DE UMBRIS IDEARUM

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Le ombre delle idee

Titolo originale De umbris idearum

Illustrazione dal “De umbris idearum”, concetto primo

Autore Giordano Bruno

1ª ed. originale 1582

Genere trattato

Sottogenere      filosofia

Lingua originale                latino

Modifica dati su Wikidata · Manuale

De umbris idearum (“Le ombre delle idee”) è un’opera in latino del filosofo Giordano Bruno pubblicata a Parigi nel 1582 dalla tipografia E. Gourbin in un unico volume insieme all’Ars memoriae (“Arte della memoria”). Considerato un trattato di mnemotecnica, il volume è così diviso in due parti, la prima di carattere teorico, la seconda di carattere pratico.

Indice

    1 Generalità

    2 Il testo

    3 Contenuti

        3.1 L’intelletto e le idee

        3.2 L’ombra e la conoscenza

        3.3 L’ordine universale

    4 Note

    5 Bibliografia

    6 Altri progetti

Generalità

«Quest’ombra, pur non essendo verità, deriva tuttavia dalla verità e conduce alla verità; di conseguenza, non devi credere che in essa sia insito l’errore, ma che vi sia il nascondiglio del vero.»

(Bruno 2008, p. 72, quattordicesimo modo)

Il volume è dedicato a Enrico III di Francia, presso la cui corte Bruno in quegli anni soggiornava in qualità di membro del prestigioso collegio dei lecteurs royaux. Racconterà Bruno agli inquisitori veneti che il Re lo aveva chiamato a corte per chiedergli dimostrazione delle sue facoltà mnemoniche, cosa che egli fece. L’arte di memorizzare ha una lunga tradizione, che risale alla Grecia antica, e il cui interesse era particolarmente vivo in quei secoli.

Preceduto da quattro componimenti poetici e da un dialogo introduttivo, i cui protagonisti sono Hermes, Philotimus e Logifer, il De umbris è suddiviso in due sezioni: Triginta intentiones umbrarum (“Trenta modi di intendere le ombre”), che individua i modi coi quali si percepiscono le ombre, intese come le immagini della realtà; Triginta conceptus idearum (“Sui trenta concetti delle idee”), dove Bruno individua il nesso che sussiste fra idee e ombre.

Nella visione del filosofo, l’universo è un corpo unico, organicamente formato, con un preciso ordine che struttura ogni singola cosa e la connette con tutte le altre. Fondamento di quest’ordine sono le idee, principi eterni e immutabili presenti totalmente e simultaneamente nella mente divina, ma queste idee vengono ombrate e si separano nell’atto di volerle intendere. Nel cosmo ogni singolo ente è dunque imitazione, immagine, ombra della realtà ideale che la regge. Rispecchiando in sé stessa la struttura dell’universo, la mente umana, che ha in sé non le idee ma le ombre delle idee, può raggiungere la vera conoscenza, ossia le idee e il nesso che connette ogni cosa con tutte le altre, al di là della molteplicità degli elementi particolari e del loro mutare nel tempo. Si tratta allora di cercare di ottenere un metodo conoscitivo che colga la complessità del reale, fino alla struttura ideale che sostiene il tutto.

Tale mezzo si fonda sull’arte della memoria, il cui compito è di evitare la confusione generata dalla molteplicità delle immagini e di connettere le immagini delle cose con i concetti, rappresentando simbolicamente tutto il reale. Qui Bruno si riallaccia al lullismo, quella corrente di seguaci di Raimondo Lullo, filosofo e religioso catalano, che vede nell’arte della memoria un sistema chiarificatore della realtà. Nelle intenzioni di Bruno l’arte della memoria non è quindi soltanto uno strumento per favorire la memoria, bensì un mezzo che basandosi su principi metafisici, consente una comprensione della realtà, mnemotecnica e gnoseologia sono dunque interconnesse.

Il testo

Illustrazione dal “Trentesimo modo”. Nel punto D sono contenuti in potenza i vertici di infiniti angoli al tendere di C verso B, e dunque nel punto C sono possibili infiniti atti, visualizzabili nei punti E, F, eccetera. Questa infinita potenzialità in D è un’analogia geometrica con la quale Bruno mostra come l'”idea” dell’angolo corrisponda a “ombre” infinite.

Le quattro poesie che precedono il testo sono: Filoteo Giordano Bruno all’amico e studioso lettore; Merlino all’artista; Merlino al giudice sobrio; Merlino al giudice adeguato.

Nel dialogo introduttivo è Ermes a presentare il testo: egli ha fra le mani questo libro, “Ombre delle idee”, ma non sa se divulgarlo o meno. Filotimo e Logifero discutono sulla questione con pareri discordanti. Ermes conclude dicendo che il libro è di difficile comprensione, riguarda l’arte della memoria ma apre la via anche ad altro. Nella finzione del dialogo, Filotimo dà voce all’autore stesso; Logifero impersona un pedante che prende posizione contro l’arte della memoria, mentre Ermes fa riferimento a Hermes Trismegistus, personaggio mitico ritenuto fondatore di una corrente filosofica nota come ermetismo.

Nella prima parte, “Trenta modi di intendere le ombre”, l’autore espone similitudini e differenze fra ombra fisica e ombra nel senso qui utilizzato. Nella seconda, “Sui trenta concetti delle idee”, egli spiega i vari tipi di ombre, invitando a concepirli prima in senso assoluto, poi in relazione ai modi di intenderli prima esposti Contenuti

L’intelletto e le idee

Riallacciandosi a Plotino, Bruno definisce le “idee” come quegli enti che dànno forma a tutte le cose del mondo (le quali cose mutano in continuazione). E così, da ogni cosa è possibile risalire alla rispettiva idea, pur se di queste idee noi percepiamo solo “ombre”. L’esistenza delle idee implica l’esercizio di una volontà e non è quindi compatibile col caso: questo primo efficiente è l’intelletto primo, o universale, il quale ha in sé tutte le idee e le emana ininterrottamente. Le idee possono considerarsi nella luce se per “luce” si intende l’intelligibilità, che è appunto la qualità dell’intelletto.

L’ombra e la conoscenza

Il tema centrale dell’opera è quello del carattere “umbratile” della conoscenza umana, cioè una conoscenza offuscata, imperfetta, strettamente connesso all’altro, quello del rapporto fra ciò che è umano e ciò che è divino. Fra uomo e Dio, per Bruno, non vi è proporzione, e il rapporto che sussiste fra uomo e Dio è analogo, da un punto di vista metafisico, a quello che c’è fra ombra e luce, o meglio: fra l’ombra e l’idea:

«Non è infatti tanto potente la nostra natura da dimorare per sua capacità nello stesso campo del vero. […] E quello che è vero e buono è unico e primo.»

(Bruno 2008, p. 59, primo modo)

“La scala della discesa e dell’ascesa”, illustrazione da De ascensu et descensu intellectus, testo di Raimondo Lullo, 1512

Ciò che è vero, è dunque unico: è Dio, ed è proprio quello delle “ombre” il luogo nel quale l’uomo vive riconoscendosi distinto da Dio, intelletto primo, colui che ineffabilmente emana le “idee” a mo’ di luce, luce assoluta. Riconosciuta questa differenza strutturale, all’uomo che aspira alla conoscenza resta l’ombra, che pur non essendo luce, dalla luce deriva, e in quanto tale contiene racchiusa la via verso il divino, il vero.

Nel “settimo modo” Bruno scrive infatti che così come dall’unità dell’ente universale tutte le infinite cose del modo discendono migrando dalla luce alla tenebra, «niente impedisce che […] gradatamente le infime cose siano richiamate alle supreme». Il luogo di incontro della luce e delle tenebre è proprio l’ombra, «orizzonte del bene e del male, del vero e del falso». La visione umbratile è dunque imperfetta in quanto non pienamente luminosa, ma le cose nel mondo sono tutte fra loro interconnesse in un «ordine mirabile», e l’arte della memoria può ricreare artificialmente questo insieme di connessioni, permettendo la conoscenza di quell’ordine che normalmente non è accessibile.

L’ordine universale

Le cose nel mondo derivano dalle idee, idee a loro volta emanate dall’intelletto universale che le contiene tutte infinitamente e totalmente. Se la sorgente è dunque unica Bruno conclude che necessariamente tutte le cose nel mondo devono allora conservare in qualche modo la matrice comune: «uno solo l’ordine, uno solo il governo. Bruno intuisce così l’esistenza di un ordine universale, una catena infinita di connessioni che unisce ogni cosa a tutte le altre come parti di un unico organismo. Interagendo con le cose, noi percepiamo le ombre delle idee, e memorizzando la nostra mente può immaginare tale ordine, effetto di quella unità originaria che tutto emana, ricostruire per similitudine il macrocosmo. Così come l’ombra si pone fra la natura e il divino, la memoria si situa fra l’intelletto umano e quello universale, consentendo di scalare quella «catena aurea» fra la terra e il cielo, fra uomo e Dio.

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ROSA+CROCE

ROSA+CROCE

Un libello misterioso. Cassel (Germania), 1614: tra gli eruditi della città non si parla d’altro che di un misterioso libello pubblicato anonimamente. Porta (come era consuetudine allora) un titolo dalla lunghezza smisurata: “Riforma universale e generale dell’intero Universo. Seguita dalla ‘Fama fratemitatis’ dell’Onorevole Confraternita della Rosa+Croce, indirizzata a tutti gli uomini dotti e ai sovrani d’Europa, e da una breve risposta inviata dal signor Haselmeyer, il quale per questo motivo è stato arrestato e gettato in prigione dai Gesuiti e incatenato su una galera. Ora data alle stampe e resa nota a tutti i cuori sinceri”. Il pamphLet racconta, tra l’altro, la straordinaria vicenda di un personaggio vissuto quasi tre secoli prima della pubblicazione e, fino ad allora, assolutamente sconosciuto: Christian Rosenkreutz.

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Johann Valemin Andreae

diffusore del credo rosicruciano, grazie al suo volume intitolato “Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz”, pubblicato nel 1549.

Egli sarebbe nato in Germania nel 1378; educato in convento, era vissuto nel mito della Terrasanta. A 16 anni avrebbe raggiunto l’attuale Yemen dove un gruppo di saggi lo avrebbe atteso: erano gli ultimi iniziati della SETTA DEGLI ASSASSINI di Al Hasan lbn As-Sabbah, il Vecchio della Montagna, morto ormai da due secoli. Presso di loro, Christian avrebbe appreso l’arabo, la matematica, la fisica. Soprattutto, avrebbe avuto modo di leggere il Liber M, volume che era stato compilato nella notte dei tempi da una società iniziatica e che conteneva conoscenze segrete in grado di dissipare le tenebre. Dopo essere stato illuminato da questa lettura, Rosenkreutz sarebbe ritornato in Germania, e avrebbe raccolto presso di sé pochi uomini fidati con i quali aveva in seguito dato vita alla CONFRATERNITA DELLA ROSA+CROCE, ripromettendosi di tenerne celata l’esistenza per almeno 100 anni. Christian sarebbe morto poi ultra centenario nel 1484, forse a Fez, in Marocco; il luogo della sua sepoltura avrebbe dovuto essere mantenuto segreto, anche se Rosenkreutz aveva promesso che,120 anni dopo la sua morte, esso sarebbe stato scoperto, e lui sarebbe risorto. Secondo la leggenda così sarebbe accaduto: nel 1604 il suo sepolcro, sulla cui porta murata sarebbe stata fissata una piastra di metallo con l’iscrizione Tra cento vent’anni mi aprirò, sarebbe stato ritrovato, e, come egli aveva promesso, Christian avrebbe ripreso vita, dettando ai propri discepoli i libri segreti dell’Ordine e ritirandosi poi in un luogo lontano.

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La scoperta del Monte dei Filosofi

(incisione del 1604)

            Come mai nessuno aveva mai sentito parlare di Christian Rosenkreutz? Non tanto perché era stato veramente protetto dal segreto che aveva richiesto sulla sua fine quanto perché, con quasi assoluta certezza, non era mai esistito. Lo stesso suo nome, che unisce i termini Cristiano, Rosa e Croce (la rosa è simbolo cristiano che designa la Madonna; la rosa unita alla croce è un simbolo esoterico utilizzato anche da Dante che designa l’illuminazione interiore) è talmente calzante per il fondatore di un Ordine esoterico che sembra creato a tavolino. E con ogni probabilità lo è stato davvero. Infatti secondo l’esperto Paul Arnold (autore di un’importante Storia dei ROSA + CROCE), e secondo la maggior parte degli studiosi, la Fama fraternitatis (con questo titolo abbreviato il libello è comunemente conosciuto) e il successivo Confessio Fraternitatis (1615) erano dei Canard, beffe letterarie messe insieme per ragioni politiche o d’altro genere. Gli autori sarebbero stati alcuni intellettuali guidati dal pastore luterano Johann Valentin Andreae (estensore, per sua stessa ammissione, della successiva opera rosicruciana, Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz nell’anno 1549); la CONFRATERNITA DELLA ROSA+CROCE, insomma, non sarebbe mai esistita né, tantomeno, aveva radici nel remoto passato.

Sempre secondo Arnold, fu proprio la ROSA+CROCE a inaugurare l’uso (divenuto poi caratteristico di gran parte delle Società Segrete) di retrodatare la propria fondazione. A titolo di cronaca, nei secoli seguenti l’origine della Setta fu riferita anche al periodo del Faraone Amenofi IV (XIV secolo a.C.), più noto come Aekhnaton, nome che aveva assunto dopo aver abbandonato la tradizionale religione politeista per il culto monoteistico del disco solare. Altre fonti collocano gli inizi dei ROSA+CROCE ai tempi dei Carolingi che avrebbero fondato la prima Loggia Rosicruciana nell’898 d.C.; c’è anche chi afferma che sarebbe stato un gruppo di monaci cattolici a organizzare il primo collegio della ROSA+CROCE intorno all’anno 1000. C’è chi giunse ad attribuirla persino ad Al Hasan Ibn As-Sabbah capo della ROSA+CROCE dei Devoti Assassini, più nota come SETTA DEGLI ASSASSINI. Che si trattasse o meno di un canard, sta comunque di fatto che, dopo la divulgazione dei libello di Andreae, una gran quantità di confraternite denominate della ROSA+CROCE furono fondate davvero in Germania, Russia e Polonia e persino in Pennsylvania (USA) nel 1694. La definizione generica ROSA+CROCE inglobava diverse dottrine e filosofie, idealmente collegate a vari movimenti esoterici. L’ermetismo egiziano, la gnosi, la cabala ebraica, l’alchimia, l’esoterismo cristiano, tutti insieme nella dottrina della setta, si proponevano di stabilire una nuova fratellanza cristiana in opposizione al papato e ai Gesuiti e si esprimevano attraverso una complessa simbologia e iconografia. Tracciare una mappa dei movimenti rosicruciani dal XVII secolo ai tempi nostri (la ROSA+CROCE è infatti ancora attiva) è particolarmente complesso.

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Christian Rosenkreuts

considerato fondatore dell’Ordine della Rosa+Croce

Come nel caso di molte altre Società Segrete, essa si divise in innumerevoli scuole: una di esse, la Rosa+Croce d’oro, fu fondata per scherzo nel 1714 da tale Sincerus Renatus, al secolo Samuel Richter, e venne successivamente riconosciuta dai gruppi massonici prussiani.

L’Ordine Cabalistico della Rosa+Croce, fondato nel 1888 dall’occultista Stanislas de Guaita, riprese invece la ricerca cabalistica dell’Adam Kadmon, uno stato spirituale in cui l’uomo si fonde con Dio ed è in grado di compiere miracoli.

