HUMANUM GENUS

HUMANUM GENUS

LETTERA ENCICLICA AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE PACE E COMUNIONE.

 

“CONDANNA DEL RELATIVISMO FILOSOFICO E MORALE DELLA MASSONERIA”

LEONE PP. XIII

VENERABILI FRATELLI SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE Il genere umano, dopo che “per l’invidia di Lucifero” si ribellò sventuratamente a Dio creatore e largitore de’ doni soprannaturali, si divise come in due campi diversi e nemici tra loro; l’uno dei quali combatte senza posa per il trionfo della verità e del bene, l’altro per il trionfo del male e dell’errore. Il primo è il regno di Dio sulla terra, cioè la vera Chiesa di Gesù Cristo; e chi vuole appartenervi con sincero affetto e come conviene a salute, deve servire con tutta la mente e con tutto il cuore a Dio e all’Unigenito Figlio di Lui. Il secondo è il regno di Satana, e sudditi ne sono quanti, seguendo i funesti esempi del loro capo e dei comuni progenitori, ricusano di obbedire all’eterna e divina legge, e molte cose imprendono senza curarsi di Dio, molte contro Dio. Questi due regni, simili a due città che con leggi opposte vanno ad opposti fini, con grande acume di mente vide e descrisse Agostino, e risali al principio generatore di entrambi con queste brevi e profonde parole: “Due città nacquero da due amori; la terrena dall’amore di sé fino al disprezzo di Dio, la celeste dall’amore di Dio fino al disprezzo di sé (De Civit. Dei, lib. XIV, c. 17) .

In tutta la lunga serie dei secoli queste due città pugnarono l’una contro l’altra con armi e combattimenti vari, benché non sempre con l’ardore e l’impeto stesso. Ma ai tempi nostri i partigiani della città malvagia, ispirati e aiutati da quella società, che larga mente diffusa e fortemente congegnata prende il nome di Società Massonica, pare che tutti cospirino insieme, e tentino le ultime prove. Imperocché senza più dissimulare i loro disegni, insorgono con estrema audacia contro la sovranità di Dio; lavorano pubblicamente e a viso aperto a rovina della Santa Chiesa, con proponimento di spogliare affatto, se fosse possibile, i popoli cristiani dei benefizi recati al mondo da Gesù Cristo nostro Salvatore.

Gemendo su questi mali, spesso, incalzati dalla carità, Noi siam costretti a gridare a Dio: “Ecco, i nemici tuoi menano gran rumore e quei che t’odiano hanno alzato la testa. Hanno formato malvagi disegni contro i tuoi santi. Hanno detto: venite, e cancelliamoli dai numero delle nazioni” (Psalm. XXXII, 2-5).

In sì grave rischio, in sì fiera ed accanita guerra al Cristianesimo, è dover Nostro mostrare il pericolo, additare i nemici, e resistere quanto possiamo ai disegni ed alle arti loro, affinché non vadano eternamente perdute le anime che Ci furono affidate, e il regno di Gesù Cristo, commesso alla Nostra tutela, non solo stia e conservisi intero, ma per nuovi e continui acquisti si dilati in ogni parte della terra.

Chi fosse e a che mirasse questo capitale nemico, che usciva fuori dai covi di tenebrose congiure, lo compresero tosto i Romani Pontefici Nostri Antecessori, vigili scolte a salute del popolo cristiano; e antivenendo col pensiero l’avvenire, dato quasi il segnale, ammonirono Principi e popoli non si lasciassero ingannare alle astuzie e trame insidiose. Diede il primo avviso del pericolo Clemente XII (Cost. In eminenti, 24 Aprile 1738); e la Costituzione di lui fu confermata e rinnovata da Benedetto XIV (Cost. Providas, 18 maggio 1751). Ne seguì le orme Pio VII (Cost. Ecclesiam a Jesu Christo, 13 Settembre 1821); poi Leone XII con l’Apostolica Costituzione Quo graviora (Cost. in. data del 23 Marzo 1825), abbracciando in questo punto gli atti e i decreti de’ suoi Antecessori, li ratificò e suggellò con irrevocabile sanzione. Nel senso medesimo parlarono Pio VIII (Encicl. Traditi, 31 Maggio 1829), Gregorio XVI (Encicl. Mirari, 15 Agosto 1832) e più volte Pio IX (Encicl. Qui pluribus, 9 Novembre 1846. Alloc. Multiplices inter, 25 Settembre 1865, ecc.).

Imperocché da fatti giuridicamente accertati, da formali processi, da statuti, riti, giornali massonici pubblicati per le stampe, oltre alle non rare deposizioni dei complici stessi, essendosi venuto a chiaramente conoscere lo scopo e la natura della setta massonica, quest’Apostolica Sede alzò la voce, e denunziò al mondo, la setta dei Massoni, sorta contro ogni diritto umano e divino, essere non men funesta al Cristianesimo che allo Stato, e fece divieto di darvi il nome sotto le maggiori pene, onde la Chiesa suol punire i colpevoli. Di che irritati i settari e credendo di poter, parte col disprezzo, parte con calunniose menzogne sfuggire o scemare la forza di tali sentenze, accusarono d’ingiustizia o di esagerazione i Papi, che le avevano pronunziate.

In questo modo cercarono di eludere la autorità ed il peso delle Costituzioni Apostoliche di Clemente XII, di Benedetto XIV, e similmente di Pio VII, e di Pio IX. Nondimeno tra i Frammassoni medesimi ve ne ebbe alcuni i quali riconobbero loro malgrado, che quelle sentenze dei Romani Pontefici, ragguagliate alla dottrina e alla disciplina cattolica, erano altamente giuste. E ai Pontefici si unirono non pochi Principi ed uomini di Stato, i quali ebbero cura o di denunziare all’Apostolica Sede le Società Massoniche, o di proscriverle essi stessi con leggi speciali nei loro domini, come fu fatto nell’Olanda, nell’Austria, nella Svizzera, nella Spagna, nella Baviera, nella Savoia ed in altre parti d’Italia.

Ma la saggezza dei Nostri Predecessori ebbe, ciò che più conta, piena giustificazione dagli avvenimenti. Imperocché le provvide e paterne loro cure, o fosse l’astuzia e l’ipocrisia dei settari, ovvero la sconsigliata leggerezza di chi pure aveva ogni interesse di tener gli occhi aperti, non avendo né sempre né per tutto sortito l’esito desiderato, nel giro d’un secolo e mezzo la società Massonica si propagò con incredibile celerità; e traforandosi per via di audacia e d’inganni in tutti gli ordini civili, incominciò ad essere potente in modo da parer quasi padrona degli Stati.

Da sì celere e tremenda propagazione ne sono seguiti a danno della Chiesa, della potestà civile, della pubblica salute, quei rovinosi effetti, che i Nostri Antecessori gran tempo innanzi avevano preveduti. Imperocché siamo ormai giunti a tale estremo da dover tremare pei le future sorti non già della Chiesa, edificata su fondamento non possibile ad abbattersi da forza umana, ma di quegli Stati, dove la setta di cui parliamo o le altre affini a quella e sue ministre e satelliti, possono tanto.

Per queste ragioni, appena eletti a governare la Chiesa, vedemmo e sentimmo vivamente nell’animo la necessità di opporCi, quanto fosse possibile, con la Nostra autorità a male si grande. E colta bene spesso opportuna occasione, venimmo svolgendo or l’una or l’altra di quelle capitali dottrine, in cui il veleno degli errori massonici pareva che fosse più intimamente penetrato. Così con la Lettera Enciclica “Quod Apostolici muneris”, sfolgorammo i mostruosi errori dei Socialisti e Comunisti: con l’altra “Arcanum” prendemmo a spiegare e difendere il vero e genuino concetto della famiglia, che ha l’origine e sorgente sua nel matrimonio: con quella che incomincia “Diuturnum” ritraemmo l’idea del potere politico, esemplata ai principi dell’Evangelo, e mirabilmente consentanea alla natura delle cose e al bene dei popoli e dei sovrani.

Ora poi, ad esempio dei Nostri Predecessori, Ci siam risoluti di prender direttamente di mira la stessa società Massonica nel complesso delle sue dottrine, dei suoi disegni, delle sue tendenze, delle sue opere, affinché, meglio conosciutane la malefica natura, ne sia schivato più cautamente il contagio.

Varie sono le sètte che, sebbene differenti di nome, di rito, di forma, d’origine, essendo per uguaglianza di proposito e per affinità de’ sommi principi strettamente collegate fra loro, convengono in sostanza con la setta dei Frammassoni, quasi centro comune, da cui muovono tutte e a cui tutte ritornano. Le quali, sebbene ora facciano sembianza di non voler nascondersi, e tengano alla luce del sole e sotto gli occhi dei cittadini le loro adunanze, e stampino effemeridi proprie, ciò nondimeno, chi guardi più addentro, ritengono il vero carattere di società segrete.

Imperocché la legge del segreto vi domina e molte sono le cose, che per inviolabile statuto debbonsi gelosamente tener celate, non solo agli estranei, ma ai più dei loro adepti: come, ad esempio, gli ultimi e veri loro intendimenti; i capi supremi e più influenti; certe conventicole più intime e segrete; le risoluzioni prese, e il modo ed i mezzi da eseguirle. A questo mira quel divario di diritti, cariche, offici tra’ soci; quella gerarchica distinzione di classi e di gradi, e la rigorosa disciplina che li governa.

Il candidato deve promettere, anzi, d’ordinario, giurare espressamente di non rivelar giammai e a nessun patto gli affiliati, i contrassegni, le dottrine della setta. Così, sotto mentite sembianze e con l’arte d’una continua simulazione, i Frammassoni studiansi a tutto potere di restare nascosti, e di non aver testimoni altro che i loro. Cercano destramente sotterfugi, pigliando sembianze accademiche e scientifiche: hanno sempre in bocca lo zelo della civiltà, l’amore della povera plebe: essere unico intento loro migliorare le condizioni del popolo, e i beni del civile consorzio accomunare il più ch’è possibile a molti. Le quali intenzioni, quando fossero vere, non sono che una parte dei loro disegni.

Debbono inoltre gli iscritti promettere ai loro capi e maestri cieca ed assoluta obbedienza: che ad un minimo cenno, ad un semplice motto, n’eseguiranno gli ordini; pronti, ove manchino, ad ogni più grave pena, e perfino alla morte. E di fatti non è caso raro, che atroci vendette piombino su chi sia creduto reo di aver tradito il segreto, o disubbidito al comando, e ciò con tanta audacia e destrezza, che spesso il sicario sfugge alle ricerche ed ai colpi della giustizia.

Or bene questo continuo infingersi, e voler rimanere nascosto: questo legar tenacemente gli uomini, come vili mancipii, all’altrui volontà per uno scopo da essi mal conosciuto: e abusarne come di ciechi strumenti ad ogni impresa, per malvagia che sia: armarne la destra micidiale, procacciando al delitto la impunità, sono eccessi che ripugnano altamente alla natura. La ragione adunque evidentemente condanna le sètte Massoniche e le convince nemiche della giustizia e della naturale onestà.

Tanto più che altre e ben luminose prove ci sono della sua rea natura. Per quanto infatti sia grande negli uomini l’arte di fingere e l’uso di mentire, egli è impossibile che la causa non si manifesti in qualche modo pe’ suoi effetti. “Non può un albero buono dar frutti cattivi, né un albero cattivo frutti buoni” (Matth. VII, 18). Ora della Massonica sètta esiziali ed acerbissimi sono i frutti. Imperocché dalle non dubbie prove che abbiamo testè ricordate apparisce, supremo intendimento dei Frammassoni esser questo: distruggere da capo a fondo tutto l’ordine religioso e sociale, qual fu creato dal Cristianesimo, e pigliando fondamenti e nome dal Naturalismo, rifarlo a loro senno di pianta.

Questo per altro, che abbiamo detto o diremo, va inteso della setta Massonica considerata in se stessa, e in quanto abbraccia la gran famiglia delle affini e collegate società; non già dei singoli suoi seguaci. Nel numero dei quali può ben essere ve ne abbia non pochi, che, sebbene colpevoli per essersi impigliati in congreghe di questa sorta, tuttavia non piglino parte direttamente alle male opere di esse, e ne ignorino altresì lo scopo finale. Così ancora tra le società medesime non tutte forse traggono quelle conseguenze estreme, a cui pure, come a necessarie illazioni dei comuni principi, dovrebbero logicamente venire, se la enormità di certe dottrine non le trattenesse. La condizione altresì dei luoghi e dei tempi fa che taluna di esse non osi quanto vorrebbe od osano le altre. Il che però non le salva dalla complicità con la setta Massonica, la quale più che dalle azioni e dai fatti, vuol esser giudicata dal complesso de’ suoi principi.

Ora fondamentale principio dei Naturalisti, come il nome stesso lo dice, egli è la sovranità e il magistero assoluto dell’umana natura e dell’umana ragione. Quindi dei doveri verso Iddio o poco si curano, o mal ne sentono. Negano affatto la divina rivelazione; non ammettono dogmi, non verità superiori all’intelligenza umana, non maestro alcuno, a cui si abbia per l’autorità dell’officio da credere in coscienza. E poiché è privilegio singolare e unicamente proprio della Chiesa cattolica il possedere nella sua pienezza, e conservare nella sua integrità il deposito delle dottrine divinamente rivelate, l’autorità del magistero, e i mezzi soprannaturali dell’eterna salute, somma contro di lei è la rabbia e l’accanimento dei nemici. Si osservi ora il procedere della setta Massonica in fatto di religione, là specialmente dov’è più libera di fare a suo modo, e poi si giudichi, se ella non si mostri esecutrice fedele delle massime dei Naturalisti. Infatti con lungo ed ostinato proposito si procura che nella società non abbia alcuna influenza, né il magistero né l’autorità della Chiesa; e perciò si predica da per tutto e si sostiene la piena separazione della Chiesa dallo Stato. Così si sottraggono leggi e governo alla virtù divinamente salutare della religione cattolica, per conseguenza si vuole ad ogni costo ordinare in tutto e per tutto gli Stati indipendentemente dalle istituzioni e dalle dottrine della Chiesa.

Né basta tener lungi la Chiesa, che pure è guida tanto sicura, ma vi si aggiungono persecuzioni ed offese. Ecco infatti piena licenza di assalire impunemente con la parola, con gli scritti, con l’insegnamento, i fondamenti stessi della cattolica religione: i diritti della Chiesa si manomettono; non si rispettano le divine sue prerogative. Si restringe il più possibile l’azione di lei; e ciò in forza di leggi, in apparenza non troppo violente, ma in sostanza nate fatte per incepparne la libertà. Leggi di odiosa parzialità si sanciscono contro il Clero, cosicché vedesi stremato ogni giorno più e di numero e di mezzi. Vincolati in mille modi e messi in mano allo Stato gli avanzi dei beni ecclesiastici; i sodalizi religiosi aboliti, dispersi.

Ma contro l’Apostolica Sede e il Romano Pontefice arde più accesa la guerra. Prima di tutto egli fu sotto bugiardi pretesti spogliato del Principato civile, propugnacolo della sua libertà e de’ suoi diritti; poi fu ridotto ad una condizione iniqua, e per gli infiniti ostacoli intollerabile; finché si è giunti a quest’estremo, che i settari dicono aperto ciò che segretamente e lungamente avevano macchinato fra loro, doversi togliere di mezzo lo stesso spirituale potere dei Pontefici, e fare scomparire dal mondo la divina istituzione del Pontificato. Di che, ove altri argomenti mancassero, prova sufficiente sarebbe la testimonianza di parecchi di loro, che spesse volte in addietro, ed eziandio recentemente dichiararono, essere veramente scopo supremo dei Frammassoni perseguitare con odio implacabile il Cristianesimo, e che essi non si daranno mai pace, finché non vedano a terra tutte le istituzioni religiose fondate dai Papi.

Che se la setta non impone agli affiliati di rinnegare espressamente la fede cattolica, cotesta tolleranza, non che guastare i massonici disegni, li aiuta. Imperocché in primo luogo è questo un modo di ingannar facilmente i semplici e gli incauti, ed un richiamo di proselitismo. Poi con aprir le porte a persone di qualsiasi religione si ottiene il vantaggio di persuadere col fatto il grand’errore moderno dell’indifferentismo religioso e della parità di tutti i culti: via opportunissima per annientare le religioni tutte, e segnatamente la cattolica che, unica vera, non può senz’enorme ingiustizia esser messa in un fascio con le altre.

Ma i Naturalisti vanno più oltre. Messisi audacemente, in cose di massima importanza, per una via totalmente falsa, sia per la debolezza dell’umana natura, sia per giusto giudizio di Dio che punisce l’orgoglio, trascorrono precipitosi agli errori estremi. Così avviene che le stesse verità, che si conoscono pei lume naturale di ragione, quali sono per fermo l’esistenza di Dio, la spiritualità ed immortalità dell’anima umana, non hanno più pei essi consistenza e certezza.

Or negli scogli medesimi va per via non dissimile ad urtare la setta Massonica. L’esistenza di Dio, è vero, i Frammassoni generalmente la professano: ma che questa non sia in ciascun di loro persuasione ferma e giudizio certo, essi stessi ne fan fede. Imperocché non dissimulano, che nella famiglia massonica la questione intorno a Dio è un principio grandissimo di discordia; ed anzi è noto come pur di recente si ebbero tra loro su questo punto gravi contese.

Fatto sta che la setta lascia agl’iniziati libertà grande di sostenere circa Dio la tesi che vogliono, affermandone o negandone la esistenza; e gli audaci negatori vi hanno accesso non men facile di quelli che, a guisa dei Panteisti, ammettono Iddio, ma ne travisano il concetto: ciò che in sostanza riesce a ritenere della divina natura non so quale assurdo simulacro, distruggendone la realtà. Ora abbattuto o scalzato questo supremo fondamento, forza è che vacillino anche molte verità di ordine naturale, come la libera creazione del mondo, il governo universale della provvidenza, l’immortalità dell’anima, la vita futura e sempiterna.

Scomparsi poi questi, come dire, principi di natura, importantissimi per la speculativa e per la pratica, è agevole il vedere che cosa sia per addivenire il pubblico e il privato costume. Non parliamo delle virtù sovrannaturali, che senza special favore e dono di Dio niuno può né esercitare, né conseguire, e delle quali non è possibile che si trovi vestigio in chi superbamente disconosce la redenzione del genere umano, la grazia Celeste, i Sacramenti, l’eterna beatitudine: parliamo dei doveri che procedono dalla onestà naturale. Imperocché Iddio, creatore e provvido reggitore del mondo; la legge eterna, che comanda il rispetto e proibisce la violazione dell’ordine naturale; il fine ultimo degli uomini, posto di gran lunga al di sopra delle create cose, fuori di questa terra; sono queste le sorgenti e i principi della giustizia e della moralità. I quali principi se, come fanno i Naturalisti ed altresì i Frammassoni, si tolgano via, incontinente l’etica naturale non ha più né dove appoggiarsi, né come sostenersi. E per fermo la morale, che sola ammettono i Frammassoni, e che vorrebbero educatrice unica della gioventù, è quella che chiamano civile e indipendente, ossia che prescinde affatto da ogni idea religiosa. Ma quanto sia povera, incerta, e ad ogni soffio di passione variabile cotesta morale, lo dimostrano i dolorosi frutti, che già in parte appariscono. Imperocché ovunque essa ha cominciato a dominare liberamente, dato lo sfratto alla educazione cristiana, la probità e integrità dei costumi scade rapidamente, orrende e mostruose opinioni levan la testa, e l’audacia dei delitti va crescendo in modo spaventoso. Il che si lamenta e deplora da tutti; e spesse volte, sforzati dalla verità, non pochi di quegli stessi l’attestano, che pur tutt’altro vorrebbero.

Oltre a ciò, per essere l’umana natura infetta dalla colpa di origine, e perciò più proclive al vizio che alla virtù, non è possibile vivere onestamente senza mortificare le passioni, e sottomettere alla ragione gli appetiti. In questa pugna è bene spesso necessario disprezzare i beni creati, e sottoporsi a molestie e sacrifici grandissimi, a fine di serbar sempre alla ragione vincitrice il suo impero. Ma i Naturalisti e i Massoni, ripudiando ogni divina rivelazione, negano il peccato originale, e stimano non esser punto affievolito né inclinato al male il libero arbitrio (Conc. Trid. Sess. VI, De justif., c. I.). Anzi esagerando le forze e l’eccellenza della natura, e collocando in lei il principio e la norma unica della giustizia, non sanno pur concepire che, a frenarne i moti e moderarne gli appetiti, ci vogliono sforzi continui e somma costanza. E questa è la ragione, per cui vediamo offerte pubblicamente alle passioni tante attrattive: giornali e periodici senza freno e senza pudore; rappresentazioni teatrali oltre ogni dire disoneste; arti coltivate secondo i principi di uno sfacciato verismo; con raffinate invenzioni promosso il molle e delicato vivere; insomma cercate avidamente tutte le lusinghe capaci di sedurre e addormentare la virtù. Cose altamente riprovevoli, ma pur coerenti ai principi di coloro che tolgono all’uomo la speranza dei beni Celesti, e tutta la felicità fanno consistere nelle cose caduche, avvilendola sino alla terra.

