LA “VENDETTA” MASSONICA

La ‘vendetta’ massonica

A consolidare la teoria del complotto fortunatamente sventato nel caso degli Illuminati di Baviera (vedi capitolo Gli Illuminati di Baviera) ed ‘evidente’ negli sviluppi della Rivoluzione francese contribuirono, da opposti fronti, diversi fattori.

La ‘giusta vendetta’ di Giacomo di Molay attuata dalla Massoneria su Luigi XVI: illustrazione di apertura del saggio antimassonico di L.C. de Gassicourt Gli Iniziati antichi e moderni (1796).

Giocò in primo luogo un ruolo importante la pubblicistica reazionaria che ebbe i suoi più significativi esponenti nel radicale Louis Cadet De Gassicourt, imprigionato durante il Terrore, e nel gesuita Augustin De Barruel, in esilio in Inghilterra. L’uno, in La tomba di Giacomo di Molay, sostenne che l’Ordine dei Templari, di cui la Massoneria aveva raccolto l’eredità, aveva costituito il primo anello di una catena di cospiratori che non avevano cessato di agire fino alla presa della Bastiglia. L’altro, in Memorie utili per la storia del Giacobinismo, arrivò a unificare nell’immagine terrificante di una plurisecolare congiura tutti i movimenti o i personaggi che nella storia si erano ribellati all’ordine costituito, dagli eretici medioevali a Robespierre. Questa versione dei fatti si saldò nell’opinione pubblica alla leggenda secondo la quale Giacomo di Molay, ultimo Maestro dei Templari condannato al rogo da Filippo il Bello con la complicità di Clemente V, avrebbe vaticinato nel proclamare la sua innocenza la morte dell’ultimo discendente del suo persecutore per mano di un Templare. Si mormorava che Luigi XVI, ultimo re di Francia e appunto ultimo discendente di Filippo il Bello, prima di essere ghigliottinato (21 gennaio 1793) avrebbe chiesto al boia il suo nome, per sentirsi rispondere che era un Templare, pronto a eseguire la vendetta di Giacomo di Molay. E, per rendere ancora più fosche le tinte del quadro, si sottolineava come la ghigliottina fosse stata inventata dal medico e scienziato Joseph-Ignace Guillottin, affiliato alla Massoneria. Ricostruzione fantastica di un episodio di eroismo templare in Terrasanta. Nonostante l’infatuazione per la cavalleria che caratterizzò gli ambienti sia aristocratici sia borghesi del 1700, l’infondata affermazione di un’ininterrotta vitalità dell’Ordine dei Templari non giovò alla Massoneria, sulla quale furono trasferiti dai suoi oppositori i sospetti di doppiezza, occultismo e addirittura satanismo che avevano caratterizzato nei secoli l’approccio alla vicenda templare. L’abbinamento Templari-Massoneria non era tuttavia un parto della fantasia degli avversari dell’Ordine. Appartiene infatti peculiarmente alla sua storia e ne costituisce il complicato capitolo del Templarismo.

Le origini del fenomeno vanno ricercate, entro l’orizzonte massonico, nella sovrapposizione del tipo etico dei cavaliere a quello del libero muratore medioevale, secondo l’impostazione già di Ramsay (vedi capitolo Al di là della Manica), e nella presenza di vivaci interessi esoterici, in particolare per l’alchimia e la Cabala, in varie logge continentali. Si era cosi potuta sviluppare una leggenda interna all’Ordine, dimostratasi con il tempo quanto mai tenace: i Templari, depositari di una dottrina occulta appresa in Oriente, sarebbero segretamente sopravvissuti in Scozia alla condanna decretata dal re di Francia e dal papa di Roma (1312) e avrebbero davvero consegnato alla Massoneria la propria eredità spirituale e sapienziale.

Il re di Svezia Gustavo III (sul trono dal 1771 al 1792) medita sulla rivoluzione assistito da Minerva e dalla Giustizia. Da quando questo sovrano venne iniziato nel 1770 alla Massoneria, l’Ordine ha sempre avuto membri della Corte nei suoi ranghi più elevati. Il Rito Svedese, che monopolizza a tutt’oggi la Massoneria della Svezia, della Norvegia, della Danimarca e dell’Islanda, ha mantenuto le sfumature templaristiche a suo tempo acquisite dai contatti con la Stretta Osservanza ed è l’unico in cui l’ultimo grado (Cavaliere Commendatore della Croce Rossa) costituisce nel contempo un’onorificenza civica conferita dal sovrano in persona.

