mondo.

L’altro tipo è invece una bizzarria dissimulata di cui gli uomini non si accorgono molto. Se un simile individuo si consacra allo studio, finanche quello della Torah, acquisirà un grande sapere. Lo studio, tuttavia, non ha mai per stimolo il desiderio di apprendere, ma è fondato unicamente sulla sete d’orgoglio e sulla gratificazione per l’ammirazione degli altri. Un simile uomo ostenta virtù all’esterno, soltanto per essere ammirato; né nelle sue parole né negli atti vi è in mira la gloria del Santo, benedetto il suo nome. Questo mistero è espresso dalla lettera Noun quando è unita alla Zaïn.

Una fronte larga e arrotondata è la combinazione dell’uomo migliore, esso, poiché s’impegna, è in grado di apprendere ogni cosa senza l’aiuto di un Maestro. É destinato a riuscire in tutte le iniziative per la propria felicità spirituale. Per ciò che concerne le attività economiche soltanto a volte conseguirà il successo. La sua maniera di ragionare si fonda nell’inferire fatti importanti da accadimenti insignificanti, per cui merita il riconoscimento di intelligente.

Non subirà patimenti per i suoi affari materiali ed anche quando vivrà rovesci di fortuna [72b] non se ne curerà molto. Ha il cuore tenero. In quest’uomo si riconoscono due rughe profonde sulla sua fronte proprio sopra gli occhi. Generalmente presenta tre rughe sulla fronte, senza considerare quelle poste sopra gli occhi. É timoroso, ma le sue paure sono di breve durata. È facilmente propenso alla conciliazione. Nei rapporti con gli altri a volte palesa comportamenti elefantiaci ma anche da saggio.

Questo mistero è configurato dalla lettera Noun quando essa è sola e non è collegata alla Zaïn. Questi sono i misteri pertinenti i segni della fronte.

Il mistero che è attinente agli occhi è espresso dalla lettera Samekh.

L’uomo che presenta gli occhi a fior di testa, non ha nessuna malizia nella propria anima. L’individuo i cui occhi possiedono quattro gradazioni di colori: la sclera bianca, cosa comune in tutti gli uomini, la cornea di colore paglierino, l’iride di gradazione marrone, e la pupilla nera, è tipo sempre gaio e spensierato. Deciderà sempre per il meglio ma non concretizzerà mai le proprie decisioni, dal momento che regolarmente le dimentica. Si consacrerà totalmente agli affari materiali; ma se a volte si applicherà alle cose spirituali otterrà buon risultato. Sarà cosa meritoria, allora, consigliarlo di impegnarsi allo studio della Torah.

L’uomo i cui sopraccigli sono sporgenti tanto da ricadere verso il basso e che presenta sulla sclera dell’occhio dei capillari rossi disposti verticalmente, [73a] è un rissoso. Il mistero dei capillari si trova espresso dalla lettera Samekh unita alla Hè.

Il colore blu degli occhi testimonia un uomo dal cuore tenero, ma che pensa esclusivamente al proprio profitto e non si cura dei danni arrecati agli altri. Nessuna cattiveria alberga nel suo cuore, ama i piaceri, ma soltanto quelli leciti; tuttavia, se cade nel vizio non riuscirà mai più ad emendarsi. Fedele verso chi ama, ma non con chi gli è indifferente. Riesce a custodire i segreti, questo però fino al momento in cui li crede ignorati dagli altri. Appena li suppone palesati si affretterà lui stesso a divulgarli, sarà opportuno, quindi, non confidargliene.

L’uomo che possiede occhi verdi e lucenti è generalmente messaggero di narcisismo, e frequentemente anche di manie di grandezza. Spesso si reputa superiore e per giunta tende a dimostrarlo. Se ha degli avversari saranno questi ultimi ad avere il sopravvento. È un soggetto inadatto per gli studi dei misteri della Torah, dal momento che è troppo infatuato di se stesso. Questo mistero è contenuto nella lettera Hè in combinazione con la Zaïn e separata dalla Samekh. In questo tipo, sono presenti anche delle profonde rughe sulla fronte, le quali si rivelano soltanto quando parla.

L’uomo con occhi grigi tendenti al giallino è d’umore collerico, ma spesso gli scatti d’ira sono reazioni alle provocazioni. Negli stati d’ira non perdona e la sua animosità si spinge fino alla crudeltà, è tipo incapace di custodire i segreti confidatigli. Questo mistero è espresso dalla lettera Hè unita alla Samekh.