Ed a conferma di ciò che abbiamo detto, può servire un fatto più strano a dirsi, che a credersi. Imperocché gli uomini scaltri ed accorti non trovando anime più docilmente servili di quelle già dome e fiaccate dalla tirannide delle passioni, vi fu nella setta Massonica chi disse aperto e propose, doversi con ogni arte ed accorgimento tirare le moltitudini a satollarsi di licenza: così lesi avrebbero poi docile strumento ad ogni più audace disegno.

Quanto al consorzio domestico, ecco a un dipresso tutta la dottrina dei Naturalisti. Il matrimonio non è altro che un contratto civile; può legittimamente rescindersi a volontà dei contraenti; il potere sul vincolo matrimoniale appartiene allo Stato. Nell’educare i figli non s’imponga religione alcuna: cresciuti in età, ciascuno sia libero di scegliersi quella che più gli aggrada.

Ora questi principi i Frammassoni li accettano senza riserva: e non pure li accettano, ma studiansi da gran tempo di fare in modo, che passino nei costumi e nell’uso della vita. In molti paesi, che pur si professano cattolici, si hanno giuridicamente per nulli i matrimoni non celebrati nella forma civile; altrove le leggi permettono il divorzio; altrove si fa di tutto, perché sia quanto prima permesso. Così si corre di gran passo all’intento di snaturare le nozze, riducendole a mutabili e passeggere unioni, da formarsi e da sciogliersi a talento.

Ad impossessarsi altresì della educazione dei giovanetti mira con unanime e tenace proposito la setta dei Massoni. Comprendono ben essi, che quell’età tenera e flessibile lasciasi figurare e piegare a loro talento, e però non esserci espediente più opportuno di questo per formare allo Stato cittadini tali, quali essi vagheggiano. Quindi nell’opera di educare e istruire i fanciulli non lasciano ai ministri della Chiesa parte alcuna né di direzione, né di vigilanza: e in molti luoghi si è già tanto innanzi, che l’educazione della gioventù è tutta in mano dei laici; e dall’insegnamento morale ogni idea è sbandita di quei grandissimi e santissimi doveri, che l’uomo congiungono a Dio.

Seguono le massime di scienza sociale. Dove i Naturalisti insegnano, che gli uomini hanno tutti gli stessi diritti, e sono di condizione perfettamente eguali; che ogni uomo è, per natura, indipendente; che nessuno ha diritto di comandare agli altri; che volergli uomini sottoposti ad altra autorità, da quella in fuori che emana da loro stessi, è tirannia. Quindi il popolo è sovrano: chi comanda, non aver l’autorità di comandare se non per mandato o concessione del popolo; tantoché a talento di questo egli può, voglia o non voglia, esser deposto. L’origine di tutti i diritti e doveri civili è nel popolo, ovvero nello Stato, che si regga per altro secondo i nuovi principi di libertà. Lo Stato inoltre dev’essere ateo; tra le varie religioni non esservi ragione di dar la preferenza a veruna: doversi fare di tutte lo stesso conto.

Ora che queste massime piacciano ugualmente ai Frammassoni, e che su questo tipo e modello vogliano essi foggiati i governi, è cosa notissima, e che non ha bisogno di prova. Egli è un pezzo, di fatti, che, con quanto hanno di forze e di potere, apertamente lavorano per questo, spianando così la via a quei non pochi più audaci di loro, e più avventati nel male, che vagheggiano l’uguaglianza e comunanza di tutti i beni, fatta scomparire dal mondo ogni distinzione di averi e di condizioni sociali.

Da questi brevi cenni si scorge chiaro abbastanza, che sia e che voglia la setta Massonica. I suoi dogmi ripugnano tanto e con tanta evidenza alla ragione, che nulla può esservi di più perverso. Voler distruggere la religione e la Chiesa fondata da Dio stesso, e da Lui assicurata di vita immortale, voler dopo ben diciotto secoli risuscitare i costumi e le istituzioni del paganesimo, è insigne follia e sfrontatissima empietà. Ne meno orrenda e intollerabile cosa egli è ripudiare i benefizi largiti per Sua bontà da Gesù Cristo non pure agl’individui, ma alle famiglie e agli Stati; benefizi, per giudizio e testimonianza anche di nemici, segnalatissimi. In questo pazzo e feroce proposito pare quasi potersi riconoscere quell’odio implacabile, quella rabbia di vendetta, che contro Gesù Cristo arde nel cuore di Satana.

Similmente l’altra impresa, in cui tanto si travagliano i Massoni, di atterrare i precipui fondamenti della morale, e di farsi complici e cooperatori di chi, a guisa di bruto, vorrebbe lecito ciò che piace, altro non è che sospingere il genere umano alla più abbietta e ignominiosa degradazione.

Ed aggravano il male i pericoli, onde sono minacciati tanto il domestico, quando il civile consorzio. Come di fatti esponemmo altra volta, esiste nel matrimonio, per unanime consenso dei popoli e dei secoli, un carattere sacro e religioso: oltreché per legge divina l’unione coniugale e indissolubile. Or se questa unione si dissacri, se permettasi giuridicamente il divorzio, la confusione e la discordia entreranno per conseguenza inevitabile nel santuario della famiglia, e la donna la sua dignità, i figli perderanno la sicurezza d’ogni loro benessere.

Che poi lo Stato faccia professione di religiosa indifferenza, e nell’ordinare e governare il civile consorzio non si curi di Dio, né più né meno che se Egli non fosse, è sconsigliatezza ignota agli stessi pagani; i quali avevano nella mente e nel cuore così scolpita non pur l’idea di Dio, ma la necessità di un culto pubblico, che giudicavano potersi più facilmente trovare una città senza suolo, che senza Dio. E veramente la società del genere umano, a cui siamo stati fatti da natura, fu istituita da Dio autore della natura medesima, e da Lui deriva come da fonte e principio tutta quella perenne copia di beni senza numero, ond’essa abbonda. Come dunque la voce stessa di natura impone a ciascuno di noi di onorare con religiosa pietà Iddio, perché abbiamo da Lui ricevuto la vita e i beni che l’accompagnano; così per la ragione medesima debbono fare popoli e Stati. Opera perciò non solo ingiusta, ma insipiente ed assurda fanno coloro, che vogliono sciolta da ogni religioso dovere la civil comunanza.

Posto poi che per volere di Dio nascano gli uomini alla società civile, e che il potere sovrano sia vincolo così strettamente necessario alla società stessa, che, dove quello manchi, questa necessariamente si sfascia, ne segue che l’autorità di comandare deriva da quello stesso principio, da cui deriva la società. Ed ecco la ragione, che l’investito di tale autorità, sia chi si voglia, è ministro di Dio. Laonde fin dove è richiesto dal fine e dalla natura dell’umano consorzio, si deve obbedire al giusto comando del potere legittimo, non altrimenti che alla sovranità di Dio reggitore dell’universo: ed è capitalissimo errore il dare al popolo piena balia di scuotere, quando gli piaccia, il giogo dell’obbedienza.

Così ancora chi guardi alla comune origine e natura, al fine ultimo assegnato a ciascuno, ai diritti e ai doveri che ne scaturiscono, non è da dubitare che gli uomini sono tutti uguali fra loro. Ma poiché capacità pari in tutti è impossibile, e per le forze dell’animo e del corpo l’uno differisce dall’altro, e tanta è dei costumi, delle inclinazioni, e delle qualità personali la varietà, egli è assurdissima cosa voler confondere e unificare tutto questo, e recare negli ordini della vita civile una rigorosa ed assoluta uguaglianza. Come la perfetta costituzione del corpo umano risulta dall’unione e compagine di vali membri che, diversi di forma e di uso, ma congiunti insieme e messi ciascuno al suo posto, formano un organismo bello, forte, utilissimo e necessario alla vita; così nello Stato quasi infinita è la varietà degl’individui che lo compongono; i quali, se, parificati tra loro, vivano ognuno a proprio senno, ne uscirà una cittadinanza mostruosamente deforme; laddove, se distinti in armonia di gradi, di offici, di tendenze di arti, bellamente cooperino insieme al bene comune, renderanno immagine d’una cittadinanza ben costituita e conforme a natura.

Del resto i turbolenti errori, che abbiamo accennati, debbono troppo far tremare gli Stati. Imperocché tolto via il timore di Dio e il rispetto delle divine leggi, messa sotto i piedi l’autorità dei Principi, licenziata e legittimata la libidine delle sommosse, sciolto alle passioni popolari ogni freno, mancato, dai castighi in fuori, ogni ritegno, non può non seguirne una rivoluzione e sovversione universale. E questo sovversivo rivolgimento è lo scopo deliberato e l’aperta professione delle numerose associazioni di Comunisti e Socialisti: agli intendimenti dei quali non ha ragione di chiamarsi estranea la setta Massonica, essa che tanto ne favorisce i disegni, ed ha comuni con loro i capitali principi. Che se non si trascorre coi fatti subito e da per tutto alle estreme conseguenze, il merito di ciò deve recarsi, non già alle massime della setta o alla volontà dei settari, ma alla virtù di quella divina religione, che non può essere spenta, e alla parte più sana dell’umano consorzio, che, sdegnando di servire alle società segrete, si oppone con forte petto all’esorbitanza dei loro conati.

E volesse il Cielo, che universalmente dai frutti si giudicasse la radice, e dai mali che ci minacciano, dai pericoli che ci sovrastano si riconoscesse il mal seme! Si ha da fare con un nemico astuto e fraudolento che, blandendo popoli e monarchi, con lusinghiere promesse e con fini adulazioni entrambi ingannò.

Insinuandosi sotto specie di amicizia nel cuore dei Principi, i Frammassoni mirarono ad avere in essi complici ed aiuti potenti per opprimere il Cristianesimo; e a fine di mettere nei loro fianchi sproni più acuti, si diedero a calunniare ostinatamente la Chiesa come nemica del potere e delle prerogative reali. Divenuti con tali arti baldanzosi e sicuri, acquistarono influenza grande nel governo degli Stati, risoluti per altro di crollare le fondamenta dei troni, e di perseguitare, calunniare, discacciare chi tra’ sovrani si mostrasse restio a governare a modo loro.

Con arti simili adulando il popolo, lo trassero in inganno. Gridando a piena bocca libertà e prosperità pubblica; facendo credere alle moltitudini che dell’iniqua servitù e miseria, in cui gemevano, tutta della Chiesa e dei sovrani era la colpa, sobillarono il popolo, e lui smanioso di novità aizzarono ai danni dell’uno e dell’altro potere. Vero è bensì che dei vantaggi sperati maggiore è l’aspettazione che la realtà: anzi oppressa più che mai la povera plebe vedesi nelle miserie sue mancare gran parte di quei conforti, che nella società cristianamente costituita avrebbe potuto facilmente e copiosamente trovare. Ma di tutti i superbi, che si ribellano all’ordine stabilito dalla provvidenza divina, questo è il consueto castigo, che donde sconsigliatamente promettevansi fortuna prospera e tutta a seconda dei loro desideri, trovino ivi appunto oppressione e miseria.

Quanto alla Chiesa, se comanda di ubbidire innanzi tutto a Dio supremo Signore di ogni cosa, sarebbe ingiuriosa calunnia crederla perciò nemica del potere de’ Principi, od usurpatrice dei loro diritti. Vuole anzi essa, che quanto è dovuto alla potestà civile, lesi renda per dovere di coscienza. Il riconoscere poi da Dio, com’essa fa, il diritto di comandare, aggiunge al potere politico dignità grande, e giova molto a conciliargli il rispetto e l’amore dei sudditi. Amica della pace, autrice della concordia, tutti con affetto materno abbraccia la Chiesa; e intenta unicamente a far bene agli uomini, insegna doversi alla giustizia unir la clemenza, al comando l’equità, alle leggi la moderazione; rispettare ogni diritto, mantenere l’ordine e la tranquillità pubblica, sollevare al possibile privatamente e pubblicamente le indigenze degl’infelici. “Ma – per usare le parole di Sant’Agostino – credono o vogliono far credere che non torna utile alla società la dottrina del Vangelo, perché vogliono che lo Stato posi non sul fondamento stabile delle virtù, ma sull’impunità dei vivi” (Epist. CXXXVII, al. III, ad Volusianum c. v, n. 20). Per le quali cose opera troppo più conforme al senno civile e necessaria al comune benessere sarebbe, che Principi e popoli, in cambio di allearsi coi Frammassoni a danno della Chiesa, si unissero alla Chiesa per respingere gli assalti dei Frammassoni.

In ogni modo, alla vista d’un male sì grave e già troppo diffuso, è debito Nostro, Venerabili Fratelli, applicar l’animo a cercarne i rimedi. E poiché sappiamo che nella virtù della religione divina, tanto più odiata dai Massoni, quanto più temuta, consiste la migliore e più salda speranza di rimedio efficace, a questa virtù sommamente salutare crediamo che prima di tutto sia da ricorrere contro il comune nemico. Tutte queste cose pertanto, che i Romani Pontefici Nostri Antecessori decretarono per attraversare i disegni e render vani gli sforzi della setta Massonica; tutte quelle che sancirono per allontanare o ritrarre i fedeli da così fatte società; tutte e singole Noi con l’Autorità Niostra Apostolica le ratifichiamo e confermiamo. E qui confidando moltissimo nel buon volere dei fedeli, preghiamo e scongiuriamo ciascuno di loro per quanto su questo proposito fu prescritto dall’Apostolica Sede. Preghiamo poi e supplichiamo voi, Venerabili Fratelli, che cooperiate con Noi ad estirpare questo rio veleno, che largamente serpeggia in seno agli Stati. A voi tocca difendere la gloria di Dio e la salvezza delle anime; tenendo, nel combattimento, questi due fini davanti agli occhi, non vi mancherà coraggio né fortezza. Il giudicare quali sieno i più efficaci mezzi da superare gli ostacoli è cosa che spetta alla prudenza vostra.

Pur nondimeno trovando Noi conveniente al Nostro ministero l’additarvi alcuni dei mezzi più opportuni, la prima cosa da farsi si è togliere alla setta Massonica le mentite sembianze, e renderle le sue proprie, ammaestrando con la voce, ed eziandio con Lettere Pastorali, i popoli, quali siano di tali società gli artifizi per blandire ed allettare; quali la perversità delle dottrine e la disonestà delle opere.

Conforme dichiararono più volte i Nostri Predecessori, chiunque ha cara quanto deve la professione cattolica e la propria salute, non si lusinghi mai di poter senza colpa iscriversi, per qualsivoglia ragione, alla setta Massonica. Niuno si lasci illudere alla simulata onestà; imperocché può ben parere a taluno che i Massoni nulla impongano di apertamente contrario alla fede e alla morale: ma essendo essenzialmente malvagio lo scopo e la natura di tali sètte, non può essere lecito di darvi il nome, né di aiutarle in qualsivoglia maniera.

È necessario in secondo luogo con assidui discorsi ed esortazioni mettere nel popolo l’amore e lo zelo dell’istruzione religiosa: e a tal fine molto raccomandiamo, che con ragionamenti opportuni a voce e in iscritto si spieghino i principi fondamentali di quelle santissime verità, nelle quali consiste la cristiana sapienza. Scopo di ciò è guarire con l’istruzione le menti, e premunirle contro le molteplici forme degli errori, e i vari allettamenti dei vizi, massime in questa gran licenza di scrivere ed insaziabile brama di imparare.

Opera faticosa di certo: nella quale tuttavia partecipe e compagno delle fatiche vostre avrete specialmente il clero, se in grazia del vostro zelo sarà ben disciplinato e istruito. Ma causa così bella e di tanta importanza richiede altresì l’industria cooperatrice di quei laici, che all’amore della religione e della patria congiungono probità e dottrina. Con le forze unite di questi due ordini procurate, Venerabili Fratelli, che gli uomini conoscano intimamente ed abbiano cara la Chiesa; perché quanto più crescerà in essi la conoscenza e l’amore di lei, tanto maggiormente saranno aborrite e schivate le società segrete. Egli è per questo che, giovandoCi della presente occasione, torniamo non senza ragione a ricordare la opportunità inculcata altra volta, di promuovere caldamente e proteggere il Terz’Ordine di San Francesco, di cui recentemente con prudente condiscendenza mitigammo la regola. Imperocché, secondo lo spirito della sua istituzione, esso non mira ad altro, che a trarre gli uomini all’imitazione di Gesù Cristo, all’amore della Chiesa, alla pratica di tutte le cristiane virtù: e però tornerà efficacissimo a spegnere il contagio delle sètte malvagie. Cresca dunque di giorno in giorno questo santo sodalizio, da cui, tra molti altri, può anche sperarsi questo prezioso frutto, di ricondurre gli animi alla libertà, alla fraternità, alla uguaglianza: non quali va sognando assurdamente la sètta Massonica, ma quali Gesù Cristo recò al mondo e Francesco nel mondo ravvivò. La libertà diciamo dei Figli di Dio, che affranca dal servaggio di Satana e dalle passioni, tiranni pessimi: la fraternità, che da Dio prende origine, Creatore e Padre di tutti: l’uguaglianza che, fondata sulla giustizia e carità, non distrugge tra gli uomini tutte le differenze, ma dalla varietà della vita, degli offici, delle inclinazioni forma quell’accordo e quasi armonia, voluta da natura a utilità e dignità del civile consorzio.

In terzo luogo esiste un’istituzione, attuata sapientemente dai nostri maggiori, e poi coll’andar del tempo dimessa, la quale può servire ai di nostri come di modello e di forma a qualcosa di simile.

Intendiamo parlare dei Collegi e Corpi di arti e mestieri, destinati, sotto la guida della religione, a tutela degl’interessi e dei costumi. I quali Collegi, se per lungo uso ed esperienza riuscirono di gran vantaggio ai nostri padri, torneranno molto più vantaggiosi all’età nostra, perché opportunissimi a fiaccare la potenza delle sètte. I poveri operai, oltre ad essere per la stessa condizione loro degnissimi sopra tutti di carità e di sollievo, sono in modo particolare esposti alle seduzioni dei fraudolenti e raggiratori. Vanno perciò aiutati con la massima generosità, e invitati alle società buone, affinché non si lascino trascinare nelle malvagie. Per questo motivo Ci sarebbe assai caro che, adattate ai tempi, risorgessero per tutto sotto gli auspici e il patrocinato dei Vescovi a salute del popolo siffatte aggregazioni. E Ci è di grandissimo conforto il vederle fondate già in molti luoghi insieme coi patronati cattolici: due istituzioni, che mirano a giovare la classe onesta dei proletari, a soccorrere e proteggere le loro famiglie, i loro figli, e a mantenere in essi con l’integrità dei costumi l’amore della pietà, e la conoscenza della religione.

E qui non possiamo passare sotto silenzio la Società di San Vincenzo de’ Paoli, insigne per lo spettacolo e l’esempio che porge, e si altamente benemerita della povera plebe. Le opere e le intenzioni di cotesta società sono ben note: essa è tutta in sovvenire i bisognosi e i tribolati, prevenendoli amorosamente, e ciò con mirabile sagacia, e con quella modestia, che quanto meno vuol comparire, tanto è più opportuna all’esercizio della carità e al sollevamento delle umane miserie.

In quarto luogo, a conseguir più facilmente l’intento, alla fede e vigilanza vostra raccomandiamo caldissimamente la gioventù, speranza dell’umano consorzio.

Nella buona educazione di essa ponete grandissima parte delle vostre cure, e non vi date mai a credere di aver vigilato e fatto abbastanza, pel tener lontana l’età giovinetta da quelle scuole e da quei maestri donde sia da temere l’alito pestifero delle sètte. Fate che i genitori, i direttori spirituali, i parroci, nell’insegnare la dottrina cristiana, non si stanchino di ammonire opportunamente i figli e gli alunni intorno alla rea natura di tali sètte, anche perché imparino per tempo le varie e subdole arti, solite usarsi dai propagatori di quelle per irretire la gente. Anzi quei che apparecchiano i giovinetti alla prima comunione faranno benissimo, se gl’indurranno a proporre e promettere di non ascriversi, senza saputa dei propri genitori ovvero senza consiglio del parroco o del confessore, a società alcuna.