L’assunzione della leggenda all’interno della simbologia e della ritualità delle logge ebbe importanti conseguenze: diede origine a vari Sistemi che dalla Germania, dove incominciarono a germinare, si diffusero rapidamente in tutto il mondo; indebolì i legami con la tradizione operativa, anche per quanto riguarda il significato da attribuire all’iniziazione, e rese più stretti i collegamenti con la tradizione ermetico-esoterica e rosacrociana; interferì con il fenomeno, già in atto, della proliferazione di gradi iniziatici; lasciò spazio a personaggi equivoci, che fecero proseliti tra coloro che credevano sia nella possibilità di accedere, grado dopo grado, al ‘segreto massonico’ (coincidente con il presunto ‘segreto templare’), sia in quella di arricchirsi una volta che l’Ordine del Tempio fosse tornato in possesso dei suoi beni, per ripartirli fra gli ‘iniziati’; sovrapponendo Giacomo di Molay a Hiram (vedi capitolo Un passato ‘su misura’), di cui venne simbolicamente ampliata la leggenda in direzione della ‘vendetta’, avvalorò all’esterno la convinzione di una Massoneria cospirante per imprimere alla storia il corso voluto da una cerchia di ‘Superiori Incogniti’ e in grado in ogni momento di realizzarne i disegni.

I Sistemi cosiddetti ´Templari´

Capitolo di Clermont

Nacque in Francia nel 1754, ispirandosi in parte alle innovazioni introdotte dai Maestri Scozzesi nella Massoneria di Lione (1741-1743). Rapidamente eclissatosi in Francia, ebbe una vivace ripresa in Germania dove, a partire dalla loggia ‘Tre Globi’ di Berlino, si diffuse e fu attivo dal 1759 al 1764. Il quinto e il sesto grado del Sistema facevano esplicito riferimento alla vendetta per l’ingiusta morte di Giacomo di Molay, con un cerimoniale dai tratti decisamente macabri.

Stretta Osservanza Templare (Massoneria Rettificata)

Venne istituita dal barone K.G. von Hund (1722-1776), signore ereditario di Lipsia, nell’Alta-Lusazia, che sostenne di essere stato incaricato della ricostituzione dell’Ordine del Tempio da misteriosi ‘Superiori Incogniti’. Struttura, rituali e organizzazione amministrativa furono messi a punto tra il 1751 e il 1755, ma incominciò a operare solo dal 1763-1764. Prevedeva un Ordine Interno , cui si accedeva dal sesto grado, comprendente tre categorie di iniziati: i Cavalieri (obbligatoriamente di origine aristocratica), gli Scudieri o Armigeri (provenienti dall’alta borghesia) e i Soci o Amici dell’Ordine (principi o altezze, cui non si poteva chiedere un giuramento di obbedienza a persone socialmente sottoposte). Von Hund concepì l’ambizione di stabilire l’egemonia del suo Sistema su tutti i Fratelli Massoni.

Decretò pertanto che anche le logge che praticavano, secondo il modello anglosassone, solo i primi tre gradi, dovessero ricorrere ai relativi rituali predisposti dalla Stretta Osservanza e sottoporsi all’autorità del suo Gran Maestro Provinciale ; quelle che volevano aderire al Sistema nella sua globalità dovevano invece farsi ‘rettificare’, cioè fare atto di sottomissione e giurare obbedienza ai Superiori Incogniti. La Stretta Osservanza, dopo aver praticamente raggiunto il controllo della Massoneria tedesca, andò progressivamente perdendo di prestigio, per essere alla fine sconfessata dal consesso massonico europeo riunitosi a Wilhelmsbad (1782).

Sistema del Chiericato Templare

Fu ideato e messo a punto dal pastore protestante J.A. Starck ed ebbe nel 1772 il riconoscimento della Stretta Osservanza di Hund. Si basava sul falso storico dell’esistenza nel Medioevo di un clero templare distinto e autonomo dal corpo cavalleresco dell’Ordine, custode di conoscenze segrete acquisite in Oriente dalla setta degli Esseni. Il sistema tramontò in concomitanza con il tramonto della Stretta Osservanza, anche se i Chierici del Tempio se ne erano dissociati. Starck d’altra parte aveva raggiunto l’obiettivo di accreditarsi presso l’alta aristocrazia tedesca, alla quale prestò i suoi servizi a partire dal 1780.

Ordine dei Cavalieri Benefacienti della Città Santa

Ultima metamorfosi significativa della Massoneria Templare del XVIII secolo, di cui fu ufficialmente registrata la nascita nel convento massonico delle Gallie riunitosi a Lione nel 1778, segnò l’evoluzione di questo indirizzo in senso mistico e la sua emancipazione in Francia dalla dirigenza tedesca. Pur non facendo riferimento diretto nel nome all’Ordine del Tempio (anche per non urtare le autorità temporali e spirituali di un Paese che ne aveva decretato, per l’azione congiunta del re e di un papa ‘avignonese’, la soppressione), l’emblema del grado supremo era costituito da una tomba sopra la quale erano raffigurati un’aquila e un pellicano, con le lettere J.M. (Jacques de Molay) e il motto in latino Ecce quod superest (‘Ecco ciò che sopravvive’).

L’Ordine fu voluto da J.B. Willermoz che, dopo insoddisfacenti tentativi di collegarsi alla Stretta Osservanza, aveva concepito il progetto di rigenerare l’umanitarismo massonico rilanciando il tema della fratellanza nell’ottica della fraternità mistica e della carità cristiana. Va ricordato tuttavia che l’Ordine mantenne una spiccata fisionomia esoterica, prevedendo per i Cavalieri più dotati l’accesso a due gradi speciali (Professo e Gran Professo).