L’Ordine della Rosa+Croce, del Tempio e del Graal, fondato da Josephìn Péledan nel 1890, si prefiggeva di garantire all’adepto la conoscenza dell’aldilà mediante l’iniziazione. Per Péledan la morte consisteva in un semplice mutamento di stato, in cui l’anima (libera, finalmente, dai vincoli della materia) compie un passo in avanti verso l’illuminazione finale. C’è anche nella lista un Ordine della Rosa+Croce del Tempio e del Graal che esiste ancora, con sede a Parigi. The Ancient Mystical Order Rosae Crucis (più noto con la sigla Amorc) è stato infine fondato nel 1909 a San Josè, in California, da H. Spencer Lewis. L’Amorc (che retrodata la fondazione dell’Ordine al già citato Amenofi IV) è forse il gruppo rosicruciano più diffuso attualmente nel mondo; è organizzato in Logge distribuite in vari paesi i cui membri (che devono avere più di 18 anni d’età) si chiamano tra loro Fratres e Sorores (fratelli e sorelle).

La loro sede centrale si trova al Rosicrucian Park di San Josè. Ci sono poi molti altri ordini rosicruciani minori (tra cui l’Associazione Rosicruciana di Max Hendel; I Fratelli Annessi della Rosa+Croce, che si considerano eredi dei Templari; la Rosa Croce di Harlem, che crede nell’esistenza di Agarthi; il Cenobio Cristico della Rosa+Croce) che operano tuttora in Europa. Altre società esoteriche, come l’Ordo Templii Orientise la Golden Dawn, si ispirano ai principi della ROSA+CROCE pur senza fregiarsi dei suo nome.

BELPHEGOR, O IL SEGRETO DEI ROSA+CROCE

Per secoli la nozione dell’esistenza dei ROSA+CROCE fu ristretta all’ambito di chi si interessava di occultismo; ma nel 1965, l’Ordine divenne d’improvviso conosciutissimo in tutta Europa grazie allo sceneggiato Belphégor, ou le Fantóme du Louvre (da noi Belfagor, il fantasma del Louvre) tratto da un romanzo di Arthur Bernède e realizzato da Claude Barma per la televisione francese. Juliette Greco René Dary, Frangoli Chaumette e molti altri popolari attori 0’oltralpe tennero con il fiato sospeso migliaia di telespettatori, impegnati in una lotta senza esclusione di colpi alla ricerca del mysterioso Tesoro dei Rosa+Croce (un Mysterioso frammento del metallo di Paracelso con le proprietà dell’oro e del radio) nascosto nel Palazzo dei Louvre.

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LO STATUTO DI STRASBURGO

LO STATUTO DI STRASBURGO

o Statuto di Ratisbona

(1459)

    PREMESSA

    Un vero e proprio documento normativo statutario completo fu certamente lo Statuto degli scalpellini e muratori dei Paesi Germanici approvato al Convegno (Capitolo) di Ratisbona del 25 aprile 1459, noto come Statuto di Strasburgo.

    Tale statuto venne poi confermato nei Convegni di Spira, di Strasburgo ed ancora a Spira il 9 aprile 1464 e sarebbe poi stato ratificato dall’Imperatore Massimiliano I nel 1488 e confermato da Carlo V e da Ferdinando I.

    In questo statuto del 1459 si conferì al Maestro Dotzinger di Worms della Loggia della Cattedrale di Strasburgo ed ai suoi successori la veste di «Giudice Supremo» – o «Arbitro Finale» – una specie di Gran Maestro di tutte le Logge Scalpelline riunite in Grande Fratellanza degli Steinmetzen dei Paesi di Germania, di Austria, delle Città Libere di Metz e di Strasburgo.

    Si conferì altresì lo stesso titolo di «Giudice Supremo» per il «territorio di Vienna» al Maestro Spenning di tale città.

    Sulle Logge degli Steinmetzen è stato prospettato che esse abbiano cominciato a sorgere verso la metà dell’XI secolo, propagandosi in tutta la Germania, e si afferma che si diedero uno Statuto comune di «Gran Fratellanza» nel XIII secolo, riconosciuto nel 1277 dall’Imperatore Rodolfo d’Asburgo.

    Di tale documento però non è stata conservata traccia, per cui si può soltanto supporre che lo Statuto di Strasburgo del 1459 possa essere da esso derivato.

    Il testo dello Statuto di Strasburgo del 1459 venne pubblicato da Hedelmann di Berna nel 1819 ed è stato tradotto in italiano e pubblicato sulla Rivista Massonica nell’ottobre 1967.

    La Loggia di Strasburgo sarebbe sopravvissuta ininterrottamente fino al 16 maggio 1707, con un ruolo autonomo dopo il generale decadimento (o, per molte, la scomparsa) delle Logge scalpelline e muratorie tedesche, scompaginate dalle lotte religiose in Germania dopo il 1535, ed ancor più con la «Guerra dei 30 anni» dopo il 1620. Strasburgo divenne città francese nel 1681.

In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e della gloriosa Madre Maria, alla memoria eterna dei Santi Quattro Coronati, loro beati servi.

Considerato che una retta amicizia, concordia e obbedienza sono il fondamento di ogni bene, noi c’impegniamo sia per l’utilità comune sia per quella di tutti i prìncipi, conti, signori, città, fondazioni e monasteri che fanno o faranno costruire chiese o altre opere murarie, a fornire e a curare tutto ciò che è necessario, ed anche per l’utilità di tutti i Maestri e Compagni del mestiere, di tutti i muratori e scalpellini nei Paesi germanici, onde evitare tutte le discordie, dissapori, torti, spese e danni che si sono verificati per causa di alcuni Maestri che hanno contravvenuto alle buone e vecchie abitudini praticate in passato dagli amici del mestiere dei tempi antichi e da essi stimate e a noi tramandate. Ma al fine di trovare questa via pacifica e di perseverarvi, noi tutti, Maestri e Compagni dello stesso mestiere, riuniti in Capitolo a Spira, Strasburgo e Ratisbona abbiamo, in nome nostro, e di quello degli altri Maestri e Compagni del nostro comune mestiere, rinnovato e rettificato queste antiche abitudini e ci siamo amichevolmente e liberamente riuniti in questa Confraternita ed abbiamo, di comune accordo, elaborato questi Statuti e li abbiamo approvati e promesso, per noi e per i nostri successori, di osservarli fedelmente, come sta scritto qui di seguito

a) Primo: nel caso che qualche articolo di questo Statuto sia troppo gravoso o troppo duro, o troppo leggero o mite, quelli che si trovano in questo ordinamento potranno, in maggioranza, alleviare, diminuire o aumentare tali articoli secondo le necessità del tempo e del paese e secondo gli avvenimenti.

Questi articoli, deliberati in Capitolo a questo scopo convocato, e contenuti in questo libro, devono essere osservati secondo il giuramento da ciascun prestato.

b) Parimenti: Chi del nostro mestiere di arte muraria voglia entrare di buon grado in quest’Ordine, secondo lo Statuto scritto in questo libro, dovrà promettere di attenersi a tutti i punti e a tutti gli articoli.

Saranno Maestri coloro che sanno costruire e costruiscono fabbricati, che siano liberi e che non esercitano alcun altro mestiere e che lo facciano volentieri.

Essi, siano Maestri o Compagni, debbono attenersi ai precetti d’onore e nessuno di loro venga diminuito: e che gli stessi abbiano il potere di punire, secondo le circostanze.

c) Parimenti: Le costruzioni iniziate con il regime della paga giornaliera, e cioè a Strasburgo, Colonia, Vienna e Passavia e nelle Logge ad esse città appartenenti, dovranno essere portate a termine a paga giornaliera: tali costruzioni dovranno dunque essere lasciate a paga giornaliera e in nessun modo l’opera dovrà essere fatta a cottimo, onde l’arte, a causa del cottimo, non ne soffra, finché sia possibile.

d) Parimenti: Se uno che ha intrapreso un lavoro decede, ogni altro imprenditore o Maestro che s’intende d’arte muraria e che sia capace di tale lavoro, può presentarsi per ottenerlo, affinché i proprietari che lo hanno fatto eseguire e lo amministrano, siano nuovamente provvisti dell’arte muraria.

Parimenti può presentarsi anche un Socio che s’intenda di arte muraria.

e) Se ad un Maestro, oltre al suo lavoro, viene imposto altro lavoro esterno o ad un altro Maestro che non abbia lavoro proprio viene imposto, tale Maestro dovrà, con la massima buona fede e come meglio saprà e potrà mettere in opera il lavoro giornaliero affinché la costruzione non venga abbandonata, secondo il diritto e l’uso dell’arte muraria senza alcun pregiudizio.

Qualora i proprietari ciò non volessero fare, si esegua secondo la volontà dei proprietari, sia a cottimo sia a paga giornaliera.

f) Parimenti: Quanto un Maestro, chiunque esso sia, avendo per le mani un tale lavoro edilizio, venga a morte ed un altro Maestro, che lo sostituisce, trova le pietre tagliate, collocate o no, per nessuna ragione può togliere le pietre collocate o rifiutare pietre tagliate non collocate, senza il consiglio e l’approvazione degli altri operai, affinché i proprietari e l’altra gente dabbene, che fanno fare tali costruzioni, non abbiano a sopportare inutili spese ed affinché il Maestro, che per la morte ha lasciato il lavoro, non sia biasimato. Ma se i proprietari volessero far lasciar via tale valore, egli lascia che accada in quanto che egli non vi cerchi un affare.

g) Anche il Maestro o quelli che hanno intrapreso tale opera non debbono dare lavoro a cottimo per tutto quanto riguarda l’opera muraria.

Però qualora si tratti di spezzare o tagliare pietra, calce o sabbia, ciò può essere fatto, senza pericolo, a cottimo o a paga giornaliera.

h) Qualora vi sia bisogno di muratori per tagliare o murare pietre ed essi siano a ciò idonei, un Maestro dia pur loro lavoro affinché i proprietari non abbiano a subire ritardi nella loro opera; e quelli che dunque vengono ingaggiati siano tranquilli in questo ordinamento: che essi lo facciano di buona voglia.

i) Due Maestri non devono lavorare insieme nella stessa costruzione o fabbricato; qualora però si tratti di un piccolo fabbricato che deve essere ultimato immancabilmente entro un termine annuale, allora può essere fatto in comune con uno che sia Confratello.

k) Parimenti: Se un qualsiasi Maestro inizia una costruzione ed allega una pianta del fabbricato, di come tale costruzione dovrà essere, egli non può modificare la pianta, ma deve terminare secondo la pianta mostrata ai proprietari, Città o Paesi, in modo che non resti incompiuta.

l) Chiunque sia, Maestro o Socio, che cerchi di scacciare un altro Maestro, che appartiene al nostro Ordine, dal lavoro o che ambisca quel lavoro, segretamente o apertamente, senza che il Maestro che esegue la costruzione – sia piccola o grande – lo sappia o lo voglia, verrà espulso e nessun Maestro o Socio potrà avere comunanza con lui per tutto il tempo che tale lavoro, di cui si è impossessato illegalmente, non venga restituito a colui al quale è stato tolto, che questi sia stato risarcito e che il colpevole non venga anche punito nell’Ordine dei Maestri, secondo quanto è prescritto dallo Statuto.

m) Parimenti: Chiunque, chiunque esso sia, voglia intraprendere un’opera muratoria per intero od in parte senza che egli sia pratico del lavoro o che non abbia servito presso uno del mestiere, né abbia lavorato nelle Logge, non deve in nessun modo accettare tale lavoro. Ma qualora lo assumesse, nessun Socio potrà stare con lui, né potrà avere lavoro da lui affinché i proprietari non vengano a sostenere spese non convenienti per colpa di tale Maestro ignorante.

n) Nessun uomo del mestiere, né Maestro, né Socio, nessuno, comunque chiamato che non sia del nostro mestiere potrà prestargli aiuto.

o) Nessun uomo del mestiere né Maestro, può, da nessun Socio, pretendere danaro per insegnarli o istruirlo in ciò che riguarda l’opera degli Scalpellini. Del pari nessun Parlatore o Socio potrà per denaro istruirlo o insegnargli. Se però taluno voglia dare a qualcuno istruzione o lezione, lo faccia pure, purché vicendevolmente o per spirito di fratellanza.

p) Parimenti: Qualsiasi Maestro che abbia un’opera o una costruzione da solo, può avere tre apprendisti, poiché può dare lavoro anche a Soci della stessa Loggia. Ma se ha più di una costruzione, egli non deve avere più di due apprendisti sulla prima costruzione: dunque non abbia più di cinque apprendisti su tutte le sue costruzioni.

Parimenti: Non può essere ricevuto nell’Ordine alcun uomo del mestiere o Maestro che non si accosti nell’anno ai sacri Sacramenti, che non tenga ordine cristiano o che abbia sperperato il suo nel giuoco.

Se inavvertitamente qualcuno sia stato accolto nell’Ordine, il quale abbia fatto le tali cose prima, con lui nessun Maestro potrà avere comunanza e nessun Socio potrà stare con lui, fino a che egli non abbia mutata condotta e non sia stato punito da coloro che sono nell’Ordine.

Nessuno del mestiere o Maestro può stare in concubinaggio. Ma se egli non voglia modificarsi, nessun Socio né Scalpellino potrà lavorare con lui, né avere con lui comunanza.

q) Parimenti: Qualora un Socio si trasferisca presso un qualsiasi Maestro non ancora accolto nell’Ordine dei lavoratori, il Socio per questo non è punibile.

Similmente se un Socio si trasferisce presso un Maestro di città o presso un altro Maestro, può essere là ingaggiato; egli può farlo perché ogni Socio possa cercare ingaggio; ma, ciononostante il Socio si attenga allo Statuto secondo quanto precede e quanto segue. E ciò che gli spetta di versare all’Ordine, lo dia, benché non viva nell’ambito dell’Ordine o presso i suoi Confratelli.

Qualora però egli prenda in sposa una donna e non viva nella Loggia e si stabilisca in una città e vi eserciti un mestiere, dovrà dare quattro Pfenning ad ogni vigilia obbligatoria e deve sopportare tale tassa, perché non vive nella Loggia.

r) Qualora un Maestro sia stato querelato da un altro Maestro per aver agito contrariamente allo Statuto della Gente del mestiere, o similmente un Maestro contro un Socio o un Socio contro un altro Socio, qualsiasi Maestro o Socio implicato nel fatto deve ricevere il suo dai Maestri che hanno in mano i libri dell’Ordine; e i Maestri ai quali queste cose vengono denunciate dovranno interrogare ambedue le parti e fissare loro il giorno per ascoltarli. E per il periodo che precede il giorno stabilito e fissato per l’escussione, nessun Socio dovrà temere alcun Maestro, né alcun Maestro alcun Socio ed invece lavorare fino al momento in cui la cosa sarà escussa e portata a conoscenza. Tutto ciò deve avvenire secondo quanto riconoscono gli uomini del mestiere: e ciò deve essere successivamente mantenuto. Dunque dove il fatto accade, là deve essere istruita dal più vicino Maestro che abbia il libro dell’Ordine e nella giurisdizione in cui il fatto accade.

s) Ogni Parlatore deve tenere in onore suo Maestro, essergli sottoposto ed ubbidiente secondo il diritto del mestiere di scalpellino, essergli fedele, com’è giusto e consuetudine. Similmente deve farlo anche un Socio.

t) E anche quando a un Socio erratico è permesso emigrare per lavorare dovranno congedarsi dal loro Maestro e dalla Loggia in modo da non essere debitori di nessuno e siano umanamente in querelabili, com’è giusto.