Ma ben comprendiamo, che le comuni nostre fatiche non sarebbero sufficienti a svellere questa perniciosa semenza dal campo del Signore, se il Celeste padrone della vigna non ci sarà largo a tale effetto del suo generoso soccorso. Convien dunque implorarne il potente aiuto con fervore veemente ed ansioso, pari alla gravità del pericolo e alla grandezza del bisogno. Inorgoglita dei prosperi successi, la Massoneria insolentisce, e pare non voglia più metter limiti alla sua pertinacia. Per un’iniqua lega ed un’occulta unità di propositi da per tutto i seguaci suoi congiunti insieme, si dànno scambievolmente la mano e l’uno rinfocola l’altro a più osare nel male. Assalto sì gagliardo vuole non men gagliarda difesa: vogliam dire che tutti i buoni debbono collegarsi in una vastissima società di azione e di preghiera. Due cose pertanto dimandiamo da loro; da una parte, che unanimi, a schiere serrate, a piè fermo resistano all’impeto ognora crescente, delle sètte; dall’altra, che sollevando con molti gemiti le mani supplichevoli a Dio, implorino a grande istanza, che il Cristianesimo prosperi e cresca vigoroso; che riabbia la Chiesa la necessaria libertà; che i traviati ritornino a salute; che gli errori alla verità, i vizi faccian luogo alla virtù.

Invochiamo a tal fine l’aiuto e la mediazione di Maria Vergine Madre di Dio, affinché contro l’empie sètte, in cui si vedono chiaramente rivivere l’orgoglio contumace, la perfidia indomita, la simulatrice astuzia di Satana, dimostri la potenza sua, essa che trionfò di lui sin dal suo primo concepimento.

Preghiamo altresì San Michele, principe dell’angelica milizia, debellatore del nemico infernale; San Giuseppe, sposo della Vergine Santissima, Celeste e salutare patrono della cattolica Chiesa; i grandi Apostoli Pietro e Paolo, propagatori e difensori invitti della fede cristiana. Per il patrocinio di essi e per la perseveranza delle comuni preghiere confidiamo, che Iddio si degnerà di sovvenire pietosamente ai bisogni della umana società, minacciata da tanti pericoli.

A pegno poi delle grazie Celesti e della benevolenza Nostra impartiamo con grande affetto a voi, Venerabili Fratelli, al clero e a tutto il popolo commesso alle vostre cure l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 20 Aprile 1884, anno VII del Nostro Pontificato.  
 
       Leone XIII

Gioacchino Pecci

20.II.1878

20.VII.1903
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CONOSCI TE STESSO

Esperienza in Loggia Sul tema della epistemologia massonica trattata secondo l’antico costume muratorio del catechi

Sul timpano del tempio di Apollo a Delfo , da tempo immemorabile, ­il “CONOSCI TE STESSO” ammonisce l’umanità all’autocoscienza.

Per migliorare l’equilibrio interiore è necessario co­noscere se stessi.

La coscienza però non elimina l’errore, non possiede la verità ma pone il modulo della verità ad un livello molto più complesso e cruciale ed apre l’uomo all’Ar­te Reale.

Tale processo deve trovare stimolo nel lavoro di Loggia.

In ognuno di noi il concetto di SE’ si sviluppa anche attraverso la necessità di “vedersi” nella relazione di­namica con l’altro “attraverso” gli altri: la Loggia, in tal senso, è luogo fisico e psichico privilegiato.

Ognuno per conoscersi, deve tradurre la propria con­dotta cosciente nei sottostanti motivi inconsci: per ve­ramente conoscersi, bisogna dunque, poter giungere a quei taciti impulsi subconsci che agiscono nascostamente sulla nostra condotta cosciente.

Ogni personalità, come ogni civiltà e cultura, si espri­me secondo stili particolari: noi occidentali tendiamo a realizzarci attraverso forme di pensiero di tipo anali­tico.

Comunemente si afferma che non vi sono azioni che non siano EGOISTE”. In realtà, nessuna idea viene a caso, ogni idea è stata sospinta da influssi sottostanti, oppure attratta da ragioni esterne.

Solo una filosofia dell’uomo ci consente di incontrarlo nella sua complessità: proprio la polifonia delle voci evo­cate da questo incontro è testimonianza del fatto che la verità umana è viva solo nelle scelte e nelle contrad­dizioni.

Allora, se la nostra attività mentale cosciente si limi­ta allo scegliere e al respingere ciò che filtra dall’inconscio (e ciò avviene comunemente), non riporteremo mai alla luce le motivazioni inconsce e così, non riuscire­mo mai a estinguere ciò che, di solito, si respinge sol­tanto, nelle radici dell’inconscio sommerso.

­

Nel permanente gioco combinatorio tra l’operazio­ne logica, la pulsione affettiva e gli istinti vitali elemen­tari, la coscienza di sé si identifica nell’aspetto morale della maturazione che, dall’anomia iniziale (egoismo ingenuo), all’eteronomia (obbedienza per realismo mo­rale), porta all’autonomia intesa come interiorizzazio­ne della legge, per partecipazione consapevole, che quindi non implica coercizione esterna al SE’.

La coscienza si riduce, senza l’analisi delle radici, a una superficie mentale insignificante, in confronto al­le vaste distese dell’inconscio.

Dall‘”Elogio della follia” di Erasmo:… “guardate qui dunque cosa ha fatto Giove; egli ha dotato l’uomo di ragione in proporzione singolarmente piccola rispetto alle sue passioni, laddove ha disperso queste in ogni par­te del corpo, ha limitato la ragione ad un piccola por­zione del cranio

Se riusciamo a liberamente snodare la corrente asso­ciativa delle idee, la nostra coscienza finirà, a un certo stadio, per scoprire il ricordo che sta alla radice.

Ricordo simbolizzato d’insopprimibili esigenze vitali! Ma non è solo disseppellendo il passato, bensì nel ri­trovare da soli la propria congruenza, che si realizza e si compie la coscienza di sé.

Solo attraverso l’analisi dell’inconscio si può ricostruire la personalità cosciente.

Le forme di cultura sono l’equivalente esteriorizzato dell’inconscio umano.

Se noi riusciremo a seguire fino in fondo le radici dei nostri pensieri, potremo alla fine trovarci in presenza di ciò che costituisce il fondo più intimo della nostra personalità.

Sensazioni ed emozioni sono l’essenza della vita: quando l’uomo aspira alla pura ragione, le sue emo­zioni represse prorompono in sintomi nevrotici che lo allontanano dall’armonia del sé cosciente.

Trascineremo allora davanti alla nostra personalità co­sciente, in modo da contemplarle faccia a faccia, le idee che sono responsabili delle caratteristiche del nostro tem­peramento.

Non è facile il processo di trasformazione del tem­peramento in carattere e quindi in personalità: il dub­bio costituisce uno dei momenti fondamentali della co­scienza, intesa come responsabile controllo interiore del­l’individuo sul proprio comportamento.

Dice Freud: “il sogno decifrato spesso ci si rivelerà inconfessabile”. Ma nell’inconscio non vi è solo l’infi­mo ma anche il sublime.

“Il dinamismo delle tendenze psichiche inconsce si esprime, oltre che nel sintomo e nel comportamento, anche nel sogno, che rappresenta la via regia per cono­scere l’inconscio” (Freud).

Secondo l’analisi della psiche, con il mettersi ardita­mente di fronte alle proprie radici, si compie quel trat­tamento purificativo su se stessi, che il Ralph definisce “igiene della luce”.

La vera salute e la vera pace dell’uomo staranno nel­la maggior unione possibile tra l’IO, principio di real­tà e il SE, principio di godimento. Solo così si avrà il godimento della realtà, il godimento della conoscen­za.

Potremmmo finalmente accorgerci se, nei nostri co­muni comportamenti, abbiamo rincorso e rincorriamo solo fantasmi di godimento.

Ognuno cerchi fondamentalmente in sé; e poi intorno a sé. Le nostre intime debolezze somigliano a ombre, più le fuggiamo, più esse ci inseguono; e così mai si riesce ad aumentare la distanza che ce ne separa, per­ché è impossibile fuggire la nostra ombra.

E’ necessaria la presenza di una luce per veder proiet­tarsi un’ombra.

Invece di fuggirla dobbiamo fare il contrario: voltar­ci e guardarla in faccia, senza mai gemiti né pianti. L’a­nalisi della psiche è l’igiene della luce, la luce della co­scienza può disperdere i fantasmi. La luce della coscienza trasforma il buio in colori.

Pensiamo al monito Vedico: essere-coscienza-beatitudine. Inattuabile con il solo sforzo razionale, ma realizzabile con la completa autocoscienza e padronan­za di sé, al fine di superare i desideri limitati e tendere all’assoluto di cui l’uomo diviene partecipe attraverso i valori spirituali della bellezza, dell’amore, della com­prensione.

Nel caso dell’inconscio freudiano, le leggi servono a poco, perché possono solo reprimere, quindi rimanda­re, dilazionare la risoluzione dei nostri conflitti.

La coscienza cioè l’Io, rappresenta la ragione, l’in­conscio il Sé, l’istinto, l’impulso vitale.

Il fine dell’uomo starà nella maggior unione possi­bile tra Io e Sé.

Felicità è libertà, è autocreazione.

In altri termini, il fine dell’uomo starà nella subli­mazione degli istinti.

Apportiamo la luce dentro di noi, perché tutto l’es­sere è sacro: la realtà, di per se brutta, diventa bella se tradotta in idea.

Ma il purificare è niente se con il purificare si impo­verisce la vita.

Se la tenebra viene illuminata diventa colore.

La semplicissima realtà, se approfondita e non “so­stituita”, è bellezza.

Il fine sacro della conoscenza oggettiva è la soggetti­vità; con ciò non si vuol dire che sia sacra tutta la vita, ma che il sacro permea il profano.

La religiosità comune inclina a separare il profano dal sacro, per custodire questo nella trascendente purezza; ma così lo si apparta dal rimanente della vita.

Nella religiosità comune gli atti religiosi sono atti di­stinti, ben circoscritti; mentre in realtà, ogni atto sta con la religiosità in un rapporto costante.

Il sacro esiste nella materia.

Il sacro esiste nella carne travagliata dallo spirito.

Quale è l’arte di essere se stessi?

È l’arte di trovare la propria originalità.

Questo è il fine della vita dell’uomo.

L’arte di essere se stessi consiste nel sapersi recisamente staccare da tutto ciò che noi stessi non siamo, da tutto ciò che in noi stessi c e di altri, da tutto ciò che in noi stessi c e d’altro.

Liberarci da tutto ciò che in noi ci trae fuori di noi, da ciò in cui il nostro Io vero si impiglia e quindi, si seppellisce.

Tutto il valore religioso dell’uomo è nell’essere Sé.

Nell’essere Sé l’uomo obbedisce a Dio.

La rosa loda Dio col fiorire.

Lo spino col pungere;

tutti con il loro semplice essere Sé.

ANCHE TU FRATELLO SII TU

(Hiram  1987 n°3)

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BREVI CENNI SULL’EVOLUZIONE DELL’UOMO

Brevi cenni sull’evoluzione dell’Uomo

Autore: OFFICINAE

Dal punto di vista geologico la storia recente della terra corrisponde all’era cenozoica, che abbraccia gli ultimi 65 milioni di anni. Il cenozoico vede l’esplosione delle piante con fiori e, più tardi, l’instaurarsi dei cicli basati sulle stagioni. La storia dell’uomo e dei suoi parenti biologici interessa solo l’ultima parte di quest’era: miocene, pliocene, pleistocene, olocene.

L’uomo attuale fa parte della specie homo sapiens, genere homo, famiglia hominidae, superfamiglia hominoidea, infraordine scimmie del vecchio mondo. I Primati o “scimmie” si distinguono in tre grandi gruppi: proscimmie, scimmie del nuovo mondo e scimmie del vecchio mondo. L’uomo è l’unico primate ad avere colonizzato anche gli ambienti estremi (zone polari, deserti). Sebbene tutti gli ominoidi manifestino la capacità di tenere il busto verticale e alcuni si muovano occasionalmente su due gambe, l’uomo e i suoi antenati sono gli unici ad avere sviluppato questa specializzazione in massimo grado: bipedismo e vita a terra sono diventati la vera nicchia ecologica dell’uomo. Le impronte dei passi di tre ominidi sono rimaste impresse nelle ceneri vulcaniche di Laetoli, in Tanzania. Risalgono a oltre 3.500.000 anni fa e sono la prima dimostrazione del bipedismo di tipo umano. Dai calchi si rileva che queste orme, pur più piccole di quelle degli uomini attuali, sono assolutamente identiche nella forma.

La grande mobilità del braccio e della mano è un’eredità degli ominoidi del Miocene. La linea evolutiva degli ominidi e in particolare il genere Homo ha conservato questa eredità sviluppando in particolare la mobilità delle singole dita. Gorilla e scimpanzé sono capaci di effettuare la “presa di forza”, cioè di stringere oggetti con il palmo della mano e quattro dita piegate insieme a uncino, ma solo gli ominidi più “umani” sono capaci di “presa di precisione”, cioè di opporre il pollice a tutte le altre dita punta contro punta. La particolare costituzione della mano permise la costruzione dei primi arnesi. Circa due milioni e mezzo di anni fa compaiono i primi oggetti: utensili di pietra scheggiata ritrovati in Africa. Questa data segna l’inizio del paleolitico (età della pietra antica). Altra caratteristica peculiare dell’uomo è la grandezza del cervello sia in senso assoluto sia rispetto alle dimensioni corporee. L’evoluzione degli ominoidi spicca per l’enorme ingrandimento del cervello e, verosimilmente, per l’aumento della complessità neurologica a cui conseguì la comparsa del linguaggio. Molti animali producono suoni, ma nessuno di essi è in grado di organizzarli in un “discorso” di produrre concetti astratti. Parlare comporta una serie di azioni mentali e fisiche perfettamente coordinate. Nel cervello, più precisamente nella corteccia dell’emisfero sinistro, esistono aree specificatamente dedicate. In queste aree serie di suoni o di immagini visive con un significato convenzionale divengono “simboli” verbali: parole. La figura mostra l’emisfero sinistro di un cervello umano. Sono evidenziate le aree del linguaggio (area di Broca e di Wernicke) e le loro connessioni. Le immagini sottostanti ottenute con la tomografia ad emissione di positroni mostrano “in vivo” quali aree cerebrali si attivano durante le varie funzioni connesse al linguaggio: potremmo dire che si tratta di immagini della “mente”

Un altro vantaggio evolutivo, che sembra essere stato all’origine della famiglia, può essere legato al cosiddetto “estro nascosto”. L’uomo è, infatti, l’unico mammifero la cui femmina non segnala il periodo di fertilità. Da questo deriva la necessità di numerosi accoppiamenti per avere la sicurezza di riprodursi. Se a ciò si aggiunge che il cucciolo umano è, fra tutti i mammiferi, quello che abbisogna del maggior periodo di cure parentali prima di raggiungere l’autosufficienza è facile intuire come sia stato necessario che si siano formati fin dall’inizio nuclei familiari stabili e come questo fatto abbia prodotto un vantaggio non trascurabile per la sopravvivenza e l’evoluzione della specie.

Le ipotesi per spiegare l’origine dell’umanità moderna sono fondamentalmente due:

A) modello africano secondo il quale tutte le varietà umane sarebbero comparse in epoca recente dopo che l’uomo moderno si diffuse dall’Africa;

B) modello multiregionale secondo il quale le caratteristiche razziali si sarebbero evolute regione per regione con scambi biologici fra popolazioni contemporanee.

La prima ipotesi deriva dalla grande omogeneità genetica dell’uomo attuale che porta a pensare che tutti i popoli attuali discenderebbero da una sola popolazione, abbastanza recente, comparsa in Africa e che da lì si sarebbe diffusa rapidamente nel resto del mondo spazzando via le popolazioni di Homo erectus e di Homo sapiens arcaico. Questa ipotesi sembra confermata dagli studi sul DNA mitocondriale, che si trasmette solo per via materna, che dimostrerebbero che tutta l’umanità attuale discenderebbe da un’antenata (Eva) comune vissuta in Africa meno di 200.000 anni fa. In Estremo Oriente sono state però notate continuità nel tempo che hanno consentito di emettere l’ipotesi secondo la quale varietà di Homo erectus si sarebbero evolute parallelamente nelle varie aree del mondo, sia pure con scambi genetici fra regione e regione, trasformandosi in Homo sapiens arcaico e successivamente nell’uomo moderno. Gli incroci fra gruppi vicini sarebbero stati sufficienti a dare origine ad una specie umana singola. Se l’ipotesi di un’origine africana recente comune a tutta l’umanità attuale è corretta dovrebbe essere esistita una “protolingua”. I linguisti si sono spinti a ritroso fino all’età paleolitica ed hanno rintracciato i “tronchi” o addirittura le “radici” delle attuali famiglie linguistiche. Alcuni di essi hanno ipotizzato l’esistenza di una protolingua: il “nostratico” le cui tracce, anche se quasi impercettibili, sarebbero presenti in tutte le attuali famiglie linguistiche.

Tra i 100.000 ed i 40.000 anni fa l’uomo comincia a seppellire i morti: è l’inizio di un comportamento simbolico che esprime una qualche forma di credenza in un altro mondo. Fra i 40.000 ed i 30.000 anni fa in varie parti del mondo si manifesta un comportamento essenzialmente nuovo: in terra o su pareti di roccia (all’aperto o in caverne) vengono rappresentate figure incise, scolpite o dipinte, che hanno un chiaro significato simbolico.

L’invenzione dell’arco e delle frecce segnò una grande rivoluzione culturale garantendo una maggiore facilità per procurarsi il cibo. L’uomo passò da un’economia che si basava sulla raccolta, sulla cattura occasionale di piccole prede e sull’utilizzazione di carogne di animali uccisi dai grandi predatori (sciacallaggio) alla caccia “attiva”. La caccia portò alla necessità di una maggiore collaborazione di gruppo ed iniziò così ad organizzarsi la tribù che si spostava seguendo le prede. La vita domestica ha notevoli effetti sociali: da molti segni è evidente una grande attenzione per i più deboli. Gli scavi in ripari sottoroccia come l’Abri Pataud (Francia) dimostrano che le società del Paleolitico superiore tornavano ripetutamente ad abitare negli stessi siti. Le famiglie o le tribù avevano i loro territori, e serbavano per generazioni la memoria di certi luoghi, che talora tramandavano con disegni: è il primo embrione di “scrittura”. A Mezhiricich (Ucraina) è stata rinvenuta, incisa su una zanna di mammut quella che si può ritenere la più antica mappa topografica.

Del fuoco sono ormai note tutte le proprietà. Gli scavi hanno permesso di distinguere, dentro le tende focolari, per cuocere e per riscaldare. Nel Paleolitico superiore, l’esistenza di territori tribali e reti di scambio è indicata dalla diffusione di manufatti simbolici (come le famose figurine femminili o “veneri’), e dalla distribuzione a lunga distanza di conchiglie marine e altre “curiosità” naturali.

Il passo successivo fu l’invenzione dell’agricoltura (verosimilmente dovuta alla donna) e la domesticazione degli animali (verosimilmente di origine maschile). L’uomo coltiva ed alleva il proprio cibo e si rende in larga misura indipendente dalla natura. L’agricoltura e la pastorizia aumentarono la necessità di legami sociali e portarono all’invenzione di nuove tecnologie: è l’inizio del neolitico e dell’esplosione culturale e demografica dell’uomo moderno. In Anatolia l’enorme aumento della popolazione e la sua concentrazione porta all’invenzione della città: Ciatal Huyuk (8.000 anni fa) aveva forse mille case e 5.000 abitanti con ampi spazi riservati ad edifici di culto.

Circa 40.000 anni fa la forma fisica dell’uomo è ormai dovunque quella dell’uomo attuale e 10.000 anni fa sono già presenti, nelle varie parti del mondo, le “razze” che ancora oggi lo popolano. Da quel momento la storia evolutiva dell’uomo è quella della sua cultura.

Con il termine “cultura” s’intende ogni comportamento che si basa sull’esperienza, l’invenzione o l’apprendimento e non sull’eredità genetica. La cultura è ciò che un animale “sa” e “fa” all’interno di un gruppo sociale, la cultura, in quest’accezione del termine, non è infatti mai solitaria. Il “sapere” corrisponde alla cultura intellettuale, il “fare” a quella materiale. Il genere homo ha sviluppato al massimo questo comportamento, tanto da produrre società di “cultura” diversa nelle diverse regioni. La “cultura” può essere considerata come un sistema formato da cinque unità in rapporto fra loro e con l’ambiente.

La psicologia si propone di spiegare il comportamento. La mente ed il cervello sono strettamente connessi, ma l’esatta natura di questo rapporto ci sfugge, così come non sappiamo cosa sia in realtà la mente. Sono questi i quesiti fondamentali della filosofia in generale e della Libera Muratoria in particolare come bene esprime l’antico acrostico alchemico “VITRIOL” che può essere meglio letto, invece che come “visita interiora terrae invenies occultam lapidem”, come “visita interiora tuae invenies occultam lapidem” ove con la parola lapidem s’intende l’intima, divina, essenza dell’uomo. In questo modo la Massoneria stimolando ed indirizzando ogni uomo “libero e di buoni costumi” alla ricerca del sé, modificandone la psiche ed accompagnandolo alle soglie dell’infinito influisce sulla società contribuendo ad immettere in essa i semi del bene, del giusto e del bello.

Ho detto.