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LA REGOLA DELL’ORDINE DEL TEMPIO

L a    R e g o l a    d e l l’ O r d i n e    d e l    T e m p i o

(1128)

In questa pagina riportiamo il testo integrale, tratto dall’originale latino, della Regola Primitiva dell’Ordine del Tempio. Come si potrà constatare, la Regola è durissima, e su di essa venivano stilati i vari regolamenti interni delle Precettorie dell’Ordine, che potevano differire tra loro, se pur di poco. La Regola Primitiva è stata scritta di proprio pugno da San Bernardo di Chiaravalle, il quale riprese come traccia la regola benedettina, forgiandola e rendendola ancora più dura e difficile da rispettare. La Regola è composta da 72 articoli, di cui i primi 10 sono dedicati all’aspetto monacale guerriero dell’Ordine. La Regola ha subito poi diverse integrazioni e modifiche, l’ultima delle quali apportata sotto il pontificato di Bonifacio VIII. Questa edizione della Regola inizia con la descrizione della presentazione al Concilio di Troyes nel 1128, con tutti i nome dei padri conciliari presenti.

CONCILIO

REGOLA DEI POVERI COMMILITONI DI CRISTO E DEL TEMPIO DI SALOMONE

Il nostro (discorso) si dirige innanzitutto con fermezza a tutti coloro, che intendono rinunciare a seguire le proprie volontà, e desiderano con purezza di spirito militare per il sommo e vero Re, perché assumano l’armatura insigne dell’obbedienza, adempiendola con particolarissima cura, e la portino a perfezione con la perseveranza. Esortiamo dunque voi che fino a questo momento avete abbracciato la milizia secolare, nella quale Cristo non fu la causa, ma per solo umano favore, perché facciate parte di coloro che Dio ha eletto dalla massa di perdizione e per gratuita pietà riunì per la difesa della santa Chiesa, vi affrettiate ad associarvi perennemente. Ma innanzitutto, chiunque sei, o soldato di Cristo, che hai scelto tale santa conversazione, è necessario che usi una pura diligenza verso la tua professione e una ferma perseveranza; questa, che è conosciuta essere da Dio, tanto degna santa e sublime, meriterai di ottenere forte, tra i militanti, che diedero le loro anime per Cristo se con purezza e perseveranza sarà osservata. In questo è rifiorito e tornato a splendere l’ordine militare, che, abbandonato lo zelo per la giustizia, mirava a non difendere, come suo dovere, i poveri e le chiese, ma a spogliare, rubare e uccidere. Si vive bene dunque con noi, ai quali il Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo inviò i suoi amici dalla santa città nelle terre di Francia e Borgogna, e non cessano per la nostra salvezza diffusione della vera fede di offrire le loro anime quale ostia gradita a Dio. Noi dunque con infinita gratitudine e fraterna pietà, convenuti, per le preghiere del maestro Ugo, nel quale la sopraddetta milizia ebbe inizio, per ispirazione dello Spirito Santo, dalle diverse zone della provincia ultramontana nella solennità di sant’Ilario, anno 1128 dell’incarnazione del Figlio di Dio, nono dall’inizio della sopraddetta milizia presso Troyes, sotto la guida di Dio, meritammo di ascoltare dalla bocca dello stesso maestro Ugone il modo e l’osservanza dell’ordine equestre secondo i singoli capitoli, e secondo la comprensione della nostra esigua scienza, ciò che a noi sembrava assurdo, e tutto ciò che nel presente concilio a noi non poteva essere a memoria riferito ho detto, non per leggerezza ma per saggezza affidammo per approvazione del comune capitolo in modo unanime alla provvidenza e alla discrezione del venerabile padre nostro Onorio, e dell’inclito patriarca di Gerusalemme Stefano, per sapienza necessità non ignari della religione orientale e neppure dei poveri commilitoni di Cristo benché il massimo numero di padri religiosi presenti in quel concilio per divina ispirazione raccomandi l’autorità del nostro dettato, tuttavia non dobbiamo passare sotto silenzio i loro pareri e le vere sentenze, io Giovanni Michele, per ordine del concilio e del venerabile abate di Chiaravalle, al quale questo era affidato e dovuto, ho meritato per grazia divina di essere umile scrivano di questa pagina.