Parimenti: Un qualsiasi Socio erratico, a qualunque Loggia venga assegnato, deve essere obbediente al suo Maestro ed al Parlatore, secondo il diritto e le consuetudini del mestiere murario, e deve anche essere ossequiente agli ordinamenti e libertà che nelle stesse Logge sono antica consuetudine.

E non deve parlare male né segretamente, né palesemente, in alcun modo, dell’opera del suo Maestro; qualora un Maestro contravvenga a questo Statuto, allora questo da chiunque può essere denunciato.

u) Ed anche l’uomo del mestiere che ha la direzione della Loggia ha in quella contrada la forza ed il potere di giudicare su tutte le discordie e cose che tocchino l’arte muraria e punire nel suo territorio ed a lui debbono obbedienza tutti i Maestri, i Parlatori e gli Apprendisti.

x) Qualora un Socio sia emigrato e abbia bisogno di lavoro murario e questo prima anche di questo Statuto, se volesse servire un uomo del mestiere per qualche tempo, lo stesso uomo del mestiere e Maestro stesso può accoglierlo senza pericolo per non meno di due anni.

y) Parimenti: Tutti, Maestri e Soci che sono in quest’Ordine devono essere osservanti di tutti i Punti ed Articoli che sono scritti sia prima sia dopo.

z) Quel Maestro che ha uno dei libri, deve, secondo il giuramento dello Statuto, averne cura, affinché né da lui, né da altri sia copiato, dato o prestato, affinché i libri restino in efficienza, come la gente del mestiere ha deciso.

Ma se qualcuno che appartiene all’Ordine ha bisogno di conoscere uno o due articoli, ciò può essergli dato da tale Maestro per iscritto e lo stesso Maestro, ogni anno, dovrà far leggere questo Statuto ai Soci nelle Logge.

Parimenti: Se si verificasse una querela per la quale toccherebbe un inasprimento della punizione, quale l’espulsione di uno del mestiere di scalpellino, il Maestro in un distretto non potrà agire e giudicare da solo, ma deve convocare i Maestri più vicini che dalla Confraternita hanno avuto lo scritto di questo Statuto e il potere, in modo che essi siano in tre ed inoltre i Soci della Loggia dove la questione è sorta.

E ciò che i tre avranno deciso all’unanimità o a maggioranza, secondo il loro giuramento e coscienza, ciò dovrà essere mantenuto dall’intero Ordine della gente del mestiere.

Parimenti: Qualora si verificasse che due o più Maestri, appartenenti all’Ordine, abbiano discordie fra loro per cose che non concernono l’arte muraria, non possono, per tali discordie, rivolgersi altrove se non all’arte muraria che li deve giudicare e sopportare per il meglio e con tutti i loro mezzi, senza pregiudizio per i diritti dei proprietari o delle città dove la causa è sorta, cui verrà sottoposta la questione di diritto.

        Ora, affinché questo Ordinamento della Gente del mestiere sia tenuto il più onestamente possibile, con servizio divino ed altre simili cose necessarie, così quel Maestro che ha la direzione della Loggia e vuole servirsi dell’arte muraria e che appartiene a questo Ordine, quando viene ricevuto deve dare all’Ordine un fiorino dapprima e poi ogni anno deve versare nella scatola dell’Ordine quattro blappart, cioè un blappart o un boemo ogni giorno di digiuno e un Socio deve versare quattro blappart: parimenti anche un Apprendista quando ha terminato l’apprendistato.

        Tutti i Maestri e la Gente del mestiere, che appartengono a quest’Ordine e che hanno la direzione delle Logge devono avere una scatola e ogni Socio deve tutte le settimane versare nella cassa un pfenning, e lo stesso Maestro deve raccogliere fedelmente nella scatola quel denaro e quanto altro piaccia, e rimettere annualmente all’Ordine nella sede più prossima dove si trovi un libro, per il servizio divino e per i bisogni dell’Ordine.

        Tutti i Maestri che hanno scatole, se non vi sono libri nelle stesse Logge, dovranno versare tutti gli anni il denaro ai Maestri dove i libri stanno. E dove sono i libri lì sia un servizio divino.

        Ma se un Maestro o un Socio morisse nelle Logge dove sono i libri, i Maestri e i Soci che sono nella Loggia ne avvisano il Maestro che ha un libro dov’è anche lo Statuto.

        E quando ciò gli è comunicato egli faccia officiare una messa in suffragio dell’anima del defunto ed alla stessa messa assistano Maestri e Soci che sono in Loggia.

        Qualora un Maestro od un Socio incontri delle spese o spenda qualche cosa per l’Ordine, e sia a conoscenza, in qualche modo, ciò sia avvenuto, tali spese siano rimborsate dalla scatola dell’Ordine, sia poco o molto.

        Qualora uno avesse a fare con la giustizia e con altre cose, che concernono l’Ordine, sia Maestro sia Socio, debbono l’un l’altro aiutarsi e dare appoggio, secondo il giuramento dell’Ordine.

        Qualora un Maestro o un Socio cada ammalato o un Socio che anche è in questo Ordine e che si sia mantenuto sincero nell’arte muraria e così a lungo si stenda da mancare del nutrimento necessario, chi ha dietro di sé la scatola dell’Ordine gli dia aiuto e appoggio con prestito dalla scatola per le sue necessità durante la malattia e finché non sia ristabilito; ma l’interessato deve promettere di restituire nella scatola il prestito. Ma se in quei giorni di malattia uno decedesse, dovrà essere recuperato da ciò che egli lascia dopo morto, siano vestiti o altre cose, quanto serve al conguaglio di ciò che gli fu prestato.

Questo è lo Statuto dei Parlatori e dei Soci

Parimenti: Nessun uomo del mestiere o Maestro può dare lavoro ad un Socio che abbia con sé una concubina o che pubblicamente conduca una vita illegale con donne o che annualmente non si confessi e non prenda i sacri Sacramenti, secondo l’ordine cristiano: né a chi sia notoriamente un giocatore.

Parimenti: Se qualcuno, per cattiveria, si congeda dalle Logge principali o da altra Loggia, non potrà chiedere lavoro a una di tali Logge per un anno.

Parimenti: Qualora un uomo del mestiere o un Maestro abbia nella sua impresa un Socio erratico e gli volesse dare congedo non dovrà dargli congedo che in un sabato o in un giorno di paga. Lo stesso deve fare un Socio che voglia prendere congedo.

Parimenti: Nessun Socio può domandare lavoro se non al Maestro dell’impresa stessa o ai Parlatori.

Statuto degli Apprendisti («Diener»)

Per primo: Nessun uomo del mestiere o Maestro può accogliere scientemente un Apprendista nato fuori dei matrimonio e perciò prima dì accoglierlo deve seriamente informarsi ed interrogare in fede tale Apprendista se suo padre e sua madre erano sposati.

Parimenti: Nessun uomo del mestiere o Maestro potrà nominare Parlatore un suo Apprendista durante gli anni di apprendistato.

Qualora un Apprendista abbia servito presso un muratore e vada da un uomo del mestiere per imparare, l’uomo del mestiere non potrà accogliere tale Apprendista per meno di tre anni.

Nessun uomo dei mestiere o Maestro potrà accogliere un Apprendista completamente ignaro per meno di cinque anni.

Qualora accada che un Apprendista, senza giustificato motivo, abbandoni il suo Maestro senza aver servito per il tempo previsto, nessun Maestro darà lavoro a tale Apprendista; nessun altro Apprendista potrà avere con lui comunanza alcuna, finché non abbia terminato in modo soddisfacente il suo servizio presso il Maestro che ciò sia certificato dal Maestro stesso.

Nessun Apprendista può riscattare dal suo Maestro il servizio obbligatorio, a meno che contragga matrimonio con il consenso del suo Maestro o altro giustificato motivo costringa a ciò lui o il Maestro.

Parimenti: Se un Maestro ha un libro sotto la giurisdizione di Strasburgo, dovrà versare annualmente a Natale mezzo fiorino nella cassa di Strasburgo, finché sarà pagato il debito che si ha con la cassa.

E se un Maestro, che ha un libro, finisca la costruzione e non abbia altro lavoro in cui impiegare i Soci dovrà inviare libro e denaro appartenenti all’Ordine al Maestro d’arte di Strasburgo.

Nell’Assemblea di Ratisbona, quattro settimane dopo la Pasqua e nell’anno di N.S. 1459, il giorno di S. Marco è stato stabilito che il Maestro Jost Dotzinger di Worms, Architetto della cattedrale di N. S. di Strasburgo e tutti coloro che nel nostro Ordine gli succederanno in questo lavoro, debba essere Giudice Supremo del nostro Ordine. La stessa cosa è stata precedentemente stabilita a Spira, a Strasburgo e ancora a Spira il 9 aprile 1464.

Item. Il Maestro Lorenz Spenning di Vienna sarà anche per il territorio di Vienna Giudice Supremo.

Questi sono i nomi dei Compagni e dei Maestri che hanno approvato e giurato questo Statuto nell’Assemblea di Ratisbona nell’anno di N. S. 1459, quattro settimane dopo Pasqua (segue un lungo elenco di Maestri e di Compagni presenti nonché la determinazione della circoscrizione territoriale della Fratellanza).

A richiesta del sig. Heldmann di Berna, addì 6 marzo 1819, certifico che, per quanto ho potuto rilevare dalla comparazione del così detto Statuto degli Scalpellini di Strasburgo che precede, presentantomi dal sig. prof. Heldmann, questo estratto è conforme al manoscritto.

Osterrieth, Capomastro.

A richiesta del sig. Heldmann di Berna, addì 6 marzo 1819, certifico che, per quanto ho potuto rilevare dalla comparazione del così detto Statuto degli Scalpellini di Strasburgo che precede, presentatomi dal sig. prof. Heldmann, questo estratto è conforme al manoscritto.

Eggimann, Notaio

Membro della loggia «Alla Speranza» in Berna.

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QUADRATI MAGICI – LA STORIA

Quadrati magici – La storia –

Federico P.

Questo lavoro del carissimo Fratello Federico P.  sviluppato per una informale del 1989 fu poi pubblicato sul numero 2 di Luz, editrice Har Tzion Latina.

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Cosa è un quadrato magico. Fissato un intero n, si suddivida un quadrato in n2 quadratini, come una scacchiera; se si riesce a scrivere in tali quadratini i primi n2 numeri naturali, uno per ciascun quadratino, in ordine tale che la somma dei numeri iscritti in tutti i quadratini di ogni verticale, di ciascuna orizzontale, e dell’una e l’altra delle diagonali sia sempre la stessa, la figura risultante si dice quadrato magico. Questo è quanto si può leggere alla voce MAGICI, QUADRATI della enciclopedia Treccani a pag.896. E’ indubbio che tale definizione, tutta incentrata sull’aspetto aritmetico, è estensibile anche ai rettangoli magici, ai cerchi, alle torri e stelle, tutte figure accreditate come magiche per il solo motivo che le loro somme sono sempre identiche per colonne, per righe, per diagonali, per punte, per radici, siano esse quadrate o cubiche, ecc. ecc. Più oltre si legge ancora: Esso risale alla più remota antichità; il nome di quadrati magici deriva dalle proprietà che a loro si attribuivano… In merito all’antichità di tali figure si vedrà in seguito, quando si tenterà di inquadrarne l’origine dal punto di vista storico, la loro qualificazione magica, non può essere frettolosamente liquidata attribuendola “alle proprietà che a loro si ascrivevano”, anche perché, come poi si costaterà, tale associazionismo ha genesi soltanto nella evanescenza empirica del medioevo paracelsiano, nel così detto periodo fausteo, in cui simili figure saranno effettivamente associate ai metalli, in analogia simpatica con i cinque pianeti allora conosciuti e ai due luminari.

Più esotericamente, la così detta magia di tali figure, affonda le proprie radici nell’esoterismo aritmosofico e aritmologico, da cui non possono venir scissi in un tentativo di lettura, senza cadere nell’aridità della razionalità aritmetica, pur sempre interessante, ma di altra natura e diversi scopi.

La magia del quadrato così delimitata, se pur accettata con le accezioni aritmosofiche o aritmologiche, sembrerebbe, in ogni modo, strettamente collegata alla nozione di numero in senso lato; è però un’erronea supponenza, da cui immediatamente se ne esce se si tiene presente che la nozione di numero è cosa diversa da quella di cifra, che entrerà nell’uso soltanto in epoca più tarda e tenterà di rappresentare, in modo grafico, la qualità o stato vibratorio espresso dal Numero operando però sul concetto di quantità graduale; vale adire sulla correlazione quantitativa della progressione naturale che soltanto la cifra, appunto, può esprimere.

Di questo aspetto si interessa l’Aritmetica, ed è il terreno essoterico su di cui si manifesta il tentativo del ricercatore per l’armonica edificazione del quadrato, vale a dire la preparazione di un palindroma di operazione.

La magia di un quadrato emerge dal concorso fra il rapporto qualitativo della pratica aritmologica, la quale tratta dell’Unità e della Molteplicità attraverso una quantità determinata di gradi e di variazioni e tendente alla ricerca dei rapporti fra il numero (inteso come stato vibratorio) e i fenomeni naturali; e il rapporto energetico qualitativo della pratica aritmosofica, che il Numero esprime per se stesso e in rapporto ad un altro della medesima, o diversa, famiglia energetica.

È questo abbraccio, questa partecipazione simultanea del qualitativo e dello energetico, che trasforma i Numeri e le Lettere di un quadrato in ESSERI VIVENTI (gli Hayoth della tradizione Cabalista), e ci avvicina alla nozione della magia di un quadrato.

Tutto ciò non deve sembrare strano, poiché è ampiamente dimostrato e universalmente accettato, anche dalla scienza ufficiale, che fin dall’età più remota l’uomo si è sempre sforzato di cogliere le relazioni tra il proprio piano, la Terra, e quello Celeste, in cui collocava il personale Creatore. L’evoluzione della ricerca lo ha portato, in seguito, a considerare che il solo Assoluto di cui disponeva, il Numero, era strettamente imparentato con il divino, e che questi, dopo averlo utilizzato per quantificare il Mondo e organizzare la Creazione glie ne fece dono, permettendo così a qualche privilegiato (Iniziato) di conoscere le modalità per imitarlo. Questo almeno fin quando l’esoterismo aritmosofico fu una scienza conosciuta ed accettata come elemento di studio delle corrispondenze con le invarianti macrocosmiche, vale a dire epoca dei Sumeri, degli Egizi delle prime dinastie, del Genesi.

Una pretesa certamente giustificata nelle scritture tradizionali di ogni popolo.

In seguito, l’esoterismo aritmosofico lasciò il posto a quello aritmologico che sarà utilizzato come tentativo d’identificazione del Macrocosmo con il Microcosmo, vale a dire come tentativo di integrazione cifrata dell’uomo al suo Creatore, è l’epoca dei numeri sacri pitagorici, della Ghematria ebraica, della Isophephie greca.

I quadrati magici vanno innestati con diritto in questo tipo di visione, anzi, è solo con tali supponenze che hanno una loro ragione esoterica di essere.

Le antiche lingue ieratiche non conoscevano la cifra, anche se il concetto di numerazione non era loro del tutto sconosciuto, per tale motivo i primi quadrati che storicamente si conoscono sono figure esclusivamente costruite con lettere o simboli.

Solo in epoca successiva la cifra sostituirà la lettera e sul quadrato così rielaborato (e, a nostro avviso, solo a posteriori) si eserciterà un esercito di ricercatori matematici nel tentativo, soddisfatto o meno, di carpirne i segreti di costruzione aritmetica.