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BREVE STORIA DELLE DONNE IN ITALIA

Breve Storia delle donne in Italia

 “ Le persone ammesse membri di una loggia dovranno essere uomini buoni e veri, nati liberi, di età matura …., non schiavi, né donne, né uomini immorali……, ma di buona reputazione.

Cosi detta l’art. 3 delle Costituzioni della Massoneria Speculativa Moderna che nel 1723 ne statuirono e regolarono la nascita, dopo la costituzione della Gran Loggia di Londra del 1717. Cosi si apre il libro dei Vigni che parla di donne e massoneria, e non altrimenti iniziamo noi poiché ciò è il punto nodale, il casus belli, la spina in gola di tutti coloro che, a chiacchiere, si dichiarano ossequienti alle Costituzioni di Anderson salvo poi allontanarsene ed abbracciare le donne professando una massoneria mista e modellando a modo loro la “Massoneria Speculativa Moderna”, cui, nella realtà non appartengono, n’apparterranno mai. Altri invece si appellano ad un’inesistente Massoneria o Muratoria Universale, mai esistita e mai codificata, scopiazzano termini, usi, insegne, rituali e riti della Massoneria Speculativa Moderna con il più ignorante disprezzo della filologia. Smemorati, ignoranti od opportunisti, dimenticano anche che nel 1929 le Grandi Logge di Irlanda, Scozia ed Inghilterra ribadirono al punto IV degli “Otto punti di Londra – Principi Basilari per il Riconoscimento” che: “ I membri della Gran Loggia o della singole logge devono essere esclusivamente maschi, ogni Gran Loggia inoltre, non può avere rapporti massonici con nessun genere di logge miste o di corpi massonici che ammettono donne tra i loro membri”. Non è finita qui perché, sul versante sedicente esoterico, i molti che si dichiarano discendenti di Ramsey e delle Costituzioni Federiciane del 1770, dimenticano per altrettanta ignoranza ed opportunismo che lo stesso Ramsey, massone d’ancien regime, con la prolusione del 1738, chiarì ferocemente la sua avversione alle donne.

Molti vorrebbero contrapporre il concetto di tolleranza con massonica con l’intolleranza verso le donne, ma ciò è infantile cosi come lo sarebbe se si contrapponessi quello di carità francescana al fatto che nell’ordine non sono ammesse le donne, purtroppo tra i fautori della massoneria a tutti costi  anche  mista se ne trovano di disposti a tutto, anche all’ignoranza ed al non rispetto delle scelte altrui e che non comprendono l’elitarietà come una libertà ma vedono la massoneria come una cosa di tutti.

Ribadito quanto ormai chiarito da montagne di storici e di esegeti, resta solo il problema se sia giusto insistere per infilarcisi ad ogni costo con la scimmiottatura esteriore e pretendendo autodefinirsi “massonerie”, problema insolubile perché attinente all’amor proprio ed al buon gusto: c’è chi ce l’ha e chi no, chiaramente costoro non l’hanno, né noi abbiamo su di loro lo ius vitae ac neci ma solo uno spiccato senso dell’ironia!

Nelle righe che seguono e che percorrono sinteticamente il cursus del problema non si rilevano particolari motivazioni ad una siffatta scimmiottatura, mentre al contrario avrebbe sicuramente un senso uscire dalle forzature per riaffermare correttamente un percorso proprio, come evidenzieremo nelle conclusioni.

Il problema ”donne in massoneria “ prende corpo, in Italia nel 1967, allorché la Costituente Napoletana prende atto dell’esistenza ed operatività del “Movimento d’Adozione”.

Questo movimento si sarebbe richiamato alle Mopse di origine centroeuropea, ordine operante paramassonicamente a partire dal 1730, e che prese il nome dal nome della razza di cani “Carlino” diffusa in Germania. Sconosciuta la motivazione, forse erano docili o forse la nobildonna che iniziò prediligeva i carlini, poco conta per ora.Verso la metà del secolo, particolarmente in Francia ed in Germania, furono costituite varie società androgine, quasi massoniche, come l’Ordine delle Mopses, l’Ordre des Chevaliers et Chevalieres de la rose  e l’Ordre de la la felicité. Ci sono indicazioni che quest’ultima associazione mista sia stata attiva anche in Liguria, verso il 1745. Nell’anno 1900, a Napoli esisteva un “Antico ed Ortodosso Supremo Consiglio dei 33.: Federazione italiana di R.S.A.ed A. e delle sorelle MOPSE .

La Costituente su proposta del Gran Maestro Francesco de Luca del Grande Oriente d’Italia decise di costituire una “Commissione “ per esaminare il problema del Movimento d’Adozione.

L’Adozione sembrerebbe essere sorta intorno al 1760, all’interno del Gran Orient de France, il quale pensò bene di riconoscerle e metterle “sotto tutela” affidando la guida di quelle logge a massoni uomini, per frenare e controllore comportamenti troppo indipendenti e pericolosi. La prima Gran Maestra, nel 1775, fu Marie Terese d’Orleams duchesse de Borbone sorella del Duca di Chartres, cui seguì la Prinsesse de Lambulle. Ma erano riconoscimenti puramente onorifici, senza contenuti volitivi e decisionali. Alla base di quest’Ordine ci furono, ovviamente le confutazione delle teorie di Ramsey, da cui la massoneria d’oltralpe dichiara discendere, fu per salvare la faccia, in ciò si impegnò un illustre fratello, Choiseul Stainville. Il Movimento, cui accedevano solo i nobili fu, travolto dalla rivoluzione francese e ridimensionato, numericamente, dalla ghigliottina. La tagliente sfumatura di parrucche non lo fece perire del tutto, perché evidentemente, dopo il 1800 se ne potè invaghire, è il caso di dirlo, una donna potente il cui marito ne comprese l’importanza ai fini di governo, e così come fece con i maschietti, le concesse di rilanciarlo. Si trattava di Giuseppina Beauharnais, che lo diffuse in Europa al seguito delle baionette familiari.

In Italia, l’Adozione fu portata a Napoli dalla Duchesse de Chartres frequentatrice di quei salotti e trovò nella Regina Marie Carolina sorella di Marie Antonietta un’alleata; costei, infatti, per nulla folgorata dalla luce massonica, vide in questo movimento e più in generale nel movimento massonico, di cui si fece protettrice, la possibilità di bilanciare con l’influenza del parente austriaco Giuseppe II, massone, il peso dell’ingerenza spagnola di Ferdinando IV e dell’odiato plenipotenziario Tanucci. Più tardi allorché la testa della sorella rotolerà nel cesto parigino, ne diverrà una persecutrice ed anche qui la massoneria, ancien regime e nobile dovrà aspettare, per risorgere l’arrivo di Murat.

Come si vede fino a questo punto le motivazioni sono fatue e marginali, ma da qui in poi mentre fa capolino una salottiera ragion di stato, prende inizio una massoneria femminile italiana, tutta particolare, legata all’essenza nazionale italiana, che, per impegno, tenacia, fattività, merita tutto il nostro rispetto ed ammirazione. Essa rappresenta un caso storico a se stante, atipico ed irripetuto, cui il suffragettismo esotericoide internazionale, per intenderci, alla Blawaski, poco ha a che spartire. Questa tipicità ed unicità meriterebbe un preciso distinguo di rispetto, che nessuna sedicente massoneria femminile, post seconda guerra mondiale, ha saputo fino ad oggi cogliere, anche per mancanza di spessore culturale. In esso si espresse tutta la passione garibaldina, anche troppo vuotamente onorata a volte ma che genuinamente meriterebbe una migliore attenzione storica da parte della massoneria tradizionale maschile, se non in quanto tale, certamente a miglior cura delle memorie nazionali.

La massoneria femminile italiana rappresenta l’altra anima dello spirito risorgimentale, mai abbastanza narrata, quella tessitura familiare, amicale, umana che sorresse la fiamma unitaria allorché tremolò, impedendole in più occasioni silenziosamente e fedelmente di spegnersi. Nascono “ le Giardiniere ” le sorelle dei Carbonari che svolgeranno con puntualità e precisione il fondamentale lavoro di retrovia fino a tutta la I Guerra Mondiale. Essi si riunivano e riunivano nei loro giardini e famoso fu quello di Matilde Visconti Dembowsky, legata al Foscolo, o Teresa Gonfalonieri che ispirò la prima loggia femminile della Serenissima Gran Loggia Nazionale Italiana di Ceccherini, come vedremo, per non parlare di Cristina Trivulzio di Belgioioso, ed in seguito Giulia ed Enrichetta Caracciolo Cicala ed ancora la Principessa Eugenia Angela Huber Mengozzi che fu tumulata massonicamente nel cimitero del Verano, tomba su cui, di tanto in tanto, un fiore massonico anche unisex non guasterebbe; con costoro riprese forza l’Adozione, in senso filologico, e cui esse seppero dare caratteristica nuova.

 Già nel 1944 con il decreto del 15 Maggio, Garibaldi aveva deciso di ufficializzare la presenza femminile nel suo Supremo Consiglio di R.S.A.A..

La fotografia massonica italiana di allora si presentava con quattro grossi ceppi:

A)     Palermo, con Garibaldi ed il suo Supremo Consiglio di R.S.A.A. legittimato anche dagli Stati Uniti.

B)     Con il Grande Oriente d’Italia originato dai francesi gia dal 1805 a Milano (con la contestuale fusione con la Gran Loggia Generale d’Italia) ma gestito da Torino.

C)     Con il Grande Oriente di Toscana a Firenze

D)     Con il Grande Oriente di Napoli                    

E’ vero, nasceva la loggia Ausonia, ma l’Italia non era massonicamente unita e, scorrendone la storia fino all’odierno ridicolo, si può dire che non lo sarà forse mai! Come risolvere allora la questione femminile cui i maschietti, avevano firmato cosi tante e cosi importanti cambiali morali, avevano firmato? Palermo e Napoli erano favorevoli all’ingresso, Torino e Firenze invece contrarie, mentre Camillo Finocchiaro Aprile non perdeva occasione per influenzare gli animi, con la propria autorevolezza, a favore delle sorelle. Costoro non avevano come avversari solo l’ondivaghismo maschile, erano in pieno scontro con la Chiesa cattolica ed il portavoce Civiltà Cattolica non perdeva occasione per attaccarle con accenti dall’ira al ridicolo. Garibaldi si impegna nella loro organizzazione, fonda la loggia madre ” Vessillo di carità ed Anita “ nel 1864, in Piemonte fonda la loggia “ Eleonora Pimantel “e questa vicinanza non fa che acuire il livore e l’ostilità della Chiesa verso le donne massone. Essa temeva che potesse franare il fronte familiare, che venisse meno o s’incrinasse la figura della “donna famiglia” sottomessa e complice trait-d’union tra società e Chiesa e non risparmiò alcun bersaglio, particolarmente aggredita da Civiltà Cattolica furono le contesse Giulia Caracciolo Cicala dei Principi di Torino e sua sorella Enrichetta: L’ostilità si accrebbe allorché le sorelle italiane decisero di seguire tutti i processi sociali dell’epoca dall’emancipazionismo della milanese Anna Maria Mozzoni a favore di una liberation femminile contro superstizione e bigottismo al pacifismo laico universale fino ineluttabilmente all’anticlericalismo della libertà di coscienza. Tutti questi aspetti banalmente e superficialmente indagati sul fronte della massoneria tradizionale, ridotti a formule svilite prodromi della scissione del 1908, andrebbero seriamente indagati, non solo nell’aspetto corticale dei rapporti parlamentari, ma nelle loro valenze sociali, in cui le donne d’allora non furono seconde a nessuno. Come pensare di chiarire il rapporto tra Massoneria Chiesa con il monocolo maschile, e non piuttosto come fenomeno culturale dell’intera società dall’ora, cui la Chiesa dette solo l’ennesima risposta di potere. Solo cosi potrebbe essere chiarito in modo esaustivo l’aggressione che la Chiesa portò alla Massoneria, fin dai tempi in cui intese colpire i suoi geni dall’Umanesimo fiorentino alla Controriforma e via nelle guerre di religione che insanguinarono l’Europa e per cui oggi chiede parzialmente perdono.

Non si capiranno mai i fatti di oggi se non si porteranno alla luce le colpe di ieri, ed è facile notare come si sia creata ad arte, merito anche la diffusissima ignoranza dei massoni italiani, l’immagine di una “Massoneria sospesa nel vuoto” senza capo ne coda, frequentata dai Gelli ed i Santovito, facile caprio ad ogni buona occasione.

Tutti i sopradetti momenti e passaggi storici che troveranno eco e distorsione nei partiti politici cosi detti “ socialisti” dei primi del novecento e più ancora nei loro revivals dopo la seconda guerra mondiale, rendono uniche le “massoni italiane” quindi non si può pensare di non procedere ad una loro rivalutazione e valorizzazione, non tanto come riscatto all’interno di una dicotomia massonica, bersi come faticosa affermazione di un ruolo paritetico femminile nel più ampio processo storico nazionale.  Non si può,  per strumentale odio alla Massoneria  come dialettica laica,  sotterrare la storia di questo paese, e se lo si è fatto fin’ora  mi auguro siano le donne per prime a riscoprire se stesse. Va certamente sottolineato che ad un progressivo intorpidimento dei massoni italiani che li condurrà ad essere vittime di Giolitti, Pio X, Fera e via dicendo sempre peggio, fece da contraltare, allora, un forte attivismo femminile che cercò di salvare l’Anticoncilio di Giuseppe Ricciardi a Napoli, cosi come, contro il tenace gallismo romantico di quei tempi, la proposta per il voto alle donne di Salvatore Morelli. Dall’esteri si guardava all’Adozione con più aperto interesse come si deduce dall’invito che le fu rivolto nel 1867 di partecipare al congresso di Ginevra cui segui la costituzione del Comitato Pacifista Italiano.

Il 24 Aprile del 1872 le sorelle italiane incassano il “tradimento dei maschietti”, non tanto nel prevalere dei criteri tradizionali, che ribadiva il no al loro ingresso nella Massoneria, ma per come fu gestito. Il loro comportamento leale in fase risorgimentale e l’effettiva partecipazione al consolidamento di una massoneria italiana cosi caratterizzata, alibi morale usato allora a dopo, non meritava i comportamenti illusori e le anticamere cui con cui esse furono umiliate. Esse furono tenute fuori dalla Costituente, in un modo subdolo, che forse fece sentire molto furbi gli ipocriti che lo attuarono ma che sul piano dei rapporti umani lascia l’amaro in bocca.  Forti di un mai formalizzato riconoscimento dell’Adozione, che con l’esclusione di Giuseppe Garibaldi era stato sempre rimandato da una commissione all’altra, le sorelle furono lasciate nell’anticamera di Palazzo Argentina a Roma. Rimaste senza appoggi per l’assorbimento del Grande Oriente di Napoli da Parte del Grande Oriente d’Italia, indebolite dalla frantumazione del Supremo Consiglio del R.S.A.A di Palermo, di cui interessava solo il Riconoscimento Americano, la Massoneria Italiana cosi ricostituita sanciva la loro inammissibilità. Come ripeto, nulla da eccepire sul piano dottrinale, e alcunchè da eccepire sul piano sostanziale, ma molto sul piano formale anzi direi affettivo tra persone che avevano collaborato fino a ieri, ma a mio avviso il procedere fu ipocrita, forse maschilista, certamente vigliacco. On la morte della Principessa Eugenia Angela Huber Mengozzi, avvenuta a Livorno nel 1877 cessa di fatto il movimento di Adozione, nel 1881 muore anche Giulia Caracciolo e ed il Grande Oriente d’Italia, di fronte all0eco provocato dalla loro scomparsa e dall’impegno della loro vita, per meglio onorarne la memoria, il G.O.I non seppe far altro che negare l’evidenza dei fatti, opponendo dei “non sapevamo e se c’eravamo dormivamo” seguiti da una serie di farseschi processi miranti a seppellire un illustre periodo storico. Non ci dobbiamo meravigliare se le istanze femminili si rivolsero da quel momento in poi alla Francia dove il Droit Humain aveva gia attecchito in virtù di una malintesa istanza di uguaglianza universale. Dobbiamo anche annotare che il tipo di ipocrisia espressa dalla massoneria italiana, diventerà sempre più frequente nei comportamenti del Grande Oriente d’Italia, salvo rare eccezioni, grande solo di nome.

Il Droit Humain viene fondato nel 1893 da Maie D’erasmes e fu cosi che dopo un periodo di intenso proselitismo, fu possibile per Lavina Holl, fondare a sua somiglianza la prima grande loggia femminile. Nel 1912 riunendo le logge Anita Garibaldi e Ausonia entrambe di Torino ed Anita Garibaldi di Firenze e con l’aiuto di molti fratelli del G.O.I ella fondo la :

Gran  Loggia  Mista Simbolica Italiana

di cui fu Gran Maestra la stessa Lavinia Holl’ e Gran Maestra Aggiunta Anna Franchi. Un ipocrita GOI  che pochi anni prima umiliava le sorelle italiane arrivava a concedere loro Palazzo Giustiniani  per la Prima Assemblea Generale tenutasi 4 Febbraio 1913 pur avendo ribadito l’anno prima nella Costituzione del 1912, l’impraticabilità della costituzione di logge femminili e tassativamente proibito rapporti  con le donne e promiscuità con esse. Con questa costituzione  e con la fondazione a Milano della loggia Faemina superior  a Milano riprende vigore il confronto con la Chiesa sul laicismo ed ad un progressivo appiattimento  dei massoni maschi  fa da riscontro un rinato attivismo femminile. Forte è il loro impegno nel sociale,  contro la povertà e viva la loro partecipazione  nell’assistenza ai feriti  e mutilati durante e dopo la Grande Guerra. La violenta maturazione e socializzazione che segui a questo evento europeo sembrava far maturare un’istanza di legittimazione e riconoscimento all’interno della  dell’Istituzione, che la Holl non aveva mai cessato di rappresentare  ai fratelli, ma l’avvento del Fascismo e quanto con esso segui spense le speranze di tale iniziativa seppellendola per oltre vent’anni  assieme a tutte le “Menore” maschili.

Abbiamo detto ventenni, lo spazio di una generazione, ma è stato anche lo spazio-tempo al di là del quale è rimasta una massoneria, pur se colpevole in molte cose, certo animata da grandi ideali che non furono solo quelli del Risorgimento ed al di qua del quale  la desolazione morale, il furbismo, l’opportunismo, il materialismo hanno fatto da padroni  hanno dominato il palcoscenico, per cui  costruire templi alla virtù  non fu più la sintesi sublime,  l’imperativo categorico del testamento del De Architectura Vetruviano, cosi superiormente interpretato da  Palladio  e dalla Royal Society, da Ashmole, Wren, Daniele Barbaro. Wotton, Inigo Jonnes e Salomon de Caus, ma una frase senza significato ed anche un po’ ridicola da pronunciare. Se i massoni ante guerra  a volte non avevano brillato e titubato, ben poco ci sarà da aspettarsi dalla razza badogliana, comunistoide, clericale, centralista, filoCIA, che ci ha regalato la Seconda Guerra Mondiale, quindi, cosi come  non esaltante è narrane la storia degli uomini, neppure lo è per quella delle donne, entrambe pur sempre sostenute da una spes ultima dea terram reliquit.  

Va detto che la Gran  Loggia  Mista Simbolica Italiana sembra tutt’oggi ancora operante, ragion per cui l’abbiamo mantenuta nell’elenco, non sappiamo però, tenuto conto della generale  caduta di qualità della massoneria, se detto ordine pur nella sua singolarità massonistica operi come in passato.

Nel 1946 nasce a Napoli   la:

Federazione Italiana dell’Ordine Massonico Internazionale Misto del Droit Humain

Il cui primo congresso si tenne l’anno dopo.

Due anni dopo,nel 1949, vide la luce, con grande manifesta soddisfazione di Finocchiaro Aprile, all’ombra protettiva di Palazzo Brancaccio della Massoneria Universale di  R.S.A.A. Sovrano Gran. Comm. Spasiano Maestro Raffaele  Ridolfi, la:

Gran Loggia Nazionale  Femminile d’Italia

Dopo la mozione votata del Congresso massonico femminile tenutosi in Roma il 18.03.1951 E.:V.:…. Omissis……

Art.1°) E’ autorizzata la creazione di un Triangolo di Sorelle massone investite del 33.: ed ultimo grado in Italia col comando di erigere e costruire  una Piramide scozzese femminile;

Art.2°) A comporre il predetto Triangolo sono chiamate le Pot.: Sorelle AMELIA DONVITO, ELETTRA RUFFOLI e BICE RINALDI, fondatrici della massoneria femminile dei gradi simbolici in Italia che saranno investite nelle forme del rito.

Art.3°) A  rappresentare i Grandi Ignoti nel Governo del Rito e dell’Ordine femminile in Italia, sedente in Roma, sono designati gl’Ill.: e Pot.: Frr.: FINOCCHIARO APRILE 33.:, SPASIANO MARIO 33.: e EZIO GARIBALDI 33:.