Nomi di padri presenti al concilio di Troyes:

Presente come primo fu il vescovo di Albano Matteo, legato per grazia di Dio dalla santa Chiesa di Roma, poi Rainaldo arcivescovo di Reims, terzo Enrico Arcivescovo di Sens, quindi i loro corepiscopi, Ranchedo vescovo di Carnotensis, Golseno Vescovo Soissons, il Vescovo di Parigi, il Vescovo di Troyes, il Presule di Orleansm il Vescovo di Auxerre, il Vescovo di Meaux, il Vescovo di Chalons, il Vescovo di Laon, il Vescovo di Beauvais, l’Abate di Vezzelay che non molto tempo dopo fu fatto Arcivescovo di Lione e legato della Santa Romana Chiesa, l’Abate cirstercense, l’Abate di Pontigny, l’Abate della Trois Fontain, l’Abate di S. Denise di Reims, l’Abate di S.Etienne di Dijon, l’Abate di Molesmes….., non mancò il soprannominato Abate Bernardo di Chiaravalle il cui parere i soprascritti spontaneamente approvavano, erano presenti anche il Maestro Alberico di Reims, e il Maestro Fulcherio e molti altri che sarebbe lungo enumerare, inoltre riguardo ai non elencati sembra giusto che siano messi in mezzo come amanti della verità. Il compagno Teobaldo, il compagno di Neverre e Andrea di Baundemant, così assistevano al concilio, con attentissima cura esaminavano ciò che era ottimo, temperavano ciò che a loro appariva assurdo. Lo stesso Maestro Ugo con i suoi discepoli espose ai soprannominati padri, secondo quanto ricordava, il modo e l’osservanza della esigua origine del suo ordine militare il quale prese inizio da colui che dice: “Io, il Principio, che a voi parlo”,. Piacque al concilio che, esaminato diligentemente ivi il regolamento con l’aiuto e la correzione delle Scritture, nonché con il suggerimento del Papa dei Romani e del Patriarca dei Gerosolimitani, avuto pure l’assenso del capito dei poveri Cavalieri del Tempio, che è in Gerusalemme, fosse consegnato allo scritto, perché non fosse dimenticato, e indelebilmente fosse conservato: questo perché con retta via meritassero di pervenire degnamente al loro creatore, la cui dolcezza supera talmente il miele che a lui comparato è più amaro dell’assenzio, per il quale militano, e riposino dalla Milizia per gli infiniti secoli dei secoli.  Amen.

INIZIA LA REGOLA DEI POVERI COMMILITONI DELLA SANTA CITTA’

I-Quale divino ufficio debbano udire

Voi che rinunciate alla vostra volontà, e tutti gli altri che per la salvezza della anime con cui militano per un certo tempo, con cavalli e armi per il sommo re, abbiate cura di udire con pio e puro desiderio nella sua totalità Matutini e l’Integro Servizio, secondo l’istituzione canonica e la consuetudine dei dottori regolari della Santa Città.

I – Soprattutto da voi, venerabili fratelli, è dovuto il sommo grado, poiché disprezzata la luce di questa vita, e superata la preoccupazione dei vostri corpi, avete promesso di disprezzare il mondo incalzante per amore di Dio per sempre: rifocillati e saziati dal divino cibo, istituiti e confermati dai precetti del Signore, dopo la consumazione del Divino Mistero nessuno tema la battaglia, ma sia preparato alla corona.

II-Dicano le preghiere del Signore, se non hanno potuto udire il servizio di Dio

Inoltre se un fratello lontano per caso per un impegno della cristianità orientale (e questo più spesso non dubitiamo sia avvenuto) non potesse udire per tale assenza il servizio di Dio: per Matutini dica tredici orazioni del Signore e per le singole ore, sette; per i Vespri, riteniamo se ne debbano dire nove, e questo lo affermiamo unanimemente a libera voce: Questi infatti impegnati così in un lavoro di preservazione, non possono accorrere nell’ora opportuna al Divino Ufficio. Ma se fosse possibile, nell’ora stabilita non trascurino quanto dovuto per istituzione.

III-Che cosa fare per i fratelli defunti

Quando uno dei fratelli professi sacrifica ciò che è impossibile strappare alla morte, che non risparmia nessuno, ciò che è impossibile strappare: ai cappellani e ai sacerdoti che con voi caritatevolmente e temporaneamente servono al Sommo Sacerdote comandiamo con carità di offrire per la sua anima a Cristo con purezza di spirito l’ufficio e la Messa solenne. I fratelli ivi presenti, che pernottano pregando per la salvezza del fratello defunto, dicano cento orazioni del Signore fino al settimo giorno per il fratello defunto: dal giorno in cui fu annunciata la morte del fratello, fino al predetto giorno, il numero centenario venga rispettato con fraterna osservanza nella sua integrità con divina e misericordiosa carità scongiuriamo, e con pastorale autorità, comandiamo, che ogni giorno, come al fratello si dava e si doveva nelle necessità così si dia ad un povero fino al quarantesimo giorno ciò che è necessario al sostentamento di questa vita, per quanto riguarda cibo e bevanda. Del tutto proibiamo ogni altra offerta, che nella morte dei fratelli, e nella solennità di Pasqua, inoltre nelle altre solennità, la spontanea povertà dei poveri commilitoni di Cristo era solita in modo esagerato dare al Signore.

IV-I cappellani abbiano soltanto vitto e vestito

Comandiamo che per comune accordo del capitolo le altre offerte e tutte le altre specie di elemosine, in qualunque modo siano, vengano date con attenta cura ai cappellani o gli altri che restano temporaneamente. Perciò i servitori della Chiesa abbiano soltanto vitto e vestito secondo l’autorità, e non pretendano di avere nulla di più, tranne che i maestri spontaneamente e caritatevolmente abbiano dato.