Non esistono prove documentali che i metodi di costruzione sono precedenti o contemporanei ai quadrati stessi (del resto lo studio matematico del quadrato è datato XVII secolo) per cui non è azzardato ipotizzare che le prime testimonianze furono solo il frutto di tentativi empirici soddisfatti e che la magia (come sopra abbiamo definito) tendeva a fornire modelli cosmogonici o talismani.

E’ innegabile che con l’introduzione della cifra, la costruzione di un qualsiasi quadrato, completato negli elementi che lo caratterizzano come magico, non differisce sostanzialmente da quello di uguale numero di case che la Tradizione tramanda presentandolo in associazione con segni misteriosi.

Del quadrato di lato cinque, quello vale a dire dei primi 25 numeri interi, tanto per fare un esempio, se ne possono costruire, secondo un recente studio di alcuni ricercatori della NASA, ben cinque milioni di esemplari, però UNO soltanto sarà quello magico, tutti gli altri rappresenteranno esclusivamente curiosità matematiche, come dire… una manciata di numeri in un disordine ordinato.

Etimi dei quadrati magici.  Un’escursione esoterica sui quadrati magici, per quanto breve e lacunosa come la nostra, non può essere avulsa da una conoscenza, anche se approssimativa, dello sviluppo storico del quadrato stesso.

Tale aspetto è, del resto, l’unico a disposizione del ricercatore che consenta, in una maniera concreta, di evidenziarne i contenuti esoterici.

La loro origine, come troppe cose delle nostre radici, non è certamente databile, tanto che nulla di seriamente storico è proponibile; si può invece, con una accettabile approssimazione, intuire quale ne sia stata la genesi.

Per la tradizione occidentale certamente il quadrato Enneadico, mentre per la tradizione orientale i riferimenti saranno per il quadrato Ho T’ouw, attribuito da alcuni sinologhi all’epoca dei Sang.

Da premettere che tali palindromi non sono quadrati magici nel senso stretto del termine, essendo mutili di alcune caratteristiche peculiari, ma da tali figure essi ne derivano in una maniera istintiva e naturale.

Possiamo quindi proporre la seguente tavola d’insieme per esaminarne in seguito i vari elementi:

Sviluppo dei quadrati in Oriente ed Occidente

Tradizione Occidentale

Tradizione Orientale

Quadrato Enneadico XX a.c.

Tavola di Ho T’ouw

Quadrati Magici

Pa Koua Quadrati di YU

Quadrati Letterali e Numerici

I 64 Esagrammi

Quadrati Aritmetici

Quadrati Aritmetici

Le due tradizioni trovano la comune radice nello spirito umano teso alla spiegazione del Cosmo.

È evidente che sia il quadrato Enneadico sia quello di Ho T’ouw hanno identica finalità esegetica, ma mentre il primo produrrà, in un percorso tutto proprio i quadrati magici, letterali e numerici, la tradizione Indo-Cinese si orienterà, con i 64 esagrammi, verso una interpretazione soggettivata degli eventi.

La Tradizione Occidentale. Fin dalla più remota antichità si ritrovano testimonianze di quadrati enneadici, cioè di 9 segni o numeri o lettere occupanti 9 case divise in 3 per ciascun lato.

Tale rappresentazione era, in Mesopotamia, usuale come testimonianze archeologiche riferiscono, fin dal XX^ secolo avanti Cristo, ma ragionevoli ipotesi, spingono a supporre che tale disposizione sia stata ripresa dagli Egizi delle prime dinastie, per cui la datazione è di gran lunga anteriore.

 A tale proposito sarà illuminate riproporre il brano della grande Enneade di Eliopolis riportata da Enel nella sua opera Les origines de la Genèse et l’enseignement des Temples de l’ancienne Egypte in nota a pag.1

Io sono Tem (che) creò il cielo, che fece uscire gli esseri dalla terra, che fa germogliare il seme di ciò che esisterà, che partorisce gli dei. Il Grande (Unico) Dio che si è autogenerato, maestro della vita, che dona la giovinezza all’enneade divina

Ancora più probante, per la nostra ipotesi, è la traduzione ripresa dal testo: Le roi de la Théocratie pharaonique, di Schwaller de Lubicz, sempre a proposito dell’Enneade di Eliopolis:

“O grande Enneade di Neter che è in Eliopolis: Toum, Shou, Tefnout, Geb, Nout, Osiride, Iside, Seth, Nephtys che Toum mette al mondo per proiezione del suo cuore, come sua propria nascita, nel vostro nome di nove Archi nessuno tra di voi si separa da Toum”.

Questi due testi anche se rappresentati con dei geroglifici, si sviluppano, comunque, come un centro (il Grande Unico Dio che da se si crea, Toum) attorno al quale si dispiegano delle coppie, due a due, distinte in maschio e femmina, attivo e passivo; in altre parole è una rappresentazione cosmogonica in chiave duale o binaria mitigata da un monismo relativo.

Il passaggio dall’iscrizione di tipo geroglifico o cuneiforme, alla rappresentazione in schema cifrata segue un percorso oscuro che probabilmente non potremo mai illuminare, certo però è che tale disposizione fosse presente nelle interpretazioni dei Pitagorici, dato che così ci è stata trasmessa da Teone di Smirne nel II secolo della nostra era, ma è certamente frutto della Scuola in epoche precedenti, quando cioè il segreto iniziatico ne limitava la divulgazione.

La disposizione del quadrato Enneadico pitagorico, riproduce la Divina Tetractis e il 5 collocato nel suo cuore ne rappresenta il mediatore.

Le due Enneadi, quella Egizia e quella Pitagorica, sono certamente differenti, ma è indubbio che è presente in entrambe un elemento che le collega in maniera inconfutabile, vale a dire il tentativo di codificazione del Cosmo tramite 9 segni; ma mentre quella egizia collocava intorno ad un Centro quattro coppie di divinità che tentava di ricondurre ad una Unità centrale, quella pitagorica, invece, situava due coppie (maschio e femmina) e due diagonali (maschio) con cui equilibrava le due perpendicolari (femmina) e tramite il 5, collocato nel suo cuore come mediatore armonico, non tentava di ricondurre il tutto all’Unità cosmica, che nel quadrato era rappresentata comunque dalla Sacra Tetractis, ma rapportava il tutto al Macrocosmo-Uomo il quale, per estensione analogica, rappresentava il Microcosmo.

Da tale punto il passaggio al quadrato magico conosciuto come quadrato di Saturno , la cui costante magica è 15, il passo è brevissimo e naturale.

La costante magica del quadrato Enneadico pitagorico, come evidenzia Teone di Smirne, era 10 il quale rappresentava la Sacra Tetractis, e il 5 collocato al suo centro, per analogia il Microcosmo. L’evoluzione logica del sistema di calcolo per addizione verso il sistema di calcolo per posizione, porterà alla considerazione naturale che il quadrato così rappresentato evidenzia elementi di scompenso di posizione, soltanto le diagonali e le perpendicolari rappresentano l’uomo nell’equilibrio del Macrocosmo (10 + 5), da qui il tentativo, probabilmente effettuato dagli arabi intorno all’anno 1000, di una rivisitazione del quadrato. Notizie storiche danno la conoscenza di un manoscritto arabo, datato XII secolo e attribuito a un matematico ebreo, certo IBN ESRA. In tale manoscritto è per la prima volta presentato all’attenzione degli studiosi il quadrato di lato 3, espresso in cifre, con costante magica 15.

Difficile affermare, comunque, se il quadrato così espresso, conservava i contenuti esoterici del quadrato Enneadico egizio o quelli posteriori pitagorici. [Segue]

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ANTICHI DOVERI

Antichi Doveri (The Old Charges)

(1723)

Frontespizio delle Constitutions of the Antient Fraternity of Free and Accepted Masons

Frontespizio delle Constitutions of the Antient Fraternity of Free and Accepted Masons. La componente architettonica, raffigurata nell’immagine, riproduce l’interno della Free-masons’ Hall. La figura posta più in alto rappresenta la Verità: essa sorregge uno specchio che riflette i suoi raggi sui diversi ornamenti della sala e, in particolare, sul globo e sugli altri arredi massonici e gli attrezzi della Loggia. La Verità è accompagnata dalle tre Virtù teologali, la Fede, la Speranza e la Carità: al di sotto di queste vi è lo Spirito della Massoneria, che, su incarico della Verità e delle sue Compagne, discende nella sala reggendo una torcia accesa. Lo Spirito è adornato da alcuni emblemi massonici e sul braccio sinistro porta un nastro con una medaglia, destinata ad insignire il Gran Maestro quale segno della divina approvazione per l’Edificio massonico, consacrato alla Carità e alla Benevolenza.

Facenti parte delle Costituzioni che il pastore Anderson pubblicò nel 1723, Gli Antichi Doveri rappresentano la parte normativa ancor oggi alla base della Massoneria Universale.

            Versione originale inglese

            Traduzione italiana di Giordano Gamberini

James Anderso

The Constitutions of the Freemasons

Containing the History, Charges, Regulations, etc., of that most

Ancient and Right Worshipful Fraternity, for the Use of the

Lodges. Dedicated to his Grace the Duke of Montagu the

last Grand Master, by Order of his Grace the Duke of

Wharton the present Grand Master, authorized by

the Grand Lodge of Masters and Wardens at

the Quarterly Communication. Order’d to

be publish’d and recommended to the

Brethren by the Grand Master and

his Deputy. Printed in the

Year of Masonry 5723;

of our Lord

1723.

The Ancient Charges of a Freemason

Extracted From The Ancient Records of Lodges beyond the Sea,

and of those in England, Scotland, and Ireland, for the

use of the Lodges in London. To be read at

the making of New Brethren, or

when the Master shall

order it.

        The General Heads, viz.:

        I. Of God and Religion.

        II. Of the Civil Magistrate, supreme and subordinate.

        III. Of Lodges.

        IV. Of Masters, Wardens, Fellows and Apprentices.

        V. Of the Management of the Craft in working.

        VI. Of Behavior, viz.:

            1. In the Lodge while constituted.

            2. After the Lodge is over and the Brethren not gone.

            3. When Brethren meet without Strangers, but not in a Lodge.

            4. In Presence of Strangers not Masons.

            5. At Home and in the Neighborhood.

            6. Toward a strange Brother.

        I. Concerning God and Religion

        A Mason is oblig’d by his Tenure, to obey the moral law; and if he rightly understands the Art, he will never be a stupid Atheist nor an irreligious Libertine. But though in ancient Times Masons were charg’d in every Country to be of the Religion of that Country or Nation, whatever it was, yet ‘tis now thought more expedient only to oblige them to that Religion in which all Men agree, leaving their particular Opinions to themselves; that is, to be good Men and true, or Men of Honour and Honesty, by whatever Denominations or Persuasions they may be distinguish’d; whereby Masonry becomes the Center of Union, and the Means of conciliating true Friendship among Persons that must have remain’d at a perpetual Distance.

        II. Of the Civil Magistrate Supreme and Subordinate

        A Mason is a peaceable Subject to the Civil Powers, wherever he resides or works, and is never to be concern’d in Plots an Conspiracies against the Peace and Welfare of the Nation, nor to behave himself undutifully to inferior Magistrates; for as Masonry hath been always injured by War, Bloodshed, and Confusion, so ancient Kings and Princes have been much dispos’d to encourage the Craftsmen, because of their Peaceableness and Loyalty, whereby they practically answer’d the Cavils of their Adversaries, and promoted the Honour of the Fraternity, who ever flourish’d in Time of Peace. So that if a Brother should be a Rebel against the State he is not to be countenanced in his Rebellion, however he may be pitied as any unhappy Man; and, if convicted of no other Crime though the Loyal Brotherhood must and ought to disown hi Rebellion, and give no Umbrage or Ground of political Jealousy to the Government for the time being, they cannot expel him from the Lodge, and his Relation to it remains indefeasible.

        III. Of Lodges

        A Lodge is a place where Masons assemble and work; Hence that Assembly, or duly organized Society of Masons, is call’d a Lodge, and every Brother ought to belong to one, and to be subject to its By-Laws and the General Regulations. It is either particular or general, and will be best understood by attending it, and by the Regulations of the General or Grand Lodge hereunto annex’d. In ancient Times, no Master or Fellow could be absent from it especially when warned to appear at it, without incurring a sever Censure, until it appear’d to the Master and Wardens that pure Necessity hinder’d him.

        The persons admitted Members of a Lodge must be good an true Men, free-born, and of mature and discreet Age, no Bondmen no Women, no immoral or scandalous men, but of good Report.

        IV. Of Masters, Wardens, Follows and Apprentices

        All preferment among Masons is grounded upon real Worth and personal Merit only; that so the Lords may be well served, the Brethren not put to Shame, nor the Royal Craft despis’d: Therefore no Master or Warden is chosen by Seniority, but for his Merit. It is impossible to describe these things in Writing, and every Brother must attend in his Place, and learn them in a Way peculiar to this Fraternity: Only Candidates may know that no Master should take an Apprentice unless he has Sufficient Imployment for him, and unless he be a perfect Youth having no Maim or Defects in his Body that may render him uncapable of learning the Art of serving his Master’s Lord, and of being made a Brother, and then a Fellow-Craft in due Time, even after he has served such a Term of Years as the Custom of the Country directs; and that he should be descended of honest Parents; that so, when otherwise qualifi’d he may arrive to the Honour of being the Warden, and then the Master of the Lodge, the Grand Warden, and at length the Grand Master of all the Lodges, according to his Merit.

        No Brother can be a Warden until he has pass’d the part of a Fellow-Craft; nor a Master until he has acted as a Warden, nor Grand Warden until he has been Master of a Lodge, nor Grand Master unless he has been a Fellow Craft before his Election, who is also to be nobly born, or a Gentleman of the best Fashion, or some eminent Scholar, or some curious Architect, or other Artist, descended of honest Parents, and who is of similar great Merit in the Opinion of the Lodges. And for the better, and easier, and more honourable Discharge of his Office, the Grand Master has the Power to chuse his own Deputy Grand Master, who must be then, or must have been formerly, the Master of a particular Lodge, and has the Privilege of acting whatever the Grand Master, his Principal should act; unless the said Principal be present, or interpose his Authority by a Letter.

        These Rulers and Governors, supreme and subordinate, of the ancient Lodge, are to be obey’d in their respective Stations by all the Brethren, according to the old Charges and Regulations, with all Humility, Reverence, Love and Alacrity.

        V. Of the Management of the Craft in Working

        All Masons shall work honestly on Working Days, that they may live creditably on Holy Days; and the time appointed by the Law of the Land or confirm’d by Custom shall be observ’d.

        The most expert of the Fellow-Craftsmen shall be chosen or appointed the Master or Overseer of the Lord’s Work; who is to be call’d Master by those that work under him. The Craftsmen are to avoid all ill Language, and to call each other by no disobliging Name, but Brother or Fellow; and to behave themselves courteously within and without the Lodge.

        The Master, knowing himself to be able of Cunning, shall undertake the Lord’s Work as reasonably as possible, and truly dispend his Goods as if they were his own; nor to give more Wages to any Brother or Apprentice than he really may deserve. Both the Master and the Masons receiving their Wages justly, shall be faithful to the Lord and honestly finish their Work, whether Task or journey; nor put the work to Task that hath been accustomed to Journey.

        None shall discover Envy at the Prosperity of a Brother, nor supplant him, or put him out of his Work, if he be capable to finish the same; for no man can finish another’s Work so much to the Lord’s Profit, unless he be thoroughly acquainted with the Designs and Draughts of him that began it.

