APPUNTI PER UNA TEORIA ED ETICA DELLA CONOSCENZA MASSONICA

APPUNTI PER UNA
TEORIA ED ETICA DELLA CONOSCENZA MASSONICA
di
Giuseppe Schiavone
La conoscenza, il suo senso
La conoscenza, unitamente alla conazione e all’affezione , è uno dei tre aspetti o funzioni fondamentali della vita dell’uomo. La conoscenza intellettiva — raccogliendo ed elaborando i dati provenienti dall’attività materiale dei sensi — consiste nell’appercezione di essi, nella loro complessa catalogazione e rielaborazione mentale; quindi nella loro trasformazione in concetti e nel definitivo
Il possesso cosciente dei concetti medesimi; infine nell’archiviazione mnemonica degli stessi, per essere poi utilizzati al momento del bisogno. Pertanto, il concetto coscientemente posseduto dalla mente può dirsi essere il verbum mentis : la formazione specifica di un’idea nel corso del processo conoscitivo dell’uomo.
La conoscenza è la facoltà attraverso la quale la realtà esterna al soggetto viene assimilata o, meglio, ri-assimilata e ricreata in simboli mentali (le idee), quindi posseduta dal soggetto medesimo, costituendo un patrimonio interiore disponibile per ogni utilizzo, sempre, perennemente (anche nell’arco di tutte le vite possibili). Quanto più ampio è siffatto patrimonio, tanto più ampia è la possibilità del soggetto di dare risposte adeguate ai problemi che l’esperienza quotidiana gli pone.
Individuiamo, quindi, innanzi tutto, nel processo conoscitivo:
1) un’attività di apprensione, dall’esterno all’interno, attraverso l’utilizzo dei sensi e della mente (e di tutti gli strumenti che cultura e scienza mettono a disposizione);
2) ed un’attività evocatoria, dall’interno all’esterno, che attinge all’intimo patrimonio di conoscenze personali accumulato nel corso del tempo.
L’esperienza umana non si disperde (come invece accade negli animali), proprio perché, secondo quanto s’è già detto, è rielaborata e conservata per mezzo del processo d’apprendimento e d’acculturamento, costituendo così una memoria storica che non si disperde mai, radicandosi organicamente nell’essere d’uomo. In tal modo si struttura una memoria profonda (al di là di quella riguardante il passato prossimo, al di là della mneme: la semplice ricordanza) che si colloca permanentemente alla radice della vita. Dagli antichi greci fu personificata in Mnemòsine: la Memoria dei tempi che furono e delle opere degli Dei e degli uomini, colei che è il principio del ricordo, che contiene e custodisce l’intero passato; dalla quale, per impulso di Zeus, che giacque con lei per nove notti, sono nate le Muse ispiratrici di tutte le arti. Per cui, la radice della memoria ci porta alla radice dell’umanità (e viceversa) e dell’intenzionalità originaria. La memoria primigenia, così, si pone come archetipo e come fondazione storica della razionalità e del processo conoscitivo, dal quale è comunque alimentata e sollecitata, interagendo in un rapporto dialettico.
Globalmente, tale processo evolve continuamente e stimola, com’è evidente, la crescita storicoculturale dell’uomo, cioè la sua trasformazione (o trasmutazione) attraverso l’ampliamento progressivo dei suoi poteri conoscitivi e, quindi, operativi. Per il tramite del processo conoscitivo la ragione tappropria “idealmente” della cosa conosciuta, delle sue qualità e dei suoi poteri. Sussumendo intellettivamente la cosa, acquisisce (se non totalmente, almeno in parte) la capacità di riprodurla, di ricrearla. L’idea della cosa complessivamente conosciuta si fissa in mente hominis; e così la mente può, con un atto di volontà produttiva (poiesis) dispiegato nella prassi (praxis), attuarla in concreto, riprovocarla.
La ragione, nell’atto conoscitivo, non è mera ricezione passiva dell’oggetto che sta conoscendo; essa esplica un comprendere, cioè un afferrare e penetrare intelligendo. Conosce e capisce, da cui la scienza e la coscienza.
Le proprietà della cosa, acquisite conoscitivamente, diventano proprietà della mente, perciò del soggetto conoscente. Il conosciuto arricchisce il conoscente, gli conferisce poteri. Quando ciò non avviene è perché la cosa non è ancora adeguatamente conosciuta, in quanto qualcosa ancora si nasconde al conoscente, poiché evidentemente permane un deficit di conoscenza che dev’essere colmato. In ogni caso la mente è capace di contenere l’archetipo della res (della cosa).
In linguaggio iniziatico, potremmo dire che il soggetto (cioè l’adepto) è in grado di possedere l’Arte o Scienza reale (cioè l’Arte o Scienza della cosa). La mente assume in sé, attraverso la conoscenza, le proprietà dell’oggetto conosciuto, ampliandosi progressivamente. La mens è l’ente-ragione-uomo: è la potenzialità divina nell’uomo, l’espressione della sua intrinseca spiritualità. Nel processo totalmente dispiegato è la Ragione-Dio. E la ragione totalmente dispiegata (o anche sino al livello storico in cui è dispiegata) non è più solo ricerca e conoscenza, ma è conoscenza e potere, potere ri-creativo.
Emerge qui, dunque, il concetto della mente come facoltà umana che riflette più d’ogni altra la «somiglianza» divina indicata in Genesi (1, 26-27; 5, 1)5 . Per cui, sulla base di queste premesse, l’uomo — come insegna il metodo iniziatico — sviluppando il processo conoscitivo, integrato da una contestuale rigorosa purificazione fisica ed etica, può pervenire alla divinità, può diventare come Cristo, procedendo per gradi, esperienza dopo esperienza, stato di coscienza dopo stato di coscienza, vita dopo vita, sino alla “perfezione”; che certamente non si conquista in modo “improvviso”, ma in un lungo divenire, in cui si sperimenta la perfettibilità umana.
Secondo il principio metodologico della conoscenza libero-muratoria, non basta l’intelligenza per comprendere concettualmente, ma occorre in modo previo un livello coscienziale (cioè morale) adeguato. E necessaria, propedeuticamente, una maturazione etico-spirituale che consenta lo sviluppo della capacità cognitiva. Il Verbum, o Logos, si disvela per gradi ai buoni. E così progressivamente s’ incarna, diventa storia, parola universale, messaggio che s’ annunzia (che può annunziarsi) a tutti gli uomini. Diventa conoscenza e coscienza, quindi cultura e norma etica.
Il nascondimento della Ragione nella natura inconscia è il mysterium magnum (per usare l’espressione di Bôhme) che dev’essere svelato dall’uomo medesimo; cioè da quell’essere che ha in sé la capacità di riscattare la materia portandola allo stato di coscienza .
La conoscenza, quindi, passando attraverso l’intellezione dei fenomeni di natura (con l’ausilio della ragione scientifica e dell’illuminazione intuitiva), costituisce un’esperienza di compenetrazione, parziale ma progressiva, nella divinità, che avvolge e pervade intimamente tutte le forme dell’esistente, visibile ed invisibile, come in basso così in alto. Pertanto, è nel contempo indagine scientifico-sperimentale, indagine teologica e indagine iniziatico-misterosofica. In questa prospettiva l’esperienza globale (estesa anche alle forme di vita precedenti del soggetto), razionalmente e coscientemente vissuta, è la conoscenza autentica del vero secondo il grado di maturità etica e cognitiva raggiunto dalla creatura.
La scienza dell’evoluzione umana (che passa, come già detto, attraverso lo sviluppo della conoscenza e della coscienza) conferisce all’uomo la chiave della propria essenza e l’arché del mondo, sino alla comprensione di Dio, il Grande Architetto dell’Universo, la Ragione di tutto. Perciò, essendo Egli in modo così pieno in ognuno, ogni singolo lo può conoscere per “via interiore” e per “via esterna”, combinando insieme le due vie e assumendo l’una come prova dell’altra, e viceversa. La via interiore consiste nell’analisi del proprio io profondo, esplorandone le radici, sino alla Luce ch’è alla base dell’essere; mentre la via esterna, partendo dal presupposto che il G.A.D.U. — come s’è visto — è pure in tutte le cose di natura, oltre che nell’uomo, consiste nella possibilità di conoscerlo anche indagando “sulle” e “nelle” cose stesse, con metodo scientifico-sperimentale.
In questa complementarità, il termine unificante, il G.A.D.U., dalla Massoneria è significativamente pensato come Ragione di tutto l’universo: Ragione immanente e, nel contempo, trascendente. Ed essa, proprio perché Ragione, è decodificabile dalla scienza, come strumento per penetrare nella sua intima luce. E attingibile, perciò, attraverso il suo analogo, la ragione dell’uomo. Inoltre, può essere sviluppata da parte dell’iniziato (ma anche da parte d’ogni individuo) in un processo di progressiva attuazione della propria genetica «somiglianza» a Dio . Un processo non simbolico, non virtuale, ma che realmente trasforma il corpo e lo spirito del singolo, rendendo possibile ad ognuno di nascere due volte, ovvero di ri-nascere, cioè di trasformarsi radicalmente come Cristo e d’essere pienamente figlio di Dio .

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VIAGGIO NEL MONDO DEI RITI


L’ANTICO E PRIMITIVO RITO Dl MEMPHIS E MISRAIM di
Giancarlo Seri
I Contenuti
La Tradizione Muratoria propone ai Fratelli Massoni una Operatività di natura strettamente interiore e spirituale. Questa si può esprimere solo attraverso dinamiche che tendono prima alla scoperta e quindi allo studio del “profondo” esistente al centro della coscienza di ogni essere intelligente.
Solamente attraverso l’osservazione intensa, accurata e silenziosa, si può procedere a quel lavoro di sgrossatura della “pietra” che pone, in definitiva, il Massone al servizio dell’evoluzione umana ed universale, passando, quindi, da un’opera strettamente personale ad un’opera trans-personale; tutto ciò consente all’Uomo di crescere da un piccolo ed egocentrico “io” ad un “Sé” vibrante e splendente nel glorioso ed eterno lavoro trasmutatorio dell’Essere.
L’Operatività, intesa quindi come insieme di “passaggi” attraverso i quali, per gradi, si effettuano molteplici rettificazioni, perfezionamenti – veri e propri salti di qualità – , è il lavoro che propone l’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim attraverso un percorso muratorio-illuministico che racchiude in sé il sistema iniziatico occidentale.
Esso parte dalla base, la Libera Muratoria Azzurra, per giungere alle vette rosicruciane della Gnosi, includendovi i sistemi ermetici, filosofici ed esoterici degli antichi Hyerophanti egiziani e dei sacerdoti di Mithra. Il Rito, a causa del suo riferimento a Misraim (da “mizr”, parola questa che deriva dall’antica lingua ebraica e che indica l’Egitto), è denominato anche “Rito Egiziano”, cosa questa che non ha mancato, in passato, di causare confusione con il Rito Egiziano – o Muratoria Egiziana – di Cagliostro che, pur ricollegandosi idealmente con l’Antico e Primitivo Rito Di Memphis e Misraim, almeno per ciò che riguarda lo studio delle pratiche mistiche e teurgiche, è, nella sostanza, profondamente differente.
L’antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim è un vero e proprio Ordine e non un semplice Rito, dato il senso che comunemente viene attribuito a questa parola. Esso è stato concepito allo scopo di raccogliere in un unico organismo (che accomunasse nei suoi gradi la saggezza di cui il Sistema Iniziatico Occidentale è depositario), gli iniziati sparsi negli Corpi Rituali Muratori superiori e negli Ordini Illuministici e Cavallereschi che operavano agli inizi del 700 e potesse quindi trasmettere la conoscenza in grado di soddisfare il desiderio di crescita interiore.
Il Rito di Memphis e Misraim
Il Rito, come lo conosciamo oggi, è il frutto della fusione di due Riti ben distinti:
Il rito di Misraim o Egiziano
Il rito di Memphis o Orientale
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Per capire meglio il tutto diamo una brevissima occhiata a questi due Riti, alla loro storia ed ai loro contenuti.
1) Il Rito di Misraim
Diversi autori concordano sulle origini del Rito in Italia, sulla sua diffusione a Venezia e nell’Italia del Sud.
Gastone Ventura dice: “…il Rito di Misraim, o Egiziano, sorto a Venezia nel 1801 ad opera di Filatele Abraham e subito diffusosi in Italia e Francia … è un sistema massonico-illuministico che racchiude in sé il Gran Sistema Iniziatico occidentale che il Rito Scozzese Antico ed Accettato, nella rielaborazione in trentatré gradi dei principali riti professati, non riuscì a realizzare, avendo escluso dalla sua nomenclatura i gradi cabalistici e quelli martinisti e martinezisti…” .
Altre fonti dicono che non fu il FilaleteAbraham – che sarebbe in effetti il Barone Tassoni di Modena – a portare il Rito a Venezia ma che bensì fu Cagliostro. Al di là, comunque, di queste controversie del tutto marginali, restano appurati i seguenti fatti fondamentali:
Dall’Egitto a Malta, intorno al 1750, attraverso l’opera iniziatica di illustri personaggi – tra i quali spicca Raimondo di Sangro, Principe di S. Severo – confluisce a Napoli una intensa attività di studio e ricerca, che ha per oggetto temi alchemici ed ermetici, veicolata principalmente attraverso la Tradizione Massonica.
A Venezia nasce, nel 1 788/1801 , grazie all’attività delle Logge Egiziane in parte promosse da Cagliostro ed in parte da Ananiah il Saggio e dal Filalete Abraham, l’ordine Egizio di Misraim; alcuni anni dopo il Rito si diffonde in Lombardia ove viene fondato il Supremo Consiglio del Rito avente giurisdizione sui 90 gradi.
Nel 1856 il Rito, dopo alterne vicende, viene definitivamente assorbito dal rito di Memphis anche se rimangono, ancora per alcuni anni, attive poche obbedienze nazionali – costituenti il deposito iniziatico denominato “Arcana Arcanorum”.
2) 11 Rito di Memphis
Sulle origini di questo Rito esistono molte leggende che si perdono nella notte dei tempi. Lo stesso fondatore, Jean Etienne Marconis, racconta che suo padre, Gabriel, ufficiale italiano dell’armata napoleonica, fu iniziato durante la campagna d’Egitto alla loggia Egiziana “Isis” e che, al suo ritorno in patria, fondò insieme ai suoi compagni d’arme e Fratelli, nel 1788, una loggia dal titolo distintivo “I Discepoli di Memphis”, con spiccate caratteristiche rituali egiziane.
Per dare un’idea del messaggio iniziatiche che il Rito offre ai Liberi Muratori, leggiamo cosa dice lo stesso Marconis Il Rito massonico di Memphis è l’eredità dei misteri dell’antichità:
esso educa gli uomini a rendere omaggio alla divinità i suoi dogmi riposano sui principi dell’umanità la sua missione è la conquista della saggezza che serve a discernere la verità
è l’aurora benefica dello sviluppo della ragione e dell’intelligenza; è il culto delle qualità del cuore umano e la condanna dei suoi vizi è l’eco della tolleranza religiosa, il legame tra tutti gli uomini
Il Rito ha diffusione praticamente in tutto il mondo: già nel 1849 apre i lavori in Romania, nel 1 851 in Inghilterra, nel 1856 in Australia; nello stesso anno viene costituito ad Alessandria d’Egitto un Sublime Consiglio ed a New York viene fondato un Sovrano Gran Consiglio del 94 grado. Nel 1960 Giuseppe Garibaldi viene iniziato al Rito, a Palermo.
La fusione tra i due Riti
Il 1865 è un anno cruciale per il l’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim: in quell’anno, infatti, il Fr. Giuseppe Garibaldi ed il Fr. Francesco de Luca – G.M. del G.O.I – vengono eletti membri onorari del Supremo Gran Consiglio di Alessandria d’Egitto premessa questa che ha portato, dieci anni dopo, nel 1875, a proclamare il Fr. G. Garibaldi Gran Maestro Onorario ad Vitam del Gran Santuario del Rito di Memphis. Pochi anni dopo, e più precisamente nel 1881 , Garibaldi viene nominato Gran Hyerophante del Rito ed unifica i due Riti, di Memphis e di Misraim, in un unico Corpo Rituale.
ln merito agli avvenimenti relativi a questi ultimi periodi, occorre subito rilevare che i venti anni di clandestinità in cui è stata costretta la Massoneria tutta ed i noti eventi bellici hanno notevolmente confuso le acque in merito alla realizzazione di una totale certezza che la tabulazione cronologica degli atti e delle successioni sia perfettamente rispondente alle rigide esigenze di una completa ricerca storica.
In estrema sintesi si può dire che nell’immediato dopoguerra, nel 1947, a Venezia avviene il risveglio dei Riti Uniti e che nel 1973 il Fr. Francesco Brunelli, in virtù dei poteri magistrali ricevuti – nel 1973 viene insignito dei poteri sovrani dall’erede della filiazione francese del Rito di Memphis e Misraim, il Fr. Robert Ambelain – risveglia l’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim in seno al G.O.I. d’Italia
Struttura Operativa dell’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim
a struttura rituale operativa del Rito si sviluppa in 4 sezioni; ogni sezione, a sua volta, oltre ad avere una sua specifica caratteristica e funzione particolare, è composta da uno o più Corpi Rituali che sono in parte praticati ritualmente ed in parte studiati e conferiti per comunicazione; queste sono le sezioni:
1. Simbolica – gradi I – 3 : è composta dai Corpi rituali denominati Logge. Compito di questa sezione è lo studio e la pratica dei primi tre gradi della Libera Muratoria Universale
2. Filosofico-Cabalistica- gradi 4 -33 : è composta da 30 camere rituali di cui sette vengono ritualmente praticate. La docetica di questa sezione riguarda la conoscenza e la pratica dell’insegnamento Rosa Croce, l’inizio della conoscenza ermetica e l’inizio della pratica Alchemica.
3. Gnostico-Ermetica – questa sezione è composta da 38 camere rituali. Viene praticato solamente il 660 grado, dei Patriarchi Grandi Consacratori. La docetica di questa sezione fonda il suo studio e la sua ricerca sulla Gnosi Classica e sulle sue derivazioni.
4. Ermetica – rappresenta la conclusione dell’iter iniziatico che i Fratelli Maestri hanno compiuto. In questa sezione – quale operaio dell’Arte Regia – si raggiunge la comprensione del deposito immemorabile e misterioso che il Rito possiede da sempre; si intuisce la Parola Perduta.
Come si può quindi rilevare il Rito, utilizzando una simbologia di chiara ed inconfondibile derivazione egiziana, affronta con metodo e precisione tutte le problematiche connesse allo sviluppo interiore del Massone; lo accompagna attraverso il lungo cammino della propria trasmutazione, aiutandolo nella difficile operazione di cercare, trovare ed infine a far emergere, il proprio “oro” interiore.