V-I soldati temporanei defunti

Vi sono tra di noi dei soldati che temporaneamente e misericordiosamente rimangono della casa di Dio, e Tempio di Salomone. Perciò con ineffabile supplica vi preghiamo, scongiuriamo, e anche con insistenza comandiamo, che nel frattanto la tremenda potestà avesse condotto qualcuno all’ultimo giorno, per amore di Dio, fraterna pietà, un povero abbia sette giorni di sostentamento per la sua anima.

VI-Nessun fratello professo faccia un’offerta

Abbiamo decretato, come più sopra fu detto, che nessuno dei fratelli professi presuma di trattare un’altra offerta: ma giorno e notte con cuore puro rimanga nella sua professione, perché sia in grado di eguagliare il più santo dei profeti in questo: prenderò il calice della salvezza, e nella mia morte imiterò la morte del Signore: poiché come Cristo diede la sua anima per me, così anche io sono pronto a dare l’anima per i fratelli, ecco l’offerta giusta: ecco l’ostia viva gradita a Dio.

VII-Non esagerare nello stare in piedi

Abbiamo sentito con le nostre orecchie un teste sincerissimo, che voi assistete al divino ufficio stando costantemente in piedi: questo non comandiamo anzi vituperiamo: comandiamo che finito il salmo, “Venite esultiamo al Signore” con l’invitatorio e l’inno, tutti siedano tanto i forti quanto i deboli, per evitare scandalo. Voi che siete presenti, terminato ogni salmo, nel dire “Gloria al Padre”, con atteggiamento supplice alzatevi dai vostri scanni verso gli altari, per riverenza alla Santa Trinità ivi nominata, e insegnammo ai deboli il modo di chinarsi. Così anche nella proclamazione del Vangelo, e al “Te Deum laudamus”, e durante tutte le Lodi, finché finito “Benediciamo il Signore”, cessiamo di stare in piedi, comandiamo anche che la stessa regola sia tenuta nei Matutini di S. Maria.

VIII-Il riunirsi per il pasto

In un palazzo, ma sarebbe meglio dire refettorio, comunitariamente riteniamo che voi assumiate il cibo, dove, quando ci fosse una necessità, a causa della non conoscenza dei segni, sottovoce e privatamente è opportuno chiedere. Così in ogni momento le cose che vi sono necessario con ogni umiltà e soggezione di reverenza chiedete durante la mensa, poiché dice l’apostolo: Mangia il tuo pane in silenzio. E il Salmista vi deve animare, quando dice: Ho posto un freno alla mia bocca, cioè ho deciso dentro di me, perché non venissi meno nella lingua cioè custodivo la mia bocca perché non parlassi malamente.

IX-La lettura

Nel pranzo e nella cena sempre si faccia una santa lettura. Se amiamo il signore, dobbiamo desiderare di ascoltare attentamente le sue parole salutifere e i suoi precetti. Il lettore vi intima il silenzio.

X-Uso della carne

Nella settimana, se non vi cadono il Natale del Signore, o la Pasqua, o la festa di S. Maria, o di tutti i Santi, vi sia sufficiente mangiare tre volte la carne: l’abituale mangiare la carne va compresa quale grave corruzione del corpo. Se nel giorno di Marte cadesse il digiuno, per cui l’uso della carne è proibito, il giorno dopo sia dato a voi più abbondantemente. Nel giorno del Signore appare senza dubbio, opportuno dare due portate a tutti i soldati professi e ai cappellani in onore della Santa Resurrezione. Gli altri invece, cioè gli armigeri e gli aggregati, rimangono contenti di uno, ringraziando.

XI-Come debbono mangiare i soldati

E’ opportuno generalmente che mangino due per due, perché l’uno sollecitamente provveda all’altro, affinché la durezza della vita, o una furtiva astinenza non si mescoli in ogni pranzo. Questo giudichiamo giustamente, che ogni soldato o fratello abbia per sé solo una uguale ed equivalente misura di vino.

XII-Negli altri giorni siano sufficienti due o tre portate di legumi

Negli altri giorni cioè nella seconda e quarta feria nonché il sabato, riteniamo che siano sufficienti per tutti due o tre portate di legumi o di altri cibi, o che si dica companatici cotti: e così comandiamo che ci si comporti, perché chi non possa mangiare dell’uno sia rifocillato dall’altro.

XIII-Con quale cibo è necessario cibarsi nella feria sesta

Nella feria sesta riteniamo lodevole accontentarsi di prendere solamente un unico cibo quaresimale per riverenza alla passione, tenuto conto però della debolezza dei malati, a partire dalla festa dei santi fino a Pasqua, tranne che capiti il Natale del Signore o la festa di S. Maria o degli Apostoli. Negli altri tempi, se non accadesse un digiuno generale, si rifocillino due volte.