        When a Fellow-Craftsman is chosen Warden of the Work under the Master, he shall be true both to Master and Fellows, shall carefully oversee the Work in the Master’s Absence to the Lord’s profit; and his Brethren shall obey him.

        All Masons employed shall meekly receive their Wages without Murmuring or Mutiny, and not desert the Master till the Work is finish’d.

        A younger Brother shall be instructed in working, to prevent spoiling the Materials for want of Judgment, and for increasing and continuing of brotherly love.

        All the Tools used in working shall be approved by the Grand Lodge. No Labourer shall be employ’d in the proper Work of Masonry; nor shall Free Masons work with those that are not free, without an urgent Necessity; nor shall they teach Labourers and unaccepted Masons as they should teach a Brother or Fellow.

        VI. Of Behaviour, viz.:

        1. In the Lodge while constituted

        You are not to hold private Committees, or separate Conversation without Leave from the Master, nor to talk of anything impertinent or unseemly, nor interrupt the Master or Wardens, or any Brother speaking to the Master: Nor behave yourself ludicrously or jestingly while the Lodge is engaged in what is serious and solemn; nor use any unbecoming Language upon any Pretense whatsoever; but to pay due Reverence to your Master, Wardens, and Fellows, and put them to Worship.

        If any Complaint be brought, the Brother found guilty shall stand to the Award and Determination of the Lodge, who are the proper and competent Judges of all such Controversies (unless you carry it by Appeal to the Grand Lodge), and to whom they ought to be referr’d, unless a Lord’s Work be hinder’d the meanwhile, in which Case a particular Reference may be made; but you must never go to Law about what concerneth Masonry, without an absolute necessity apparent to the Lo

        2. Behaviour after the Lodge is over and the Brethren not gone

        You may enjoy yourself with innocent Mirth, treating one another according to Ability, but avoiding all Excess, or forcing any Brother to eat or drink beyond his Inclination, or hindering him from going when his Occasions call him, or doing or saying anything offensive, or that may forbid an easy and free Conversation, for that would blast our Harmony, and defeat our laudable Purposes. Therefore no private Piques or Quarrels must be brought within the Door of the Lodge, far less any Quarrels about Religion, or Nations, or State Policy, we being only, as Masons, of the Catholick Religion above mention’d, we are also of all Nations, Tongues, Kindreds, and Languages, and are resolv’d against all Politics, as what never yet conduct’d to the Welfare of the Lodge, nor ever will. This charge has been strictly enjoin’d and obser’d; but especially ever since the Reformation in Britain, or the Dissent and Secession of these Nations from the Communion of Rome.

        3. Behaviour when Brethren meet without strangers, but not in a Lodge formed

        You are to salute one another in a courteous Manner, as you will be instructed, calling each other Brother, freely giving mutual instruction as shall be thought expedient, without being ever seen or overheard, and without encroaching upon each other, or derogating from that Respect which is due to any Brother, were he not Mason: For though all Masons are as Brethren upon the same Level, yet Masonry takes no Honour from a man that he had before; nay, rather it adds to his Honour, especially if he has deserve well of the Brotherhood, who must give Honour to whom it is due, and avoid ill Manners

        4. Behaviour in presence of strangers

        You shall be cautious in your Words and Carriage, that the most penetrating Stranger shall not be able to discover or find out what is not proper to be intimated, and sometimes you shall divert a Discourse, and manage it prudently for the Honour of the worshipful Fraternity.

        5. Behaviour at Home, and in your Neighborhood

        You are to act as becomes a moral and wise Man; particularly not to let your Family, Friends and Neighbors know the Concern of the Lodge, &c., but wisely to consult your own Honour, and that of the ancient Brotherhood, for reasons not to be mention’d here You must also consult your Health, by not continuing together too late, or too long from Home, after Lodge Hours are past; and by avoiding of Gluttony or Drunkenness, that your Families be not neglected or injured, nor you disabled from working.

        6. Behaviour towards a strange Brother

        You are cautiously to examine him, in such a Method as Prudence shall direct you, that you may not be impos’d upon by an ignorant, false Pretender, whom you are to reject with contempt and Derision, and beware of giving him any Hints of Knowledge.

        But if you discover him to be a true and genuine Brother, you are to respect him accordingly; and if he is in Want, you must relieve him if you can, or else direct him how he may be relieved; you must employ him some days, or else recommend him to be employ’d. But you are not charged to do beyond your ability, only to prefer a poor Brother, that is a good Man and true before any other poor People in the same Circumstance.

        Finally, All these Charges you are to observe, and also those that shall be recommended to you in another Way; cultivating Brotherly Love, the Foundation and Cap-stone, the Cement and Glory of this Ancient Fraternity, avoiding all wrangling and quarreling, all Slander and Backbiting, nor permitting others to slander any honest Brother, but defending his Character, and doing him all good Offices, as far as is consistent with your Honour and Safety, and no farther. And if any of them do you Injury you must apply to your own or his Lodge, and from thence you may appeal to the Grand Lodge, at the Quarterly Communication and from thence to the annual Grand Lodge, as has been the ancient laudable Conduct but when the Case cannot be otherwise decided, and patiently listening to the honest and friendly Advice of Master and Fellows when they would prevent your going to Law with Strangers, or would excite you to put a speedy Period to all Lawsuits, so that you may mind the Affair of Masonry with the more Alacrity and Success; but with respect to Brothers or Fellows at Law, the Master and Brethren should kindly offer their Mediation, which ought to be thankfully submitted to by the contending Brethren; and if that submission is impracticable, they must, however, carry on their Process, or Lawsuit, without Wrath and Rancor (not In the common way) saying or doing nothing which may hinder Brotherly Love, and good Offices to be renew’d and continu’d; that all may see the benign Influence of Masonry, as all true Masons have done from the beginning of the World, and will do to the End of Time.

        Amen, so mote it be.

James Anderson

Le Costituzioni dei Liberi Muratori

I Doveri di un Libero Muratore

1723

        Estratti dagli antichi documenti di Logge di oltremare, e di quelle di Inghilterra, Scozia e Irlanda, per l’uso delle Logge di Londra: da leggere quando si fanno nuovi Fratelli o quando il Maestro lo ordini.

        I TITOLI GENERALI, ossia:

        I. Di Dio e della Religione.

        II. Del Magistrato civile supremo e subordinato.

        III. Delle Logge.

        IV. Dei Maestri, Sorveglianti, Compagni e Apprendisti.

        V. Della condotta dell’Arte nel lavoro.

        VI. Del comportamento, ossia:

            1. Nella Loggia allorché costituita.

            2. Dopo che la Loggia è chiusa e i Fratelli non sono usciti.

            3. Quando i Fratelli s’incontrano senza estranei, ma non in una Loggia.

            4. In presenza di estranei non massoni.

            5. In casa e nelle vicinanze.

            6. Verso un Fratello straniero.

        I. Concernente Dio e la religione

        Un muratore è tenuto per la sua condizione a obbedire alla legge morale; e se intende rettamente l’Arte non sarà mai un ateo stupido né un libertino irreligioso. Ma sebbene nei tempi antichi i Muratori fossero obbligati in ogni Paese ad essere della religione di tale Paese o Nazione, quale essa fosse, oggi peraltro si reputa più conveniente obbligarli soltanto a quella Religione nella quale tutti gli uomini convengono, lasciando loro le loro particolari opinioni; ossia essere uomini buoni e sinceri o uomini di onore ed onestà, quali che siano le denominazioni o le persuasioni che li possono distinguere; per cui la Muratoria diviene il Centro di Unione, e il mezzo per conciliare sincera amicizia fra persone che sarebbero rimaste perpetuamente distanti.

  II. Del magistrato civile supremo e

        Un Muratore è un pacifico suddito dei Poteri Civili, ovunque egli risieda o lavori e non deve essere mai coinvolto in complotti e cospirazioni contro la pace e il benessere della Nazione, né condursi indebitamente verso i Magistrati inferiori; poiché la Muratoria è stata sempre danneggiata da guerre, massacri e disordini, così gli antichi Re e Principi sono stati assai disposti ad incoraggiare gli uomini dell’Arte, a causa della loro tranquillità e lealtà; per cui essi praticamente risposero ai cavilli dei loro avversari e promossero l’onore della fraternità che sempre fiorì nei tempi di pace. Cosicché se un Fratello divenisse un ribelle contro lo Stato, non deve essere favorito nella sua ribellione ma piuttosto compianto come uomo infelice; e, se non convinto di altro delitto, sebbene la leale Fratellanza possa e debba sconfessare la sua ribellione e non dare ombra o base per la gelosia politica del governo in essere, egli non può venire espulso dalla Loggia ed il suo vincolo rimane irrevocabile.

        III. Delle Logge

        Una loggia è un luogo dove i Muratori si raccolgono e operano; per cui tale assemblea, o debitamente organizzata società di Muratori, è chiamata una Loggia, e ogni fratello deve appartenere ad una ed essere soggetto alle sue norme e ai regolamenti generali. Essa è particolare o generale e ciò si comprenderà meglio frequentandola e mediante i regolamenti inerenti della Loggia generale o Gran Loggia. Nei tempi antichi, né Maestro né Compagno poteva esservi assente, specialmente quando convocato a comparirvi, senza incorrerre in severa censura, salvo che non risultasse al Maestro e ai Sorveglianti che forza maggiore lo aveva impedito. Le persone ammesse come membri di una Loggia devono essere uomini buoni e sinceri, nati liberi e di età matura e discreta, non schiavi, non donne, non uomini immorali o scandalosi, ma di buona reputazione.

        IV. Dei maestri, sorveglianti, compagni e apprendisti

        Tutte le preferenze fra i Muratori sono fondate soltanto sul valore reale e sul merito personale: che così i committenti siano serviti bene, che i Fratelli non debbano vergonarsi né che l’Arte Reale venga disprezzata: Perciò nessun Maestro o Sorvegliante sia scelto per anzianità ma per il suo merito. È impossibile descrivere tali cose per iscritto e ogni Fratello deve stare al suo posto e addestrarsi in una via peculiare a questa Fraternità: i candidati possono sapere soltanto che nessun Maestro può assumere un Apprendista se non ha bastevole occupazione per lui, se non è un giovane perfetto, non avente nel suo corpo mutilazioni o difetti che lo possano rendere incapace di apprendere l’Arte, di servire il committente del Maestro e di essere creato Fratello e poi a tempo debito Compagno d’Arte, quando egli abbia servito un termine di anni quale comporta il costume del Paese; e che egli discenda da genitori onesti; che così, se altrimenti qualificato, egli possa accedere all’onore di essere il Sorvegliante e poi li Maestro della Loggia, il Gran Sorvegliante ed anche il Gran Maestro di tutte le Logge, secondo il suo merito.

        Nessun Fratello può essere Sorvegliante se non ha svolto il ruolo di Compagno d’Arte, né Maestro se non ha funzionato da Sorvegliante, nè Grande Sorvegliante se non è stato Maestro di una Loggia, né Gran Maestro se non è stato Compagno d’Arte prima dela sua elezione, essendo anche di nobile nascita o gentiluomo delle più elevate maniere o eminente studioso od originale architetto o altro artista, discendente da genitori onesti e che sia di merito singolarmente grande nella opinione delle Logge. E per il migliore, più agevole e più onorevole adempimento di tale ufficio, il Gran Maestro ha il potere di scegliere il suo proprio Deputato Gran Maestro che deve essere, o essere stato precedentemente, il Maestro di una Loggia particolare, ed ha il privilegio di agire come può agire il Gran Maestro, suo principale, a meno che il detto principale sia presente o interponga la sua autorità con una lettera.

        Questi Ordinatori o Governatori, supremi e subordinati, dell’antica Loggia, devono essere obbediti nei loro rispettivi ambiti da tutti i Fratelli, secondo gli antichi doveri e regolamenti, con tutta umiltà, reverenza, amore e alacrità.

        V. Della condotta dell’arte nel lavoro

        Tutti i Muratori devono lavorare onestamente nei giorni di lavoro, onde possano vivere decorosamente nei giorni di festa; e il tempo stabilito dalla legge del paese, o confermato dal costume, deve essere osservato. Il più esperto dei Compagni d’Arte deve essere scelto o nominato Maestro, o sovraintendente del lavoro del committente; deve essere chiamato Maestro da coloro che lavorano sotto di lui. Gli uomini dell’Arte devono evitare ogni cattivo linguaggio e non chiamarsi fra loro con alcun nome spregevole ma Fratello o Compagno; ed essere cortesi fra loro sia dentro che fuori dalla Loggia. l Maestro, conscio della sua abilità, condurrà il lavoro del committente nel modo più ragionevole e lealmente impiegherà le sostanze di questi come se fossero le sue proprie; né darà ad alcun Fratello o Apprendista un salario superiore a quanto realmente merita. Sia il Maestro che i Muratori riceventi il loro giusto salario devono essere fedeli al committente ed onestamente compiere il suo lavoro, sia a misura che a giornata; non debbono lavorare a misura quando è ancora usanza lavorare a giornata. Nessuno deve manifestare invidia per la prosperità di un Fratello, né soppiantarlo o fargli togliere il suo lavoro se egli è capace di compierlo; nessuno può finire il lavoro di un altro per l’utile del committente, se non ha piena coscienza dei progetti e dei disegni di colui che l’ha cominciato. Quando un Compagno dell’Arte è scelto come Sorvegliante del lavoro sotto il Maestro, egli deve essere leale sia col Maestro che coi Compagni, deve accuratamente sorvegliare il lavoro nell’assenza del Maestro a beneficio del committente; ed i Fratelli devono obbedirgli.Tutti i Muratori impiegati riceveranno il loro salario docilmente, senza mormorazioni e senza ribellioni, e non lasciare il Maestro fino a che il lavoro sia compiuto. Un Fratello più giovane deve venire istruito nel lavoro per impedire che sprechi materiale per inesperienza e perché si ingrandisca e si mantenga nell’amore fraterno. Tutti gli arnesi usati nel lavoro devono essere approvati dalla Gran Loggia. Nessun lavorante deve essere adibito a lavori propri della Muratoria, né i Liberi Muratori potranno mai lavorare con coloro che sono non liberi, senza una urgente necessità; né essi possono insegnare ai lavoranti e ai Muratori non accettati, come devono insegnare a un Fratello o Compagno.

        VI. Del Comportamento, ossia:

        1. Nella Loggia allorché costituita

        Non dovete formare comitati particolari o separate conversazioni senza l’assenso del Maestro, non trattare di alcuna cosa inopportuna o sconveniente, non interrompere il Maestro o i Sorveglianti, o alcun Fratello che parla col Maestro: Non occuparvi di cose ridicole o scherzose mentre la Loggia è impegnata in altre serie e solenni; non usare alcun linguaggio sconveniente sotto alcun pretesto; ma rivolgere la dovuta riverenza al vostro Maestro, ai Sorveglianti, ai Compagni e inducendo questi al rispetto.

        Se qualsiasi accusa fosse promossa, il Fratello trovato colpevole deve accettare il giudizio e la decisione della Loggia, che è giudice idoneo e competente di tutte queste controversie (a meno che non portiate appello alla Gran Loggia) e davanti alla quale devono essere portate, a meno che un lavoro del committente non debba venire interrotto, nel qual caso ci si dovrà regolare opportunamente; ma non dovete andare in giudizio per quanto concerne la Muratoria, senza assoluta necessità riconosciuta dalla Loggia.