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TU MI CHIEDI FRATRLLO MIO

  • Tu mi chiedi fratello mio
      • Quando l’uomo raggiungerà la perfezione.

        Questa è la mia risposta.
        L’uomo viaggerà verso la perfezione
        quando avrà l’impressione di fondersi
        nell’immenso e sconfinato spazio,
        di essere come un mare senza spiaggia,
        come una fiamma che arde incessantemente,
        come una luce che brilla eternamente,
        come un placido vento, o come una tempesta impetuosa,
        come un cielo burrascoso e squarciato dai lampi,
        come un fiumicello o come un rivo lagnoso,
        come un albero variopinto all’avvento della primavera
        o come un tronco nudo in autunno.
        Come campi rigogliosi o distese aride.
        Se l’uomo si immedesimasse
        in tutti questi meravigliosi elementi,
        sarà giunto a metà della via verso la perfezione.
        Conquisterà l’apice della perfezione
        solo quando si sentirà come un bimbo
        che ha bisogno della presenza materna,
        e come un uomo che protegge i suoi figli,
        come un giovane innamorato.
        Come un vecchio che si confronta con i ricordi,
        un religioso che prega in un luogo sacro,
        un malfattore che giace nella sua cella,
        uno scienziato immerso nei suoi studi.
        uno sprovveduto che desidera uno spiraglio
        tra la notte inquieta e le tenebre del giorno.
        una pia suora che vive tra i petali
        della sua devozione e le spine dell’isolamento.
        una donna di facili costumi che si dibatte tra le zanne
        della sua fragilità e le unghie dei suoi desideri.
        Un misero che si trascina tra le sue afflizioni
        e lo spirito di sopportazione.
        E un agiato che è prigioniero tra la sua cupidigia
        e la sua coscienza.
        E un poeta che si trova fra la nebbia e le luci
        della magica aurora.
        Quando l’uomo può sperimentare e conoscere
        tutto ciò, arriverà alla perfezione e diventerà
        l’ombra dell’ombra dell’Onnipotente

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    SOLSTIZIO D’ESTATE

    SOLSTIZIO D’ESTATE

    2 giugno 2002 E:. V:.

    Balaustra del Gran Maestro

    (sintesi)

    Viviamo un tempo nel quale dominano incertezze, contraddizioni e paradossi.

    In questi anni che segnano i primi passi del Terzo Millennio, quotidianamente siamo costretti a fare delle scelte, che ci portano, spesso, ad adattamenti repentini del nostro atteggiamento nei confronti degli «altri», nei confronti della società della quale noi siamo parte integrante ed attiva. Abbiamo ben tracciato il nostro percorso, nella piena consapevolezza di tutti: le ragioni che ci hanno spinto, anni addietro, ad imboccare la nostra strada maestra sono rimaste valide. Le esperienze che abbiamo avuto, quelle nelle quali ci troviamo immersi continuamente, ci hanno dimostrato e ci dimostrano che le nostre «intuizioni» traevano linfa vitale dalle profonde radici della nostra Istituzione. Le «intuizioni» – che tali non possono e non devono considerarsi -hanno avuto riscontro nella realtà, ma dire che tutto ciò che abbiamo fatto è stato o possa essere sufficiente a cambiare gli scenari costruiti da altri, sarebbe velleitario e dannoso.

    «Fino quando avrò fiato io griderò “Pace, nel nome di Dio”: queste parole le ha pronunziate il 22 maggio scorso in Azerbaigian Giovanni Paolo II: un richiamo ad una «pace vera, fondata sul rifiuto del fondamentalismo e di ogni forma di imperialismo», quello di Wojtyla, un pontefice stanco e sofferente che non rinuncia alla sua missione in questo mondo. Il giorno prima (il 21 maggio), a 36 ore dal suo arrivo a Mosca, il presidente degli Stati Uniti George W. Bush, in una intervista ai giornali russi dichiara: «Sono un uomo di pace», sottolineando di essere convinto che il vertice con Vladimir Putin contribuirà a dare la pace al mondo. Ha detto ancora Bush: «Ritengo davvero che abbiamo una possibilità di raggiungere la pace».

    Tante cose possono accadere nel corso dei giorni e dei mesi, anche se apparentemente tutto sembra rimanere statico e, sostanzialmente, sembra non mutare. Ciò che è in superficie può facilmente sparire senza che la nostra attenzione venga colpita, così come sparisce ciò che ci rifiutiamo di accettare. Tante cose importanti stanno accadendo, e Noi – a differenza dei più – le vediamo, le registriamo, le analizziamo cercando di comprenderne i meccanismi – palesi e reconditi – che le determinano.

    La conoscenza degli avvenimenti e, soprattutto, di ciò che li provoca, ci pone in una condizione particolarmente privilegiata, una sorta di «potere» che dobbiamo sapere ben utilizzare.

    Guardiamo con attenzione, pertanto, ai «messaggi» che inviano i rappresentanti-protagonisti di due «culture» che maggiormente e profondamente stanno incidendo nella realtà d’oggi: Papa Wojtyla e George W. Bush.

    Le conclusioni che traiamo da questi «messaggi» sono, poi, le linee che sempre hanno guidato l’istituzione massonica.
    Se è vero che in Tempio non ci occupiamo né di Religione, né di Politica, sappiamo bene che le Religioni devono essere elemento d’unione e non di disarmonia o, ancora peggio, di conflittualità: siamo convinti, pertanto che ogni religione dovrebbe essere chiamata a promuovere Giustizia e Pace tra i popoli. Siamo convinti che per potere avere un futuro migliore, chi è chiamato a ricoprire ruoli di responsabilità dovrà procedere con Saggezza, nella Legalità e nella salvaguardia delle istituzioni democratiche, senza lesinare sacrifici, custodendo e promuovendo i valori che fondano la vera grandezza di un popolo: onestà morale e intellettuale, difesa della famiglia, rispetto per la vita umana.

    Siamo convinti che per raggiungere il traguardo di un vero Rinnovamento occorre conservare e sviluppare il patrimonio di valori spirituali e culturali di cui un Paese va fiero. Bisogna lavorare per un domani che sia migliore per tutti.
    Siamo convinti che occorre divenire protagonisti della storia del domani. Oggi denaro, sesso, potere sono i totem affascinanti della società del benessere: per determinare il domani, dobbiamo partire dalla nostra vita interiore, evitando di essere distratti dagli idoli. La storia si può scrivere solo nel nome della concordia.

    Dicevamo che «Viviamo un tempo nel quale dominano incertezze, contraddizioni e paradossi».

    Ebbene, se noi crediamo fortemente nel valore della pace, altrettanto fortemente siamo convinti che questa pace alla quale aspiriamo, e che oggi non c’è, se non in limitate zone del globo, questa pace deve essere difesa. Quanto è accaduto recentemente vicino a noi, quanto accade non lontano da noi, i conflitti minacciano quotidianamente la pace. Il nostro Paese, l’Italia, la nostra Terra, la Sicilia, possono sprofondare nel buio solo che la follia o gli interessi economici, o la politica militare, o il mantenimento di equilibri fin troppo instabili, mutino il loro indirizzo. La Gran Loggia di Sicilia – il primo pilastro della costruzione della Gran Loggia del Mediterraneo si è prefissa il «Bene Comune» non solo fra i massoni, ma anche e soprattutto nel mondo profano, affinché l’Umanità trovi quella «armonia» complessiva che le viene negata da più parti. Stiamo vedendo che, fortunatamente, c’è chi si muove per raggiungere gli obiettivi di pace. Sono grandi i pericoli per i Paesi che difendono la libertà. E se è vero che la Sicilia è un’isola, è altrettanto vero che questa isola è Italia, e l’Italia solo con la Sicilia, può costruire il domani. Il nuovo domani si gioca principalmente in Sicilia, nell’area del Mediterraneo: per la Sicilia, e per Noi, con ciò che rappresentiamo, una grande occasione, una grande opportunità che non possono andare disperse.

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    L’ESSENZA DEL LIBERO MURATORE:

    L’ESSENZA DEL LIBERO MURATORE:
    riflessioni interiori e spunti per rapporti Sociali fraternI. Gianmichele Galassi
    i mendichi diventano fratelli dei principI…
    Abbracciatevi, moltitudini!
    Questo bacio vada al mondo intero!
    Fratelli, sopra il cielo stellato
    deve abitare un padre affettuoso.»
    Inno alla Gioia, F. Schiller)
    Il “credo” 1 massonico e la percezione del mondo “A Mason is obliged by his Tenure, to obey the moral Law; and if he rightly understands the Art, he will never be a stupid Atheist, nor an irreligious Libertine. But thug in ancient Times Masons were charg’d in every Country o be of the Religion of that country or Nation, whatever it was, yet it’s now more expedient only to oblige them
    to that Religion in which all Men agree, leaving their particular opinions to themselves; That is, to be good Men and true, or Men of Honour and Honesty, by whatever Denominations or Persuasions they may be distinguished; whereby Masonry becomes the Centre of Union, and the Means of conciliating true Friendship among Persons that must have remained at a perpetual Distance.”2
    Per il Libero Muratore (massone), probabilmente, l’Etica rappresenta l’apice della gerarchia valoriale, un principio universale non imposto, ma acquisito. In questo senso, conviene fare una distinzione che, sebbene attenga più al campo specifico della Filosofia, risulta propedeutico ad una comprensione più profonda e dettagliata del tema, perciò, pur rimandando alla discussione più ampia contenuta in letteratura, possiamo così brevemente parafrasare le diversità concettuali utilizzando un passaggio dell’Accademia della Crusca, basato sulle varie definizioni esistenti: “… esiste una riflessione tecnica che tende a distinguere il concetto di morale, più direttamente legato al giudizio di valore su ciò che è giusto e sbagliato, da quello di etica, che richiamerebbe invece una dimen-
    sione teorica più astratta, capace di riflettere sulla morale stessa e farvi ordine concettuale. Il problema, nell’etica, non sarebbe più dunque quello assiologico di capire se qualcosa è giusto, ma quello ontologico di definire che cosa è giusto, o come in generale è possibile indirizzare l’agire.”3 Dalle citazioni precedenti, è facile comprendere come non possa esistere un percorso iniziatico massonico di perfezionamento se questo non è pervaso da un modo di “essere”, “esistere” basato sull’Etica. Specificatamente, quella massonica, poggia tutto il proprio costrutto sull’essere “Uomini liberi e di buoni costumi” e, di conseguenza, sul concetto di “rispetto”:
    1 Inteso in senso figurato, come: “L’insieme dei principî ideologici, delle opinioni e convinzioni religiose, dottrinali, morali, politiche, o
    anche letterarie, artistiche, ecc., di una persona”. (Voc. Treccani)
    2 J. Anderson. The Constitutions of the Free-Masons. W. Hunter, London 1723, p. 50. Nella traduzione italiana: “Un Muratore è tenuto, per la sua condizione, ad obbedire alla legge morale; e se egli intende rettamente l’Arte non sarà mai un ateo stupido né un libertino irreligioso. Ma sebbene nei tempi antichi i Muratori fossero obbligati in ogni Paese ad essere della Religione di tale Paese o Nazione, quale essa fosse, oggi peraltro si reputa più conveniente obbligarli soltanto a quella Religione nella quale tutti gli uomini convengono, lasciando ad essi le loro particolari opinioni; ossia, essere uomini buoni e sinceri o uomini di onore e di onestà, quali che siano le denominazioni o le persuasioni che li possono distinguere; per cui la Muratoria diviene il Centro di Unione, e il mezzo per conciliare sincera amicizia fra persone che sarebbero rimaste perpetuamente distanti.” (Fonte: https://www.grandeoriente.it/chi-siamo/antichi-doveri/)
    3 Simona Cresti. Etica e morale: c’è differenza? in https://accademia- dellacrusca.it/it/consulenza/etica-e-morale-c’è differenza/24278 grandeoriente.it6 – Hiram n.1/2024 rispetto delle idee altrui, rispetto del mondo naturale, della
    vita e della persona umana con la propria dignità che si sostanzia nella benevola accettazione dell’altro, addirittura come un
    “fratello” con cui si agevola la costruzione di un dialogo sereno e pacato4.
    Questa base Etica fa, poi, da pietra angolare al lavoro iniziatico che permette a coloro che lo abbiano compiuto, anche solo in
    parte, di cominciare ad automatizzare i processi mentali e le reazioni alla condizioni di stress per divenire resilienti ai vizi e
    debolezze personali nelle sfide che l’esistenza stessa ci mette di fronte.
    Per un altro aspetto, la Libera Muratoria ed il suo dettagliato percorso iniziatico dovrebbero, almeno in sostanza, condurre
    gli attori a considerare la realtà da più punti di vista, fino a scegliere quello che in qualche modo possa rappresentare quello
    più alto, esprimendo e suscitando i sentimenti migliori. La realtà, infatti, come abbiamo già ripetuto più volte, consta di due
    parti: l’una “oggettiva”, quindi indipendente da noi, e l’altra “soggettiva” su cui invece possiamo intervenire, lavorando sui
    noi stessi e la nostra percezione di essa. Naturalmente, questo concetto, è valido per tutti gli esseri umani e, spesso, proprio
    la percezione “soggettiva” della realtà-verità è alla base dei contrasti sociali che si ripercuotono sulla vita ed il pensiero di molti.
    Non è facile e neppure naturale educare noi stessi ad esaminare la realtà per ciò che è, i nostri sensi e l’interpretazione dei
    segnali che essi inviano al nostro cervello sono sovente distorti dai processi mentali dettati dall’abitudine e dal punto di vista
    appreso dall’esperienza vissuta, vuoi sociale vuoi personale, andoci così una visione distorta dei fatti. A questo punto,
    essendo consapevoli della propria fallacità interpretativa, volgiamo l’attenzione alla rieducazione dei meccanismi mentali
    alla base della capacità percettiva, cercando di abituare la mente ad una nuova conoscenza ed interazione con la realtà
    interna ed esterna all’organismo; più in generale, dovremmo intervenire sull’intera sequenza di eventi che va dal presentarsi
    dello stimolo, al realizzarsi e l’oggettivarsi della sensazione, fino al suo modo di essere avvertita.
    Reputo su questo tema che tutto si risolva, almeno in larga parte, nell’approccio all’esistenza che ognuno di noi genera e
    modella durante la vita. Le difficoltà, le paure, lo smarrimento provati talvolta durante la vita divengono il banco di prova per
    il superamento del preconcetto derivante da una singola esperienza fino ad elevarsi a personale legge morale scevra dai condizionamenti momentanei e circoscritti del proprio percepire e dall’esperienza. Tutto ciò, dovrebbe condurci ad esaltare i punti in comune, sentendoci tutti più vicini ed uniti dallo stesso ineffabile “destino”, sentirci “Fratelli” vivendo infine
    come tali.
    Fratellanza, particolare ed universale.
    Qui di seguito conviene riportare un piccolo estratto di quantogià ho scritto nella “Simbologia Massonica” (Vol.I-2019,
    pagg.109-112) a proposito dell’argomento:
    “Potere, vendetta, rancore, odio ed invidia sono i “lupi” ovvero i maggiori antagonisti dell’Amore e della Benevolenza che, guidando le nostre azioni, ci rendono effettivamente fratelli. Non dimentichiamo la paura, una 4 Proprio come spiega chiaramente e magistralmente Lessing nei suoi “Dialoghi massonici” fra Ernst e Falk, più dettagliatamente nel secondo.
    5 Questo termine ha una lunga tradizione, basti ricordare le tre fiere che Dante incontra prima dell’Inferno: la lonza, il leone e la lupa osta colano il viaggio di Dante che è bloccato dalla paura, esse rappresentano allegoricamente rispettivamente la lussuria (la lonza, un felino simile al leopardo o alla pantera, più probabilmente una lince che Dante aveva visto esposta a Firenze), la superbia (il leone) e, infine, la cupidigia e l’avarizia di potere più che di denaro (la lupa). Permettendomi una chiosa curiosa, a questa allegoria è associata quella del “veltro”, una delle più discusse e controverse dell’opera dantesca. Se in precedenza Giovanni Getto (nel suo “Aspetti della poesia di Dante”, Sansoni, Firenze, 1966, pp.13-14.) aveva ipotizzato che dietro l’allegoria del veltro si trovasse il Sommo Poeta stesso, Lamberto Vaghetti (nel suo Il veltro non è più un mistero, in «Nuova Antologia», diretta dal prof. Cosimo Ceccuti, Fascicolo 2229, anno 139°, Gennaio-Marzo 2004, pp. 356-359, Felice Le Monnier, Firenze) avrebbe adesso individuato l’opera stessa, ossia la Commedia, quale elemento “dottrinale” che potrà condurre qualsiasi uomo dallo stato di vizio a quello
    di virtù, salvandolo dalla lupa. Questo per dire che analogamente il “veltro” massonico è rappresentato dalla sua ritualità significata proprio dal variegato linguaggio simbolico utilizzato. potente molla che riesce ad avvampare i peggiori istinti umani, impedendo così ai migliori sentimenti di gui dare le nostre azioni. Spesso, purtroppo, la vita ci riserva sorprese terribili capaci di destabilizzare anche gli animi più bonari e placidi; atrocità, terrore e morte riecheggiano nelle pieghe della storia quali indelebili marchi della bestialità umana: amici, parenti, vicini di casa si scagliano l’un contro l’altro per i più futili e banali motivi, mentre Amore, Misericordia e Benevolenza piangono amare e silenti lacrime di sofferenza. Se tutto ciò fosse determinato, allora ben poco potremmo fare, ma
    visto che l’Uomo ha facoltà di libero arbitrio allora tocca a ciascuno individuo far trionfare i più alti sentimenti.
    Questo è il compito dell’Apprendista, salire quella scala di valori, come quella sognata da Giacobbe, che lo portia vivere sempre più in Alto verso quell’ideale Amore che, per Dante, “move il Sole e l’altre stelle” (Paradiso, XXXIII, v. 145). Ecco quindi che non importa se la natura umana sia quella descritta dall’adagio hobbesiano o meno, è con il lavoro iniziatico, introspettivo e riflessivo che l’Uomo deve giungere a comprendere che l’esistenza all’insegna dell’Amore fraterno è di gran lunga migliore da vivere che quella marchiata da vizio, odio e terrore, visto che è il modo per ottenere l’agognata “felicità”.
    E poi: “La Fratellanza poi, nel trinomio rivoluzionario francese settecentesco, ha un altro aspetto, direi più sottile, che ben si associa all’idea stessa del Compagno d’Arte che per sua stessa etimologia 6 prevede una condivisione ovvero compagno è chi si trova insieme con altri in particolari circostanze, chi è legato ad altri da un comune vincolo spirituale, o segue la medesima sorte.”
    Infine: “Infine per il Maestro, la Fratellanza dev’essere caratteristica specifica dello spirito, la più alta e difficilmente raggiungibile in quanto irrealizzabile senza Libertà, quella assoluta, svincolata dal pensiero e, come dire, divenuta automatica per natura, e senza l’Uguaglianza universale, convinta e radicata nel proprio sé, scevra da qualsiasi forma distintiva. La Fratellanza, non si limita
    più agli esseri umani, ma diviene quindi parte sostanziale dell’armonia con il Tutto: riuscendo così a riunire ciò che è separato attraverso l’Amore, conquistando infine senza ulteriore ostacolo il miraggio della “perfezione”.”
    Concludendo, possiamo affermare – con un certo grado di certezza che quando ci troviamo sopraffatti dalla vita, smarriti
    nella “selva oscura”, il modo migliore per superare i problemi è quello di contare su noi stessi, su quanto abbiamo appreso nella via iniziatica, su ciò che professiamo all’interno dei nostri templi, lavorando al bene nostro, dei nostri compagni e fratelli
    ed al progresso dell’Umanità intera, senza mai perdersi negli assurdi ed inutili conflitti che già rendono difficile o, addirittura
    impossibile, la pacifica convivenza nel mondo profano. Nella speranza che un giorno non lontano fratellanza, empatia,
    amore e benevolenza guidino l’umanità intera verso un’albaluminosa.
    6 Che ricordo derivare dal latino medievale companio -onis, compostodi cum «insieme con» e panis «pane», propriamente «colui che mangia il pane con un altro» (dal Voc. Treccani)
    L’essenza del Libero Muratore 9

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    IL RITORNO A ERMETE

    Il ritorno ad Ermete e gli emblemi ermetico-geroglifici nei secoli XV-XVIII
    Perché è importante penetrare il significato dei simboli
    (ricerca raccolta da M. Uberti)

    Una adeguata comprensione critica dell’accostamento ‘arte/alchimia’ è stata effettuata solo da tempi relativamente recenti, coincidente con la pubblicazione di un testo fondamentale che è “Psicologia e Alchimia”, uscito nel 1944 e tradotto in lingua italiana solo nel 1950. L’autore è quel Karl Gustav Jung che, pur non mettendo in stretta relazione le due cose, riscontrava “le analogie dell’immaginario alchemico con l’inconscio collettivo”(1), contrapponendolo all’inconscio individuale esplorato in chiave del tutto diversa da Freud.
    E’ ipotizzabile, quindi, l’esistenza di determinati archetipi, sopiti nel nostro inconscio collettivo di ‘umanità’, momenti e simboli ricorrenti nell’immaginazione, dal mito all’arte.
    Fu tuttavia solo negli anni ’60 che questo campo venne ulteriormente indagato, ad opera soprattutto di ital
    I Filosofi o Alchimisti si sono sempre compiaciuti di celare nelle Poesie, nelle Favole, nelle Opere Musicali, i segreti del Magistero Alche
    Tutta questa componente di mistero e di occultazione, è dovuta principalmente al fatto che l’alchimista ricerca la decifrazione e la conoscenza delle Leggi della Natura, delle norme che la regolano, che la trasmutano, in quell’incessante flusso che va dall’Uno al Molteplice e viceversa. Il più Grande Mistero dell’Uomo e del senso della vita.
    Per fare questo, egli ha fatto ricorso ad un vocabolario espressivo che ha attraversato i millenni e che, in Occidente, risale per la maggior parte ed iconograficamente ai codici tardomedievali, che sono giunti fino ad oggi in varie copie compilate dai pazienti amanuensi.
    Trattati greci e siriaci molto antichi, probabilmente derivati da influssi Egizi, vennero tradotti dai filosofi e da studiosi Arabi che, nel XII secolo li diffusero in trattati alchemico-neoplatonici. Gli stessi che, nel XV secolo, giunsero poi in tutta Europa, soprattutto manoscritti egizio-ellenici (ad opera dei sapienti bizantini).
    La cultura classica e la ‘branca’ cristiana più attenta all’esegesi simbolica delle Scritture, trasmisero a quella umanistica e rinascimentale la convinzione che l’antico Egitto costituisse un punto di riferimento indissociabile dalla genealogia delle conoscenze umane. In questo contesto assunse sempre maggiore spicco la figura di Ermete Trismegisto, il tre volte grande, considerato il padre fondatore del sapere e scriba degli dèi, per molti collegabile al dio egizio Toth, inventore dell’alfabeto, depositario di tutte le Conoscenze. Divenuto Ermete per i Greci e i latini, che gli attribuivano l’invenzione delle arti e delle scienze, venne citato come autorità dottrinale anche da alcuni Padri della Chiesa come Tertulliano e Lattanzio, che lo definì “perfettamente dotato di ogni sapere”.
    Ad Ermete Trismegisto, personaggio sospeso nel mistero del tempo, sacerdote, filosofo, legislatore, mago, alchimista(nel pavimento del duomo di Siena, dove la sua figura campeggia su una tarsia marmorea del 1482, è scritto che egli fosse ‘contemporaneo di Mosè’) ma più di tutto un “semidio”, si fa risalire un trattato chiamato “Corpus Hermeticum” (2)in realtà collocabile tra il II e il III sec.d.C.(un tempo ritenuto molto più antico), composto da 14 trattati che vennero diffusi in Europa grazie alla loro traduzione ad opera di Marsilio Ficino (3)negli anni 1463-64. E’ il periodo in cui la magia, le scienze occulte, la riscoperta dei grandi filosofi dell’antichità vive un momento di grandissimo splendore. Ad Ermete viene attribuito anche un trattato-cult di tutta la Scienza Ermetica: la Tabula Smaragdina o Tavola di Smeraldo, costituita da 10 punti in cui tutti noi dovremmo trovare uno stimolo alla riflessione. La Tradizione narra che Ermete stesso incise le parole con la punta di un diamante sulla lastra di smeraldo(verde). Così come la leggiamo oggi, si può dire che risale all’incirca al IX secolo, di matrice islamica redatta su fonti precedenti, e fu fatta circolare da personaggi dei quali si fanno i nomi più svariati, a cominciare da Alessandro Magno, che ne sarebbe entrato in possesso tramite un suo soldato che l’avrebbe rinvenuta in una delle piramidi di Giza. Ma cos’è l’ermetismo? Si differenzia dall’esoterismo? E dalla religione? Perchè l’uomo porta con sè una “Conoscenza”, una “gnosi”, da dove essa deriva? Chi gliel’ha data e perchè tutte le Tradizioni l’hanno in comune?
    Vediamo di riflettere su queste cose, senza pretesa di riuscire a rispondere!
    Alla base di tutto c’è il rapporto del ‘sacro’con l’anima umana. Tutte le religioni si occupano di fondere questo connubio dal momento che -conoscendo il sacro- l’essere umano può trasformare sè stesso in un essere spirituale e che oltre la materia esiste qualcosa di impalpabile e di indicibile, di immortale. Ma possiamo affermare che l’unità trascendentale delle religioni è l’unità dell’esoterismo, il cui significato etimologico è ‘nascosto, segreto, così come l’anima è invisibile e interiore
    L’esoterismo è una dottrina, una Scienza che spiega i misteri dell’universo e i suoi fini e che articola due livelli di sapere, quello trasmesso oralmente (base della Tradizione, la Parola, ilVerbo) e in maniera scritta (il Testo Sacro, che conserva i misteri occultandoli sotto un linguaggio ambiguo (decifrabile con un’apposita chiave di lettura), che va debitamente interpretato. L’ esoterismo ha una vocazione universale e, in quanto ‘gnosi’, ha un linguaggio universale: sintetizza i simboli e i miti presenti in ogni Tempo, riunifica le religioni stesse in una comune Origine, che è la Rivelazione primordiale.
    Dio, o gli dèi, l’hanno posseduta da sempre e i Profeti, i Maestri l’hanno portata avanti quale retaggio ancestrale. La comprensione non del tutto semplice di questo concetto porta l’uomo ad una profondissima riflessione interiore, in cui cercare la propria conoscenza e la propria natura ‘divina’, quel ‘germe’ che aspetta di crescere e fiorire dentro ognuno di noi.

    Socrate, il grande filosofo greco vissuto tra il 470/469 e il 399 a.C, ha rivelato la chiave della scienza delle corrispondenze: ” Conosci te stesso e conoscerai l’universo degli dei”.