Tutti furono chiamati da Ferruccio Parri a costruire una “ nuova società “ , tutti sembrarono voler accorrere, sia chi ancora la vedeva anticlericale, che solo laica, che cattolica e centralista e conseguentemente affaristica, chi CIA, ma tutti sembravano ansiosi che prevalesse lo spirito di unificazione e con esso anche il superamento della dicotomia uomo-donna, od almeno cosi si dovrebbe poter tradurre dall’iniziativa che vide riuniti i rappresentanti del R.S.A.A, del Droit Humain, del marinismo e della Massoneria Femminile; sembro a tutti essere ad un passo da ……., Piazza del Gesù era favorevole, il GOI meno propenso, ma meno ostile, poi arrivarono gli americani a cambiare le carte, con la loro idea di unificazione, l’assorbimento di Palazzo Brancaccio lasciò orfana la Gran Loggia Femminile d’Italia e le Eastern Stars, (Stelle d’Oriente) create negli USA sin dal 1860 i Rotarys i Lions presero a plasmare differentemente la società italiana. Mentre le Stelle d’Oriente prendevano possesso fatuamente di Palazzo Giustiniani, e la Gran Loggia Nazionale Femminile d’Italia esalava l’ultimo respiro, la Serenissima Gran Loggia Nazionale di R.S.A.A, di Ceccherini, leggasi Piazza del Gesù apriva ufficialmente alle donne con l’ingresso in essa del Gruppo siciliano di Zuccarello (Vecchio 33 del Supremo Consiglio della FEDERAZIONE MASSONICA UNIVERSALE di R.S.A.ed A. del 1945.forse lontano erede del Supremo Consiglio garibaldino) Questa famiglia che già aveva statuito l’iniziabilità delle donne, era quasi esclusivamente costituita da Fratelli siciliani.Essa aveva avuto Sede prima in Via Sardegna, poi in Viale delle Milizie e infine in Viale Regina Margherita al n. 270. Così in seno a Ceccherini nasceva la loggia Teresa Gonfalonieri. In seno a Ceccherini nasceva un gruppo capeggiato dalla giornalista GIOVANNA OLMI, la prima donna a coprire ruoli direttivi entro la Serenissima. I fatti del 60/61 all’interno della Serenissima portarono le donne ed i resti della a Gran Loggia Nazionale Femminile d’Italia a seguire le sorti ghinazziane e con lui e la sua Gran loggia d’Italia ad entrare sempre più nell’orbita francese, esclusione fatta per i trasfughi di Milone di estrazione dalla Teresa Gonfalonieri, fu proprio la presenza femminile presso la Gran Loggia d’Italia ad impedire la realizzazione degli accordi tra Ghinazzi e Gamberini(GOI). Falliti questi accordi Ghinazzi si immerse sempre più nel massonismo francese, ma viste le critiche di  eccessiva sudditanza delle donne che gli furono rivolte da più parti, del resto egli  non era Garibaldi, non possiamo definire quell’avventura, anche se nel tempo si è venuta mitigando,  come l’ideale realizzazione delle istanze femminili.

Forse questo, forse la constatazione di maggiori e migliori affermazioni delle donne in terra d’Oltralpe, si arrivò ad opera di queste e di alcune italiane tra cui Marisa e F

ranca Bettoia, Lia Bronzi Donati proveniente dal gruppo Magherini Graziani, Gisele Faivre ed altre alla costituzione della:

Gran Loggia Femminile d’Italia

Con la benedizione palese delle sorelle d’Oltralpe guidate da Yvonne Dornés. Come per i maschietti, anche per le bambine la vita fu, in quei periodi altrettanto burrascosa e fra tiri incrociati, noi come Centro di Studi non abbiamo ritenuto, per il momento, approfondire tra i documenti, quali furono le vere ragioni del dissidio che subito agitò le fondatrici di questa rispettabile famiglia alla vigilia dell’ufficiale  riconoscimento francese; per ora prendiamo atto che le due, che già operavano separate, si separarono definitivamente causa un ventilato eccessivo riavvicinamento della Bettoia all’ambiente fiorentino del GOI.

Lia Bronzi Donati  con l’appoggio della Dornès costituti la:

Gran Loggia Tradizionale Femminile d’Italia

La cui sede fu posta in Piazza del Gesù al N° 49 a Palazzo Altieri. che venne “riconosciuta” con regolare “trattato” della Grande  Loge  Feminine  Francaise. Il 24 Maggio 1980. Il primo anno fu Gran Maestro Carla del PO, in seguito Lia Bronzi  Donati  Il Convegno che si svolse nel 1980 vide, a fondamento dei diritti femminili, l’insulso violento attacco all’art. 3 delle Costituzioni di Anderson, che nascose nient’altro che  un banale attacco alla Gran Loggia Unita d’Inghilterra. Sotto la spinta fattiva della Donati, della Sartini, della Bettarini, quest’Obbedienza  prosperò fino a costituire nel 1989 un:

Supremo Consiglio Femminile d’Italia

Mutando anche il proprio titolo in:

Gran Loggia Simbolica Femminile d’Italia

Successivamente, nel 1996  Il Supremo Consiglio Femminile d’Italia e la Gran loggia Simbolica femminile d’Italia si fusero dando vita all’

Ordine Massonico Femminile d’Italia

Alla guida del quale è indicata Laura Botti. Tra il 1993 ed il 1996 l’attività di queste sorelle risultò essere sospesa e forse a questo si deve il fatto che il riconoscimento francese è oggi appannaggio della neonata (1989)

Gran Loggia Massonica Femminile d’Italia

Alla guida della quale si pose prima Roberta Bianchi ed oggi Linda Leuci, l’ambiente fiorentino in cui detta Obbedienza opera potrebbe far pensare ad un revival della Gran Loggia femminile d’Italia di bettoiana memoria.

Quest’Obbedienza merita secondo noi un po’ d’attenzione poiché sembrerebbe voler realizzare quanto da tempo da noi auspicato nei riguardi della posizione della donna in massoneria, cui accenneremo più ampiamente nella conclusione.All’uopo si riportano separatamente le notizie circa il Convegno di Strasburgo.

Da ultimo e proprio ultimo accenniamo all’ Ordine delle  Sorelle del Nilo. Un ordine femminile nato il 1975 ed aggregato al Grande Oriente Italiano di Pietro  Maria Muscolo che ne fu il fondatore, di cui parliamo anche se con la morte di costui, ci sembra relegato ai margini e non che prima sia mai stato centrale, se non fosse altro perché su di lui si appuntò l’attenzione della stampa al tempo del  “rapimento” o falso rapimento di Michele Sindona,  fra le tante ipotesi che si indirizzarono sul Gruppo Muscolo. 

L’art. 11 dell’atto costututivo stabilisce per questo ordine la possibilità di costituire logge di sole donne.

Va detto che se se i sedicenti successori “uomini” di costui non hanno rilevanza alcuna sotto il profilo filologico massonico, non è quasi certamente pensabile che lo possano avere le donne che già di per se non hanno rilevanza massonica alcuna.

Conclusioni

Con riferimento quanto già accennato nella Breve Storia di Piazza del Gesù, la nostra convinzione circa la posizione femminile nella massoneria  pur accettando il punto di vista del Droit Humain e sostanzialmente di tutti i gruppi femminili in genere circa la legittimità  da parte delle donne ad un identico percorso di perfezionamento, non giunge all’identiche conclusione cui giunse il Droit Humain. Noi pensiamo che non si possano disattendere due aspetti, il primo e che non si possa prescindere da quanto dettato dalle Antiche Costituzioni, altrimenti rischiamo di andare fuori tema, pertanto fino a che non vengano mutate  esse rappresenteranno  lo spartiacque tra massoneria e massonismo, il secondo  è che proprio sotto il profilo della dottrina massonica cosi come quello della scienza naturale  la donna va considerata complementare all’uomo e viceversa. Da tali primarie osservazioni consegue che la strada da seguire è quella della complementarietà, con tutto ciò che di positivo essa comprenda, e non quella,  fino ad oggi percorsa, della conflittualità  e dell’alternativa.

Si può certo comprendere che per  i tempi in cui nacque il problema uomo-donna in massoneria, si era in momenti di vero e proprio affrancamento da secoli di brutte abitudini e che di conseguenza di reazione in reazione, esso si sia inoltrato nei sentieri impervi del confronto, della liberation, del suffragettismo ed infine femminismo , anche del più ottuso, è anche vero che a ciò abbia contribuito non poco lo stesso comportamento maschilista sia nella reazione tradizionalmente prevaricatrice che nell’arrocco pavido e sorpreso di tanto ardire.

Riteniamo che i tempi siano maturi al cambiamento , che sia opportuno per la società e per i figli che si scenda dal ring e ci si sieda al tavolo del dialogo responsabile per un mondo che non accetti alcuna  prevaricazione dell’uno sull’altra e cominciando ad emarginare le posizioni  eccessivamente sbilanciate e neppure ipotizzabili dai più esasperati orizzonti della genetica.

Ciò facendo scopriremmo che la strada da percorrere, che è sempre stata di fronte al nostro naso sia quella della “complementarità” all’interno della quale vi è la migliore salvaguardia delle reciproche diversità e finalità naturali.

Complementarità  è il terreno del colloquio, del rispetto e dell’arricchimento reciproco, in cui esprimere le rispettiva valenze in termini reciproci e paritetici, senza scadere come successo nel disconoscimento  ed della negazione della complementare diversità.

Noi pensiamo che nel rispetto dei rispettivi ruoli sociali  derivanti dalle rispettive diversità funzionali, morali e spirituali nulla possa ostare ad un Massoneria di sole donne, complementare ad un Massoneria di soli uomini, operanti entrambe, sia pure  nella diversità strutturale dei percorsi,  ma confluenti entrambe  verso gli stessi ideali e solo così capaci di realizzare la vera  la syn-pathos del cammino umano.

La complementarità non significa fare per forza e pedissequamente le stesse cose, ma giungere agli stessi traguardi,  pur per sentieri difformi in quanto entità diverse, con equilibri corporei e spirituali diversi, realizzando così il coronamento di un’identità oggettiva finale a miglior e maggiore  compimento della complementarietà fatta sintesi.

Noi come centro di studi siamo per il suggerimento di percorsi rispettosi, non conflittuali, non banalmente alternativi o dicotomici,   che si congiungano nel raggiungimento  di comuni obbiettivi ideali. 

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2001: DIALOGO FRA LE CIVILTA’. ONORARE LA SAGGEZZA

”  2001: Dialogo fra le civiltà. Onorare la saggezza. Arricchirsi con la diversità.”

Rispett.mo Maestro Venerabile,

Carissimi Fratelli,

sono convinto, e certamente lo siete anche Voi, che un dialogo vero e costruttivo tra civiltà diverse non può prescindere  dal superamento di qualsiasi tipo di barriere, siano esse etniche, ideologiche, culturali o, ancor più, religiose.

La storia recente e passata ci insegna, viceversa, come sia ancora lungo il cammino da percorrere.

Il primo pensiero va subito al Medio Oriente dove da anni, arabi ed israeliani, cercano di concretizzare un “dialogo”  senza giungere, ad oggi, ad alcunché di positivo.

Il prezzo, che la popolazione civile di entrambi questi popoli sta pagando,  non è dato solo dal numero di vite umane andate perdute; a pesare di più, soprattutto  sulle generazioni future, sarà sicuramente il mancato sviluppo economico, oltre che sociale e culturale, di questa fascia di terra del mediterraneo.

Ancora la guerra nei balcani dove, già all’indomani dalla morte di Tito, è iniziato un processo di disgregazione politico che è poi sfociato in un conflitto tra popoli di etnia e religione diversa che ci ha veramente inorridito, mostrandoci fino a che punto può giungere l’odio razziale.

La strisciante guerra civile nell’Irlanda del Nord, che da anni, ormai, vede contrapposti  protestanti di origine inglese e cattolici irlandesi.

Potremmo continuare, perché i conflitti in atto nel mondo sono purtroppo ancora tanti; ma ci bastano questi esempi per fare alcune considerazioni.

Subito, intanto,  ci si pone una domanda: cosa fare, in aggiunta a ciò che è già stato fatto,  perché questi conflitti cessino definitivamente ed altri non abbiano a ripetersi?

Come far capire che il diritto di ognuno di noi a riconoscersi in una patria, una lingua, una storia e, per chi ne sentisse il bisogno, in una religione,  non può prescindere dall’attribuire tale diritto agli altri?

Penso che il lavoro più grosso da fare riguardi le coscienze degli uomini, che vanno educate ai valori della libertà, della uguaglianza e della fratellanza secondo il principio della reciprocità e non solo per esso.

Il compito di sensibilizzare le coscienze alla pacifica convivenza ed al rispetto degli altri,  spetta, insomma, ad ognuno di noi, alle famiglie, alla scuola, allo  Stato.

Uno Stato laico, però, ed aconfessionale.

Quasi sempre, infatti, e non solo nei casi appena citati, l’appartenenza a professioni di fede diverse, è motivo di

disgregazione sociale e di conflitto anche tra genti che, come nel caso dell’Irlanda del Nord, pure hanno una matrice etnica, culturale e storica comune.

Non può esserci dialogo se in qualche modo non ci si sente solidali con le altrui necessità.

Tolleranza, insomma, non solo quella espressa dal suo significato etimologico, ossia “ sopportazione o particolare disposizione dell’animo per la quale si ammette, senza turbarsi, che altri professino idee, opinioni o religioni diverse e contrarie”, ma andando ancora al di là di esso.

La globalizzazione, infatti, che induce uomini, economie e mercati ad integrarsi fra loro, che non pone freni e confini alla libera circolazione di uomini e merci, fa sì che la nostra società, quella occidentale in particolare, diventi sempre più  multietnica e multirazziale.

La necessità del dialogo, allora, in nome della pacifica convivenza, deve far sì che ognuno di noi si senta aperto a tutti, e consideri le esperienze e le conoscenze di cui gli altri sono portatori come un  motivo di interesse e di ulteriore arricchimento,  culturale e spirituale insieme.

Un ruolo fondamentale, infine, lo può e lo deve svolgere la nostra Istituzione che, propugnando la solidarietà e la tolleranza tra i popoli,  da sempre si batte per la valorizzazione dell’uomo in quanto tale, ovunque sia nato, qualunque credo professi e qualunque sia il colore della sua pelle, portatore di diritti e di doveri condivisi ed universalmente riconosciuti.

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DIZIONARIETTO MASSONICO

Dizionarietto  Massonico

Acacia: uno degli emblemi della massoneria, simboleggia l’eter­nità. E usato anche come distin­tivo.

Agape: pasto comune.

Agape (fraterna): non è condiziona­ta da un rituale.

Agape (rituale): è prescritto un ta­volo a forma di ferro di cavallo.

Allestimento (della loggia): le tre grandi luci (v.), le colonne (v.), il quadro di loggia (v.).

Anno massonico: inizia il 21 marzo (equinozio). Si aggiunge 4000 o si toglie 1000 all’era cristiana.

Apprendista: è il primo grado della massoneria. Non necessita di spiegazioni.

Arco reale: (rito dell’A.R. o di “York”).

Arte (reale): la costruzione di templi ed edifici destinati a durare nei secoli.

Azzurra (massoneria): v. Ordine, Craft.

Balaustra: scritto solenne indirizza­to dal Gran Maestro alle Logge.

Benda: il temporaneo buio da essa provocato simboleggia l’igno­ranza in contrapposizione con la “luce” dell’insegnamento mas­sonico. La sua rimozione elimi­na l’ostacolo verso l”’illumina­zione”.

Bibbia: v. Libro sacro.

Bolla (di fondazione): documento di autorizzazione al lavoro delle logge.

Bruciare: v. colonne.

Candele: le tre “piccole luci”: le tre candele sulle tre colonne della saggezza, della bellezza e della forza “illuminano” la loggia.

Capitolo (v. Camera). I massoni dell’arco reale e di certi gradi scozzesi si riuniscono in capitoli.

Capitolo (gran): l’organizzazione che riunisce i capitoli degli Archi Reali (rito di York o Sublime A.R. di Gerusalemme).

Charges (old): (v.) doveri. Charter: v. Bolla. Catena d’unione: è un circolo for­mato dai fratelli incrociando le braccia e stringendo la mano del vicino. Simbolo di unione e di appartenenza alla medesima isti­tuzione.

Colonne: sono all’ingresso del tem­pio sormontate dal globo (v.) e dal melograno (v.). Indica anche il tempio.

Colonne (bruciare fra le): radiazione degli indegni.

Compagno: secondo grado in mas­soneria.

Compasso: simbolo dell’esattezza e della perfezione; della rettitudine morale e della conoscenza; di freno. (auto) restrizione e limita­zione; della filantropia che ab­braccia tutti. Con la Bibbia (v.) e la squadra (v.) è una delle tre “grandi luci”.

Comunione: sinonimo di gran log­gia (v.).

Consiglio (Supremo): è il massimo organo del rito scozzese.

Consiglio dell’Ordine: tradizionale organo rituale del GTOTIT con fun­zioni principalmente consiliari; in alcune obbedienze rappresenta il “governo” della massoneria az­zuffa.

Contubernio: coabitazione illecita. Alleanza o lega vituperabile. Ter­mine indicato dagli antimassoni spagnoli per indicare una (imma­ginaria) alleanza massoni-ebrei-comunisti.

Copertura: uscita autorizzata di un singolo massone dal tempio. Si­gnifica anche che non vi sono “profani” nel tempio.

Craft: nella terminologia anglosas­sone indica i primi tre gradi della massoneria “azzurra” (v.) e non l’intero corpo massonico (v. an­che Ordine).

Doveri (antichi): v. Old charges. Sono gli obblighi del libero mu­ratore, fissati dalla tradizione tra i quali v’è quello di essere un “fedele suddito”: buon cittadino e buon patriota.

Emulation: rituale molto diffuso in Inghilterra. Venne creato all’ini­zio dell’ottocento dall’omonima loggia londinese.

Equinozio: segna il perfetto equili­brio fra luce e tenebre, conoscen­za ed ignoranza.

Essere supremo: v. G T A T D T U T

Famiglia: v. Libera muratoria.

Filo a piombo: v. Perpendicolare.

Frammassoneria:  v. Libera muratoria.

Fratellanza: v. Grande Oriente.

Fratello: sinonimo di massone. Tut­ti i massoni sono “fratelli” fra di loro.

GTATDTUT (grande architetto del­l’universo): è l’essere supremo (v.). È identificato con il Dio del­la religione (monoteistica) pro­fessata dall’adepto. Rappresenta la forza vitale, il sole per gli agnostici.

Gabinetto di riflessione: locale in cui i candidati si preparano per l’iniziazione.

Garante d’amicizia: ambasciatore fra due obbedienze detto anche Gran Rappresentante (v.).

Gilde: associazioni medioevali di mutua assistenza per la difesa di interessi comuni religiosi o di mestiere.

Gioiello (di loggia): medaglia di­stintivo di loggia.

Giunta: il governo amministrativo del Grande Oriente d’Italia. E presieduta dal gran maestro.

Giuramento: Promessa solenne (v.) prestata all’ atto dell’iniziazione. Il candidato, prima di prestarlo, viene avvertito espressamente che tutte le norme massoniche «non contengono nulla che sia in contrasto con le leggi dello Stato o con la [sua] coscienza di uomo libero e onesto» (dal rituale del Grande Oriente d’Italia, p. 27, in vigore dal 1969).

Globo: simboleggia la creazione.

Gran Rappresentante: v. Garante d’ amicizia.

Grande Oriente d’Italia: la più anti­ca e grande obbedienza massoni­ca italiana. Essa «opera per estendere a tutti gli uomini i le­gami d’amore che legano i Fra­telli; propugna la tolleranza E…]» (dalla costituzione del G TOTIT ). Co­nosciuto anche come “Palazzo Giustiniani”.

Grembiule: è il simbolo, per eccel­lenza del lavoro. Come quasi tut­ti i simboli massonici ha almeno quattro significati (Casla, p. 5):

(1) identifica chi lo indossa come appartenente all’istituzione e (2) ne ricorda l’origine come “co­struttore” anche (3) in “senso so­ciale”, (4) divide il corpo nella meta superiore ed in quella infe­riore, cerebrale e fisica; ricorda l’obbligo del massone di usare la ragione per dominare le passioni. In origine era fatto di pelle d’agnello e spesso decorato. Indi­ca anche il grado ed il rango.

Guanti: simboleggiano con il loro bianco la purezza e la lealtà.

Hiram:           è il mitico costruttore, pro­veniente da Tiro, del tempio di Salomone.

Iniziazione: cerimonia solenne di ammissione; prima di essa, il profano viene privato dei metalli (v.) perché i misteri iniziatici non possono essere comperati.

Insegne: ornamenti dei massoni du­rante il lavoro. Simboleggiano i tesori nascosti di verità e cono­scenze (v. Paramenti).

Irregolare: ogni obbedienza che in­cluda donne o che non si confor­mi ai principi di regolarità (v.).