        2. Comportamento quando la Loggia è chiusa ed i Fratelli non sono usciti

        Potete divertirvi con innocente allegria, trattandovi l’un l’altro a vostro talento, ma evitando ogni eccesso, o di spingere alcun Fratello a mangiare o bere oltre la sua inclinazione o di impedirgli di andare quando le circostanze lo chiamano, o di fare o dire cose offensive e che possono impedire una facile e libera conversazione; poiché questo turberebbe la nostra armonia e vanificherebbe i nostri lodevoli propositi. Perciò né ripicche o questioni personali possono essere introdotte entro la porta della Loggia, ancor meno qualsiasi questione inerente la Religione o le Nazioni o la politica dello Stato, noi essendo soltanto, come Muratori, della summenzionata Religione Universale; noi siamo inoltre di tutte le Nazioni, Lingue, Discendenze e Idiomi e siamo avversi a tutte le politiche, come a quanto non ha mai portato al benessere della Loggia né potrebbe portarlo mai. Questo dovere è stato sempre strettamente posseduto e osservato; ma specialmente dal tempo della Riforma in Britannia, o il dissenso e la secessione di tali nazioni dalla Comunione di Roma.

       3. Comportamento quando i Fratelli si incontrano senza estranei ma non in una Loggia costituita

        Vi dovete salutare l’un l’altro in modo cortese, come siete stati istruiti, chiamandovi Fratello l’un l’altro, liberamente fornendovi scambievoli istruzioni che possano essere utili, senza essere visti o uditi, e senza prevalere l’un sull’altro o venendo meno al rispetto dovuto ad ogni Fratello, come se non fosse Muratore. Per quanto tutti i Muratori siano, come Fratelli, allo stesso livello, pure la Muratoria non toglie ad un uomo quell’onore di cui godeva prima; piuttosto aumenta tale onore, specialmente se egli avrà benemeritato della Fratellanza si deve onore a colui cui è dovuto, ed evitare le cattive maniere

        4. Comportamento in presenza di estranei non Massoni

        Sarete cauti nelle vostre parole e nel vostro portamento affinché l’estraneo più accorto non possa scoprire o trovare quanto non è conveniente che apprenda; e talvolta dovrete sviare un discorso e manipolarlo prudentemente per l’onore della rispettabile Fratellanza.

        5. Comportamento in casa e nelle vicinanze

        Dovete agire come si conviene a uomo morale e saggio; particolarmente non lasciate che la vostra famiglia, amici e vicini conoscano quanto riguarda la Loggia, ecc. ma saggiamente tutelate l’onore vostro e quello dell’antica Fratellanza, per ragioni da non menzionare qui. Voi dovete anche tutelare la vostra salute non intrattenendovi troppo a lungo o troppo lontano da casa, dopo che le ore di Loggia sono passate; ed evitando la ghiottoneria e l’ubriachezza, affinché le vostre famiglie non siano trascurate od offese, né voi inabilitati a lavorare.

        6. Comportamento verso un Fratello straniero

        Lo esaminerete cautamente, conducendovi secondo un metodo di prudenza affinché non siate ingannati da un ignorante falso Pretendente, che dovrete respingere con disprezzo e derisione) guardandovi dal fargli alcun segno di riconoscimento.

        Ma se accertate che egli è un vero e genuino Fratello, dovete rispettarlo di conseguenza; e se egli è in bisogno, dovete aiutarlo se potete, oppure indirizzarlo dove possa venire aiutato: Dovete occuparlo per qualche giornata di lavoro oppure raccomandarlo perché venga occupato. Ma non siete obbligato a fare oltre la vostra possibilità, soltanto a preferire un Fratello povero, che è un uomo buono e sincero, prima di qualsiasi altra persona povera nelle stesse circostanze.

        Finalmente, tutti questi doveri voi dovete osservare ed anche quelli che vi saranno comunicati per altra via; coltivando l’amore fraterno, la pietra di fondazione e di volta, il cemento e la gloria di questa antica Fratellanza, evitando tutte le dispute e questioni, tutte le maldicenze e calunnie, non consentendo agli altri di diffamare qualsiasi onesto Fratello, ma difendendo il suo carattere e dedicandogli i migliori uffici per quanto consentito dal vostro onore e sicurezza e non oltre. E se qualcuno vi fa ingiuria, dovete rivolgervi alla vostra o alla sua Loggia e, dopo, appellarvi alla Gran Loggia nelle assemblee trimestrali e quindi alla Gran Loggia annuale, come è stato l’antico lodevole costume dei nostri antenati in ogni Nazione; non dovete intraprendere un processo legale a meno che il caso non possa venire risolto in altro modo e pazientemente affidatevi all’onesto e amichevole consiglio del Maestro e dei Compagni, allorché essi vogliono evitare che voi compariate in giudizio contro estranei e vi esortano ad eccelerare il corso della giustizia, che cosi farete meglio l’interesse della Muratoria con migliore alacrità e successo; ma, rispetto a Compagni o Fratelli in giudizio, il Maestro e i Fratelli dovranno gentilmente offrire la loro mediazione, che a loro deve essere con riconoscenza affidata dai Fratelli contendenti; e se tale sottomissione è impraticabile, questi potranno condurre il loro processo o causa, senza animosità e senza collera (non nel modo comune), facendo, od omettendo quanto possa compromettere l’amore fraterno, e buoni uffici devono essere rinnovati e continuati; che tutti possano vedere la benefica influenza della Muratoria, come tutti i veri Muratori hanno fatto dal principio del mondo e faranno fino alla fine del tempo.

        Amen, così sia.

        Traduzione di Giordano Gamberini

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MORALE INIZIATICA O OPASTASIA:

Morale iniziatica o apostasia: tesi ed antitesi sulla Libera Muratoria

Liberté, Fraternité, Egalité

Autore: Athos A. Altomonte     

Anche l’interpretazione più exoterica della Libera Muratoria resta fedele alle prospettive morali di queste tre affermazioni. Ma l’iniziato è fedele anche ad altri antichi doveri, come l’amore per la verità, la tolleranza verso il dissimile e l’altruismo. Per il Libero Muratore, dunque, il primo fondamento morale è quello di essere un uomo libero dall’egoismo e dall’ignoranza  e cittadino di buoni costumi.

Ma l’affermazione io penso quindi divento quello che decido, suscita ancora il diniego di un’autorità morale che vorrebbe imporre il placet su ogni risoluzione in materia di etica sociale e religiosa. La stessa autorità morale che considera l’individuo imputato e peccatore a priori, che evidentemente considera privo di legittimazione intellettuale, senza discernimento morale ed a cui nega ogni delega spirituale. A questi viene solo riconosciuta la possibilità di una sua mediazione per interposta persona, che lo sollevi dalla sua insipienza e dallo stato di colpa di cui è reo, anche se inconsapevole.

Sottacendo la contraddizione di una proposizione dogmatica posta ad incondizionata garanzia di verità indimostrate, per cogliere il senso in tutto ciò bisogna giungere alla conclusione che non tutti sentono la necessità di pensare, anzi, molti hanno timore “per il vuoto e per lo spazio” che accompagna la libertà di pensiero. Per questo, l’agorafobia psichica e l’ottusità mentale sono le caratteristiche più evidenti in chi aderisce ad ogni sorta di fondamentalismo. Questi non concepiscono la libertà e l’uguaglianza come bene comune, anzi, arrivano a giudicarle un pericolo ed un elemento destabilizzante per i propri criteri e sentimenti. Ma il massone, poiché nato uomo libero e di buoni costumi, non può curarsi di un dissenso a lui estraneo, e nessuna critica potrà mai impedirgli d’affermare le proprie prerogative iniziatiche. Mentre sarà altresì corretto ch’egli preservi gli appannaggi morali della propria etica e dei propri ideali, opponendosi ad ogni azione villana che possa offuscarne i significati. Anche se non sarà mai necessario custodire contenuti iniziatici che non possono apparire chiari ad una mente che non li abbia già ben impressi nella propria coscienza.

In tema di parità e di dignità individuale, i postulati dalla Massoneria non furono una novità assoluta, perché la Libera Muratoria è solo un moderno tentativo di reinterpretare antiche libertà ed antichi doveri[1] che, come nel passato, ancora suscitano l’intransigenza di poteri assolutisti i cui principi elitari vengono posti a difesa di gerarchie che si ritengono indiscusse ed indiscutibili. Ma con l’avvento del libero pensiero, anche le sovranità monarchiche e teocratiche si dovettero confrontare con un consenso che, da formalmente plebiscitario, diventava sempre più incerto e concentrato nelle settrici meno consapevoli della popolazione.

La concezione realista [2] mutò sostanzialmente la coscienza sociale dei cittadini dell’antico quanto del nuovo mondo. In Europa ed in America la parola libertà generò l’impulso per un nuovo concetto di patria. Non più espressione di sovranità elitarie, ma un’idea scaturita dalla coscienza del popolo. Anche in Italia i moti carbonari, d’ispirazione massonica, esaltarono il concetto di libertà trasmesso dall’Illuminismo, propagandolo sino a fomentarvi il Risorgimento repubblicano.

Ma per intendere tutto ciò, basterebbe un’analisi libera da quei pregiudizi che hanno modellato tante prospettive storiche. Ed è proprio falsando una di queste prospettive che si cercò di demonizzare l’ideale della Libera Muratoria sovrapponendovi il tabù di una ipotetica apostasia. Un’accusa fatta da una podestà dottrinale, che di certo non è mai stata un esempio di coerenza con i principi professati dalla propria religione.

Ma ogni discettazione storica contiene sempre dei vizi di forma, il maggiore dei quali è la faziosità di chi è scelto per commentare i fatti di cui il potere è protagonista.

Non fa meraviglia, allora, ritrovare anche la Massoneria italiana avvolta in sentimenti avversi alla sua vera identità iniziatica. Anche se bisogna ammettere che la partigianeria antistorica di quel paese, non fonda le proprie argomentazioni solo sulle evidenti contraffazioni, ma con intelligenza ed arte, usa strali profferti dall’insulsaggine di appartenenti alla parte avversa.

Per organizzare la sua disinformazione sui moti massonici, la Chiesa di Roma si è avvalsa della mediocrità iniziatica di pochi e maldestri massoni che, per raggiungere il potere profano, hanno curato i propri interessi in collusione con una nutrita schiera di “servitori dello Stato e della Chiesa”.

Ma pochi esempi di malaffare perpetrati da un esiguo numero di aderenti non possono degradare la realtà iniziatica sottintesa dalla Massoneria che, nell’esoterismo del suo catechismo, aveva già previsto la perversione morale in cui potevano cadere alcuni tra gli anelli più deboli della Catena iniziatica.

La morale della maestranza massonica si fonda sul comportamento immorale di “Cattivi Compagni” che, per proprio profitto, uccisero il Maestro Hiram [3], il progenitore e messia spirituale di tutti gli Edificatori del Tempio sacro.

Ma per intendere i segni della moralità massonica non è necessario seguire le critiche provenienti da  un sistema chiuso. Basterebbe, invece, riportarsi in una visione posta tutta all’interno della Massoneria e confluendo verso un punto d’osservazione che per un iniziato è quello del suo esoterismo.

[1] commenti su diritti e doveri della via iniziatica

    La regola dice che l’iniziato deve restituire sotto forma di servizio al bene comune, tutto la conoscenza e le capacità che gli sono state elargite dalla Catena iniziatica che lo ha formato, permettendogli di progredire nel proprio cammino evolutivo. Mancare a questa regola comporta un carico negativo difficilmente valutabile ad occhi superficiali.

    Originariamente l’iniziazione era una, ed era rivolta ai membri più attivi e consapevoli della famiglia umana.

    Nel tempo i contenuti dell’iniziazione furono frammentati in numerosi e particolari dettagli. Questo rispondeva all’esigenza di semplificare un senso che una mente comune non poteva trattenere, se non trasformando la propria struttura ordinaria in quella di una personalità straordinaria.

    La frammentazione contribuì a volgarizzarne il senso dell’iniziazione, rendendone irriconoscibili i contenuti facendo scomparire la sua unicità. Ma osservando a ritroso è ancora possibile riconoscere la singolarità iniziatica, ricomponendo tre frammenti ormai trasformatisi.

    Un segmento ideale univa la condizione sacerdotale a quella scientifico-misterica ed  a quella guerriera, componendo un unico flusso di potere scienza e coscienza. L’iniziazione guerriera fu la prima a separarsi da quella misterica-sacerdotale.  E la possanza che scaturiva dalla sacralità e dalla saggezza fu spezzata dall’interesse di una casta che volle creare una propria supremazia sovrana basata sulla forza più che sulla volontà e l’intelligenza. Che da allora, in quell’ambito apparirono solo marginalmente.

    Non è necessario dilungarsi sulla proliferazione di sottoprodotti estrapolati da quanto rimase. Il frammento misterico della scienza iniziatica degenerò nel magico e poi questo si perpetuò nella superstizione e nel magismo popolare. Il frammento sacerdotale, invece, degenerò nei culti antropomorfi dalle religioni popolari, fatti con deità ad immagine ed a misura d’uomo e delle sue passioni. La conclusione da questo primo balzo all’ingiù è che l’iniziazione, prima unita in un vertice di animismo illuminato,  finì per coagularsi in un pendice d’immaginifico sempre in bilico tra mito e leggenda popolare.

    Ma nonostante le proliferazioni dei mulinelli ideologici, il viatico iniziatico continuò a trasmettersi sostanzialmente integro. Ed anche se per assecondare il mutare dei linguaggi furono adottati termini diversi, la sua specificità rimase uguale nel  tempo.

    Composta da tre compartimenti, questi sono l’uno l’evoluzione dell’altro, ma solo l’ultimo, però, conduce all’iniziazione.

    Le condizioni che dovrà affrontare l’adepto sono quelle dell’aspirantato e della probazione che si esalteranno in un apice di consapevolezza interiore chiamato iniziazione.

     Dapprima l’adepto (novizio, apprendista o postulante che sia) deve essere “mondato” dai modelli che costituiscono le sue abitudini, protetto da se stesso e dalla sua educazione. E solo un’aspirazione tenace gli fa sopportare le tensioni di un fase distruttiva che modificherà il punti di vista della sua vita. In un secondo tempo, l’adepto dovrà dare prova della chiarezza dei propri intenti e questo è il periodo di probazione, finito il quale, se gli verranno riconosciuti i meriti necessari, egli avrà titolo per incamminarsi sul percorso dell’investitura iniziatica che gli verrà riconosciuta dai suoi interlocutori di maggior grado.

    Fin qui, ogni adepto ha il diritto ad essere guidato e deve obbedire solo al dovere verso se stesso e verso la propria crescita intellettuale e morale. Ma giunto all’investitura iniziatica egli s’immedesima anche in doveri verso l’esterno e del genere che meglio si armonizzano con i principi del proprio Ordine o Istituzione.

    Raggiunta la “maggiore età esoterica” egli ha il dovere di sottomettere quanto gli è stato trasmesso all’interesse comune. Senza ritenere proprie, anche se meritate per tanto lavoro personale, nessuna delle facoltà raggiunte con l’espandersi della propria coscienza. Per lui, dunque, dopo tanto ricevere inizia il tempo del fare per dare. Ma non a caso.

    L’iniziato, infatti, inserisce le proprie capacità al servizio di un piano maggiore, invisibile a quanti vivono solo del proprio presente. Un piano restato eguale nei tempi ma le cui strategie vengono trasformate senza sosta, a seconda dei momenti storici e delle necessità sociali. Un progetto di chi riconosce il fluire silenzioso dell’onda invisibile su cui galleggiano i destini dei popoli e delle nazioni

    [2] v. realismo filosofico e r. idealistico. Platone

    [3] Hiram Abiff, il messia degli Edificatori di Templi.