L’uomo i cui occhi sono di un colore grigio cupo, consegue buoni risultati nello studio della Torah, e consacrandovisi [73b] ottiene costantemente dei progressi. I suoi nemici non potranno danneggiarlo e riporterà sempre delle vittorie su di loro. Questo mistero è espresso dalla lettera Caph unita alla Samekh.

Questi sono i misteri noti ai maestri della saggezza sui segnacoli degli occhi.

I misteri dei tratti del viso sono conosciuti soltanto dai saggi che penetrano la saggezza. I segni distintivi del viso si differenziano da tutti gli altri esaminati per il fatto che non sono congeniti ma modificano secondo la condotta dell’individuo.

Le ventidue lettere sono incise in ogni anima e questa, a sua volta, le trasferisce al corpo che vivifica. Se la condotta del soggetto è corretta, le lettere sono armonicamente disposte sul viso; altrimenti subiscono un’inversione che lascia testimonianze sul volto. [Segue]

[1] Abbiamo già avuto occasione di spiegare il senso di questi due termini: “Ricordare e praticare”. Il Talmud, ma anche lo Zohar, si chiede, non senza ragione, per quale motivo la Scrittura varia le sue espressioni; nell’Esodo XX,8 dice: “Ricordatevi del giorno di Shabat“, mentre nel Deuteronomio V,12 riporta: “Pratica il giorno di Shabat”. Lo Zohar spiega questa diversità d’espressioni nella maniera seguente: “Ricordare” indica il grado dell’essenza divina chiamata “Pensiero”, il quale non riveste mai nessuna forma agli occhi dell’uomo, mentre “Praticare” indica quella che riveste una forma, in modo che l’uomo possa concepirla.[Torna al testo]

[2] Con il termine “arricciato” (fmq) lo Zohar intende uno spirito tortuoso e sleale.[Torna al testo]

[3] In altre parole: per scrivere la lettera Zaïn in plenitudine (}yz) si deve ricorrere al segno Noun, infatti, il nome Zaïn richiede i caratteri Z I N.[Torna al testo]

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UNA SELVA DI TEORIE

Una selva di teorie

Le ipotesi relative all’origine della Massoneria sono così numerose ed eterogenee che sarebbe impossibile prenderle tutte analiticamente in considerazione in un piccolo manuale informativo. Come si precisa in una monografia sull’argomento (L. Sessa La Massoneria: l’antico mistero delle origini, Foggia, 1997), «secondo una rilevazione effettuata nel 1909 su 206 opere storiografiche pubblicate fino ad allora, concernenti le origini della Libera Muratoria, emersero 39 opinioni diverse».

Iniziando a scorrere l’elenco, vi è chi ipotizza addirittura che la Massoneria preesistesse alla creazione del mondo e chi la dà invece per coeva alla creazione stessa, parlando della presenza di una loggia massonica nel Paradiso terrestre. Meno specificamente, sono comunque in molti a collocare l’origine della Massoneria nella notte dei tempi, o in un momento cruciale della storia dell’umanità, in relazione a come la traccia la Bibbia: dai sopravvissuti al Diluvio, oppure dalle maestranze impegnate nella costruzione della Torre di Babele.

Il collegamento con il mondo ebraico è in effetti ricorrente, anche avanzando nel tempo; in particolare i primi ‘massoni’ sarebbero stati i muratori che edificarono il Tempio di Salomone a Gerusalemme.

La costruzione della Torre di Babele, qui evocata dalla fantasia di Brueghel il Vecchio, costituisce uno degli sfondi ‘mitologici’ assunti per le origini della Libera Muratoria.

Quest’ultima ipotesi fa parte di un altro gruppo di leggende, accolte all’interno delle cosiddette Costituzioni gotiche delle corporazioni edili. In tale contesto Salomone gioca un ruolo affine a quello di Euclide e di Pitagora, a indicare anche il percorso geografico della tradizionale ‘sapienza massonica’ dall’Oriente, sua culla, all’Occidente, fino alle Isole Britanniche, attraverso la mediazione dell’antica Grecia.

Con una connotazione di questa ‘sapienza’ in senso spiccatamente operativo si sono poi voluti rintracciare i primi massoni tra i membri dei Collegia Artificum o Fabrorum presenti nell’antica Roma; i Maestri Comacini, già attivi in età longobarda; gli Steinmetzen tedeschi; i Compagnons francesi… per finire appunto con i Free-Masons (Liberi Muratori) inglesi e scozzesi.