Labaro: simboleggia le conquiste.

Landmarks: letteralmente, limiti o confini. Sono i punti fondamen­tali della pratica massonica. Alcuni li ritengono immutabili: di fatto sono stati soggetti a varia­zioni a partire dal 1717.

Lavori: ancora nel 1700, i “fratelli” indossando i loro bianchi grem­biuli, si riunivano in taverne e birrerie, generalmente intorno ad una tavola rotonda, e si sedevano dopo che il “Maestro”, rimasto a capo coperto, aveva dichiarato aperti i lavori. La Loggia veniva simbolicamente disegnata sul pa­vimento con gesso (to chalk the lodge) con semplici figurazioni —due colonne, squadra, livello, filo a piombo e la lettera “G” (che al­lora significava solo “geome­tria”). Seguiva poi l’esposizione di un argomento, l’odierna “tavo­la” (v.) dell’uso italiano, general­mente di ordine rituale o catechi­stico e gli interventi dei fratelli su sollecitazione del “Master”. Gli elaborati odierni rituali erano ancora da venire. Ma l’uso di di­segnare la Loggia, allora neces­sario per separare gli iniziati dai “profani” in mancanza di apposi­ti locali, è sostanzialmente conti­nuato col “Quadro di Loggia” (v.), immancabile in ogni seduta rituale.

Lavoro (interiore): il lavoro su sé stessi nel tempio, in contrapposi­zione a quello esterno (attivi­smo).

Leva: potere della volontà.

Libera muratoria: corretta dizione del francesismo Massoneria (o “frammassoneria” v.).

Libro sacro: simbolo della spiritua­lità. Nel mondo occidentale è il Vangelo. Se la loggia è compo­sta interamente da ebrei o mu­sulmani, il libro sacro è rispetti­vamente il Vecchio Testamentoo il Corano. È uno delle tre “grandi luci” della massoneria insieme con la squadra (v.) ed il compasso (v.).

Livella: corretta applicazione delle conoscenze. Denota giustizia.

Loggia: indica sia il luogo di riunio­ne — di forma rettangolare — e sia un gruppo di massoni. La prima prova sicura che la loggia era luogo di riunione muratoria si trova in fonti scozzesi: i verbali del 1598 dell’Aitchison’s Haven e gli Schaw Statutes del 1598 e 1599. E la base dell’organizza­zione massonica ed è il primo esempio di organismo che unisce uomini di fedi diverse col vinco­lo della fratellanza e la professio­ne dell’uguaglianza. La libera di­scussione, le votazioni, l’eleggi­bilità delle cariche introducono (ed anticipano) la prassi demo­cratica.

Loggia (Gran): il più alto livello or­ganizzativo delle logge di un’ob­bedienza. Nome di una giurisdi­zione massonica che riunisce i primi tre gradi ed è generalmente coincidente con una circoscrizio­ne statale. Denominazione dell’assemblea generale (general­mente annuale) dei venerabili di una obbedienza (v. Grande orien­te, Obbedienza, Comunione, Fra­tellanza).

Loggia (quadro di): v. Quadro.

Luce: di importanza fondamentale per la massoneria: è la conoscen­za. Contrario del buio (dell’igno­ranza). Obiettivo dell’apprendi­mento massonico e del cammino verso la verità. E simboleggiata dal sole, dalla luna, dalle cande­le, dalla rimozione della benda dagli occhi del candidato.

Luce (figli della): v. Vedova.

Luci (grandi): sono il volume della legge, la squadra e il compasso.

Luci (piccole): tre piccole luci bril­lano sulle colonne della saggezza (sole), della bellezza (luna), del venerabile (forza).

Luna: è contrapposta al sole. Rap­presenta il principio femminile (la bellezza) e simboleggia I’ap­prendimento intuitivo. Con il so­le e con il maestro venerabile co­stituisce le “tre piccole luci”, fonte di conoscenza della loggia.

Maestro: terzo grado della massone­ria simbolica. I maestri utilizzano per il lavoro di costruzione del tempio interiore, il regolo (v.), la squadra (v.) ed il compasso (v.) per misurare rispettivamente la verità, il diritto e il dovere.

Maestro (gran): è il capo di una gran loggia (Grande Oriente), “venerabile” di tutti i maestri ve­nerabili.

Maestro (Venerabile): è il capo (eletto) della loggia. Una delle tre “piccole luci” (v.).

Maestro muratore (Master Mason): termine usato fino al 1600 sol­tanto per designare quello che noi chiameremmo il direttore dei lavori (o “capo mastro”). I docu­menti relativi alla costruzione di Westminster Hall (1254-1262) recano la prima conosciuta indi­cazione di un “Master Mason”, termine poi impiegato anche per designare i Venerabili.

Maglietto: serve come strumento a sgrossare, con l’aiuto dello scal­pello (v.), la pietra grezza (v.); simboleggia la volontà nell’ap­plicazione, il lavoro di perfezio­namento, la logica. È anche l’em­blema di comando.

Maglietto (supremo): è il simbolo della massima carica massonica: il gran maestro.

Massone (v. libero muratore): fran­cesismo per “muratore”.

Massoneria: ha un triplice significa­to: di idea od ideale (“i principi massonici”), di istituzione (“La Libera Muratoria”), di organizza­zione (con limiti territoriali – sta­tuali: “La Massoneria italiana” o francese, tedesca e così via).

Master Mason: v. maestro muratore.

Mattone: v. pietra.

Melograno: Simbolo di fecondità. Allude alla capacità del massone di diffondere la propria filosofia nel mondo profano.

Metalli: La materia prima. L’ini­ziando viene privato dei metalli: è l’eliminazione di elementi non essenziali.

Muratore (libero): v. massone. In origine, il costruttore “libero” da imposizioni (“franco”). Colui che, debitamente “iniziato”, fa parte di una “legittima” comu­nione massonica.

Nontiscordardime:            durante il nazi­smo, i massoni tedeschi l’hanno usato come simbolo della masso­neria (proibita).

Obbedienza: sinonimo di Gran Log­gia (v.).

Obbedienze (italiane): dalla princi­pale — il Grande Oriente d’Italia (GTOTIT) — sono derivate altre comu­nioni. La Serenissima Gran Log­gia d’Italia degli ALAM (discen­dente dalla comunione di Piazza del Gesù sorta nel 1908; è cono­sciuta anche come “Palazzo Vitelleschi”); Gran Loggia Genera­le d’Italia (nata da un gruppo dis­sidente nel 1976), Gran Loggia Regolare d’Italia (creata nel 1993 dall’ex gran maestro del GTOTIT, Giuliano Di Bernardo).

Officina: sinonimo di loggia. Old Charges: v. doveri.

Ordine: v. anche “Craft”, “massone­ria azzurra”. I primi tre gradi del­la massoneria.

Oriente: come il sole sorge all’oriente, così la conoscenza massonica illumina. Si dice anche che i massoni “provengono dall’oriente”, origine mitica della saggezza. Designa anche il punto geografico nel quale è sita una loggia.

Oriente (Grande): nome di alcune obbedienze massoniche (v. Gran loggia).

Paramenti: v. Insegne.

Parola perduta (ricerca della): in senso lato, tentativo di recuperare le (perdute) capacità creative per metterle in azione.

Passo (parola di): segno di ricono­scimento acustico per l’ingresso in loggia. Sopravvive nel suo si­gnificato tradizionale.

Pavimento: è a scacchi bianchi e neri. Simboleggia l’equilibrio fra giorno e notte, buio e luce, bene e male, corpo e spirito.

Perpendicolare: profondità nell’os­servazione; la conoscenza tra­scendente che può sollevare l’uo­mo dal quotidiano e metterlo in contatto con la verità eterna; v. Filo a piombo.

Piedilista: elenco degli iscritti.

Pietra: nel discorso massonico (v. Mattone) l’apporto per la costru­zione del tempio.

Pietra grezza o squadrata: blocchi di pietra che simboleggiano, ri­spettivamente. il lavoro rozzo de] nuovo adepto e quello perfetto del massone divenuto “maestro”.

Pietra:(dirozzare e levigare la):scegliere gli utensili adatti per il lavoro utilizzandoli in maniera appropriata; indica la sacralità del lavoro.

Piombo (filo a p): v. Perpendicolare. Principi base della Massoneria:

credenza nell’essere supremo; esclusione dai lavori di argomen­ti di politica o di religione; pre­senza durante i lavori del Libro Sacro; esclusione delle donne dai lavori.

Profano: “fuori dal tempio”; tutto quanto è estraneo alla libera mu­ratoria.

Promessa solenne: v. Giuramento.

Quadro di loggia: tappeto o quadro recante simboli massonici. In ori­gine questi venivano tracciati di­rettamente sul pavimento con gesso e carbone.

Regolarità: contrassegna il massone iniziato in una “loggia giusta e perfetta” formata da almeno sette massoni e che lavora autorizzata da una bolla (v.) rilasciata da una gran loggia (“Regolarità di origi­ne”). È conferita dall’osservanza degli Antichi Doveri (v.) nei li­miti dei Landmars (v.) da parte di logge legittimamente costituite e composte da almeno sette mas­soni iniziati ritualmente (“regola­rità di comportamento”).

Regolo: misura la verità. La sua di­mensione (24 pollici) corrispon­de alle ore di una giornata.

Riconoscimento: attestazione della regolarità e legittimità di una co­munione massonica.

Riti: in sostanza, scuole di perfezio­namento; scuole superiore rispet­to alle logge. Vi possono accede­re solo i fratelli maestri (insigniti del terzo grado). I più diffusi nel mondo sono il rito scozzese anti­co e accettato (RTSTATAT) e quel­lo detto di York o dell’Arco reale (americano). Tipicamente italia­no il Rito Simbolico. Alla loro radice gli “alti gradi” introdotti nel settecento in Francia dall’abate Michele Ramsay.

Rituale: la forma e i modi del lavo­ro massonico. Sono di dominio pubblico essendo stati più volte pubblicati.

Salario (aumento di) o aumento di “luce”: il progresso nei grandi massonici e, quindi, della cono­scenza del pensiero massonico e della massoneria in genere.

Sala dei paesi perduti: originaria­mente il vestibolo o l’atrio. Ter­mine entrato nell’uso comune.

Scalpello: utensile per rifinire la pietra grezza con l’uso del ma­glietto (v.); simboleggia la mora­lità. La forza del maglietto, che lo rende utile, va però guidata dalla ragione, discernimento nell’investigazione.

Sciarpa: indica la mansione od il rango.

Segno: è il mezzo tradizionale dei massoni per riconoscersi fra di loro insieme con la parola (v.) ed il toccamento (v.). Non sono or­mai più un “segreto” (v.) essendo stati più volte pubblicati, come i rituali (v.).

Segreto: è solo quello “iniziatico” (v.). Governi ostili obbligarono i massoni a riunirsi in segreto. Questa l’origine della “società segreta”. I suoi mezzi di ricono­scimento sono ormai di dominio pubblico essendo stati più volte tutti riportati in numerose pubbli­cazioni. «Cosicché il cosiddetto segreto è divenuto simbolo della virtù pitagorica del silenzio e la disponibilità [della conoscenza] dei “segreti” come corrispettivo del lavoro diventa a sua volta simbolo dell’educazione iniziati­ca» (Casla, p. 28).

Segreto iniziatico: l’insieme della conoscenza dei simboli e del loro uso.

Setta verde: denominazione spregia­tiva. Sta per massoneria.

Silenzio: una virtù pitagorica. Non ha nesso con il “segreto” (v.).

Solstizio: 27 dicembre e 24 giugno. Ricorrenze massoniche in occa­sione delle feste dei due Santi Giovanni, protettori della Masso­neria; rispettivamente il trionfo dell’oscurità e della luce.

Sonno: è la posizione del massone non più attivo per dimissioni.

Squadra: rettitudine nell’azione simboleggia l’azione dell’uomo sulla materia e l’organizzazione dal caos.

Squadrare (la loggia): modo di deambulazione rettangolare per costruire i muri (ideali) del tem­pio. Simboleggia la vita in con­trapposizione con la morte an­dando da oriente verso occidente.

Stelle:            formano la “volta stellata” (v.); decorazione tradizionale del tetto della loggia. Indicazione che lo sforzo dell’uomo per raggiun­gere la perfezione non ha fine.

Strumenti di lavoro: gli utensili sim­bolicamente adoperati per i “lavo­ri” massonici (maglietto ecc.).

Tempio: simboleggia il cosmo. Luo­go di riunione della loggia. Si rife­risce a quello biblico di Salomone.

Tempio di Salomone: la sua “costru­zione” significa il progredire dell’umanità verso livello più alti.

Tavola: relazione di lavoro svolto in officina; praticamente un docu­mento scritto.

Tavola (d’accusa): atto di denunzia per colpe massoniche.

Terribile (fratello): ufficiale di log­gia preposto alla preparazione dei candidati.

Testamento: viene redatto dal futuro iniziato prima di “morire alla vita profana”, è l’attestazione delle sue intenzioni.

Toccamento: modo di riconoscersi fra massoni (v. segno).

Tolleranza: è la prima virtù del massone.

Tre punti: segno tradizionale masso­nico di abbreviazione. I massoni vengono indicati spesso come “Fratelli tre puntini”.

Triangolo: la triplice natura dell’universo.

Tronco della vedova: cassetta o sac­co per la raccolta delle elemosine (dal francese “tronc”) versate dai fratelli alla fine dei lavori di log­gia.

Vedova (figlio della): i massoni. La massoneria (“figli d.v.”). Hiram, costruttore del tempio (anche “fi­glio della luce”). La natura.

Venerabile (maestro): è il capo della Loggia. Nel Grande Oriente d’Italia è eletto annualmente dai fratelli maestri. Può essere rielet­to due volte. L’assemblea annua­le dei maestri venerabili si chia­ma Gran Loggia (v).

Volta d’acciaio: atto d’omaggio, ri­servato a personaggi illustri. I fratelli si dispongono su due file incrociando le spade per formare una volta. Luigi XVI passò sotto la volta d’acciaio, formata sulle scale dai massoni presenti, quan­do visitò il Municipio di Parigi il 17 luglio 1789.

Volta stellata: è il tetto del tempio (v). V. Stelle.