    A seconda del cammino scelto, gli antichi misteri prevedevano per il postulante prove di diversa natura. Ogni cammino iniziatico svelava un Mistero ed ogni mistero esprimeva una scuola ed il suo Tempio elettivo.

    Come nell’antichità, anche la cerimonia d’iniziazione a maestro Libero Muratore (3° grado della Piramide Massonica composta di 33 gradini) rappresenta la rinascita spirituale che, nell’adepto, avviene all’atto della sua elevazione a maestro. Ma la sua  rinascita iniziatica è correlata alla resurrezione in lui dello spirito del Maestro. Una resurrezione spirituale rappresentata, simbolicamente, con uno psicodramma rituale.

    Ma per risalire alle fonti del mito, bisogna considerare che ogni Scuola iniziatica e religiosa (le due entità originariamente erano inscindibili), ben oltre i tempi dei Costruttori delle Piramidi, usavano manifestare la sacralità della propria origine in quello di un avvento portentoso di natura antropomorfa che era la raffigurazione exoterica del passaggio ad  un nuovo stadio del progresso umano.

    L’avvento comunemente usato è quello di un dio o semidio fattosi uomo portatore d’ideali innovativi. Nato da donna ma senza padre perché, in un sistema arcaico e patriarcale, la mancanza di una figura maschile evidenziava, nell’immaginario comune, com’egli fosse privo dell’influenza terrena di un padre esemplificandone l’origine divina delle sue facoltà. Questo facendo di lui una guida in possesso di qualità straordinarie venuta per educare, mondare ed iniziare l’umanità. Un esempio spirituale che, però, veniva tradito dalle passioni dei suoi beneficiati. Mortificato, sacrificato ed ucciso per timore del benefizio immateriale di cui era portatore, che si opponeva al malefizio delle passioni terrene.

    Ma il bene che alimenta il Progresso umano risorge sempre nel cuore di chiunque varchi la soglia della spiritualità. L’ingresso ad una via iniziatica velata nella configurazione sacra di un Tempio. Una costruzione che, in realtà, è la rappresentazione interiore del mondo terreno.

    Ogni tradizione, nei ciclici e ricorsi della storia, attesta il passaggio di un nuovo messia. Restauratore e divulgatore di un modello spirituale unico, accomunante e perenne.

    Il Maestro Hiram, allora, orfano di padre, rappresenta anch’esso idealmente un uomo partecipe alla spiritualità dell’Opera dell’universo. Dispensatore di saggezza e Maestro d’Arte, il Maestro Hiram promulga ad “Operai, Compagni e Maestri” del mondo i segreti della costruzione cosmica ed universale. Con una abilità che potranno infondere nell’architettare i manufatti delle sacre rappresentazioni.  Hiram, allora, è il maestro spirituale dei Costruttori che incidono nella pietra l’immagine del sacro. Anch’egli tradito ed ucciso dall’insipienza di cattivi discepoli, diventa il messia di una realtà interiore racchiusa nelle forme di un Tempio creato ad immagine di una Gerusalemme celeste che è il modello materiale per edificare, in terra, virtù celesti dimenticate.

Athos A. Altomonte

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| La visione etica dell’esoterismo | Liberté, Fraternité, Egalité | Piccola guida al senso esoterico della Massoneria | Il risvolto esoterico ed exoterico della morale iniziatica | Cronaca di una presunta irriverenza spirituale | La scomunica religiosa della Massoneria |

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LA SCELTA DEL SINDACO

LA SCELTA DEL SINDACO

Intrecci perlcolosl

Siena, bufera sulle comunali

Meloni silura il candidato

«È massone, non Io appoggio

Elezioni, Montomoli aveva confessato di essere iscritto a una Loggia da 20 anni

Nel centrodestra si era aperto il caso, poi la decisione di scaricarlo Lui resta in silenzio

 di Pino Di Blasio              

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«Non ho mai nascosto di essere massone, sono nella Loggia Montaperti da 20 anni e non vorrei  fare, come hanno fatto tanti altri, di andare in sonno o passare    a Logge all’estero». Quando dieci giorni fa Emanuele Montomoli  confermò a La Nazione la sua  affiliazione alla massoneria, che  già trapelava in blog di      avversari elettorali, pensava di  disinnescare una mina che a Siena aveva già scatenato una pioggia di veleni 30 anni fa. Ma  dopo una serie di riunioni convulse, soprattutto in casa Fratelli d’Italia, a Roma e Siena, dopo che i vertici del partito (e si sussurra anche il nome della premier Giorgia Meloni) hanno posto il veto, ieri è arrivata  la decisione finale. E la mina è esplosa. «In merito a quanto riportato da alcuni giornali, Fdl d’intesa  coi vertici nazionali ha deciso di sospendete il percorso elettorale a fianco di Emanuele Montomoli. La dichiarazione candidato circa l’appartenenza a una  loggia massonica e la sua posizione circa la non separazione dalla stessa, hanno assunto contorni nazionali; tanto che ogni decisione è stata rimessa ai massimi vertici del partito. Sulla base di questo, la prima forza politica del Paese ha ritenuto di non poter proseguire con il sostegno a Emanuele Montomoli». E’ quanto scritto in una nota firmata dal partito senese che continua parlando di «percezioni e di attestati di stima professor Montomoli. Due settimane fa gli stati maggiori dei partiti del centrodestra erano in prima fila, in un teatro di Siena. a celebrare la corsa del candidato imprenditore, docente universitario, presidente di una  squadra di basket alla poltrona di sindaco a Siena. Ora ‘la decisione di scaricarlo e di cercare un altro candidato «d’intesa con il centrodestra». Il deputato senese di Fdl, Francesco Michelotti, ha parlato con Montomoli, che ieri era a Seattle per motivi di lavoro. Mentre i vertici senesi parlavano con Sara Pugliese, ex assessore a Siena detta giunta De Mossi assieme a Michelotti, e moglie del candidato.

L’unica reazione ufficiale è la foto postata su Facebook di Emanuele Montomoli davanti all’ingresso della ‘Bitt e Melinda Gates Foundation’. «Sto per entrare, oggi ci saranno molte attività da discutere. Abbiamo sia progetti sui vaccini per malattie infettive emergenti sia il supporto al master  dell’ Università di Siena Vaccinology’». Sul resto, per ora, silenzio.

Da “LA NAZIONE”   Venerdì  03 Marzo 2923

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LEGGENDE SULL’ORIGINE DELLA MASSONERIA

Leggende sull’ origini della Massoneria

Daniele Failli

Io posseggo un bene più stabile delle vostre ricchezze: l’arte è il mio bene e la mia maggior ricchezza; nessun ladro me la può rubare; non me la possono togliere né l’acqua né il fuoco, né i malandrini. Nessuno può spogliarmi dell’arte, a meno che non mi privi della vita, perché essa è nascosta in me come una cosa inafferrabile che se ne va con me…(Paracelso).

La nostra regola è l’iniziazione progressiva, i nostri principi fondamentali sono l’uguaglianza regolata dalla gerarchia e la fratellanza universale. Siamo i continuatori della scuola d’Alessandria, ereditiera di tutte le antiche tradizioni. Siamo i depositari dei segreti dei capolavori dell’occultismo dell’Apocalisse e del Zohar. La rivelazione di Giovanni o Apocalisse, contiene tutti i segreti cabalistici del dogma di Gesù il Cristo. Le rivelazioni dell’alta Qabbalah sono contenute e nascoste nel misterioso e oscuro libro dello Zohar. La Massoneria è per questo una grande associazione cabalistica. Il nostro “dogma” è quello di Zarathustra o Zoroastro e di Hermes Trismegisto (tre volte grande). Zarathustra era considerato dai greci come il più grande saggio straniero, ispiratore di Pitagora e maestro delle scienze occulte. E’ descritto da Anderson nel suo libro “Le Costituzioni dei Massoni, comprendenti la storia, i doveri, le regole di questa antica e venerabile confraternita. Compimento ad uso delle Logge” nella prima parte di storia mitica e fantasiosa della Massoneria , come Grande Maestro dei maghi del quale, secondo la leggenda, i discepoli avrebbero conservato e tramandato vecchie usanze di antichi Liberi Muratori. Sotto il nome di Ermete Trismegisto tra il I e il II secolo dell’era volgare, presso i filosofi della scuola alessandrina si svilupparono diverse dottrine filosofiche e religiose. Esse trattavano dell’alchimia, dell’astrologia, e della magia delle virtù segrete delle piante e delle pietre. Sotto il nome di Ermete si sviluppò anche una filosofia religiosa della natura. Filosofia soprattutto platonica e stoica con influssi ebraici. Secondo alcuni studiosi, l’ermetismo, ha avuto un ruolo preminente nella trasformazione della Massoneria da operativa in speculativa. Nei tre gradi sono presenti evidenti elementi ermetico-rosacruciani. Una formula emetica si trova nel lato Nord del Gabinetto di Riflessione: l’iscrizione VITRIOL (Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem Veram Medicinam; Visita le profondità delle Terra e attraverso la purificazione troverai la Pietra segreta, vera medicina) . Si può aggiungere che abbiamo avuto come antenati i Gioanniti , come modello i Cavalieri Templari e come padri i Rosacroce.

I Gioanniti o discepoli di Giovanni affermavano che i racconti dei Vangeli erano solo delle allegorie la cui chiave si trova nel Vangelo di Giovanni 21,25 “Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere”; parole che secondo i gioanniti sarebbero state solo un’esagerazione ridicola se non si fosse trattato di un’allegoria. Essi pretendevano di conoscere i fatti storici e reali di Gesù adottando in parte le tradizioni ebraiche e in parte le storie del Talmud (all’interno del Talmud si trovano sparsi elementi di saggezza esoterica strettamente iniziatica, in modo particolare nel trattato Hagigah). I gioanniti raccontavano che a Nazareth, una fanciulla di nome Miriam, fu sorpresa da un certo Pandira o Panther, il quale sotto le spoglie e nome del suo fidanzato Joachanan, si introdusse nella sua stanza e a la violentò. Joachanan, saputo del triste evento, la lasciò senza comprometterla perché era effettivamente innocente. La fanciulla partorì un figlio a cui fu dato il nome Joshua o Gesù. Un rabbino di nome Giuseppe adottato il bambino lo portò con sé in Egitto dove venne iniziato alle scienze segrete. I sacerdoti di Osiride lo consacrarono sovrano pontefice della religione universale, riconoscendo in Lui l’incarnazione di Horus da tempo annunciata agli adepti. Giuseppe e Joshua tornarono in Giudea dove la scienza e le virtù del giovane suscitarono l’ira e l’invidia dei sacerdoti, che un giorno gli rinfacciarono la sua nascita illegittima. Joshua che amava e onorava la madre, seppe interrogando il maestro tutta la storia del crimine di Pandira e delle disgrazie di Miriam. Il suo primo istinto nel mezzo a un banchetto di nozze fu quello di rinnegarla: “che cosa a me e a te?” – semitismo piuttosto frequente nell’Antico Testamento, che viene usato per manifestare a qualcuno che non si vuole avere con lui alcun rapporto – (tradotto nel Vangelo di Giovanni 2,4: “Che ho da fare con te, o donna?”) ma poi pensando che la donna non meritava di essere punita perché non aveva colpa su quanto subito, disse: “Mia madre non ha peccato, non ha perduto la sua innocenza; è vergine, e tuttavia è anche madre; che le venga reso il doppio onore! Quanto a me non ho padre sulla terra. Sono figlio di Dio e dell’umanità!”. I gioanniti facevano risalire questa tradizione a Giovanni Evangelista, attribuendoli la fondazione della loro Chiesa segreta. I grandi pontefici di questo gruppo prendevano il titolo di Cristo con una successione attraverso una trasmissione ininterrotta di poteri dall’Apostolo Giovanni.

Nel 1118, a Gerusalemme, prestarono giuramento nelle mani del Patriarca di Costantinopoli nove Cavalieri crociati tra i quali Hugo de Payns. Il loro scopo dichiarato era quello di difendere il Santo Sepolcro e di proteggere i pellegrini cristiani che venivano a visitare i luoghi santi. Mentre lo scopo segreto era la ricostruzione del Tempio di Salomone (sogno dei patriarchi d’Oriente, profetizzata da mistici giudaici dei primi secoli) sul modello profetizzato da Ezechiele. A quei tempi non solo non esisteva traccia del Tempio di Salomone, ma non rimaneva traccia nemmeno del secondo tempio costruito da Zorobabele. I Templari fecero propri i valori della “cavalleria” e presero a modello dalla Bibbia i “massoni” guerrieri di Zorobabele che lavoravano con in una mano la cazzuola e nell’altra una spada. La spada e la cazzuola diventarono le insegne dei Templari. Al tempo della formazione dell’Ordine del Tempio, Hugo de Payns conobbe un pontefice gioannita di nome Teocleto, che lo iniziò ai misteri gioanniti attirandolo con le idee di sovrano sacerdote e di regalità suprema come suo successore. I Templari molto appresero nel soggiorno in Terra Santa anche attraverso le frequentazioni con i sapienti di religione islamica. Per certo si occuparono anche di magia e scienze esoteriche (Alchimia prima fra tutte). I cavalieri dell’Ordine del Tempio avevano principalmente due dottrine una ufficiale e pubblica della Chiesa cattolica romana e una nascosta e solo riservata ai Maestri: il gioannismo. Il gioannismo era la qabbalah degli gnostici, in seguito si sviluppò in panteismo mistico con gli idoli della natura, rifiutando qualsiasi dogma rivelato, giungendo a riconoscere il simbolismo panteistico dei maestri della magia nera, rendendo onore divino al mostruoso idolo Baphomet (Bafometto; questo termine ricorre in Massoneria con il significato di “tuffo nella purezza e nella saggezza” nel XXIX grado del Rito Scozzese Antico e Accettato). Per liberarsi dell’obbedienza della religione studiavano i culti decaduti e non tralasciavano le speranze dei culti nuovi, promettendo a tutti gli accoliti la libertà di coscienza e una nuova ortodossia che sarebbe stata una sintesi di tutte le credenze, anche quelle perseguitate. La loro ambizione di diventare ricchi e comprare il mondo fu fatale ai Templari. In effetti questa colossale organizzazione militare, religiosa era diventata anche finanziaria, ( la sua ricchezza e gloria era dovuta alle crociate, dalle quali aveva origine) e nel 1312 possedevano in Europa più di mille signorie. Il papa Clemente V e il re Filippo il Bello con una immensa retata presero i Templari, che furono disarmati e gettati in prigione. Con i mezzi più subdoli fu condotto il più grande processo della storia che vide coinvolti circa quindicimila imputati. Nel corso dei sette anni del procedimento si ricorse all’uso delle più brutali torture. Nessuna infamia fu risparmiata, ricorrendo all’accusa di magia e trovando persone che denunciavano e testimoniavano che i Templari quando li ricevevano sputavano sul Cristo, rinnegavano Dio, davano osceni baci al gran maestro, praticavano la sodomia, adoravano una testa di bronzo con gli occhi di carbone, parlavano con un grande gatto nero e si accoppiavano con i demoni. Questo dramma finì quando Jacques de Molay e molti suoi compagni morirono tra le fiamme. Prima di morire però il Gran Maestro del Tempio organizzò dal fondo della prigione quattro logge massoniche occulte: a Stoccolma per il Nord, a Edimburgo per l’Occidente, a Napoli per l’oriente e a Parigi per il Mezzogiorno. Jacques de Molay , prima di morire avrebbe trasmesso i suoi poteri e suoi segreti a un cavaliere, John Mark Larmenius, e da allora la carica di gran maestro non sarebbe mai stata vacante. L’erede dell’Ordine del Tempio sarebbe dunque la Massoneria.