Riproduzione dei simboli di un mosaico pompeiano scoperto nel 1878 in un sito dove avrebbe avuto la sua sede un Collegium romano: la livella, abbinata al filo a piombo, sovrasta un teschio (la morte fisica); sotto una farfalla (l’anima immortale) si leva sulla ruota della vita (i cicli biologici). Sono immagini come queste ad aver indotto nella Massoneria la convinzione di ricollegarsi a una Tradizione sapienzale antichissima, comportante la sacralizzazione dell’arte muratoria.

Quando si è invece più badato alla complessità dei simboli e delle cerimonie, nonché al vincolo del segreto, la Massoneria è stata apparentata ai culti misterici e ai saperi esoterici senza tralasciare alcuna tradizione, per quanto diversi ne siano stati i contesti nello spazio e nel tempo, dagli Egizi ai Caldei, dagli Esseni ai Druidi, fino ai Rosa+Croce.

Molto successo hanno avuto, per quanto destituite di qualsiasi fondamento storico, le cosiddette ‘teorie militari’, che collegano l’origine della Massoneria alla cavalleria e più precisamente all’epopea crociata e agli Ordini militari-cavallereschi, in particolare ai Templari.

Resta ancora da accennare almeno alle teorie politiche, che chiamano in gioco le vicende del trono inglese (vedi il capitolo Fedeltà agli Stuart?), e a quella che individua nel filosofo inglese Francesco Bacone (1561-1626) il fondatore della Massoneria in prima persona.

Dall’epoca di questo curioso ‘censimento’ a oggi è stato possibile, grazie anche al contributo di una seria storiografia d’ispirazione massonica, fare luce su questo guazzabuglio, collocando le varie posizioni al contesto ideologico e culturale in cui sono sorte. Deve comunque essere tenuto presente che, al di là dei fatti e dei documenti, accostando la Massoneria si ha continuamente a che fare con l’uso di un linguaggio simbolico, che può dare adito a fraintendimenti se ci si ferma alla lettera degli enunciati.

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A RICORDO DI GIULIA NICOTRA

A ricordo di Giulia Nicotra

Giulia Nicotra, la diciottenne figlia del Fratello Antonio Nicotra, ha lasciato questa terra dopo lunghe sofferenze.

E con commozione che pubblichiamo alcuni suoi pensieri dai quali traspare la sua profonda sensibilità e il suo amore per la vita.

RIFLESSIONE

London 18-1-88

A volte mi stupisce la mia capacità d’amare…

Amo tutti molto e tutti allo stesso modo: non credo ci sia qualcuno che amo meno o più di altri.

La mia scorta d’amore aumenta ogni qualvolta incontro persone, co­sì che io riesca ad amare proprio tutti quanti.

Non c’è persona che potrei definire antipatica o odiosa. Però tendo a definirmi egoista quando mi accorgo che ciò che faccio per gli altri, spesso, lo faccio più per piacere mio; le gentilezze di cui copro chi amo arrecano una grossissima felicità a me: non importa se non vengo ricambiata (so che spesso, soprattutto i ragazzi, non ci pensano), la mia gioia sta nel fare felice le persone a cui tengo.

GUARDANDO IL TRAMONTO

Guardando il tramonto e dondolandomi sull’altalena scopro come ciò che vedo mi piaccia:

il cielo sfumato di un arancione che accieca pare una pennellata di colore appena accennata su di una distesa infinita di azzurro:

del sole

non si vedono altro che i rari guizzi di raggi giocosi da dietro le montagne, raggi che appaiono e scompaiono velocemente, destando in me una crescente curiosità di conoscere il luogo

ove abitualmente si nascondono e l’istinto di raggiungerli per danzare

circondata da mille luci che paiono riflessi di cristalli. Ma quando scende la sera

e l’ultimo guizzo di luce si è perso nel nulla, quasi fosse stato pura immaginazione, l’altalena cigolando sempre più lentamente, si ferma ed io

scendo andandomene via, voltando le spalle a quello che poco prima fu il palcoscenico di una scena meravigliosa, perdendomi nel buio come quell’ultimo guizzo di sole quasi fossi pur io un’immaginazione.

Ottobre 1986


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