    L’esoterismo comincia con l’origine delle razze, umane, con l’origine delle lingue, ha una storia ed una archeologia. Ha un suo linguaggio che, di volta in volta, è stato codificato e cifrato nelle varie Culture e Civiltà (geroglifici Egizi, lingua sanscrita, Cabala ebraica, araba, Testo Biblico…ognuna conosce le chiavi di una linguistica del sacro, che traduce i messaggi ispirati). Così gli dèi della mitologia “prendono forma” ovvero non sono più-a questa luce-” delle semplici immagini ma proiezione di esperienze significative delle forze concepite direttamente nell’uomo, nella natura o nell’aldilà”(5).

    L’unità dell’esoterismo risiede nella struttura sacra della natura umana, nel fatto di partire dalla concezione fondamentale che l’uomo è una creatura divina, da un UNO proveniente e a Lui somigliante in tutto e per tutto. Chiamare ‘Dio’, UNO o ‘Tutto’, o ‘Principio’ questa ‘struttura originaria’ è ininfluente ai fini della comprensione che esiste una Coscienza Superiore, alla quale ognuno può arrivare attraverso l’iniziazione, la meditazione, l’ascesi…Ognuno deve volgersi a riscoprire ciò che in ogni Tempo i Maestri, i Santi, i profeti ci conducono: la nostra ‘riunificazione’ con il Tutto, la fusione del microcosmo con il macrocosm
    La Rivelazione originale si perde nella notte dei tempi ed è segnalata solo dal riferimento alle nomenclature mitologiche L’ermetismo o’ scienza di Ermete'(Trismegistos) è miticamente riferito alla rivelazione del dio egizio Thot(ellenizzato in Ermete-Thot), divenuto un archetipo culturale del nome patronimico del Dio di tutte le iniziazioni. Cosa significa questo? Che è un ‘polo’, come una calamita del nostro inconscio, che genera in noi (o dovrebbe generare) un ricordo, attirare una memoria simbolica vivente, un linguaggio, uno stile di pensiero. Per questo quando abbiamo parlato di alchimia abbiamo parlato di ‘immaginazione’, proprio perchè si tratta di mentalità simbolica. Alchimia ed ermetismo sono coincidenti e in definitiva possiamo assimilare l’ermetismo con ogni forma di tradizione esoterica.

    Una curiosa analisi del termine “Ermete”, ci dicono i Saggi, si riferisce al linguaggio propriamente detto: “hermeneus” equivale ad interprete, messaggero (ed Hermes era Mercurio per i Greci, il messaggero degli dèi), borsaiolo, commerciante e “che froda con le parole”, cioè colui che ‘trama con la parola’, che la padroneggia e simula agli altri, che non la comprendono per quella che è realmente (il profano non capisce il linguaggio degli iniziati) e non vanno oltre. Ermetismo, pertanto, inteso come funzione esoterica del linguaggio. L’ermetismo restituisce alla cultura il senso delle sue mitologie, delle metafore, delle allegorie religiose, ci apre l’accesso al mondo degli dèi e dei simboli

    Ermete incarna il ‘vecchio saggio ‘ , l’Archetipo cui si riferiva K.G.Jung.

    Dal XV e XVIII secolo, l’iconografia ermetica si arricchisce con immagini simboliche di provenienza sia neopagana rinascimentale sia da una sintesi proposta dai libri di emblemi e di imprese. Ma cosa indicano esattamente questi ultimi termini?

    Nel 1531 esce un lavoro, ad opera di Andrea Alciato (6),dal titolo “Emblemata”(Emblematum Liber), in cui compaiono per la prima volta questi ‘accostamenti’: da un lato c’è una figura, un’immagine(chiamata “corpo”) che ha valenza allegorica, dall’altro delle parole che esprimono un motto,(chiamate “anima”) .Possono essere accompagnate da brevi frasi in versi o prosa che tentano di dare una spiegazione di tale accostamento. In genere sono costituiti da fini incisioni che le ornano(in genere sono conosciuti più per queste ultime che per altro).L’Intelligenza deve portare a superare l’apparente dicotomia per rintracciarvi l’intenzione simbolica unificatrice.

    Il prototipo degli “emblemata” può farsi risalire agli “Hyerogliphica” di Horapollo, un trattato breve che risale ai primi secoli dopo Cristo, in cui vengono spiegati i geroglifici usati dagli Antichi Egizi in base al loro senso morale e simbolico, tramite una lettura ideografica e che giunse in Europa per mezzo di una copia acquistata nel 1419 nell’isola greca di Andro e da lì portata a Firenze, dove iniziò a destare notevole interesse nell’ambiente neoplatonico di Marsilio Ficino. Gli umanisti vi scorsero, infatti, la testimonianza di un linguaggio arcano in cui c’era un tramite tra l’immagine e la parola, che non potevano essere disgiunte.

    Si recuperò la sacra Sapienza Egizia dopo che era caduta nell’ oblio per quasi dieci secoli (l’ultimo tempio ‘pagano’ in Egitto, a Philae, in cui perdurava il culto della dea Iside, fu chiuso nel 560 per ordine dell’Imperatore Giustiniano, che ne fece portare le statue del culto a Costantinopoli e incarcerare i sacerdoti presenti).La scrittura geroglifica ammette una frattura tra il senso primario di un testo religioso(fonetismo) e il suo significato profondo(il glifo inteso come simbolo vivente). La parola diventa quindi ‘Sacra’ (o il sacro si articola alla parola) e diventa simbolismo esoterico, ovvero comprensibile a colui che lo padroneggia, tanto che per tutti gli altri è impenetrabile senza l’apposita ‘chiave’ di lettura. J.Francois Champollion(7), nel suo “Precis de systeme hieroglyphique’ :distinse infatti tre tipi diversi di scrittura del nome del Sovrano: fonetico, figurativo e simbolico. Gli Egizi adottavano una scrittura per i testi sacri e un’altra per i libri contabili, opportunamente celata dall’utilizzo di simboli che indicavano il significato ‘divino'(‘rivelazione, materia prima) della prima o il carattere materiale della seconda scrittura.

    Naturalmente possiamo ritenere che tutti gli antichi testi contengano una duplice chiave di lettura e di interpretazione (nell’inno 10.71 dei “Rig Veda”(8) sono riassunte le idee dei Rishi sul linguaggio: “La parola sacra è un’invenzione degli antichi saggi…solo l’eletto è chiamato a ‘vedere’. L’iniziazione passa da un apprendimento attraverso la lettura”).

    Nel 1499 venne pubblicato a Venezia il più celebre libro illustrato rinascimentale, opera di Francesco Colonna(9),dal titolo “Hypnerotomachia Poliphili”, che nel 1600 venne ristampata a Parigi in una versione diversa firmata da Bèroalde de Verville (10),che intese rivelarne i contenuti alchemici(e che pare rifarsi ad un precedente lavoro di Jacques Kerver del 1546) .Verso il 1540 Nostradamus (11)scrisse “Interpretation des hièroglyphes de Horapollo”.

    La strada era ormai tracciata (dal ‘500 all’ ‘800 prolifereranno gli emblemi su base mitologico-pagana) e molti alchimisti si riferiranno nei loro scritti appunto a questi, nei quali il segno sacro diventa rappresentazione della presenza delle forze cosmiche, in cui sono insite le geometrie nascoste della Natura, con i suoi Numeri, Pesi e Misure.
    Nel 1588 viene pubblicata a Roma un’opera, di Principio Fabrizi, intitolata “Delle allusioni et emblemi sopra la vita, opere et attioni di Gregorio XIII”, in occasione della celebrazione del Papa. Le incisioni sono chiaramente di ispirazione pagano-alchemica.

    Nel 1612 viene stampato il primo grande trattato alchemico sui miti greci ed Egizi, “Arcana Arcanissima”, dovuta ad un paracelsiano e rosacroce, medico e segretario privato dell’Imperatore –alchimista Rodolfo II a Praga: Michael Maier(12)1568-1622). In quest’opera l’autore colloca la mitologia pagana quale allegoria ermetica dell’Antica Scienza Alchemica, opera che diverrà un caposaldo per tutti gli alchimisti dei tempi seguenti. Nel corso del 1600 vedono la luce altre opere fondamentali per l’iconografia ermetica: l’Atalanta Fugiens, sempre del Maier, costituita da cinquanta incisioni eseguite dal maestro tedesco Matthaus Merian il Vecchio, e il Viridarium Chymicum, di Daniel Stolcius (13), costituito da centosette incisioni.

    In essi,il concetto di ‘emblema’ comunemente inteso, viene ‘trasferito’ sul piano alchemico e alle varie fasi dell’opus alchemico e sul modo in cui procedere.
    Contemporaneamente anche molti scritti filosofici vengono recuperati o interpretati, segno che gli alchimisti vogliono discutere della loro scienza.

    Nel 1593 compare una Iconologia, di Cesare Ripa (14), che vedrà la prima pubblicazione illustrata nel 1603, in cui vi sono schedate ed elencate varie figure cui potranno riferirsi stereotipatamente gli alchimisti seguenti, e nel 1686 appare un ‘opera costituita da incisioni in-folio,”Escalier des Sages ou la Philosophie des Anciens”, composta da Barent Coenders van Helpen (15).

    Nel 1758 A.Joseph Pernety, compilerà”Les fables egyptiennes et grecques dèvoilèes”, l’ultimo e più completo trattato sull’argomento, che gli era stato ispirato dall’opera di Mair, “Arcana Arcanissima”.

    La cosa di fondamentale importanza è che l’iconografia alchemica che compare nel primo ‘600, rappresenta la saldatura, di natura iconologica, di due basilari aspetti della cultura europea del 1400 e del 1500: la rivisitazione dei miti pagani e la ricerca filologica di stampo umanistico sulle immagini geroglifiche. Molti artisti rinascimentali, che respirarono questo clima, quantomeno furono attratti dall’Arte Regia, quando non si accostarono direttamente ad essa (i colori usati per molti dipinti furono preparati con procedimenti alchemici) ed intesero trasporne i contenuti occultandoli (a volte neanche troppo) nelle loro opere. questa visione e volontà di trasmettere un messaggio preciso non si è ancora tenuto debito conto, in quanto ancora poco indagato il significato alchemico contenuto in molti dipinti e sculture, che purtroppo vengono ancora viste dai più attraverso un canale puramente estetico.

    Il momento della riflessione sul simbolo deve essere quello della conversione dello sguardo su sé e sul mondo. Assistiamo attualmente ad un’epoca in cui c’è molto bisogno di riconciliarsi con il Sé, inteso come Universo e le sue manifestazioni. Quindi, dobbiamo riuscire a trovare nei simboli la funzione unificatrice. Gli Antichi lo sapevano ed erano in grado di farlo ‘vivere’ per armonizzare il ‘grande’ con il ‘piccolo’, il Cielo con la Terra, lo Spirito con la Materia.

    Mi sia consentito citare un passo di Micheal Mirabail (16):” Il tempo unificatore del simbolo non ha mai disertato la temporalità dell’esperienza umana, soggetta ai cicli evolutivi e non ripetitivi delle mitologie, nel momento stesso in cui crede, dopo il XIX secolo, di poter spezzare il modello ellittico dell’evoluzione a favore della storia lineare, sintomo della frattura tra significante e significato, tra senso e linguaggio, delle nostre culture schizofreniche”.

    NOTE:

    1)-Carl Gustav Jung,”Sulla psicologia dell’inconscio”, Boringhieri, Torino.” Vivendo tale archetipo (Ermete,n.d.a.), il moderno fa l’esperienza della modalità più antica di pensiero,come attività autonoma di cui si è l’oggetto. Ermete Trismegisto o il Thot della letteratura ermetica, Orfeo, Pimandro, e il Pimen (Pastore)di Hermas che gli è apparentato, sono altre formulazioni della stessa esperienza. A tale archetipo converrebbe anche il nome di Lucifero, se tale nome non fosse così compromesso”. Jung aggiunge anche che questo archetipo di ‘vecchio saggio’ è associabile a Zarathustra, ed è l’”archetipo del senso”.

    (2): L’opera è stata analizzata in modo rigoroso da Festugière in “La Rèvelation d’Hermes Trismègiste”, 4 volumi, Gabalda, 1944-54.

    (3)Marsilio Ficino (1433-1499), filosofo e letterato italiano che è considerato il principale esponente dell’Umanesimo; dedicò la propria vita alla traduzione di testi classici( i dialoghi platonici, gli inni attribuiti ad Omero e Orfeo, la Teogonia di Esiodo, ecc.) che gli permisero di ‘conciliare’ la filosofia classica con la religione cristiana in una concezione ‘armonica’ dell’universo, nel quale l’essere umano è contemporaneamente centro e mediatore tra l’Uno (Dio)e la molteplicità delle Sue manifestazioni.
    (5) Veda, Marabout Universitè,vol.I,pag.14.
    (6)Andrea Alciato(1452-1550) illustre giurista lombardo che prestò la propria professione di insegnante ad Avignone, Bruges, Bologna e Pavia ma che ha lasciato una celebre opera di stampo filosofico,”Emblematum Liber”, in cui raccolse epigrammi latini accompagnandoli con figure allegoriche in cui emerge la sua notevole conoscenza della classicità antica. Vi ricorrono riferimenti mitologici, simbolici e favolosi. L’opera venne ripubblicata ben 180 volte nell’arco di duecento anni e fu tradotta in varie lingue.
    (7) J.F.Champollion (1790-1832)è considerato il moderno decifratore dei caratteri geroglifici Egizi dandone l’interpretazione fonetica ed ideografica.
    (8)Raccolta di 1070 testi di incerta datazione( almeno prima del 1600 a.C.)che rappresentano il più antico trattato della letteratura indiana. I “Veda’ completi sono costituiti da altre tre raccolte di documenti scritti.

    9)Francesco Colonna è famoso per il più celebre libro illustrato rinascimentale(in italiano “La Battaglia d’amore in sogno di Polifolo”),edito da Aldo Manuzio. Personaggio misterioso, viene identificato con un omonimo frate veneziano ma è più probabile che possa trattarsi del protonotaro apostolico nonché patrizio romano, Francesco Colonna, signore di Palestrina.

    (10)Bèroalde de Verville, vero Francois Brouard (1566 ca.-1629 ca.) fu medico, dedito all’alchimia, poligrafo, umanista, abiurò il protestantesimo. Fu autore di molte opere.

    (11)Michel de Nostredame (1503-1566) era provenzale e fu medico ed astrologo alla corte del re Carlo IX, protetto dalla regina Caterina de Medici, sua madre e reggente. Con lo pseudonimo di Nostradamus scrisse le famose ed enigmatiche “Centurie” profetiche.

    (12):M.Maier: godette nel ‘600 grande notorietà, in parte per i libri dei suoi emblemi(oltre all’Atalanta Fugiens, ricordiamo “Symbola Aureae Mensae”), in cui per la prima volta rivisita in modo organico i miti pagani, interpretandoli in chiave ermetica.

    (13) Daniel Stolcius fu alchimista alla corte dell’imperatore Rodolfo II(1552-1612).

    (14) C.Ripa (ca. 1500 –1620 o forse 1625) intese riferirsi costantemente ai miti pagani e l’opera citata ha costituito uno dei repertori figurativi più seguiti da poeti, pittori e scultori fino al 1800.

    (15)la sua identità non è nota, anonimo scrittore di alchimia del 1600.

    (16)M.Mirabail, docente di psicopedagogia e studioso di esoterismo, nel 1976 ha fondato un Centro di Ricerche Esoteriche in Francia.