XIV-Dopo il pranzo sempre rendano grazie

Dopo il pranzo e la cena sempre nella chiesa, se è vicina, o, se così non è, nello stesso luogo, come conviene, comandiamo che con cuore umiliato immediatamente rendano grazie al sommo procuratore nostro: che è Cristo: messi in disparte in pani interi, si comanda di distribuire come dovuto per fraterna carità ai servi o ai poveri i resti.

XV-Il decimo del pane sia sempre dato all’elemosiniere

Benché il premio della povertà che è il regno dei cieli senza dubbio spetti ai poveri: a voi tuttavia, che la fede cristiano vi confessa indubitabilmente parte di quelli, comandiamo che il decimo di tutto il pane quotidianamente consegniate al vostro elemosiniere.

XVI-La colazione sia secondo il parere del maestro

Quando il sole abbandona la regione orientale e discende nel sonno, udito il segnale, come è consuetudine di quella regione, è necessario che tutti voi vi rechiate a Compieta, ma prima desideriamo che assumiate un convivio generale. Questo convivio poniamo nella disposizione e nella discrezione del maestro, perché quando voglia sia composto di acqua; quando con benevolenza comanderà, di vino opportunamente diluito. Questo non è necessario che conduca a grande sazietà o avvenga nel lusso, ma sia parco; infatti vediamo apostatare anche i sapienti.

XVII-Terminata la Compieta si conservi il silenzio

Finita la Compieta è necessario recarsi al giaciglio. Ai fratelli che escono da Compieta non venga data licenza di parlare in pubblico, se non per una necessità impellente; quanto sta per dire al suo scudiero sia detto sommessamente. Forse può capitare che in tale intervallo per voi che uscite da Compieta, per grandissima necessità di un affare militare, o dello stato della nostra casa, perché il giorno non è stato sufficiente, sia necessario che lo stesso maestro parli con una parte dei fratelli, oppure colui al quale è dovuto il comando della casa come maestro. Così questo comandiamo che avvenga; poiché è scritto: Nel molto parlare non sfuggirai al peccato. E altrove: La morte e la vita nelle mani della lingua. In questo colloquio proibiamo la scurrilità, le parole inutili e ciò che porta al riso: e a voi che vi recate a letto, se qualcuno ha detto qualcosa di stolto, comandiamo di dire l’orazione del Signore con umiltà e devota purezza.

XVIII-Gli stanchi non si alzino per i Matutini

Non approviamo che i soldati stanchi si alzino per i Matutini, come è a voi evidente: ma con l’approvazione del maestro, o di colui al quale fu conferito dal maestro, riteniamo unanimemente che essi debbano riposare e cantare le tredici orazioni costituite, in modo che la loro mente concordi con la voce secondo quanto detto dal profeta: Salmeggiate al Signore con sapienza: e ancora: al cospetto degli angeli salmeggerò a te. Ma questo deve dipendere dal consiglio del maestro.

XIX-Sia conservata comunità di vitto tra i fratelli

Si legge nella pagina Divina: Si divideva ai singoli, come era necessario per ciascuno. Perciò non diciamo che vi sia accezione di persone ma vi deve essere considerazione delle malattie. Quando uno ha meno bisogno, ringrazi Dio, e non si rattristi: colui che ha bisogno si umili per l’infermità, non si innalzi per la misericordia, e così tutte le membra saranno in pace. Ma questo proibiamo ché a nessuno sia lecito abbracciare una astinenza fuori posto, ma conducano una vita comune costantemente.

XX-Qualità e stile del vestito

Comandiamo che i vestiti siano sempre di un unico colore, ad esempio bianchi, o neri, o, per così dire, bigi. A tutti i soldati professi in inverno e in estate, se è possibile, concediamo vesti bianche, cosicché coloro che avranno posposto una vita tenebrosa, riconoscano di doversi riconciliare con il loro Creatore, mediante una vita trasparente e bianca. Che cosa di bianco, se non l’integra castità? La castità è sicurezza della mente, e sanità del corpo. Infatti ogni militare, se non avrà preservato nella castità, non potrà raggiungere la pace perpetua e vedere Dio; come attesta l’apostolo San Paolo: Seguiamo la pace con tutti e la castità, senza cui nessuno vedrà il Signore. Ma perché una sia di questo stile deve essere privo della nota arroganza e del superfluo; comandiamo a tutti che abbiano tali cose affinché ciascuno da solo sia capace senza clamore di vestirsi e svestirsi, mettersi i calzari e levarseli. Il procuratore di questo ministero con vigile cura sia attento nell’evitare questo, coloro che ricevono abiti nuovi, restituiscano subito i vecchi, da riporre in camera, o dove il fratello ci spetta il compito avesse deciso, perché possano servire agli scudieri o agli aggregati, oppure ai poveri.