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LA MELAGRANA DI C. RONDELLI

 LA  MELAGRANA

Carlo Rondelli

1. Il simbolismo della melagrana si collega a quello più generale dei frutti con molti semi (cedro, arancia, zucca); è un simbolo di fecondità, di discendenza numerosa: nell’antica Grecia è un attributo di Era e di Afrodite e, a Roma, l’acconciatura delle spose è fatta di rami di melograno. In Asia, la melagrana spaccata è un segno di buon augurio. Secondo una leggenda popolare vietnamita: «la melagrana si apre e lascia venire cento bambini» (DURV). Parimenti, nel Gabon, il frutto è il simbolo della fecondità materna; in India le donne bevono succo di melagrana per combattere la sterilità.  La mistica cristiana traspone il simbolismo della fecondità sul piano spirituale e per questo san Giovanni della Croce considera i semi di melagrana simbolo delle perfezioni divine nei loro innumerevoli effetti; a cui aggiunge la rotondità del frutto – espressione dell’eternità divina – e la soavità del succo –  il godimento dell’anima che ama e conosce. La melagrana rappresenta infine «i più alti misteri divini, i giudizi più profondi e le più sublimi grandezze» (Cantico spirituale) (DURV). I Padri della Chiesa hanno visto nella melagrana un simbolo della Chiesa stessa: «Come la melagrana contiene sotto un’unica scorza un gran numero di semi, così la Chiesa unisce in una sola fede popoli diversi» (TERS, 204).   
2. Il seme di melagrana avrebbe avuto, nell’antica Grecia, un significato legato alla colpa; Persefone racconta alla madre come essa fu sedotta suo malgrado: «Egli mi ha messo di nascosto in mano un cibo dolce – un seme di melagrana – e mio malgrado, mi ha costretta a mangiarlo» (Inno omerico a Demetra). Il seme di melagrana consacrato agli inferi è un simbolo delle dolcezze malefiche: per averlo mangiato, Persefone passerà un terzo dell’anno «nell’oscurità brumosa e gli altri due presso gli Immortali». Nel contesto del mito, il seme di melagrana potrebbe significare che Persefone ha ceduto alla seduzione e meritato così la punizione. D’altra parte, assaggiando il seme di melagrana essa aveva rotto il digiuno che era la legge degli Inferi: chiunque prendesse del cibo non poteva ritornare tra i vivi. Solo grazie a uno speciale intervento di Zeus, Persefone divise la sua esistenza fra i due mondi.
Se i sacerdoti di Demetra a Eleusi, gli ierofanti, «erano incoronati di rami di melograno durante i Grandi Misteri», la melagrana stessa, frutto sacro che aveva fatto perdere Persefone, era rigorosamente proibita agli iniziati perché, «simbolo di fecondità, ha il potere di far scendere le anime nella carne» (SERP, 119, 144). Il seme di melagrana mangiato dalla figlia di Demetra l’aveva votata agli Inferi e, attraverso una contraddizione del simbolo, condannata alla sterilità; la legge permanente degli Inferi prevaleva sull’effimero piacere di aver assaggiato la melagrana.  
3. Nella poesia galante persiana, la melagrana evoca il seno: «le sue guance sono come il fiore del melograno e le sue labbra come il succo delle melagrane; dal suo petto d’argento spuntano due melagrane» (Firdûsî, cit. da HUAS, 77). Un indovinello popolare turco citato da Sabahattin Eyuboglu (Siirle Fransizca, Istambul 1964) parla della fidanzata come di «una rosa di cui non si è sentito il profumo, di una melagrana non aperta».  
4. Secondo Boucher (La simbologia massonica, Atanòr, 1990), il simbolismo religioso della Melagrana è da prendere in considerazione per primo: «Questo frutto i cui grani sono tanto numerosi» osserva papa Gregorio, «simboleggia la carità che racchiude tante virtù».
«La melagrana che sotto la scorza nasconde tanti grani succulenti simboleggia l’umiltà» scrive Mons. Barbier de Montault .
Lo stesso Autore ne fa anche l’emblema del Papato «che esprime», dice, «l’unione di tutti i figli della Chiesa nel suo grembo materno».
Angelo de Gubernatis che ne ha meglio penetrato il senso scrive: «La gran quantità dei chicchi che contiene la melagrana, l’hanno fatta adottare, nel simbolismo popolare, come rappresentante della fecondità, della generazione e della ricchezza. Nella forma della melagrana aperta vedevano quella della vulva».
«Si sostiene» aggiunge, «che il frutto dato da Eva ad Adamo e da Paride a Venere, non fosse una mela, ma una melagrana, e che occorre quasi sempre sottintendere la melagrana, quando si parla di pomo nei miti e nelle usanze popolari relative al matrimonio».
Il simbolismo sessuale e della fecondità è a colpo sicuro il più esatto ed è quello che riterremo con maggiore certezza. Era quello dei grandi esoterismi religiosi antichi della Babilonia e della Grecia, passando per la Siria e i suoi culti femminili (culti lunari di provenienza indiscutibilmente indiana e tantrica).
Il melograno è una pianta arborea alta circa 3 metri, originaria della Mesopotamia, della Palestina e della Persia; lo si trova allo stato semiselvaggio nelle regioni subtropicali e temperate dei due emisferi, particolarmente nella regione mediterranea, Portogallo e Spagna. Il suo frutto è commestibile e la scorza della sua radice, che è tossica, è utilizzata in farmacia.
Il suo nome botanico è Punica granatum: la parola punica, generalmente interpretata come proveniente dall’aggettivo latino punicens, rosso, a motivo del colore dei grani, potrebbe pure indicare una origine fenicia, cioè punica. In quanto al granatum questa parola significa grani e, poiché si sottintende la parola malum (melo), si può tradurre Punica granatum con mela dai grani rossi.
In Massoneria i chicchi della Melagrana, immersi in una polpa trasparente, simboleggiano i Massoni uniti tra loro da un comune ideale. Inoltre, poiché la scorza della radice del melograno è tossica, come abbiamo segnalato, la Melagrana ci mostra ancora i Massoni usciti da un mondo essenzialmente malvagio ed elevantisi a uno stato di perfezione.  
5. In un lavoro del bravo Enzo Muscinelli, intitolato per l’appunto “La melagrana“, leggiamo:  Il Melograno è una pianta fruticosa o arbustiva (Punica granatum) della famiglia delle punicacee, diffusa nella regione mediterranea e coltivata in genere nei climi temperato-caldi. I fiori sono caratterizzati da calice rosso, coriaceo e persistente nel frutto, detto appunto Melagrana, che è una bacca speciale e sferica (balausta) con scorza rigida e coriacea giallo/rossastra, che può essere consumata direttamente o utilizzata per la preparazione di sciroppi (granatine) o gelatine. La corteccia contiene alcaloidi usati come antielmintici.
La Balausta è il frutto del melograno. Si tratta di una bacca globosa con pericarpo coriaceo e spesso, suddivisa internamente in otto logge, contenenti numerosi semi con tegumenti molli e succosi di colore rosso.
Dividendo a metà il frutto, si scoprono le logge asimmetriche, separate da tramezzi membranosi giallo-chiari. Queste cavità sono piene di granelli rosso-vinosi, dall’aspetto vitreo, costituiti da una polpa commestibile, succosa ed agrodolce, che contengono semi piccolissimi. La Melagrana era nota ed apprezzata presso tutti i popoli antichi, gli Ebrei, gli Egizi, i Fenici, e, naturalmente, i Greci ed i Romani, per le sue qualità medicinali oltre che gastronomiche. Apico, (buongustaio del I° secolo, autore del trattato “de re coquinaria”) consigliava, per la conservazione, di immergerla per pochi attimi nell’acqua bollente e poi di appenderla. Nella Bibbia si parla esplicitamente di “mosto di melagrana”, il che porta a pensare che gli Ebrei in qualche modo utilizzassero il succo dei granelli facendoli fermentare.
La scorza del frutto, ricca di tannino, era usata per la tintura delle pelli e per dar colore al vino, ed in medicina era conosciuto il suo potere astringente utilizzato per combattere la dissenteria. Gli Arabi, con la scorza interna, conciavano il cuoio. La corteccia, e soprattutto la radice della pianta, contengono un alcaloide che veniva usato nella medicina come tenifugo, avendo la proprietà di paralizzare il parassita intestinale. Per tutto l’arco del Quattrocento il disegno della melagrana è ampiamente utilizzato nelle decorazioni sia pittoriche che su tessuti. Esso veniva riportato nei tessuti più costosi e preziosi, destinati alle cerimonie più fastose di Corte e nelle occasioni più solenni della Chiesa. Donatello, Michelozzo, Verrocchio, Rossellino ed i loro seguaci, per citare solamente alcuni, ripresero, nelle loro opere, il simbolo della melagrana, che è inoltre motivo diffuso nell’ornamento della scultura, soprattutto sepolcrale e dell’architettura classica. Anche nell’opera di Piero della Francesca si ritrova diffusamente il disegno “a melagrana”tant’è che per ben sedici volte Egli ha raffigurato un tessuto con il disegno del frutto di cui stiamo trattando. Per quanto riguarda l’aspetto simbolico l’elemento certamente più significativo della Melagrana è il suo interno: celata da una scorza coriacea e non commestibile, non granulosa, non porosa ma nemmeno perfettamente lucida e liscia, si trova una notevole quantità di granuli, separatamente individuabili e separabili, ma uniti fra loro in un corpo unico. Possiamo quindi attribuire alla Melagrana il valore simbolico di rappresentare la Massoneria tutta, nonché la coesione dei Fratelli che, pur facilmente individuabili nelle loro singole soggettività, sono uniti da un vincolo saldo e comune, non solo per obbiettiva destinazione, ma anche per funzione superindividuale. Simbolo quindi di Fratellanza e Solidarietà che ispirano il comportamento dei Fratelli non solo all’interno della Loggia , ma anche all’esterno, nei quotidiani contatti col mondo profano.
Ma perché proprio la Melagrana appartiene alla nostra simbologia, quando forse un qualsiasi altro frutto, con numerosa semenza interna, potrebbe parimenti assolvere la medesima funzione ed il medesimo scopo? Innanzitutto una risposta si trova rifacendoci ad una delle descrizioni scientifiche della Balausta che dichiara esplicitamente la presenza naturale, all’interno della Melagrana, di Logge asimmetriche contenenti granuli dalla forma prismatica, al cui interno si trovano semi piccolissimi. Ecco dunque che la natura ci offre un’ulteriore spiegazione aggiuntiva ed apparentemente concorrente con quanto sopra detto: non sono i Fratelli a poter essere individuati nei granelli, ma le Logge medesime, ospitate in locali precostituiti da una Coscienza ed Intelligenza superiori. È quindi solo nei granuli che si trovano i Fratelli uniti nel lavoro di Loggia. I granuli, contenenti più semi piccolissimi, simboleggiano non solo la molteplicità delle singole individualità dei Fratelli , ma la filosofia Massonica stessa che unisce ed affratella la laboriosità di più Logge diverse in onore di un principio di Fratellanza e Solidarietà Universali e comuni anche al più piccolo dei semi. Altra risposta alla domanda si può individuare nella scorza del frutto, forse la più dura e coriacea fra i frutti conosciuti e coltivati nella nostra area, che il tutto racchiude, protegge unisce e cui da coesione, rendendosi quindi assimilabile alla Massoneria medesima.
È proprio alla luce di queste interpretazioni che, alle regole della Fratellanza e della Solidarietà già citate, si viene ad aggiungere un’altra importantissima e fondamentale regola, che sebbene trovasse ospitalità anche in precedenza, ora in essa viene esaltata l’essenzialità e l’imprescindibilità di un termine di carattere universale, la Tolleranza. È la Tolleranza a permettere la coesione di più Logge, e la Fratellanza ne è figlia, poiché sarebbe assurdo pensare ad un rapporto di Solidarietà fraterna esclusivamente e limitatamente in uno scambio di esperienze endo-associative. La via del miglioramento ha un orizzonte ben più vasto, ha il respiro dell’Universalità e passa attraverso la Tolleranza. Il principio che porta il frutto a maturazione è l’unicità di intenti che soffoca le spinte egoistiche individuali. La coesione di più molteplicità, contenenti molteplicità a loro volta, è evidenziata da un’unica comune scorza coriacea. Come abbiamo visto, sotto l’aspetto botanico e scientifico la Melagrana era conosciuta da moltissimi popoli dell’antichità; è quindi logico aspettarsi che il frutto venisse contemporaneamente utilizzato, oltre che nella medicina popolare e nella gastronomia, anche in tutti i momenti di carattere magico e o religioso di molte antiche civiltà. Per ricercare i simboli della scienza sacra, dobbiamo scavare sino al cuore delle antiche civiltà, che riuscivano a caricare la materia – il seme, il frutto, il fiore – di una fitta rete di simboli e significati. Molti antichi popoli, dicevamo, conoscevano la Melagrana ed attribuivano ad essa molteplici simbologie, utilizzandola per riti, misteri ed occulte iniziazioni. Il significato principale e comune a quasi tutti, era quello della fertilità, della fecondità e della discendenza numerosa. In Africa ancora oggi il frutto è il simbolo della fecondità materna, in India le donne sterili ne bevono il succo. A Roma le spose utilizzavano i rami per le loro acconciature nuziali. In Persia, terra di origine della pianta, la poesia amorosa ricorreva spesso all’immagine simbolica della Melagrana e veniva spesso associata all’immagine lirica dell’amata. Anche la Bibbia, nel Cantico dei Cantici, presenta quest’ultimo significato estetico e poetico della Melagrana; è scritto infatti: “come spicchio di melagrana sono le tue guance, senza quello che di dentro si nasconde” e più avanti il melograno ritorna, ma come simbolo di fertilità, speranza e fecondità: “ero discesa nel giardino delle noci, per osservare i frutti delle valli, per vedere se la vigna fosse fiorita, se avessero germogliato i melograni. Io ti prenderò, ti condurrò nella casa di mia madre, là mi istruirai, io ti darò da bere il vino drogato ed il mosto delle mie melagrane”. Lo stesso significato di fertilità viene dato dalla Bibbia in altra sede, quando si parta della Terra Promessa, della terra ideale: “perché il tuo Signore t’indurrà in un’ottima terra…terra da grano, da orzo e da viti, dove prosperano i fichi, i melograni e gli uliveti”. Potrebbero essere questi i motivi che indussero Hiram, l’architetto del Tempio di Salomone, a riportare l’immagine scolpita della Melagrana intorno ai capitelli delle due Colonne: “compì le colonne con due ordini di melagrane attorno al reticolato, da coprirne il capitello che sormontava la colonna. Lo stesso fece al capitello dell’altra… V’erano inoltre, in cima alle colonne, sopra ai reticolati, altri capitelli proporzionati alla colonna, ed intorno a questo secondo capitello, disposte in ordine, altre duecento melagrane”. Anche nel mondo orientale la Melagrana rappresentava abbondanza, fertilità e fecondità; in Cina era considerato il simbolo della posterità, in Vietnam un’antica leggenda narra di una Melagrana che, aprendosi, lascia uscire cento bambini. Dunque, per tutti, si parla dello stesso concetto, anche se in forme diverse, e non si può contestare che la fertilità e la discendenza numerosa diano immagini che ben si adattano alla simbologia della Melagrana. Ma a un osservatore attento non può sfuggire la necessità di un ulteriore approfondimento, tanto più che in alcuni riti Egizi pare si utilizzassero i frutti ed i semi della Melagrana, nelle cerimonie funebri ed i simboli del frutto sono stati rinvenuti in tombe risalenti a 2500 anni prima l’Era Volgare ed anche nella tomba di Ramses IV. Inoltre nella Mitologia Greca, troviamo, tramandatoci da Apollodoro di Atene (II sec. a.C.), una storia relativa a Kore, figlia di Demetra (la Romana Cerere), e quindi divinità relative all’agricoltura, alla coltivazione del grano, in cui si identificano i chicchi della Melagrana come “il cibo dei morti” tant’è che Kore, per averne mangiati sette granuli, si attirò l’ira di Zeus e diede origine ad una complicata vicenda, che non sto qui a raccontare, per cui la stessa Kore fu condannata agli inferi col titolo di Persefone. È da questa apparente contraddizione fra la Melagrana simbolo di fertilità ed allo stesso tempo e nella stessa Mitologia simbolo di Morte, che emerge un nuovo concetto, quello della dualità. Quella dualità che in tante parti dei nostri lavori si manifesta, dal pavimento del Tempio a scacchi bianchi e neri, dalle due Colonne, dall’ombra e dalla Luce che in ognuno di noi, nel nostro più profondo, emerge dal conflitto fra il coraggio e la paura, fra il bene ed il male, fra la vita e la morte. Anche la scienza informatica si può considerare la più moderna ed attuale applicazione del principio della dualità, con l’utilizzo del sistema binario, con il giusto equilibrio e contrasto tra il falso, zero, ed il vero, uno, che diventano lo strumento per mezzo del quale l’Uomo può sviluppare la ricerca scientifica e quindi la conoscenza, e quindi il progresso dell’Umanità. Ma tutto ciò, come le allegorie della Tradizione Massonica, rappresenta anche i simboli che noi utilizziamo per descrivere l’ambivalenza che ci tormenta e a causa della quale non ci sembra di poter mai arrivare a dare una risposta conclusiva. Eppure una risposta c’è. Esiste un punto di incontro fra la disciplina e la liberazione, e noi lo possiamo trovare nell’Iniziazione. Essa permette agli uomini di unire le loro forze contrastanti, regolarle e raggiungere un equilibrio essenziale. L’Iniziazione, questo fatto magico, che si realizza concretamente e simbolicamente, attraverso il rito dualistico della morte e della rinascita, per condurci nel grembo della nostra natura, nel terreno originale della creazione, dov’è nascosta la chiave di tutte le cose. Solo dopo l’Iniziazione si può finalmente raggiungere quell’equilibrio che ci rende genuinamente padroni di noi stessi rendendoci veramente Liberi, Uguali e Fraterni.
La Melagrana, simbolo di Persefone (distruzione), ma anche di Kore (Vita) è posta sul capitello della Colonna del Meridione per indicarci, con la sua antica simbologia, anche questa strada.
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IL GRANDE SIGILLO AMERICANO

Tavole

Il Grande Sigillo Americano

di un Compagno del Concilio Antares n° 21 di Pesaro

Sulla banconota da un dollaro è tracciato il “GRANDE SIGILLO” che costituisce l’emblema degli ideali che portarono alla formazione degli Stati Uniti d’ America. A sinistra è raffigurata una piramide le cui quattro facce si unificano con l’ occhio di Dio. Al centro della banconota si fa ancora riferimento a Dio nel cui nome si afferma di confidare , ma di quale Dio si tratta?

Probabilmente non di quello della Bibbia, dato il retaggio filosofico della maggioranza dei padri fondatori che erano deisti o fratelli. È assai probabile quindi che ci si debba riferire al Dio della Ragione o forse al Grande Architetto dell’Universo. La ragione perché è da essa che sono sorti gli U.S.A. ed è attraverso la ragione che si può entrare in contatto con Dio.

Sulla sommità della piramide appare la scritta ANNUIT COEPTIS e cioè EGLI, il potere divino, ha arriso alla nostra attività, alla nostra realizzazione. La piramide è formata di tredici file di mattoni di cui diremo in seguito.

Dietro la piramide si vede un arido deserto, mentre davanti ad essa vi è vegetazione.

Il deserto può significare il caos che i padri fondatori si sono lasciati dietro le spalle: cioè l’Europa con le sue guerre. La vegetazione può invece rappresentare la speranza del futuro, i nuovi frutti della ragione.

Sul lato destro del Grande Sigillo è effigiata l’aquila americana che potrebbe essere l’equivalente dell’aquila di Zeus; essa tiene nelle zampe i simboli dell’eterna dualità che governa le cose del mondo. In una zampa è stretto l’alloro con tredici foglie a significare il principio diplomatico del confronto pacifico ma nell’altra zampa vi sono, ben in vista, tredici frecce che rappresentano la determinazione di affrontare anche la guerra se necessario.

La coda dell’aquila termina con nove penne pari al numero di volte che l’angelo suona alla discesa del potere divino sulla terra.

Sulla testa del rapace compare un diadema di tredici stelle che formano un sigillo di Salomone o esagramma. Se però guardiamo meglio il simbolo vediamo che esso è composto da una serie di tetraktis – il triangolo pitagorico con dieci punti che, dopo il pentalfa, è forse il più importante simbolo della scuola filosofica del grande iniziato.

Il numero tredici che ritorna incessantemente costituisce non solo il numero degli stati che diedero vita alla unione, ma rappresenta la dipartita del numero dodici verso la trascendenza del tredici.

Tredici erano i partecipanti all’ultima cena, tredici sono i segni dello zodiaco con il sole ecc…

I fratelli fondatori sapevano bene che il numero tredici è l’emblema della transizione ad una nuova vita e lo hanno posto al centro del loro Grande Sigillo.

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STUDI DI SIMBOLOGIA

STUDI DI SIMBOLOGIA

PITAGORA, STORIA, PENSIERO INIZIATICO E MASSONERIA

    La Scuola Italica

    Nella storia del pensiero iniziatico, la figura di Pitagora emerge per la sua eccezionale grandezza. Di ciò ebbero pienamente coscienza i suoi stessi primi discepoli, che lo celebrarono come un essere quasi divino.

    Scarne sono le notizie attendibili sulla sua vita. Sarebbe nato a Samo nel 571 a. C. circa, da genitori appartenenti al casato di Anceo, fondatore della colonia. Giamblico riferisce che il padre di Pitagora, recatosi a Delfi con la moglie incinta per consultare l’oracolo, ebbe preannunziata la nascita imminente di un figlio che “per bellezza o sapienza avrebbe superato quanti mai erano vissuti e che per tutta la vita avrebbe massimamente beneficato il genere umano”.

    Molto diffusa era la credenza che in realtà Pitagora fosse figlio del dio Apollo, che aveva voluto, fecondando la madre, far dono agli uomini di un fanciullo semidivino.

    Giovanetto si distingueva per la sua straordinaria sapienza, al punto di essere ascoltato e stimato come una creatura divina. Quando Samo cadde sotto la Tirannia di Policrate, Pitagora fuggì dalla città e decise, dietro suggerimento di Talete, di recarsi in oriente. Fu iniziato a Tebe ai sacri misteri, e lì visse per ventidue anni, studiando presso le scuole dei sacerdoti egiziani geometria e scienze filosofiche. Occupato l’Egitto dalle truppe di Cambise, fu fatto prigioniero e condotto a Babilonia. Vi rimase dodici anni, suscitando ovunque, in tutti, grande entusiasmo per le sue conoscenze e la sua saggezza. In Mesopotamia continuando il suo perfezionamento iniziatico, a contatto di maestri sumeri e babilonesi, visse fino all’età di 56 anni. Poi nella pienezza della sua maturitàvolle ritornare a Samo, dove non restò a lungo, nonostante vi ricevesse grandi onori e la sua fama crescesse in tutta la Grecia. Decise di recarsi in Italia, precisamente a Crotone, dove fondò una scuola che in realtà era un vero e proprio centro di studi iniziatici, in cui si faceva esperienza di vita comunitaria. Il numero dei suoi discepoli rapidamente crebbe a dismisura ed analoghi centri pitagorici si costituirono in altre città della Magna Grecia, come Sibari, Reggio, Imera, Agrigento, Taormina. Questi centri svolgevano nelle città anche un certo ruolo politico. Forse per questo motivo, a Crotone, una sommossa contro la scuola, suscitata da un certo Cilone, disperse i discepoli, alcuni dei quali rimasero vittime e furono bruciati vivi. Il Maestro, costretto alla fuga, morirà a Metaponto nel 497 a. C. a 74 anni.

    Per entrare appieno e capire l’essenza del pensiero iniziatico di Pitagora, non si può prescindere dal trattare della “Scuola Italica” e dell’organizzazione dell’Ordine.

    L’Armonia deve essere alla base di ogni organizzazione umana. Partendo da questo principio necessario, Pitagora si mostrava estremamente severo nell’accettare degli sconosciuti nel suo Ordine. Egli operava una severissima selezione di tutti i postulanti, scrutava personalmente tutte le vocazioni ed attribuiva molta importanza all’impressione fisica che gli faceva il candidato. Sapeva ed insegnava che ogni essere umano emette di continuo radiazioni viventi intorno a sé, che colpiscono gli altri esseri e risvegliano in esse simpatie o antipatie spontanee. Questa reazione naturale è indipendente dalla volontà, la si subisce, non la si provoca; del resto, tale reazione sbaglia raramente, poiché la prima impressione è spesso quella buona: l’organismo reagisce automaticamente contro ogni minaccia esterna, allo stesso modo in cui combatte i microbi con la febbre. Sono soprattutto gli occhi ad avere una considerevole eloquenza: non sono forse un vero “specchio dell’anima?”

    Superato il primo impatto, il Maestro faceva compiere su ciascuno di loro un’inchiesta dettagliata, che durava talvolta due o tre anni. Ecco, in particolare i punti che egli sottoponeva a verifica: Che comportamento aveva il candidato? Come trattava i suoi subordinati? Che atteggiamento assumeva nei confronti dei suoi nemici? Come si comportava verso i suoi superiori? Com’era di fronte ai suoi pari? Amava i suoi genitori? Sapeva mantenere un segreto? Non era troppo espansivo? Quali manie aveva? E quali abitudini? Che gente frequentava? Come reagiva ad un rimprovero, o a una lode, o a una prova? Obbediva facilmente? Era modesto, perseverante, lavoratore? Era disinteressato? Cercava la verità? Aveva carattere? Affermava la propria personalità?

    Era infatti necessario salvaguardare gelosamente l’Ordine dall’intrusione di profani avidi o calcolatori, bisognava tener lontano gli intriganti, i curiosi, tutti i professionisti del commercio e dell’interesse. Pitagora scartava d’ufficio i postulanti la cui professione era suscettibile di ispirare i loro sentimenti di crudeltà e di insensibilità. E’ per questo che proscriveva senza appello i macellai, i gladiatori, i mercenari, i cacciatori. Chiunque facesse professione di versare il sangue non era iniziabile.

    Non possiamo biasimare il Maestro per la sua eccessiva severità. Già ai suoi tempi, alcuni influenti politici volevano imporsi nel suo Ordine, grazie al lustro del loro nome o al peso delle loro ricchezze. Egli li scartò senza pietà e si fece in tal modo dei nemici implacabili. Il crudele Cilone, che un giorno solleverà la folla contro di lui e guiderà l’assalto al suo Tempio, era anch’egli uno dei rifiutato di Crotone; questa ferita sempre aperta, ci fa comprendere la vigilanza e la tensione del suo odio.

    Quando ammiriamo la qualità trascendente dei suoi discepoli, quando osserviamo in che modo essi abbiano illustrato il pensiero antico, non possiamo imputargli la sua severità: egli infatti, con una premonizione sicura, con un infallibile istinto della verità, ha scartato gli impuri, i deboli e gli empi, ha avuto la mano felice, ha distinto il buon grano dalla zizzania.

    Una volta ammesso al noviziato dell’Ordine, il giovane postulante veniva sottoposto a rudi prove, che avevano come scopo quello di temperare il suo carattere. Il candidato veniva trattato duramente e senza riguardi; veniva messo al servizio degli anziani; gli si imponeva un perpetuo silenzio; apprendeva a dominare la propria curiosità, a frenare ogni sollecitazione profana, a darsi alle gioie austere della meditazione. Gli veniva insegnata la Catartica o scienza delle purificazioni fisiche e morali. Questo stadio penoso durava talvolta cinque anni e veniva abbreviato solo per i soggetti eccezionali. Tale lunga attesa provocava l’effetto di renderli pazienti e docili, attivi e modesti, disciplinati nel corpo e nell’anima.