    Bibliografia consultata per la ricerca:

    “Atlante storico della filosofia”, Nikolao Merker- I Edizione, 2002-Editori Riuniti

    “Dizionario dell’esoterismo-Le 50 parole- chiave”,Michel Mirabail-Arnoldo Mondadori Editore

    “Arte e Alchimia”, Maurizio Calvesi, Mino Gabriele – Art Dossier-1986-Giunti Editore

    IL RITORNO A ERMETE

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    IL LINGAGGIO DELL’ALCHIMIA

    IL LINGUAGGIO DELL’ALCHIMIA
    (a cura di Marisa Uberti)

    “Prega,leggi,leggi,leggi,rileggi,lavora e allora troverai”(Mutus Liber,XIV Tavola)*

    NOTA:

    data la complessità e la vastità dei contenuti della Scienza Ermetica, ho ritenuto utile fare dei collegamenti ipertestuali(riconoscibili dal colore verde) con pagine web di Autori e Studiosi di primo livello.

    Cos’è l’Alchimia? L’alchimia è una Scienza Antichissima, da considerarsi eterna e perciò non potremmo nemmeno collegarla ad una sua ‘storicità’, tuttavia sono interessanti i contatti che essa ha avuto con i contesti sociali, storicamente determinanti, con i quali essa ha più o meno nascostamente convissuto, delle varie ‘colorazioni religiose’ che è venuta via via assumendo, delle diverse vesti mitologiche con le quali è andata ricoprendosi, mascherandosi ai profani e contemporaneamente rivelandosi agli iniziati che la ricercavano.

    Se risalissimo alle sue Origini, ci accorgeremo che essa risale alla notte dei tempi ed è il fulcro di quella Tradizione Universale che è alla base di tutte le religioni.Una scienza spirituale in cui religione, filosofia e tecnica di laboratorio coesistono e si identificano.

    Un pensiero di C.D’Yge rende bene l’idea:”Che coloro che pensano che l’Alchimia è strettamente di natura terrestre, minerale e metallica, si astengano. Che coloro che pensano che l’Alchimia è unicamente spirituale, si astengano.Che coloro che pensano che Essa è solamente un simbolismo utilizzato per rivelare analogamente il processo della “Realizzazione spirituale”, in breve, che l’uomo è la materia e l’athanor dell’Opera, che essi abbandonino”.

    Immagine tratta da “Atalanta Fugiens”, di M.Maier ,Emblema XXVII: Il Giardino Alchemico resta chiuso per chi non ha piedi per camminare e seguire le orme della Natura.

    Con queste premesse, che non chiariscono molto per la verità, ma ci spingono a voler ‘capire’ meglio, saremmo tentati di ‘astenerci’ anche noi! L’Alchimia è materia solo per pochi ELETTI!

    Eppure è di una Semplicità intrinseca che nemmeno ci sforziamo di comprenderla, di penetrarne il significato, perchè oggi siamo coinvolti e avvolti da una fitta nebbia che ci impedisce di ritrovare il pensiero che ha accompagnato l’uomo dalla sua comparsa su questa terra, quindi impacciati (o disinteressati) a ritrovare le nostre radici. Ci appaiono MUTI i simboli utilizzati dagli Antichi, non comprendiamo le testimonianze che ci hanno lasciato, al massimo possiamo ammirarle ma le consideriamo ‘arretrate’rispetto alle grandi tecnologie di cui disponiamo oggi e che riteniamo ci rendano progrediti, civilizzati, ‘superiori’ ai nostri antenati.

    Io credo, molto umilmente, che le cose vadano viste in modo diverso: l’Uomo Antico era molto più vicino alla propria natura ‘perfetta’, pneumatica e divina di quanto lo siamo oggi. E non a caso, in ogni epoca, l’uomo di Sapienza ha tenuto conto di questi aspetti, ha ricalcato gli insegnamenti derivanti dagli antichi Testi, ne ha condiviso il significato profondo, criptandolo nella propria espressività artistica.

    Templi,Geroglifici,, Sculture, Pitture, Opere Musicali, Manoscritti, Trattati, Poesie,Cattedrali,ecc. sono quindi preziose GUIDE per tutti quelli che vogliono sentirsi parte del Pensiero che le ha create, del senso che racchiudono e delle indicazioni che sono in grado di fornirci, per aiutarci nell’arduo lavoro di codifica ed interpretazione del Messaggio di cui sono depositarie.

    l’allegoria ermetica…

    Fulcanelli (pseudonimo di un Adepto sconosciuto,con cui sono stati scritti “Il Mistero delle cattedrali”e “Le Dimore Filosofali”) ebbe a scrivere:”Noi scriviamo per tutti,ma non tutti possono essere chiamati a comprenderci,perchè ci è interdetto di parlare più apertamente”

    Si intuisce, pertanto, la necessità dei ‘Filosofi’ (gli Alchimisti)di esprimersi con un linguaggio simbolico, attraverso metafore,allegorie e disegni che al profano appaiono strani,bizzarri,confusi se non incomprensibili.I Filosofi parlano la LINGUA DEGLI UCCELLI, cioè quella delle persone sagge (cabala ermetica), perché nell’ermetismo il volatile simboleggia ciò che è spirituale rispetto al fisso o materiale. In alcune basiliche, come sui capitelli del portale di San Clemente in Casauria, a Torre de’ Passeri (PE), si possono ammirare degli uccelli dalla testa umana(e, del resto, nell’iconografia Egizia è spesso usata questa simbologia). Questi rappresentano, appunto, i saggi; ovvero, coloro che parlano la lingua degli uccelli.

    L’Alchimia è stata conosciuta da tutti i Popoli Antichi, poichè è Universale.Induisti,Taoisti,Cinesi,Egizi,Celti,Arabi,ecc.ne hanno tramandato la Conoscenza. Molte persone assimilano l’Alchimia all’Arte di trasformare il piombo in oro, magari quell’ oro potabile che permetterebbe di raggiungere l’immortalità.Questo non è certo lo scopo finale dell’Alchimia, che ammette la possibilità di effettuare la conversione del vile metallo in oro lucente ma solo per virtù spirituale; in un certo senso il successo finale assimila la ricerca delle Isole Immortali.

    Il simbolismo alchemico si situa su un piano cosmologico, in cui le fasi di coagulazione e soluzione corrispondono a quelle del ritmo universale:involuzione-evoluzione,inspirazione-espirazione.L’Alchimia è considerata come un’estensione e accelerazione della generazione naturale.

    La famosa TAVOLA DI SMERALDO, di Ermete Trismegisto (ilTHOT EGIZIO), enuncia in uno stile estremamente ermetico gli assiomi fondamentali dell’alchimia,che si possono così riassumere:

    ogni opposizione si ordina in funzione della contrapposizione fondamentale maschio-femmina; la Grande Opera è l’unione dell’elemento maschile, lo zolfo, con quello femminile, il mercurio.Tutti gli autori forniscono similitudini e accostamenti assunti dal linguaggio dell’unione e della generazione. Unione che può avvenire solo con un terzo ‘elemento’indispensabile,chiamato sale e che è quel Fuoco Segreto,quell’Agente universale che gli alchimisti conoscono(in realtà,molti hanno faticato a capire di cosa si trattasse,e solo coloro che Dio stesso ritiene degni di ricevere il DONO ne possono godere).

    Gli alchimisti usano varie allegorie per criptare il messaggio Ermetico: questa è la III figura dello Splendor Solis(Fons Duplex):Il guerriero corazzato simboleggia il principio maschile.La spada indica sia il metallo con cui si deve colpire il drago(la materia grezza)sia il ‘fuoco’segreto.Le due fonti sul piedistallo indicano le due nature opposte che dovranno essere unificate.

    La materia grezza,simboleggiata dalla Vergine mercuriale, prende nomi diversi poichè gli Autori tendono a celarne la vera consistenza:è uno snervante ‘modus operandi’che complica parecchio lo studio dei testi ermetici:quando sembra di aver intuito di ‘cosa’possa trattarsi,il passo successivo ci riporta da capo,poichè un testo può negare quanto aveva affermato in precedenza!Questo ‘depistaggio’ha lo scopo di scoraggiare gli avidi e gli invidiosi dell’Arte, per favorire solo coloro che vogliono intraprenderne seriamente e con pazienza lo studio.Potremo così trovare definizioni come:drago nero coperto di scaglie,Vergine Nera,corvo nero,libro chiuso,acqua,fontana,antimonio dei filosofi,piombo dei saggi,caos,Aries,terra nera,quercia,torba,tarasca,diavolo,vampiro,lepre,lupo grigio,magnesia,calamita,figlia di Saturno, sputo di luna,grasso di rugiada,aceto,specchio dell’arte,vaso,servo fuggitivo…Una disarmante schermaglia di nomi e simboli davvero lunga!Da essa dovrà essere estratta la parte ‘bianca e lucente’:”La Terra è nera e dentro di sè,nelle sue viscere,ha luce”.”L’oggetto vile e disprezzato dagli ignoranti, è il primitivo soggetto dei saggi,l’unico dispensatore dell’acqua celeste,nostro primo mercurio e grande Alkaest,il ‘dissolvente universale'(Fulcanelli).Metaforicamente è il drago nero solfureo,che nasconde una bianca principessa al suo interno,che deve essere liberata,così come nelle favole il prode cavaliere giunge a liberare la bella principessa prigioniera.

    Il cavaliere, simboleggiato dallo zolfo, assume anch’esso molti ‘aspetti allegorici’: è Ares/Marte,Cadmo,Perseo,Ercole,Longino,San Giorgio…tutti coperti dalla ‘corazza’ e armati di ‘spada’di acciaio per uccidere il ‘drago’e liberare la ‘principessa’,la Vergine Bianca.E’il principio igneo,chiamato zolfo dei filosofi: Ares-Marte per i Latini-è collegato al ferro e di questo elemento Fulcanelli scrisse:”Agli occhi del saggio,il ferro è incomparabilmente più nobile dell’oro…contiene molto zolfo stabile,di un colore rosso scuro…”.

    Possiamo capire meglio come l’Alchimia trovi molte allegorie celate sotto le spoglie della religione cristiana.Ad esempio,la Vergine Nera è paragonabile alla Materia prima.Nel Cantico dei Cantici la Vergine dice:”Nigra sum sed formosa”cioè”Sono nera ma sono bella”.Inoltre le statuette delle Vergini Nere nascondono la medesima verità: venivano sempre conservate nelle cripte sotterranee,per indicare che nelle profondità è nascosta la ‘luce minerale’,come nel profondo di noi stessi si cela la nostra LUCE interiore,il nostro ‘fuoco’ che dobbiamo liberare e far uscire in superficie,spogliandola della materialità in cui è imprigionata. Dalla Vergine Nera(S.Anna) scaturirà la Vergine Bianca, altra allegoria religiosa:lo ‘Spirito Universale'(simboleggiato nella COLOMBA) si incarna nella Vergine Nera per generare la Stella Lucente,Maria,la Stella Mattutina, da cui-ad opera sempre dello Spirito Santo, originerà il Bambino Ermetico=il Lapis, la Pietra,Gesù,che sarà chiamato Cristo,l’Uomo divinizzato,che ha vinto tutte le sue battaglie Ermetiche.

    Questo parallelo trae origine già nella prima alchimia latina e ci porta all’intepretazione in chiave alchemica di tutto il mistero cristiano. Anche nel Testo Veterotestamentario troviamo criptate allegorie Ermetiche:la creazione di Adamo è assimilata all’opera alchemica, poiché come Dio trasse Adamo dal fango, così l’alchimista trae la Pietra Filosofale da una materia iniziale vile. La vicenda biblica del profeta Elia, rapito in cielo su un carro di fuoco, è usata nei libri di alchimia come raffigurazione dell’alchimista che ha realizzato il lavoro, ottenendo la trasmutazione di se stesso.

    Matrimonio alchemico (da “Le dodici chiavi della filosofia”,di Basilio Valentino-Sesta Chiave):in questa allegoria sono criptati altri significati ermetici:l’unione regale dello zolfo e del mercurio.I due sposi simboleggiano le due nature mentre il vescovo allude al sale o fuoco segreto.Al di sopra,il flusso celeste rende canonicamente valide le operazioni alchemiche.In questa scena si possono ravvisare precise valenze simbolico-operative.

    Ecco,quindi, che la vera Alchimia opera in un vero e proprio ‘laboratorio’usando forni, attrezzature e sostanze minerali sottoposte però all’azione rigenerante(e necessaria) di questo ‘fuoco segreto’ o spirito universale (la terminologia è assai vasta e variegata). L’alchimista riceve questo influsso purificatore direttamente da Dio e ciò fa sì che in lui avvenga una graduale trasformazione interiore e un’apertura della sua Coscienza; tale Illuminazione o Elevazione gli consentirà di procedere sulla difficile strada del laboratorio che, con l’ottenimento della pietra, lo trasformerà da semplice uomo in un dio. Ma è anche il compost, ovvero la materia in fusione su cui lavora l’alchimista a determinare questa Illuminazione sull’operatore.

    Da quanto ci trasmettono i Testi, si intuisce che dalla manipolazione fisico-chimica di particolari sostanze minerali sottoposte alla doppia azione del fuoco del forno e del fuoco segreto, scaturisce un irraggiamento ondulatorio che agisce sull’artista purificandolo e illuminandolo sulle operazioni da compiere.

    Ci si potrebbe chiedere perchè tanto mistero attorno a questo ‘terzo elemento’: pare che la conoscenza del ‘fuoco segreto’in mani sbagliate o avide, porterebbe a conseguenze molto gravi e di portata inimmaginabile sia sul piano sociale che economico.

    Un principio,quattro elementi…

    Secondo la Teoria generale alchemica,la materia grezza è assimilabile al concetto di caos indifferenziato,materializzatosi in un liquore minerale nelle viscere della terra,considerata un organismo vivente quale Grande Madre che nutre e matura i minerali e i metalli generati nelle sue viscere.Questa sostanza-principio,eterica e semimaterializzata,viene chiamata simbolicamente Mercurio dei Saggi o dei Filosofi (per distinguerla dal volgare mercurio dei termometri comuni!).Gli alchimisti,per meglio criptare i significati delle operazioni ermetiche,usano più o meno lo stesso termine per indicare concetti o sostanze diversi tra loro,quindi i profani sono tratti d’inganno!

    Dal Mercurio dei Saggi derivano tutti i corpi dell’Universo,ed è all’origine dei sette metalli primari,così come la luce bianca origina i 7 colori del prisma,che si possono ridurre ancora alla luce bianca.Quindi,anche i sette metalli si possono ‘ricondurre’al Mercurio dei Filosofi.Ai sette metalli corrispondono i sette pianeti dell’astronomia e dell’astrologia antica.

    Per gli alchimisti,tutta la creazione evolve verso la perfezione:i metalli verso l’oro,che rappresenta la forma più nobile della loro specie,così come l’uomo tende verso la divinizzazione.Da un lato l’uomo,estraendo il minerale dalla terra,arresta questo processo lentissimo di trasformazione,ma dall’altro(grazie al ‘dono’che gli è concesso da Dio) egli può accelerare questo processo grazie alle virtù della PIETRA.Variamente, alcuni teorizzano che per una causa imprecisa, ci fu qualcosa che ‘bloccò’l’evoluzione dei minerali,così come l’uomo subì la ‘caduta’simboleggiata dalla cacciata dall’EDEN e si allontanò dalla propria natura divina.L’alchimista viene allora inteso come colui che accelera il processo della Natura, ‘restituendo’l’Originaria Perfezione.