La fraternità di maghi e di iniziati non poteva certo scomparire. Sparirono nelle tenebre dove si nascosero a tramare vendetta: la spada spezzata dei Templari era diventata un pugnale, le cazzuole messe al bando costruivano solo tombe. Ben presto il papa e il re morirono in modo sospetto ed improvviso. Il principale accusatore dei Templari, Squin de Florian morì assassinato. I Templari sopravvissero per qualche anno in alcuni paesi ma non è seriamente attestata alcuna continuità oltre il XV secolo. A partire dal Settecento proliferarono un gran numero di organizzazioni esoteriche di diverso orientamento di ispirazione templare e che ne tramandano i segreti. La leggenda che circonda i Templari si diffuse soprattutto nel XVIII sec. quando si rivelò importante ai primordi della Massoneria. Il cavaliere André Michel Ramsay nel 1736 fu il primo a stabilire un rapporto fra i Crociati e la Massoneria. Massoneria che dai Crociati avrebbe ricevuto l’antica sapienza dei costruttori del Tempio di Salomone. Intorno al 1760, alcune Logge tedesche introdussero rispetto alla massoneria originaria, gradi, gerarchia, e segreti, stabilendo una connessione storica fra origini della Massoneria ed i Templari.

La Rivoluzione francese con il suo movimento politico e sociale provocherà l’abbattimento in Francia dell’ordinamento feudale e della monarchia assoluta, creando i presupposti per uno stato democratico moderno. Nel tentativo di gettar discredito sulla rivoluzione gli ambienti conservatori crearono e diffusero l’idea del complotto Massonico-Templarista. I Massoni-Templari erano diventati gli eredi di una lunga catena di cospiratori che risale agli Assassini e agli Gnostici del Medioevo, quindi distruttori dell’ordine sociale cristiano (trasformati in una setta pre-anticristiana) e quindi anche cospiratori anarchici.

Nel XXX grado “Cavaliere Kadosch” del Rito Scozzese Antico e Accettato la simbologia è strettamente legata all’Ordine dei Templari. Tale grado fu istituito in Scozia da alcuni capi Templari, sfuggiti all’eccidio di Parigi del 1314. Gli obbiettivi di questo grado sono indicati nel dialogo del rituale d’Iniziazione dove si persegue la ricostruzione dell’Ordine, dopo la persecuzione del 1314, e la “vendetta” come seguaci di Jacques de Molay.

 La rosa nell’iconografia cristiana è sia la coppa che raccoglie il sangue di Cristo, sia la trasfigurazione delle gocce del suo sangue, e sia il simbolo delle piaghe di Cristo. Queste immagini evocano sia la rugiada celeste della redenzione, sia il Graal. La rosa, simbolizza spesso la rinascita mistica per il suo rapporto con il sangue versato. Nel simbolo rosacrociano (R. Flud, Summum Bonum, Francoforte 1629) sono raffigurate cinque rose, una al centro le altre una per ogni braccio della Croce. La rosa è al centro della Croce al posto del cuore di Cristo, cioè del Sacro Cuore. E’ lo stesso simbolo della Rosa candida della Divina Commedia, che evoca la Rosa mistica cristiana, simbolo della Vergine.

La celebrità dei Rosacroce si originò dalla pubblicazione di tre opere che furono la Fama (1614), la Confessio (1615) e Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz (1616) che per la prima volta al mondo rivelarono la presunta esistenza del cenacolo dei Rosacroce. Dalle letture dei testi traspariva che un gruppo d’invisibili legati alle antiche conoscenze segrete, (specie l’Alchimia), s’incontravano attorno alle parole di Platone ed Ermete perché gli antichi misteri non andassero perduti e che gli arcani rituali continuassero a sopravvivere in clima di maggior segretezza, visto l’avvento di una nuova epoca d’intransigenze religiose e la scomparsa di un grande Mago come Giordano Bruno bruciato sul rogo a Roma (1600).

Per le strade di Parigi, nella primavera del 1623 fu affisso questo proclama: “Noi deputati dei fratelli rosa-croce soggiorniamo in questa città in maniera invisibile per grazia dell’Altissimo, al quale si rivolge il cuore dei saggi; senza nessun tipo di mezzi esterni insegnamo a parlare le lingue dei paesi che abitiamo e dagli uomini nostri simili abbiamo terrore e morte. Se qualcuno viene preso dal desiderio di vederci solo, per curiosità, che non si metta mai in comunicazione con noi; ma se la sua volontà lo conduce in realtà e di fatto ad iscriversi nei registri della nostra confraternita, gli mostreremo la veridicità delle nostre promesse e non diciamo qual’ è il luogo in cui abitiamo poiché il pensiero, insieme alla reale volontà del lettore, sarà capace di farci conoscere a lui e lui a noi”. Si trattò di un falso storico? Il dilemma è ancora in attesa di soluzione; tuttavia la leggenda circolò in tutti gli ambienti e questa confraternita occulta all’interno della quale si studiavano le antiche filosofie, che non abbandonava l’umanità ormai priva delle conoscenze spirituali ancestrali, si dedicò in gran segreto (da veri esoteristi) a cercare di guidarne i passi verso la conoscenza (attribuiscono a se stessi questa valenza) ricordando a tutti il supremo dovere morale: nati non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza (Dante con la matrice gnostico, ermetico, esoterica del pensiero dei “Fedeli d’Amore”). Le influenze rosacrociane si ritrovano in Massoneria nel XVIII grado del Rito Scozzese Antico e Accettato denominato “Cavaliere Rosa-Croce”.

Templari, Fedeli d’Amore, Cavalieri dell’Ordine della Giarrettiera, Rosacroce, Massoni: tutte queste società, tutte queste confraternite esoteriche, prevedevano un rito di iniziazione che simula “morte e resurrezione”, morire a se stessi e rinascere diversi, cambiati, migliori; Annullarsi per riconquistarsi. Passi progressivi verso la conquista interiore ed esteriore di armonie profonde dell’anima. Dietro c’è l’ineffabile: l’anima che staccandosi da tutte le cose esteriori, raggiunge le profondità dell’interiorità del io segreto, come scrisse Giordano Bruno “lei è dentro di te quanto neppure tu sei dentro a te stesso”.

Conosci te stesso, scopri te stesso, il tuo carattere. Mente ed energia, corpo e spirito. L’esoterismo punta alla piena coscienza dell’individuo e alla sua capacità di trasformazione continua in perfetta autonomia e per questo è anche e soprattutto in contrasto con le religioni (il Papa e gli altri capi religiosi dominano l’anima di tutti gli abitanti della Terra). Citando un proverbio Zen, l’iniziato è come un “bruco che abbia scoperto che esiste un modo per diventare farfalla”, consentendo allo Spirito di spaziare libero nei territori della contemplazione del divino. Quel divino che è dentro di noi che altro non è che la propria anima, l’unica in grado di porre l’uomo dinanzi agli aspetti più sacri dell’esistenza. Ecco il segreto, l’emozione del sacro non può essere raccontata, è e resta esoterico. Cammini segreti della conoscenza sulla strada degli antichi sapienti (“maghi”), come quei “Re Magi” che con gli occhi rivolti al cielo, guidati dalla stella cometa ( la stella è il segno: per gli alchimisti la quintessenza, per i maghi il grande arcano, per i cabalisti il pentagramma sacro) , seppero trovare il Salvatore del mondo nella sua culla. Ai magi tradizionalmente è stato attribuito il titolo di “Re”, questo perché l’iniziazione alla “magia” costituisce una vera sovranità e la grande arte dei maghi (mago = colui che sa) è detta “Arte Reale”.

Oggetto del nostro culto è la Verità rappresentata dalla luce. Abbiamo come sacra leggenda quella di Hiram, completata da quella di Ciro e di Zorobabele. Non c’è discriminazione religiosa (sono ammesse tutte le credenze) e si professa una sola filosofia: cercare la Verità. Lo scopo allegorico della Massoneria è la ricostruzione del Tempio di Salomone.

I riti della Massoneria servono a trasmettere il ricordo delle leggende dell’iniziazione e a conservarle tra i confratelli. Occorre sempre tenere bene a mente che l’esoterismo e la ritualità ad esso connessa sono comunque discipline pratiche, il cui terreno di applicazione è il “se interiore”. Tutti i grandi misteri con i relativi riti portano l’iniziato a interpretare il dio in lui (Deus absconditus, Dio nascosto), sia chi sia.

Concludo con le parole di Bruno: “..ed abbiamo dottrina di non cercar la divinità rimossa da noi, se l’abbiamo appresso, anzi di dentro, più che noi medesimi siamo dentro a noi”(Bruno, La cena delle ceneri, cit. p.22).

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LA “PROIEZIONI PROFANE” DELLA MASSONERIA

Le ‘proiezioni profane’ della Massoneria italiana

Francesco Crispi, che guidò quasi ininterrottamente il governo italiano dal 1887 al 1896, aveva condiviso un passato garibaldino con Adriano Lemmi (1822-1906), Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia tra il 1885 e il 1895, con cui era in stretti rapporti di amicizia. In effetti la Massoneria italiana di fine Ottocento godette di grande prestigio presso i vertici dello Stato come interlocutrice sui grandi temi politico-economici dell’epoca. Lemmi, che si era guadagnato l’appellativo di ‘banchiere del Risorgimento’, fu coinvolto nello scandalo finanziario della Banca Romana (1892), con l’accusa di aver ricevuto finanziamenti illeciti. Benché assolto in giudizio, non volle che l’eco perdurante dello scandalo nuocesse alla Massoneria e si dimise pertanto dalla carica di Gran Maestro nel 1895.

Emigranti in partenza dal porto di Napoli, in un’incisione della fine dell’Ottocento. Dall’Unità al 1915 lasciarono in queste condizioni l’Italia, diretti soprattutto in America, circa sedici milioni di persone. Rispetto a questo fenomeno la Massoneria giocò un ruolo importante. Saldamente attestata tanto al Nord quanto al Sud del Nuovo Continente, facilitò i rapporti tra emigrati provenienti da regioni italiane diverse e favorì attraverso il vincolo fraterno delle logge il loro radicamento nel Paese d’adozione. Nell’America del Sud l’inserimento dell’elemento italiano nelle logge locali contribuì ad accentuarne l’anticlericalismo, caratteristica comune alla Massoneria latina dell’Ottocento.

Lo scandalo della Banca Romana aveva indotto alle dimissioni anche Giovanni Giolitti, alla presidenza del Consiglio in una parentesi dell’attività governativa di Crispi (1892-1893). La cosiddetta età giolittiana ebbe inizio in effetti solo nel 1903, per concludersi nel 1913. Nel corso di questo decennio, denominatore comune delle svariate ideologie politiche fu il nazionalismo, sottoscritto tanto dalle forze conservatrici quanto da quelle democratiche. Le une e le altre annoveravano personaggi legati al mondo massonico, come del resto ebbe a dire Ernesto Nathan, alla guida dell’Ordine dal 1896 al 1904: «Il colore politico [della Massoneria] è il bianco, la sintesi di tutti gli altri colori a eccezione del nero, negazione della luce». Tuttavia, vuoi perché nel biennio reazionario di fine Ottocento (governo Pelloux), quando vennero chiuse le sezioni dei partiti e soppressa la stampa d’opposizione, molti democratici militanti avevano trovato rifugio nelle logge, vuoi per i perduranti contrasti con la Chiesa di Roma (vedi il capitolo Massoneria e Stato unitario in Italia), i nazionalisti conservatori e liberali identificavano nei cenacoli massonici gli organismi di alleanza dei blocchi radical-socialisti. Fu sulla base di questa convinzione, per esempio, che il filosofo liberale Benedetto Croce (1866-1952), eletto senatore nel 1910, attaccò «l’idiota religione massonica», un’eredità a suo parere derivata dalla Rivoluzione francese. D’altra parte la polemica ideologica era inevitabile in un periodo storico in cui, come ha scritto lo storico A.A. Mola, la Massoneria italiana non seppe o non volle astenersi da «proiezioni profane».

Giovanni Giolitti. I buoni rapporti tra il blocco politico giolittiano e la Massoneria italiana si incrinarono in seguito ai cedimenti dello statista nei confronti dei clericali e sulla questione dell’interventismo.

La più discutibile di queste ‘proiezioni’ fu forse l’assunzione di una posizione apertamente interventista in occasione dello scoppio della prima guerra mondiale. Schierandosi con i conservatori, i liberali, i democratici, i mazziniani, gli anarco-sindacalisti e gli anarchici a favore dell’ingresso dell’Italia nel conflitto, per quanto queste forze fossero tutte rappresentate nelle logge nazionali, il Grande Oriente rischiò in questo modo di perdere il consenso della base, che annoverava anche neutralisti legati al blocco giolittiano o al Partito Socialista. Questa concessione all’imperante nazionalismo, invece che allontanare la tradizionale diffidenza dell’opinione pubblica per la Massoneria, ne peggiorò l’immagine quando nel 1917, durante un convegno parigino di dignitari scozzesisti di vari Paesi, alleati e neutrali, la rappresentanza italiana dette la propria approvazione al principio che postulava l’opportunità di riconoscere alle popolazioni delle aree plurietniche interessate al conflitto il diritto di decidere mediante referendum, a guerra conclusa, i propri confini. Accusato di tradimento dal fronte nazionalista, il Grande Oriente contraddisse la posizione assunta a Parigi appoggiandone ufficialmente le rivendicazioni nelle aree della sponda adriatica e del Mediterraneo orientali, oltre che in ambito coloniale.

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GENESI

Genesi

Approfondimento in “Iehì Or”

Il primo giorno “Dio disse: Che la luce sia. E la luce fu.” Il noto versetto del Genesi pone subito una questione di metodo suscettibile di trasformarsi in un problema sia di natura teologica che cosmologica. Un primo interrogativo è se la luce preesista alla creazione. Il Sepher ha Zohar non ha dubbi in proposito, ritenendo la luce, già esistente, fonte di un segreto indicato dalla ghematria dei nomi “luce” e “segreto” aventi lo stesso valore numerico. A questo segreto si allude allorché è detto, nella sezione Preliminari dello Zohar, che una fiamma oscura, troppo oscura per essere vista, zampilla dall’infinito.

Si tratta di En-Soph-Or luce infinita che non si lascia vedere. Da questa infinita pagina oscura e velata come notte profonda si leva improvviso un minuscolo punto di luce.

Una metafora, accessibile all’esperienza comune, per descrivere questo “fremito” dell’Infinito è la fiamma che sale da una brace o da una candela che brucia. Nella fiamma che sale si notano due luci, la prima bianca e brillante, l’altra, più in basso, nera e che serve da “trono di gloria” alla luce bianca. Le due luci sono indissolubilmente legate. Il Sepher Yezirah, forse il più antico testo ispirato alla Qabalah, presenta in proposito un’immagine che ebbe molta fortuna nelle speculazioni dei primi cabalisti storici. Si tratta delle fiamme che divampano alimentate dal carbone ardente. Tali fiamme sono le luci o sephiroth che si diffondono a partire dal primo punto di luce distintosi nella “nerezza” del carbone. Quel punto è la corona dalla quale ben presto si estendono altre nove luci. Quel punto di luce, adombrato dalla luce infinita e per noi oscura, è il primo dei dieci “Dio disse” del Genesi ed è anche il primo istante della creazione…

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