    La severa formazione dei novizi comportava anche una prova supplementare, che doveva apparire loro particolarmente penosa ed incomprensibile. Mentre avevano ascoltato il Maestro nei discorsi pubblici che egli aveva rivolto agli exoterici, una volta ammesso alla scuola perdevano immediatamente ogni possibilità di vederlo o di rivolgergli la parola Talvolta il maestro riservava loro la fortuna di ascoltarlo ma senza vederlo. Li chiamava per nome, dava loro consigli utili e le sue parole piene di incoraggiamento e di conforto li incitavano a perseverare nel loro cammino. Solo dopo la loro ammissione al grado esoterico il velo veniva rimosso definitivamente e i novizi, resi migliori dalla prova, si ritrovavano faccia a faccia con il loro Maestro.

    A tutti venivano imposte due discipline distinte.

    La prima, l’Echemythia, consisteva nell’obbligo di mantenere il segreto sugli insegnamenti ricevuti, sul numero e sull’identità dei membri dell’Ordine, su tutto ciò che si riferiva alla vita corrente. Ogni indiscrezione veniva punita con l’espulsione immediata.

    La seconda, o Kathartysis, consisteva nel rispetto verso la Gerarchia, nella sottomissione agli ordini del Maestro, nella docilità più esemplare, nel rispetto della disciplina comune, liberamente e gioiosamente accettata, nell’obbedienza più totale.

    Con l’imposizione di queste virtù, il Maestro evitò i due vizi che logorano le altre collettività umane: da una parte, la chiacchiera sconsiderata, la sbadataggine, l’inutile comunicazione di segreti a persone incapaci di comprenderli, la demagogia insensata; dall’altra il disordine dovuto all’indisciplina, la divisione, le agitazioni sterili, i maneggi e le sregolatezze frutto della discordia e dell’egoismo.

    Poiché la verità e la scienza non si acquisiscono con un’illuminazione improvvisa, Pitagora ripartì il suo insegnamento in diversi gradi di studi progressivi, gettando in tal modo le basi di una vera Università. Gli studiosi non concordano sulla denominazione di questi gradi né sul loro numero esatto. Ciò nonostante possiamo darne una nomenclatura logica basata pur sempre sulle fonti rappresentate dai testi, o meglio frammenti di testi, dei discepoli arrivati fino a noi.

    Gli Exoterici

    Il Grado Preparatorio, o Grado Zero, era aperto agli uditori Liberi che seguivano le udizioni pubbliche del Maestro. Era in seno ad esso che venivano reclutati i discepoli. In questo raggruppamento profano venivano insegnate unicamente le verità morali: il rispetto della legge, l’amore per la patria, l’altruismo, la concordia, i buoni costumi, la fedeltà coniugale, l’amicizia, il perdono delle offese.

    Gli Acusmatici o Ascoltatori

    Una volta ammessi al noviziato dell’Ordine, i migliori uditori del Maestro, da lui sottomessi alla prova del silenzio, diventavano gli Acusmatici, gli Ascoltatori, dei loro maestri. Venivano loro insegnate la psicologia, la fisiologia, gli esercizi liturgici, la meditazione, i segreti del Simbolismo. Si chiamavano anche “Oi Exo”, “quelli di fuori”, per indicare in tal modo che una cortina li separava ancora dal Tempio, nascondendo loro i Misteri.

    I Matematici o Mathematikoi o Scientifici

    Non è possibile fare della metafisica prima di avere esplorato la fisica, né della metapsichica prima di aver studiato le leggi che regolano le forze manifestate dell’universo. In questo grado veniva data agli iniziati una formazione scientifica completa, includente la fisica, l’astronomia, la geometria, la matematica, e la scienza dei Numeri. Alcuni studiosi definiscono i membri di questo Grado “Phisycoi”, “i Fisici”.

    I Sebastici o Sebastikoi o Ermetisti Dopo aver studiato il mondo in tutte le sue manifestazioni sensibili, gli allievi venivano infine ammessi a conoscere le ricchezze spirituali. A questo puinto venivano loro insegnati i vari Misteri dell’Ordine, che rispondevano a tutte le domande poste da esseri assetati di luce. L’origine dell’anima, la sua incarnazione, il suo destino postumo, questi erano i problemi essenziali che i Misteri risolvevano. Questo grado faceva di loro dei mediatori coscienti fa visibile e invisibile, li rendeva teologi oltre che esperti in liturgia.

    I Politici o Politikoi

    Solo dopo essere stati formati nella scienza profana e in quella segreta e dopo essere stati istruiti nei misteri del mondo e di ciò che sfugge ai nostri sensi comuni, i discepoli venivano ammessi al quarto ed ultimo grado dell’iniziazione. Si trattava di un grado teorico e pratico al tempo stesso; venivano loro insegnati da una parte i segreti dell’armonia sociale e le basi di una legislazione ideale, e dall’altra la pratica della giustizia e l’interpretazione delle leggi. I membri di questo grado compivano un apprendistato di governo nei quadri gerarchici dell’Ordine.

    E’ così che una parte di essi chiamati Oikonomikoi, gli Economici, gestivano i beni dell’Ordine e tutelavano i beni materiali della comunità; altri, invece, i Nomoteti, i Legislatori, dirimevano le vertenze che talvolta venivano loro sottoposte dall’esterno e adempivano a svariate funzioni amministrative in seno alla gerarchia pitagorica.

    Quando la Fratellanza ebbe costituito numerose filiali nel mondo ellenico, è probabile che i Politici abbiano organizzato una ulteriore classe, quella degli Ispettori, il cui compito consisteva nel sorvegliare le comunità straniere e in particolare l’ortodossia del loro insegnamento.

    Furono soprattutto i Legislatori che, rientrati nel mondo profano ove formarono una sorta di Ordine, stabilirono leggi in numerose città e si guadagnarono in tal modo una grande fama.

    I cinque gradi dell’Ordine e i quattro degli Esoterici corrispondevano non solo ad un perfetto ordinamento del programma di studi, ma rispondevano anche, con le loro cifre, ad una preoccupazione di carattere mistico: il 5 infatti rappresentava il Pentalfa, o Stella a cinque punte, perfetta immagine dell’iniziato che trionfa e che irraggia ovunque le luci acquisite; il 4, da parte sua, simboleggia la santa Tetrakthis, fonte e fondamento di ogni saggezza.

    Benché i vari gradi si riunissero sempre separatamente, sotto la guida di differenti istruttori, tutti comportavano un certo numero di pratiche comuni, imposte a tutti gli adepti.

    Uno dei riti più misteriosi dell’Ordine era il saluto al Sol levante. Alzatisi molto presto, i discepoli indossavano una veste bianca, prendevano la lira e si recavano incontro al Sole, intonando canti sacri. Quando l’astro si levava all’orizzonte, cessavano di cantare, si prosternavano a terra e rivolgevano al Sole una fervente adorazione. Non dobbiamo vedere in questa pratica una manifestazione di cieca idolatria: l’usanza aveva una origine egiziana ed era strettamente legata all’insegnamento dei Misteri.

    Tutto è simbolo e allegoria nello studio dei Misteri. Questi ultimi non vengono mai svelati direttamente, perché la Verità può essere rivelata solo per gradi successivi agli uomini, incapaci di percepirla nel suo insieme. Gli iniziati di tutti i tempi e di tutti i popoli hanno sempre risposto ai loro neofiti a mezzo di simboli. E’ necessario inoltre che questi insegnamenti siano progressivi e vengano trasmessi con prudenza e circospezione.

    Non rimane, ora, che dare alcuni cenni sulle usanze nella vita in comune all’interno dell’Ordine.

        I membri della Fratellanza pitagorica al loro ingresso affidavano all’Ordine tutti i loro beni; gli Economi ne prendevano possesso e li amministravano con cura. Se, deludendo le aspettative dei suoi maestri o colpito da un provvedimento di espulsione, un fratello si vedeva costretto ad uscire dalla comunità, gli Economi gli restituivano il suo contributo, ampiamente incrementato grazie ad una gestione particolarmente oculata.

        Dopo la cerimonia del saluto al Sole, gli iniziati facevano una passeggiata mattutina nei boschi sacri; dopo aver così comunicato con le forze nascoste della Natura, si riunivano nei loro Templi – ne esisteva uno per grado – e vi seguivano corsi e conferenze obbligatorie. Talvolta venivano invitati ad imprevisti esercizi di filosofia e di eloquenza; ciascuno dei membri presenti doveva commentare a suo modo e secondo il proprio livello i testi proposti alla sua attenzione.

        A mezzogiorno consumavano un pasto in comune, sedendosi in numero di dieci per ogni tavolo. Durante i pasti mantenevano il silenzio. Il più giovane faceva a voce alta una lettura di carattere iniziatico ed il più anziano ne dava in seguito un breve commento.

        Il pomeriggio era consacrato allo studio individuale, a passeggiate in piccoli gruppi, a corsi durante i quali discutevano le materie esaminate la mattina, con esclusione dei Novizi, sempre costretti al silenzio.

        Dopo vari esercizi corporei ed un bagno ristoratore, cenavano insieme ascoltando il sermone della sera, Compivano diverse libagioni agli Dei e una liturgia di chiusura.

        Due volte al giorno, dovevano sottoporsi ad un severo esame di coscienza e fare così il “punto” del loro progresso morale e spirituale. Questo esame veniva chiamato psicostasia o “pesa dell’anima” ed era un rito tipicamente egiziano.

        Se uno di loro moriva, era formalmente proibita la cremazione del suo cadavere. Veniva inumato ritualmente, avvolto in veli bianchi guarniti di foglie di mirto, d’olivo e di pioppo.

        Non potevano accavallare la gamba sinistra sulla destra, né radersi o tagliare i capelli in un giorno di festa. Non potevano usare il legno di cipresso per costruire le bare.

        Portavano esclusivamente vesti di lino, quelli di lana erano tollerati. I loro sandali non erano di cuoio ma di canna.

        Erano loro interdetti alcuni alimenti: non potevano ad esempio mangiare le fave, le uova erano sconsigliate e veniva loro raccomandata l’astensione di ogni tipo di carne.

        Non potevano portare anelli.

        Quanto tuonava dovevano toccare la terra.

        Molti di loro portava, come il Maestro, i capelli lunghi.

    Comunque, la loro fedeltà alle usanze dell’Ordine è attestata non solo dagli storici del Pitagorismo ma anche dai suoi avversari. Non mancarono infatti i sarcasmi e le ironie, gli scetticismi e le critiche che volevano ridicolizzare la loro Regola di vita. Ma certi spiriti di basso livello erano incapaci di comprendere la ricchezza di questo ascetismo e la sua elevazione morale. Costoro vedevano in ogni rinuncia una follia, in ogni privazione volontaria di un bene un’ingenuità. Uno di essi, Aristofone, nel suo opuscolo “Il Pitagorico” fece la seguente satira: “Bere acqua come una ranocchia, mangiare legumi e cipolle come un bruco, passare l’inverno a cielo aperto come un merlo, patire il freddo o chiacchierare in pieno giorno come una cicale, camminare a piedi nudi come una gru, non dormire come fa una civetta, tali sono le manie del Pitagorismo”

    Tuttavia, accadeva talvolta che qualche membro si vedesse costretto ad uscire dalla comunità. Che lo facesse di propria iniziativa o a seguito di un provvedimento di espulsione, nei suoi confronti veniva presa una misura particolare che ha sempre meravigliato i profani.

    Gli adepti si riunivano in seduta speciale, e veniva loro annunciato che il nome del fratello in questione sarebbe stato radiato dal Libro matricolare dell’Ordine: lo si proclamava morto e gli veniva eretto un cenotaffio, come se avesse veramente perduto la vita.

    In seguito, se qualcuno degli iniziati lo incontrava per caso nelle vie della città, fingeva di non riconoscerlo più; se l’altro cercava di rivolgergli la parola, egli rifiutava di ascoltarlo o di rispondergli; lo si trattava sistematicamente come defunto; si ignorava la sua esistenza fisica, perché era morto alla vita spirituale. Questa implacabile indifferenza, questa impietosa freddezza era senza dubbio il più terribile dei castighi.

    FINE DELLA PRIMA PARTE

    Ricerca di Vittorio Gnocchini

    Bibliografia Essenziale

    PITAGORA di Luigi Alessio – Corbaccio, Dall’Oglio Editore – Milano

    PITAGORA E I MISTERI di Jean Mallinger – Editrice Atanor S.r.l. – Roma

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CANTUS CIRCAEUS

Cantus Circaeus

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Il canto di Circe
Titolo originaleCantus Circaeus
Illustrazione dal Cantus Circaeus
AutoreGiordano Bruno
1ª ed. originale1582
Generedialogo
Sottogenerefilosofia
Lingua originalelatino
PersonaggiCirce, Meri; Alberico, Borista
Modifica dati su Wikidata · Manuale

Cantus Circaeus (Il canto di Circe) è un’opera filosofica in latino di Giordano Bruno pubblicata a Parigi nel 1582 da E. Gillio, a breve distanza dal De umbris idearum.[1] Dedicata a Enrico d’Angoulême, fratello naturale di Enrico III di Francia, l’opera, in forma dialogica, è composta da due dialoghi preceduti da un breve componimento poetico di Bruno stesso, Giordano al libro,[2] e da una dedica introduttiva scritta da Giovanni Regnault, uomo di corte. L’opera è considerabile un trattato filosofico di mnemotecnica nel quale l’autore introduce tematiche morali che saranno riprese in opere successive, soprattutto nello Spaccio de la bestia trionfante.

Indice

Generalità

Rifacendosi al noto mito narrato da Omero, nel primo dialogo la maga Circe opera un incantesimo col quale trasforma gli uomini in animali, mostrando quindi all’ancella Meri[3] come riconoscere la vera natura bestiale degli esseri umani. Il dialogo è diviso in trentatré sezioni dette “questioni”, in quanto strutturate in forma di domande poste da Meri, alle quali Circe dà risposta.[4]

Il secondo dialogo, che ha come protagonisti Borista e Alberico, procede con una descrizione dell’arte della memoria. Il dialogo si articola in due esposizioni, la prima più complessa, la seconda che l’autore denota come “arte breve”, in quanto «più rapida e certa».[5] Quest’ultima contiene un’applicazione che l’autore definisce “feconda”[6] nella quale, molto concisamente, è mostrato come memorizzare il primo dialogo, quello fra Circe e la sua ancella.

Il testo

«Sulla soglia poi, e nello stesso ingresso dell’atrio, / il genere di bestie latranti che là se ne sta in ozio, / ti sarà molesto per il gran abbaiare, / e terribile per le fauci. / Se per questo non smarrirai il senso, e se neanche i cani si infurieranno, / per timore tu delle loro zanne, quelli del tuo bastone, / quelli non ti morderanno, tu non li picchierai: / sarai libero di passare, né quelli ti saranno di ostacolo. / Superate con solerte industria tutte queste prove, / mentre ti addentri nei luoghi più celati, / ti verrà incontro il solare volatile, il gallo, / per condurti in presenza della figlia del sole. »
(Bruno 2008, p. 238, Giordano al libro)

Dialogo primo

Il primo dialogo ospita il canto di Circe, tre incantesimi in forma di invocazione, le prime due al Sole, l’ultima alle divinità che presiedono ai restanti sei pianeti[7], per far sì che gli «esseri si mostrino nelle loro figure esteriori e veritiere». Le invocazioni sono associate a rituali magici coi quali Circe, assistita da Meri, trasforma infine gli uomini in animali.[8] I rituali prevedono anche l’uso delle lettere dell’alfabeto, di segni misteriori (characteres) e di sigilli, elementi che ricorrono spesso nell’opera bruniana.[9]

Avvenuta la trasformazione, Meri mostra terrore e meraviglia nel vedere gli straordinari effetti della magia, ma Circe la rassicura: le bestie che ella ora può vedere hanno perso sia l’uso della lingua sia quello della mano tipici degli umani, e per questo sono adesso meno temibili.[8]

Il dialogo procede con Circe che mostra a Meri come riconoscere la natura umana nascosta nelle bestie. Il porco[10], primo animale che Circe descrive, è avaro, barbaro, coperto di fango, duro, eccetera.[8] Le caratteristiche seguono un ordine alfabetico che rimanda a un sistema mnemonico. Un’illustrazione mostra l’animale al centro di una ruota alfabetica, cioè un cerchio sulla cui periferia sono disposte lettere dell’alfabeto, qui in numero di ventitré. Seguono le descrizioni del cane (il barbaro che aggredisce quanto non riesce a intendere); il mulo[11] (gli scolastici, che si vantano di essere filosofi e eloquenti), eccetera, fino al gallo, che pur bellissimo e solare rappresenta la figura dell’uomo ostinato e litigioso, che finisce per morire in battaglia.[8]

Dialogo secondo

Il secondo dialogo è un manuale di mnemotecnica, l’arte «che alimenta tutte le altre arti[12] e egualmente apre la via e rende accessibili innumerevoli invenzioni». Tale arte è difficile da apprendere, occorre un maestro, ma lo sforzo sarà ricompensato dai risultati. Sarà poi opportuno non fare come Prometeo, che fu bersaglio della collera divina per aver donato il fuoco agli uomini.[13]

L’esposizione riprende e rielabora quanto già esposto nel De umbris idearum. L’arte della memoria deve emulare la natura, e le operazioni devono procedere con continuità dal dominio del senso all’atrio della fantasia, da questo seguitare nel campo della facoltà cogitativa, e da qui infine terminare nello spazio della memoria.[14] Vengono quindi definiti e discussi i “sostrati” e gli “adiecta” (o “forma”), oggetti creati dalla fantasia da sistemare nei sostrati.[15]

Nell’applicazione feconda Bruno mostra come memorizzare il dialogo precedente. Al testo si fa corrispondere uno scenario che viene via via suddiviso in un maggior numero di spazi, come un appartamento diviso in stanze i cui mobili e i vari oggetti lì contenuti sono le immagini relative ai concetti espressi nello scritto.[16][17]

Contenuti

La crisi morale

Illustrazione dal De mulieribus claris di Giovanni Boccaccio, dove l’autore narra, fra altre, la vicenda di Circe

Nel Cantus l’accento di Bruno si sposta decisamente sul piano dell’etica, anche se fondamentalmente il testo resta un trattato di mnemotecnica. Il filosofo, per bocca di Circe, evidenzia, e condanna, una crisi morale derivante dal comportamento degli esseri umani i quali, più che umani, sembrano invece rassomigliare a bestie. L’artificio retorico che l’autore impiega per sottolineare questa decadenza è un incantesimo col quale la maga trasforma gli uomini in animali, ciascuno secondo la propria tendenza ferina in quello che sembra seguire le linee della fisiognomica.[18] Pochissimi saranno gli esseri umani che, al termine della trasformazione, manterranno l’aspetto originario.[18]

La trasformazione degli uomini in bestie non è un capriccioso sopruso ma la ricomposizione della corrispondenza fra anima e corpo, fra essenza e apparenza, la restituzione del naturale aspetto di ciascun individuo, una corrispondenza che si è perduta nella decadenza dei tempi attuali.

Note

  1. ^ Bruno ripubblicherà in Inghilterra questo medesimo testo col titolo Ars reminiscendi (ma privo del dialogo iniziale) nello stesso volume del Sigillus sigillorum (Frances Yates, L’arte della memoria, traduzione di Albano Biondi, Torino, Einaudi, 1993, ISBN 978-88-06-18140-6, p. 225).
  2. ^ Bruno 2008, pp. 231-232, p. 237.
  3. ^ Moeris.
  4. ^ Bruno 2008, p. 258.
  5. ^ Bruno 2008, pp. 282-283, p. 337.
  6. ^ Applicatio praegnans.
  7. ^ Il sistema geocentrico è composto di sette pianeti, di cui il primo è il Sole.

Bruno 2008, dialogo primo. ^Bruno 2008, nota 125, p. 253. ^Porcus. ^ Occorre qui notare che dopo il cane, Meri domanda a Circe dell’asino, ma la maga risponde che dell’asino «si discuterà un’altra volta in modo più serio e ponderato» (Bruno 2008, questione prima, p. 259). Rinvio simile è quello che si trova nello Spaccio de la bestia trionfante quando si parla dell’espulsione dell’Orsa Maggiore, posto lasciato vacante. Quel posto sarà appunto occupato dall’asino nella Cabala del cavallo pegaseo. È questo senz’altro un indizio che lascia supporre come già a Parigi Bruno avesse una chiara idea di come strutturare le sue opere italiane. ^ Nel Sigillus sigillorum Bruno definirà l’arte della memoria “arte di tutte le arti”. ^Bruno 2008, Borista: intenzione dell’autore, pp. 280-283. ^Bruno 2008, pp. 283-285. ^Bruno 2008, p. 308. ^Bruno 2008, introduzione, p. 25. ^Bruno 2008, p. 341.

  1. Ciliberto 1996, pp. 38-40.

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