    Dalla divina Unità,avviene il passaggio alla molteplicità multiforme.Manifestazioni diverse della ‘materia prima’,cioè del Mercurio dei Saggi, sono i 4 elementi:TERRA, ACQUA, ARIA, FUOCO trasmutabili,secondo gli alchimisti,gli uni negli altri.

    Il filosofo greco Empedocle osserva che l’intero mondo del divenire,la natura e gli universi sono generati dall’attività di due principi divini,che ha chiamato con i termini simbolici di zolfo e mercurio,di opposta polarità i quali, a loro volta,attraverso l’azione del terzo principio,il sale,determinano l’incessante assemblarsi e dividersi dei 4 elementi primari.Terra-solidi; acqua-liquidi; aria-gas; fuoco-radiazione.

    Se di per sè questa teoria è irrazionale,ambigua e incongruente, si può cercare di trovarvi una logica:il passaggio dalla terra (stato solido)alla’acqua(stato liquido)all’aria(stato aereo,vaporoso)al fuoco(luce)segna le successive trasformazioni e ‘sublimazioni’della materia che progressivamente si smaterializza fino a raggiungere l’eterea e luminosa consistenza della pietra filosofale.

    le due vie…

    Partono dagli stessi principi. Esiste l’Ars brevis e l’Ars longa, comunemente definiti via breve e via lunga, oppure via secca e via umida. Tuttavia, nella simbologia ermetica, con via secca e via umida vengono anche indicati altri due procedimenti che sono propri della via lunga. E si riferiscono al tipo d’illuminazione.

    «Poiché quest’incognita sorpassa i limiti dell’intelletto umano» spiega Fulcanelli «non può essere acquisita che mediante la rivelazione Divina”.

    “Dio, ripetono i Maestri, procura la saggezza a chi gli sembra opportuno e la trasmette mediante lo Spirito Santo, Luce del mondo”».Questa è la via secca,cioè senza particolari rivelazioni e, laboristicamente, i Testi parlano di forni ad alte temperature,crogioli di terra refrattaria o porcellana e tempi di lavorazione di settimane(è difficile e pericolosa).E’quella seguita da quasi tutti gli Adepti.

    Da un manoscritto del XVII sec.,conservato presso la Biblioteca Civica di Trieste, Ms.2-27: Il Dragone alchemico inteso come paradigma dell’intera Arte: i tre simboli sopra le le tre teste del mostro ermetico indicano Mercurio, Zolfo e il Sale,i tre protagonisti della Via Secca o Breve(materia prima grezza,cavaliere armato e sale mediatore o Fuoco segreto).

    La via umida, invece, comprende la rivelazione totale, cioè sia il campo spirituale sia fisico.Essa opera,praticamente,a basse temperature in vasi e utensili di vetro pirex, usando oro e ‘mercurio’e con tempi di cozione lunghissimi(interi anni)e ininterrotti,secondo i ‘sette regimi’.La trasparenza del vaso permette all’artista di poter seguire le molteplici trasformazioni e le variazioni della gamma cromatica del ‘compost’: nel matraccio, mantenuto a temperatura costante e moderata, si susseguono le fasi di intense colorazioni:il nero,il bianco,il giallo…la coda di pavone…il rosso della maturazione…

    Miniatura dello Splendor Solis di S.Trismosin(1582),dal titolo “Regimen Veneris”=il Regime di Venere: sotto il segno di Venere(simboleggiato in alto dalla dea dell’amore), si realizza l’unione alchmistica simboleggiata dalla coda di pavone(compresenza dei colori)e dalla musica(‘armonia’).La figura del pavone è equivalente a quella dell’arcobaleno.

    le operazioni alchemiche…

    Si è visto che il mezzo per rivitalizzare i minerali (e l’Uomo) è il Fuoco Segreto; bisogna individuare quali sono le condizioni e i metodi per incorporare di fatto questa radiazione’nei materiali iniziali.I Maestri ricordano che l’alchimia è chiamata anche “Agricoltura Celeste” perchè l’artista deve seguire la Natura e i suo cicli stagionali, solari e soprattutto lunari.

    Enigmaticamente, Atorene ci tramanda che le operazioni più importanti “avranno dunque luogo con la Luna crescente,quanto più essa è vicina alla sua pienezza,preferibilmente con un cielo sereno…la Luna non è soltanto l’evocazione della bellezza e la luce nell’immensità delle tenebre,essa costituisce anche un’emittente di onde.Così, come i raggi catodici divengono raggi X riflettendosi su una placca di metallo, i possenti raggi solari hanno delle proprietà molto diverse una volta che siano riflessi dal nostro satellite”.

    Le stagioni sono buone a secondo del simbolismo. Può essere il solstizio invernale, caro al Bambinello di Natale; il solstizio estivo con l’emblematica figura di San Giovanni, battezzatore per eccellenza. L’autunno con la morte della natura e immagine della morte mistica; la primavera con il risveglio della natura e immagine del risveglio dell’intelligenza o iniziatica.

    «I Saggi» scrive Fulcanelli «sapendo che il sangue minerale di cui avevano bisogno il corpo fisso e inerte dell’oro, non era altro che una condensazione dello Spirito Universale, Anima di tutte le cose, sapendo che questa condensazione avveniva soltanto di notte, col favore delle tenebre, del cielo puro e dell’aria calma; sapendo, infine, che la stagione in cui essa si manifestava più abbondantemente corrispondeva alla primavera celeste, i Saggi, per tutte queste ragioni, le diedero il nome di rugiada di maggio».

    È durante la notte ermetica (nostro buio) che si possono catturare o condensare le illuminazioni, che però necessitano della calma e purezza della psiche. Queste illuminazioni possono essere più abbondanti soltanto nel mese di maggio, il mese della Madonna o del mercurio filosofico, cioè nello stadio della terza operazione filosofale, quando è stata realizzata la base del Magistero e la psiche non è più vittima di confusioni.Nella IV Tavola del Mutus Liber,appaiono l’Ariete e il Toro per fare capire quale stagione sia propizia.

    Dopo i lavori preliminari, si affronta la Prima Opera,la separazione.Così come in Genesi leggiamo” Dio vide che la luce era buona cosa e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte”( Genesi I,4-5). Per giungere a questo, l’alchimista assiste all’attrazione dei ‘tre protagonisti’,al loro metaforico ‘combattimento’,alla loro calcinazione(separazione vera e propria del ‘fisso’dal ‘volatile’,della luce dalle tenebre,dello spirito dalla materia).

    Allegoria ermetica, tratta dall’ “Aurora Consurgens”,del XIV -XVsec.(Biblioteca Centrale di Zurigo,codex rhenovacensis 172):incontro-scontro tra le due opposte nature: solforosa e fissa(simboleggiata dal leone,dal cavaliere, e dal Sole,maschile,penetrante,igneo,la ‘psiche’), mercuriale e volatile(simboleggiato nel grifone,leggero,sottile,femminile,lunare,l’Intelligenza Universale).Il ‘sale’-il mediatore tra le due-si associa volentieri sia al fisso che al volatile.Il principio maschile(zolfo) dovrà attirare verso di sè la parte solforososa contenuta nella natura mercuriale,e viceversa.

    Otterrà,al termine di questa prima fase, una sostanza che viene chiamata calamita dei saggi,specchio dell’arte,l’aimant, che sarà in grado di incorporare il nostro ‘sale’ e allo stesso tempo caricare il ‘sale’di energia. E’questo uno dei ‘passaggi’ cruciali alchemici:questo racchiude il verbo dimissum, la parola perduta,il verbo creatore…l’incarnazione di Dio nella materia.

    Dal vecchio drago nero,solfureo,si otterrà la Bianca Vergine, (statuetta egizia di epoca romana che rappresenta idealmente la nostra ‘calamita’,il mercurio dei saggi),che recherà una stella o ‘artiglio del grifone'(e indicherà all’artista che sta procedendo sulla strada giusta). E’ paragonabile al motto “in hoc signo vinces”(in questo segno, vincerai)

    Vediamo ora i nostri due protagonisti iniziali sublimati,la vergine e il prete,ma dov’è finito il prode cavaliere,che -armato della sua spada di ferro-aveva affrontato il drago nero e aveva attirato su di sè lo zolfo arsenicale liberando la vergine metallica?

    Il fatidico ‘lingotto’ottenuto,separato in due da un colpo di martello,rivela una parte bassa,lucente e più pesante,quindi raccolta sul fondo dello stampo che raccoglie la fusione e una parte più alta,nerastra,uno scarto solforoso che è chiamato caput mortuum, la testa morta,che è più leggera ed occupa la parte più alta del cilindro…il principio maschile,igneo,si è installato nella terra(il caput).Esso non è inservibile,anzi costituirà uno dei punti cruciali delle successive operazioni.

    Le due nature dovranno essere nuovamente unite.Dalla testa morta dovrà rinascere lo Spirito divinizzato. Allegoricamente, l’Horus egizio nascerà dal dio Osiride morto; dal sacrifico di Gesù sulla croce,dipenderà la sua divinizzazione e la Redenzione dell’umanità.La croce è simbolo del crogiolo alchemico,dove la materia viene purificata e spiritualizzata.

    A queste operazioni, lungamente ripetute,gli alchimisti danno il nome di aquile o sublimazioni:allegoria della potenza dell’aquila che porta la preda fin sopra le alte vette,così il potente ‘cavaliere’ ha saputo portare in superficie la Bianca Vergine che si nascondeva all’interno del Drago Nero Solfureo(ovvero ha separato la Luce dalle Tenebre,lo Spirito dalla Materia).

    La separazione della prima opera deve ora divenire unione delle due opposte nature per dare origine all’androginia,la perfetta fusione tra maschio-femmina,tra Dio e l’uomo, che provoca la morte della nostra dimensione materiale.Questo nuovo ‘prodotto’,che in alchimia si chiama rebis, la cosa duplice,è il risultato della seconda Opera.

    Allegoria tratta dal “Rosarium Philosophorum”,di Amsterdam: rappresenta l’androginia.Notare i neri corvi,l’aquila delle sublimazioni,la lepre terrestre e il pipistrello volatile…

    Allegoricamente è il bambino divino,partorito dalla Vergine mercuriale,chiamato in molti modi: remora,Hermes,pesce,mercurio filosofico (da distinguersi dal mercurio dei saggi che lo ha generato)…

    Ora,il nostro prodotto,chiamato anche uovo filosofico,deve essere sottoposto alla terza prova,quella del fuoco. Incessantemente,la nostra materia continua ad incorporare l’energia ‘radiante’perciò aumenta notevolmente di peso. L’alchimia è chiamata anche Arte della Musica perchè in questa fase si producono sette suoni,sette sibili in scala armonica crescente che indicano il buon andamento delle operazioni.Su di esse l’artista deve modulare il ‘fuoco’adattandolo in perfetta armonia con il cambiamento delle note.Visivamente,gli è impedito di vedere cosa accade nel suo ‘composto’ poichè sulla superficie è comparsa una sorta di crosta calcarea,il ‘guscio dell’uovo’appunto.

    Il discepolo di Fulcanelli,Eugene Canseliet così descrive l’emozione della fase finale:”Dunque, grazie a queste note, voi seguite il procedere della grande cozione fino alla pietra al rosso. Voi seguite così il passaggio dei pianeti, dei colori…l’uovo si apre, il guscio si spezza e allora appare, tra le ceneri…il rubino centrale.E’ la pietra. La sua forza può essere molto differente. In seguito la si moltiplica, per aumentare la sua forza, con il mercurio che si è messo da parte a questo scopo”.

    La pietra filosofale

    I collegamenti con i quattro elementi,le quattro stagioni,i quattro momenti del giorno,le quattro età dell’uomo suggeriscono la ciclicità dell’opus alchemico,

    che ha per simbolo la RUOTA o l’ OUROBOROS,il serpente che si morde la coda,come osserviamo in questa iconografia tratta da Synosius, trascrizione di Theodore Palecanos(1478), Parigi, Biblioteca Nazionale: con questo simbolo l’immaginario pagano volle rappresentare il perpetuo moto del mondo, l’unità del Tutto (il cerchio) che si dispiega nella molteplicità delle trasformazioni cicliche( per le sue spire,il serpente è simbolo delle fasi lunari) per tornare poi sempre in sè stessa(la congiunzione della coda con la testa), conciliando così l’ apparente contraddizione tra l’ “uno” e il “molteplice”.

    Le fasi dell’opus’alchemico sono -a seconda dei trattati-da tre a cinque,ma più comunemente quattro:nigredo(‘putrefacio’)=fase della materia al nero,grezza,assimilabile al piombo,all’uomo materiale; albedo=contrassegnata dal colore bianco(la vergine bianca,la mente nobilitata); la fase ‘citrinitas’,contrassegnata dal giallo(l’uovo filosofico); ‘rubedo’=corrisponde al rosso e all’oro o pietra filosofale;talvolta è la ‘viriditas’,corrispondente al verde,colore della vegetazione e della vita.

    Le quattro fasi simboleggiano un ‘sistema’simbolico e ciclico,di cui l’alchimia diventa il cardine,compendiando in sè, e a sè subordinando, ogni altra quadripartizione antropologica e cosmica.

    Alla ‘nigredo’corrisponde l’elemento terra, la notte, l’inverno, la vecchiaia e la morte,la malinconia.

    All’ “albedo” corrisponde l’elemento acqua, l’alba, la primavera, la fanciullezza e l’umore flemmatico.

    Alla ‘citrinitas’corrisponde l’elemento aria, il meriggio,l’estate,la giovinezza.

    Alla rubedo l’elemento fuoco, la luce limpida dell’autunno e del tramonto,la maturità,la luce dell’illuminazione.

    L’impresa va sempre ripresa da capo e ripetuta:dalla maturità(il culmine)si ricade nel punto più basso,nell’inverno, la notte,la vecchiaia e la morte,l’interramento e la putrefazione.Ma questa ciclicità è garanzia rasserenante perchè dall’inverno si risalità alla primavera,dalla notte all’alba,dalla morte ad una nuova rinascita(Martin Lutero vedeva nell’opus alchemico il simbolo stesso della resurrezione).

    Gli alchimisti concordano da migliaia di anni che il Grande Magistero porta all’acquisizione di una triplice corona regale, al conseguimento supremo,cosiddetto donum dei(ottenuto da pochissimi Adepti nel corso dei secoli),all’ottenimento della pietra filosofale,detta anche rubino dei saggi, una polvere rossa e granulosa che viene ottenuta al termine della Terza Opera dopo un procedimento lungo e difficoltoso.