XXI-I servi non portino vesti bianche, cioè pallii

Decisamente disapproviamo quanto era nella casa di Dio e del tempio dei suoi soldati, senza discrezione e decisione del comune capitolo, e comandiamo, che venga radicalmente eliminato quasi fosse un vizio proprio. I servi e gli scudieri portavano una volta vestiti bianchi, donde derivavano danni. Sorsero infatti in zone ultra montane alcuni falsi fratelli, sposati, ed altri, che dissero di appartenere al Tempio, mentre sono del mondo. Costoro procurarono tante ingiurie e tanti danni all’ordine militare, e gli aggregati presuntuosi come professi insuperbendo fecero nascere numerosi scandali. Portino quindi sempre vestiti neri: nel caso in cui questi non possano essere trovati, abbiano quelli che si possano trovare nella provincia in cui abitano, o quanto può essere avvicinato alla più semplice di un unico colore, cioè bigio.

XXII-I soldati professi portino solo vestiti bianchi

A nessuno è concesso portare tuniche candide, o avere pallii bianchi, se non ai nominati soldati.

XXIII-Si usino solo pelli di agnelli

Abbiamo deciso di comune accordo, che nessun fratello professo abbia pelli di lunga durata perenne o pelliccia o qualcosa di simile, e che serva al corpo, anche per coprirlo se non di agnelli o arieti.

XXIV-I vecchi vestiti siano dati agli scudieri

Il procuratore o datore dei vestiti con ogni attenzione dia i vecchi abiti sempre agli scudieri e agli aggregati, e talvolta ai poveri, agendo con fedeltà ed equità.

XXV-Chi brama le cose migliori abbia le peggiori

Se un fratello professo, o perché gli è dovuto o perché mosso da superbia volesse abiti belli o ottimi, meriterebbe per tale presunzione senza dubbio quelli più umili.

XXVI-Sia rispettata la qualità e la quantità dei vestiti

E’ necessario osservare la quantità secondo la grandezza dei corpi e la larghezza dei vestiti: colui che consegna gli abiti sia in questo attento.

XXVII-Colui che consegna i vestiti conservi innanzitutto l’uguaglianza

Il procuratore con fraterno intuito consideri la lunghezza, come sopra fu detto, con la stessa attenzione, perché l’occhio dei sussurratori o dei calunniatori non presuma di notare alcunché: e in tutte queste cose, umilmente mediti la ricompensa di Dio.

XXVIII-L’inutilità dei capelli

Tutti i fratelli, soprattutto i professi, è bene che portino capelli in modo che possano essere considerati regolari davanti e dietro e ordinati; e nella barba e nei baffi si osservi senza discussione la stessa regola, perché non si mostri o superficialità o il vizio della frivolezza.

XXIX-Circa gli speroni e le collane

Chiaramente gli speroni e le collane sono una questione gentilizia. E poiché questo è riconosciuto abominevole da tutti, proibiamo e rifiutiamo l’autorizzazione a possederli, anzi vogliamo che non ci siano. A coloro che prestano servizio a tempo non permettiamo di avere né speroni, né collane, né capigliatura vanitosa, né esagerata lunghezza di vestiti, anzi del tutto proibiamo. A coloro che servono al sommo creatore è sommamente necessaria la mondezza interna ed esterna, come egli stesso attesta, dicendo: Siate mondi, perché Io sono mondo.

XXX-Numero dei cavalli e degli scudieri

A ciascun soldato è lecito possedere tre cavalli, poiché l’insigne povertà della casa di Dio e del Tempio di Salomone non permette di aumentare oltre, se non per licenza del maestro.

XXXI-Nessuno ferisca uno scudiero che serve gratuitamente

Concediamo ai singoli militari per la stessa ragione un solo scudiero. Ma se gratuitamente e caritatevolmente quello scudiero appartiene a un soldato, a costui non è lecito flagellarlo, e neppure percuoterlo per qualsiasi colpa.

XXXII-In che modo siano ricevuti coloro che restano a tempo

Comandiamo a tutti i soldati che desiderano servire a tempo a Gesù Cristo con purezza d’animo nella stessa casa, di comprare fedelmente cavalli idonei in questo impegno quotidiano, e armi e quanto è necessario. Abbiamo anche giudicato, tutto considerato, che sia cosa buona e utile valutare i cavalli. Si conservi perciò il prezzo per iscritto perché non venga dimenticato: quanto sarà necessario al soldato, o ai suoi cavalli, o allo scudiero, aggiunti i ferri dei cavalli secondo la facoltà della casa, sia acquistato dalla stessa casa con fraterna carità. Se frattanto il soldato per qualche evento perdesse i suoi cavalli in questo servizio; il maestro per quanto può la casa, ne procurerà altri. Al giungere del momento di rimpatriare, lo stesso soldato conceda la metà del prezzo per amore divino, e se a lui piace, riceva l’altra dalla comunità dei fratelli.

XXXIII-Nessuno agisca secondo la propria volontà

E’ conveniente a questi soldati, che stimano niente di più caro loro di Cristo, che per il servizio, secondo il quale sono professi, e per la gloria della somma beatitudine, o il timore della geenna, prestino continuamente obbedienza al maestro. Occorre quindi che immediatamente, se qualcosa sia stato comandato dal maestro, o da colui al quale è stato dato mandato dal maestro, senza indugio, come fosse divinamente comandato, nel fare non conoscano indugio. Di questi tali la stessa verità dice: Per l’ascolto dell’orecchio mi ha obbedito.