    Il donum dei o pietra filosofale contiene in sè tre proprietà per colui che la consegue:-la panacea o medicina universale(la pietra disciolta in un liquore alcolico produrrebbe l’elisir di lunga vita che,ingerito,è in grado di guarire qualsiasi malattia e di conferire l’Immortalità); la seconda è l’acquisizione dell’onniscenza o scienza innata che gli permette di prendere consapevolezza del passato,del presente e del futuro, del bene e del male(cogliere esattamente il biblico frutto dall’albero della Conoscenza, secondo le regole): il raggiungimento di questo stato è lo scopo supremo della creazione, ovvero l’incarnazione dello spirito divino nella densità della materia; la terza proprietà della pietra è quella trasmutativa, la meno importante ma quella più ricercata dagli avidi e che ha colpito maggiormente l’immaginario popolare: è la capacità della pietra di trasmutare -a sua volta-altre porzioni di metallo in oro.La forma assunta a questo scopo viene chiamata polvere di proiezione,la pietra viene anche chiamata tintura per il suo potere di tingere i metalli vili.Da ciò deriva l’enorme potere di arricchimento detenuto dall’Adepto,che egli userà per scopi strettamente umanitari, avendo egli sviluppato un senso morale parallelo all’elaborazione della pietra e costituendo anzi una conditio sine qua non per la riuscita finale.

    XV Tavola del Mutus Liber:l’apoteosi.La coppia rappresenta le due nature,sole e luna,che unendosi hanno dato vita allo stato divinizzato,alla ‘pietra’.La metafora ricalca le vicende di ERCOLE,che è rappresentato imberbe ed inesperto giacente a terra(sotto).Attraverso le dodici fatiche si è trasfigurato(in alto) nel saggio barbuto e chiaroveggente (la scritta dice ‘Oculatus abis’) che ha raggiunto la coscienza divina e la vita eterna.In mano tiene due rose:bianca e rossa del magistero,mentre la scala è distesa a terra poichè inservibile,ormai: egli ha scalato la vetta e raggiunto lo stato Supremo di Coscienza.

    *l’immagine di apertura mostra la coppia di Adepti che ha ottenuto la ‘pietra’,simboleggiata dal Mercurio dei Saggi ( nella fiala centrale); la loro raccomandazione è contenuta nella scritta:leggere, rileggere molte volte i Testi; dopo aver lavorato, alla fine si potrà trovare la ‘pietra’ , sul segreto della quale occorre tacere. Perchè solo chi persevera con pazienza e onestà morale alla vera Conoscenza di sè stesso, potrà riuscire nell’Impresa, guidato dall’Illuminazione Divina.

    Leggende, miti universali, fiabe…nascondono un significato alchemico specifico,le cui chiavi le detiene solo colui che è in grado di decifrarlo. Così, perfino l’ingenua fiaba di Biancaneve assume un’interpretazione del tutto ‘diversa’ da quella cui siamo abituati.Biancaneve incarna la giovane Vergine,la miniera d’oro.I sette nani o gnomi(dal greco gnosis=conoscenza) sono l’aspetto della materia minerale nei suoi sette prolungamenti(i 7 metalli planetari)ed ognuno ha l’aspetto e il carattere del pianeta che lo domina:Saturno, la Luna,Venere,ecc.Ma è il saturnino (Brontolo)a fornire i maggiori servigi al gruppo e a salvare la situazione in molti casi.Biancaneve è consegnata dalla malvagia regina al cacciatore Verde perchè la faccia morire.Ma si tratta di una morte apparente causata dall’ingestione della mela avvelenata e in seguito la giovane Vergine sposerà il Principe dei suoi sogni che è giovane e bello.Egli incarna il nostro Mercurio Filosofale(negli antichi miti, Mercurio aveva come attributo una eterna giovinezza nel volto e nel corpo).Dall’unione del Mercurio e della Vergine(il principe e Biancaneve) nasce la conclusione di tutte le fiabe: vissero felici e contenti ed ebbero molti bambini…La moltiplicazione ermetica ottenuta grazie alla Pietra, risponde all’insegnamento della Genesi” Crescete e moltiplicatevi”.

    (Ricerca Raccolta da Marisa U.)-2004

    Dove trovare testi interi di alchimia e materiale bibliografico:

    https://www.levity.com/alchemy (sito in inglese)

    Per approfondire i lavori della tradizone ermetico-cristiana, il link della biblioteca fondata da J.R.Ritman, nel 1957:

    https://www.ritmanlibrary.nl (sito in inglese)

    Altri link: (in italiano)

    https://www.cronologia.it/mondo42a.htm

    https://www.riflessioni.it/lettereonline/natale_tradizioni.htm

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    IL COPRICAPO DI FRATE ELIA

    IL COPRICAPO DI FRATE ELIA
    (Paolo Galiano)

    Non conosciamo quale sia l’aspetto fisico di Frate Elia, perché non è pervenuto fino a noi un suo ritratto risalente al tempo in cui era in vita ma solo disegni e dipinti di epoca posteriore. Purtroppo la croce lignea opera di Giunta Pisano, voluta nel 1236 da Elia per la chiesa superiore di Assisi dedicata a Francesco, è andata perduta: in essa sappiamo, per una testimonianza di quattro secoli successiva, che Elia era raffigurato in ginocchio ai piedi della croce e Giunta Pisano ovviamente non poteva non avere riprodotto la vera effigie di Elia.

    Il crocefisso era appeso alla trave lignea del soffitto nel punto in cui la navata centrale era separata dal presbiterio, e a causa della sua collocazione così in alto, nei secoli seguenti nessuno aveva notato l’immagine né la scritta che l’accompagnava, fin quando i frati non calarono il crocefisso nel 1623, in occasione della consacrazione del cardinale Francesco Boncompagni da parte del vescovo di Perugia Marcello Crescenzi.

    L’anno successivo per fortuna, visto che negli anni seguenti la croce andò distrutta per l’incuria dei frati o per opera dei tarli, il Crescenzi lo descrisse in un’epistola indirizzata al cardinale Federico Borromeo riportando la scritta presente nella parte inferiore, in cui erano dichiarati il nome del committente, dell’autore e la data di esecuzione: “Iscrittione trovata à piedi del Crocifisso della chiesa supre di san Francesco d’Assisi con l’Effigie di f. elia: Frater Elias fecit fieri. Iesu Christe pie, miserere precantis Eliae. Guncta [sic per Giunta] pisanus me pinxit. Anno D. MCCXXXVI Indictione nona”. Il Crescenzi descrive soltanto il vestito di Elia senza accennare al suo copricapo: “con l’Habito di s. Francesco, che è da Cappuccino, con le scarpe all’Apostolica e con l’iscrittione che mando qui inclusa”.

    Il Crescenzi conclude dicendosi pronto ad inviare il Crocifisso al cardinal Borromeo “se le fosse a grado la detta Effigie di Frate Elia e a volermi accennare come possa inviargliela”: purtroppo, come annota il Rotondi, “è a dolere che il Cardinale non accogliesse la cortese profferta… possederemmo un’altra copia del vetusto dipinto da poter utilmente confrontare con le copie più recenti che tutte derivano da quella conservata un tempo a Cortona”.

    L’effigie di Frate Elia infatti venne dipinta quando il Generale dei frati minori era in vita e costituirebbe un documento prezioso se la croce non fosse andata perduta o distrutta, ma di essa vennero fatte copie nello stesso secolo del, per così dire, “ritrovamento”, in particolare un’incisione che si conserva al Museo francescano di Roma e un quadro che si trovava nella chiesa di S. Maria della Concezione, sempre a Roma, immagini dalle quali dipendono le successive, sia il dipinto presente nella chiesa di S. Francesco a Cortona , sia i disegni che accompagnano la storia di Frate Elia in testi scritti sia da storici francescani che laici.

    In tutte le immagini si può vedere come Frate Elia indossi un singolare copricapo, una sorta di cappello bombato e allungato, sul quale non vi è accordo tra chi ne riconosce l’esistenza e chi invece ritiene sia una falsa immagine dovuta alla cattiva conservazione della figura originale nella perduta croce di Assisi, coperta dallo sporco dei secoli e dalla fuliggine dei ceri.

    Vi è infatti chi, come lo storico dell’arte Faranda, è dubbioso che ciò che si vede nelle più antiche riproduzioni possa essere un qualche cappello e parla di “un improbabile copricapo che non trova riscontro nella descrizione del Vescovo di Assisi”, la cui esistenza sarebbe dovuta alla “scarsa leggibilità dell’opera in quel momento… Essa infatti cozza con la descrizione del vescovo di Assisi che ricorda il frate con l’abito da cappuccino” ma senza alcun copricapo di così singolare foggia. Per tale motivo Faranda ipotizza “che la ‘berretta’ altro non fosse che la tonsura celata da uno strato di sporco che offuscando l’immagine può aver suggerito l’idea di un copricapo inusuale nell’iconografia francescana”. In effetti questo copricapo riprodotto nelle immagini dei secoli seguenti il “ritrovamento” del Crocifisso è inusuale per l’abito non solo francescano ma, più in genere, monastico.

    La maggior parte degli storici, come anche la Catholic enciclopedia s. v. Frater Helias, parla invece di un “berretto armeno” senza ulteriori specificazioni, come riporta anche Faranda nel suo articolo: “Recentemente Fornari (cfr. Fornari Carlo, Federico II e San Francesco. Ed. All’insegna del Veltro, Parma 2005, p. 46) giustifica il cappello anche con la nota di fra Salimbene che dice che il frate ‘… portava sul capo un berretto all’armena’ (ibidem p. 48).

    La nota di fra Salimbene però fa riferimento a un altro contesto. Frate Elia riceve il podestà di Parma Gerardo da Correggio nella sala da pranzo degli ospiti ‘seduto su di un letto con cuscino, e aveva un grande fuoco davanti a se e portava sul capo un berretto all’armena’… (cfr. Cronica di Salimbene de Adam in “Fonti Francescane”, ed. il Messaggero, Padova 1990, IV edizione, p. 2109)”.
    Ancora nell’800 era in uso presso i popoli della Persia, in cui al tempo era compresa l’Armenia, un copricapo in pelle molto simile a quello che si vede nelle immagini di Frate Elia.

    Che il “berretto all’armena” di cui parla Salimbene da Adam fosse adoperato in quei tempi e che lo adoperasse proprio Frate Elia pobe confermarlo un complesso disegno del ms Gamma P.4.14 della Biblioteca Universitaria Estense di Modena descritto dal Carbonelli.

    Il codice in questione è costituito da tre manoscritti assemblati insieme, di cui il I e il III sono di inizio XVI sec. mentre il II, a cui appartiene il disegno, è della metà del XIV sec. Il disegno, accompagnato da scritte e molto complesso nel suo insieme, raffigura la ricerca del segreto dell’Opera da parte degli alchimisti i quali, dapprima bendati in segno della loro ignoranza, ricevono da un angelo la chiave che apre la porta di accesso al consesso dei saggi, Aristotele, Morieno, Geber e Avicenna, i quali apprendono i segreti dell’Arte da un philosophus senza nome che a sua volta indica come autorità Ermogene, alchimista nominato nel Liber lilium (forse da intendersi come Ermete, visto che è detto “qui triplex fuit in philosophia”, attribuzione del Trismegisto).

    Si noti un particolare interessante: il simbolo in alto sopra il cerchio maggiore con cui è designato l’Oro non è il noto simbolo del cerchio con il punto al centro ma quello molto più antico a forma di cornucopia, quale si trova nelle opere dell’Alchimia greco-bizantina trascritte in codici dell’XI sec.

    Come si può vedere nell’immagine tutti gli alchimisti senza eccezione portano sul capo un “berretto all’armena” che è perfettamente identico a quello delle raffigurazioni di Frate Elia: quale possa essere il significato di tale copricapo e perché un alchimista nel XIII sec. adoperasse un indumento che era considerato tipico dell’Armenia non è possibile al momento dirlo, ma sembra di poter dedurre che esso costituisse una sorta di attributo specifico di questi sapienti, per cui lo si potrebbe intendere come un ulteriore conferma dell’attività di Frate Elia come alchimista.

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    DIRITTI CIVILI E ISLAM.. G. GARIBALDI DIXIT

     

    1. Diritti civili e Islam, Giuseppe Garibaldi Dixit

    di Aldo A. Mola

    La copertina dell’edizione anastatica di “Clelia, il Governo dei preti” a cura di A.A.M. nella collana “Il Feuilleton” diretta da Giovani Arpino (Torino, Meb, 1973). In “La mietitura del turco” Giosue Carducci (1835-1907) nel giugno 1897 sferzò l’ignavia dell’Europa centro-occidentale (sempre uguale a se stessa: impotente) a cospetto delle stragi degli armeni e dei greci. Scrisse: «Il Turco miete. Eran le teste armene/ che ier cadean sotto il ricurvo acciar:/ ei le offeriva boccheggianti e oscene/ a i pianti dell’Europa a imbalsamar.// (…) Il Turco miete. E al morbido tiranno/ manda il fior delle elleniche beltà./ I monarchi di Cristo assisteranno / bianchi eunuchi a l’harem del Padascià.»
    In soccorso dei greci si mosse una legione di volontari garibaldini, guidato da Ricciotti Garibaldi. Nella battaglia di Domokòs (17 maggio 1897) cadde anche il cinquantaduenne forlivese Antonio Fratti, patriota e deputato alla Camera.

     

    Lo Stato d’Italia è uno “stato di diritto” da quando, nel 1861, il Regno fece proprio lo Statuto albertino del 4 marzo 1848 il cui articolo 24 recita: “Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono uguali dinnanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili e militari, salvo le eccezioni determinate dalle leggi”. La confessione religiosa cessò di essere discriminante. Col tempo la libertà di coscienza garantita dallo Statuto divenne costume condiviso, grazie a uno stuolo di spiriti universali. Non accadde altrettanto in regimi teocratici, che subordinano i diritti dei cittadini a una confessione religiosa. Lo spiegò Garibaldi nei suoi romanzi, scritti “per il popolo”.

    La scimitarra sull’Europa…

    Nei suoi ultimi anni Giuseppe Garibaldi (Nizza, 4 luglio 1807-Caprera 2 giugno 1882) affinò il proprio pensiero politico. Nel 1860, messa a segno l’impresa dei Mille, senza la quale l’unità d’Italia non sarebbe mai nata, vaticinò gli Stati Uniti d’Europa. Dal 1870, dopo la guerra franco-germanica, in cui combatté a fianco dei francesi contro il militarismo prussiano, e la “Commune” del 1871 (da lui deprecata), invocò la “debellatio” dell’impero turco che opprimeva l’Europa orientale. Unì motivi religiosi e culturali a ragionamenti politici tuttora attuali. Se ancor oggi Costantinopoli è Istanbul lo si deve alla “diplomazia” di Londra e Parigi: è la pesante eredità della Guerra dei Trent’anni (1914-1945), quando i vincitori, pur in presenza dello sfascio dell’impero ottomano, lasciarono ad Ankara la cosiddetta “Turchia europea” per interdire alla Russia l’accesso dal Mar Nero al Mediterraneo attraverso gli Stretti. La miopia si paga nei secoli. Se la cosiddetta Unione Europea (irrilevante sotto il profilo politico e quindi militare) volesse per Costantinopoli una sorte migliore, dovrebbe accogliere la Turchia che ha cancellato la memoria di Ataturk e aspira a restaurare il Califfato islamico.

    Garibaldi aveva idee chiare sulla Sublime Porta…

    C’è un Garibaldi quasi sconosciuto. Molto oltre il corsaro, il guerrigliero, il generale, vi è il politico: alfiere della fratellanza universale e, proprio perciò, strenuo fautore della lotta per sottrarre l’Europa alla dominazione dei turchi e all’invadenza dell’Islam. Garibaldi ne scrisse ripetutamente nel suo ultimo decennio, il meno studiato e pressoché sconosciuto. Così la sua lotta contro il dominio ottomano su qualunque lembo d’Europa e contro la propagazione dell’islamismo (ideato sei secoli dopo il cristianesimo e che non ha mai fatto i conti con la Rivoluzione francese) rischia di rimanere ignorata. È un Garibaldi scomodo. Perciò vi sono buone ragioni per parlarne. Il Generale mostrò senno politico superiore a quello che di rado e avaramente gli viene riconosciuto. Il suo anticlericalismo radicale, solitamente ritenuto circoscritto alla chiesa cattolica, investì ogni forma di intrusione delle religioni nella vita civile e nella libertà delle persone. La sua lotta per la liberazione dello spazio euro-mediterraneo dai “turchi” andò però molto oltre l’ambito religioso. Fu lotta politica, legata alla valutazione positiva dell’espansione degli europei Oltremare e della colonizzazione dell’Africa settentrionale (programma condiviso da Mazzini) da parte della “civiltà occidentale”, razionale, fondata sull’intreccio di scienze, produzione, mercato, progresso civile. Garibaldi non ingabbiava il Libero Pensiero in pochi meridiani e paralleli: per lui era patrimonio universale. Considerava sua missione propugnarlo ovunque. A quel modo fu “eroe dei due mondi”, etichetta altrimenti futile.

    Nelle Memorie Garibaldi ricordò la sua lunga dimora a Costantinopoli, una pagina avvolta nel mistero. I biografi la saltano a pie’ pari. Ammalatosi in uno dei tanti viaggi in Oriente (di quale morbo?), vi rimase più del previsto e si trovò alle strette: «La guerra accesa tra la Russia e la Porta (cioè l’impero turco, detto Sublime Porta, NdA) contribuì a prolungare il mio soggiorno. In tale periodo mi successe per la prima volta di impiegarmi a precettore di ragazzi, offertomi dal signor Diego, dottore in medicina, e che mi presentò alla vedova Timoni, che ne abbisognava. Entrai in quella casa maestro di tre ragazzi, e profittai di tale periodo per studiare un po’ di greco, dimenticato poi, siccome il latino che avevo imparato nei prim’anni.» I maligni imbastirono molte insinuazioni su quella lunga stagione. Garibaldi ci tornò con una pennellata quando, molti decenni dopo. In una pagina di appunti fustigò “Il prete”: «Si chiami egli prete, Ministro, dervista, Calogero, Bonzo, Papas, qualunque nome egli abbia, a qualunque religione egli appartenga, il prete è un impostore, il prete è la più nociva di tutte le creature, perché egli più di nessun altro è un ostacolo al progresso umano, alla fratellanza degli uomini e dei popoli. Io ho percorso la superficie del globo. In Turchia fui obbligato di fuggire davanti ad una folla di ragazzi e di donne, perché i preti dicevan loro ch’io era un maledetto! In Cina mi successe lo stesso, e voi giunti a Canton, la più frequentata e commerciale delle città Chinesi, non potete visitarla perché sareste lapidato dalla moltitudine suscitata dai preti.»

    … e sull’islamismo

    L’avversione di Garibaldi nei confronti dell’islamismo non è una cappella laterale della sua vastissima basilica anticlericale. Non è dottrinale, teologica. È propriamente politica. Dall’infanzia aveva appreso, e non solo per racconti popolani ma per esperienze vissute, il pericolo dei “pirati”. Nizza, la sua città, ricordava devastanti incursioni delle flotte turche nel Cinquecento, propiziate dall’alleanza tra Parigi e Istanbul (dal 1453 soggiogata da Maometto II) contro il Sacro romano impero di Carlo V e la Spagna di Filippo II: un gioco diplomatico continuato con Luigi XIV sino a Napoleone III (alleato con Londra, Parigi e l’impero turco contro la Russia di Nicola I: la “guerra di Crimea” decantata dalla storiografia italocentrica per l’intervento del regno di Sardegna a fianco del Sultano). Sulla fine degli Anni Venti dell’Ottocento la pirateria barbaresca rimaneva così minacciosa e dannosa da indurre la Francia di Carlo X, il Piemonte di Carlo Felice e le Due Sicilie di Francesco I di Borbone a una spedizione navale comune. Vi si distinse Carlo Mameli dei Mannelli, padre di Goffredo.

    Nel 1827, ricorda il dotto garibaldologo e confratello Maurice Mauviel, il “Cortese”, brigantino sul quale viaggiava il ventenne Garibaldi, fu assalito da corsari. Il comandante, Semeria, ordinò agli uomini di non opporre resistenza per non avere la peggio. In seguito il giovane nizzardo subì due altri assalti pirateschi, mortificanti e umilianti. Gli rimasero fissi nella memoria. Ne scrisse in Manlioromanzo contemporaneo, al quale lavorò sino all’ultimo giorno. Vi descrisse i Riffegni (abitanti del Riff, sull’Atlante marocchino, da lui ben conosciuto nel 1849) e l’Assalto di pirati alla nave “Libertà” che, al comando del capitano Schiaffino, eroe della repubblica Romana, recava “Manlio”, di soli cinque anni, verso lo stretto di Gibilterra alla volta dell’America meridionale. In quelle pagine Garibaldi non parla di “arabi”, né di “turchi”. Vi scrisse: «Come il leone, il Riffegno è bello e forte. Non so se, figlio dell’Atlas, egli si debba chiamare di stirpe caucasea. Ignorante, fiero, feroce, e considerando tutto ciò che non è mussulmano, eretico e niente più d’un cane, il Riffegno è naturalmente pirata; e molti furono gli equipaggi (sic) di legni mercantili sgozzati quando trattenuti dalle calme presso coteste coste inospitali.»

       Manlio non è un romanzetto qualunque. È il “testamento politico” di Garibaldi. Un suo capitolo è un susseguirsi di colpi e di grida, culminanti in una sorta di seconda Lepanto liberopensatrice: «MarsalaMarsala rispondeva un garibaldino all’Allah Urrah degli Ottomani e  si lanciava seguito dai suoi alla riscossa dei difensori della prora.» La battaglia navale vi viene infine risolta da “Vero”, che, precedentemente ferito e curato dal piccolo Manlio, lascia febbricitante la cabina ove è ricoverato al grido «All’armi…Qui non si tratta di bende ma della pelle (sic!) Avanti fratelli!».  “Vero” (nel quale Garibaldi si identifica) a colpi di revolver e di «un coltellaccio che teneva in cintura fece strage orrenda tra i barbareschi, e così i compagni, spinti dall’esempio del valoroso capo e per la propria conservazione».

    Estirpare il fondamentalismo dall’Europa…

    Sarebbe però meschino ridurre il pensiero di Garibaldi sull’insanabile incompatibilità fra impero turco e civiltà europea a mero riflesso di vicissitudini personali. Esso esprime una visione geopolitica di ampio orizzonte, nell’ambito della guerra secolare tra diritti dell’uomo e del cittadino civili e islam.

    Prosatore esondante, Garibaldi sapeva controllare la penna quando necessario. Perciò i suoi scritti vanno centellinati e capiti, più e meglio di quanto sinora sia stato fatto. Il 5 maggio 1873 scrisse al fido Timoteo Riboli, medico, massone, fondatore della lega per la protezione degli animali: «Mentre l’Europa progredisce che fa l’Italia? Non accenneremo ai miserabili suoi governanti già condannati dal disgusto universale, ma bensì alla parte virile e generosa che forma la sua democrazia, prodotto delle cento chiesuole in cui la dividono i suoi Archimandriti, Massoni, Mazziniani, Internazionalisti, sono egualmente fautori dell’indolenza democratica in Italia, e quindi del trionfo effimero ma reale dell’oppressione e della menzogna…». Pigiava su tasti suonati da tempo: riforme per guarire la “gran piaga della miseria”, rifiuto del programma dell’Internazionale (confisca della proprietà privata e dei diritti ereditari…) e condanna della scioperomania che avrebbe precipitato l’Italia nel disastro.

    Non parlava per sé. “Agricoltore” (come si classificò alla Camera), Garibaldi era una “filosofia politica in azione”, campione di una guerra di liberazione culturale e politica, come osservò Aldo G. Ricci in “Obbedisco. Un eroe per scelta e per destino” (Ed. Palombo). Per lui l’Occidente era contrapposto alla Turchia in un conflitto di civiltà. Lo scrisse il 4 marzo 1876 a Ferdinando Dobelli, rispondendo all’appello della gioventù slava: «La diplomazia del ventre fu incapace di prevenire l’iniziativa del macello umano. I preti nel connubio dei turchi e satolli del loro oro, hanno lanciato l’anatema contro i seguaci della croce. Ed i settari del palo, dopo d’aver lottato per tenerlo in piedi, devono oggi conformarsi allo slancio degli schiavi che preferirono la morte al servaggio. E voi, ricordatevi di tutti gli oltraggi ricevuti dai feroci ed osceni discendenti di Maometto. Il turco deve passare il Bosforo e solo alcuni ottomani, senza preti, potranno convivere, se onesti, coi loro antichi schiavi. Invalido, io invio un saluto del cuore ai fieri campioni della libertà orientale.» Non nutriva dunque alcuna ostilità nei confronti della popolazione turca ma ne aveva contro il regine teocratico che la opprimeva.

    Il Solitario contro l’oscurantismo

    Contro la “pax” immobilistica dettata dal Congresso di Vienna nel 1815, ribadita da quello di Parigi del 1856 e dal concerto europeo che di conflitto in conflitto riportava il Vecchio Continente ai confini e alle logiche della Restaurazione, Garibaldi pose il problema delle “nazioni senza stato”, dei popoli inchiodati alle tavole di spartizione delle grandi potenze. In lui vibrava il Risorgimento, lo spirito che aveva fatto nascere l’Italia a Stato indipendente, unica nazione emersa per somma di fortune dalla Restaurazione del 1814-15 e dalla repressione della primavera dei popoli (1848-1849).

    Agli occhi di Garibaldi la presenza della Turchia in Europa era una cappa di piombo sulla storia. Bisognava liberarsene. Non per motivi etnici, ma perché bastione del fondamentalismo oscurantista. L’occasione sembrò profilarsi dal 1875 con le rivolte antiturche, dalla Bosnia alla Bulgaria, represse dalla Sublime Porta grazie al sostegno della Gran Bretagna, sospinta dai suoi soliti calcoli geopolitici e da interessi finanziari. Il 17 luglio 1877 Garibaldi scrisse al marchese Filippo Villani: «Mandare i Turchi in Asia, ecco il provvedimento efficace per gli schiavi dell’Europa Orientale; ogni altra misura sarà una tappa di guerra.» Ma bisognava vincere gli intralci della diplomazia, come ruvidamente vergò nel Romanzo contemporaneo: «In questi ultimi tempi, massime per la questione orientale, si è manifestato nel mondo quanto di lurido esiste ancora nell’umana famiglia. L’Austria ha fatto il suo dovere di aquila o piuttosto d’avvoltoio, sostenendo sordamente la causa dell’oppressore e accatastando ogni specie d’ostacoli all’Europa Orientale. Essenzialmente tiranna essa ha fatto quanto doveva. Ma l’Inghilterra, la terra universale d’asilo, l’emancipatrice degli schiavi, non doveva, guidata da un Ebreo [lord Disraeli, NdA] lasciarsi condurre all’esterminio dei poveri servi ed al sostegno di tiranni esecrabili. No! Ed io raccapriccio pensandovi! […] E i preti? Peste dell’umana famiglia, hanno fatto causa comune coi massacratori degli innocenti.»

    Nel Manlio Garibaldi passò dalle staffilate contro il clero a quelle specifiche contro «il Turco, che più cristiani uccide e più titoli acquista ai godimenti ed alla gloria dell’immorale suo paradiso e, codardo come sono generalmente gli uomini sanguinari, si diverte a impalare, mutilare, squartare uomini inermi, donne, bambini!!!».

    Sospinto dall’orrore, il “Solitario” (come Garibaldi si autodefinì in Clelia) sognò una guerra di liberazione del Mediterraneo dal dominio turco, a cominciare dall’isola di Creta: «Giunta la flotta italiana sulla rada di Canea, v’incontrò la turca, composta di cinque corazzate e se ne impadronì. Mi si chiederà con quale diritto. Ed io risponderò: collo stesso diritto con cui Maometto Secondo si impadroniva di Costantinopoli ed i pirati turchi delle nostre donne, bambini, uomini, etc., per farne degli schiavi…» Non erano sfoghi letterari ma ragionamenti politici. Al marchese Villani il 15 marzo 1878 da Caprera scrisse: «Dunque dopo tanto sangue versato risulterà nell’Europa Orientale uno di quei mostruosi pasticci di cui la diplomazia va famosa. Cosa è questa lunga Turchia che dal Bosforo si estenderà all’Adriatico, passando sul corpo della Bulgaria quasi indipendente, o tra questa e la Serbia da una parte, la Macedonia e la Tessalia dall’altra, le di cui popolazioni se hanno un’ombra di dignità dovranno mantenersi in uno stato perenne d’insurrezione? Quando io dissi al principio di questa guerra: i Turchi dover passare il Bosforo per poter ottenere una pace durevole, e tale è pure la mia opinione d’oggi, ma i turchi che intendano ciò solo: il sultano, le sue odalische, i suoi eunuchi e l’immensa caterva di preti ottomani, non già la popolazione turca onesta e laboriosa che di quanti popoli abitatori del Levante è la migliore. Tale emigrazione sarebbe impossibile, converrebbe però non lasciar in Europa un solo prete turco, che basterebbe a seminar la zizzania in tutta la confederazione; e le moschee cambiar in scuole, ove s’insegnerebbe la religione del vero.»

    Garibaldi sperava in un Congresso che esercitasse l’arbitrato internazionale, la ricerca di una soluzione pattizia dei conflitti nel rispetto della libertà dei popoli, che avrebbe comportato con sé la libera navigazione nel Mar Nero (rumeno perché daco-romano) e negli Stretti.

    La pace di Santo Stefano e il congresso di Berlino del 1878 dettero tutt’altri risultati: la Gran Bretagna s’impadronì di Cipro e ne fece l’isola della divisione, del conflitto permanente, quale ancora rimane: un equivoco irrisolto nel Mediterraneo orientale. E il gran Malato d’Oriente divenne sempre più la polveriera della futura conflagrazione europea, esplosa nell’estate 1914 dopo la guerra italo-turca per la sovranità sulla Libia e tre guerre balcaniche in due anni: groviglio inestricabile, letto di procuste sul quale la diplomazia inetta inchiodò l’area balcanica.

    Il Solitario aveva intravveduto e suggerito la soluzione, ma non ne vide l’approdo ultimo. Nel 1897 Creta insorse ma l’Europa fu solidale con la Sublime Porta nella repressione, come deplorò Giosue Carducci in versi staffilanti. La grande guerra si concluse sul versante orientale con la pace di Sèvres, che lasciò gli Stretti ad Ataturk (massone, sì, ma, come tanti altri “fratelli”, solo sino a quando gli fece comodo) in cambio dell’adozione dell’alfabeto latino e di una parvenza di “laicizzazione”. La seconda guerra mondiale lasciò le cose com’erano, per una somma di errori e nefandezze delle diplomazie, oggi incombenti sull’Unione Europea, a sua volta incapace di politica estera di vasto respiro.

    Aveva ragione il Solitario di Caprera. Il cui pensiero perciò venne ignorato: troppo scomodo, sempre attualissimo.

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