XXXIV-Se è lecito andare senza comando del maestro in un luogo isolato

Scongiuriamo, e fermamente loro comandiamo, che i generosi soldati che hanno rinunciato alla propria volontà, e quanti sono aggregati, senza la licenza del maestro, o di colui cui fu conferito, di non permettersi di andare in un luogo isolato, eccetto di notte al sepolcro, in armi, e sorvegliare, poiché l’astuto nemico colpisce di giorno e di notte, o a quei luoghi che sono inclusi nelle mura della santa città.

XXXV-Se è lecito camminare da soli

Coloro che viaggiano, non ardiscano iniziare un viaggio né di giorno né di notte, senza un custode, cioè un soldato o un fratello professo. Infatti dopo che furono ospitati nella milizia, nessun militare, o scudiero o altro, si permetta di andare per vedere negli atri degli altri militari, o per parlare con qualcuno, senza permesso, come fu detto sopra. Perciò affermiamo saggiamente, che in tale casa ordinata da Dio, nessuno secondo il suo possesso svolga il proprio servizio o riposi; ma secondo il comando del maestro ciascuno agisca così che imiti la sentenza del Signore, con cui ha detto: Non sono venuto a fare la mia volontà, ma di Colui che mi ha mandato.

XXXVI-Nessuno chieda singolarmente ciò che è a lui necessario

Comandiamo, che sia scritta tra le altre come propria questa consuetudine e posta ogni attenzione confermiamo perché si eviti di cercare il vizio. Nessun fratello professo, deve chiedere che gli sia assegnato personalmente un cavallo o una cavalcatura o delle armi. In che modo? Se la sua malattia, o la debolezza dei sui cavalli, o la scarsezza delle sue armi, fosse riconosciuta tale, che avanzare così sia un danno comune: si rechi dal maestro, o da colui chi è dovuto il ministero dopo il maestro, e gli esponga la causa con sincerità e purezza: infatti la cosa va risolta nella decisione del maestro, o del suo procuratore.

XXXVII-I morsi e gli speroni

Non vogliamo che mai oro o argento che sono ricchezze particolari appaiano nei morsi o nei pettorali, né gli speroni, o nei finimenti, né sia lecito ad alcun fratello professo acquistarli. Se per caso tali vecchi strumenti fossero stati dati in dono, l’oro o l’argento siano colorati in modo che il colore o il decoro non appaia arroganza in mezzo agli altri. Se fossero stati dati nuovi, il maestro faccia ciò che vuole di queste cose.

XXXVIII-Sulle aste e sugli scudi non venga posta una copertura

Non si abbia una copertura sopra gli scudi e le aste, perché secondo noi questo non è proficuo, anzi dannoso.

XXXIX-L’autorizzazione del maestro

Al maestro è lecito dare cavalli o armi a chiunque, o a chi ritiene opportuno qualunque altra cosa.

XL-Sacco e baule

Non sono permessi sacco e baule con il lucchetto: così siano presentati, perché non si posseggano senza il permesso del maestro, o di colui a cui furono affidati i compiti

della casa e i compiti in sua vece. Da questa norma sono esclusi i procuratori e coloro che abitano in provincie diverse, e neppure è inteso lo stesso maestro.

XLI-L’autorizzazione scritta

In nessun modo a un fratello sia lecito ricevere, o dare, dai propri parenti, né qualsiasi uomo, né dall’uno all’altro, senza il permesso del maestro o del procuratore. Dopo che un fratello avrà avuto licenza, alla presenza del maestro, se così a lui piace, siano registrati. Nel caso che dai parenti sia indirizzato a lui qualcosa, non si permetta riceverla, se prima non è stato segnalato al maestro. In questa norma non sono inclusi il maestro e i procuratori della casa.

XLII-La confessione delle proprie colpe

Poiché ogni parola oziosa si sa che genera il peccato, che cosa essi diranno ostentatamente riguardo alle proprie colpe davanti al severo giudice. Dice bene il profeta che se occorre astenersi dai buoni discorsi per il silenzio, quanto più occorre astenersi dalle cattive parole per la penda del peccato. Vietiamo quindi che un fratello professo osi ricordare con un suo fratello, o con qualcun altro, per meglio dire, le stoltezze, che nel secolo nel servizio militare compì in modo enorme, e i piaceri della carne con sciaguratissime donne, o qualsiasi altra cosa: e se per caso avesse sentito qualcuno che riferisce tali cose, lo faccia tacere, o appena può si allontani per obbedienza, e al venditore d’olio non offra il cuore.

XLIII-Questua e accettazione

Se a un fratello fosse stata data qualcosa senza averla chiesta, la consegni al maestro o all’economo: se un altro suo amico o parente non volesse che fosse usata se non da lui, questa non riceva fino a quando abbia il permesso del maestro. Colui al quale sarà stata data la cosa, non dispiaccia che venga data ad un altro: sappia per certo, che se si arrabbiasse per questo, agisce contro Dio. Nella sopraddetta regola non sono contenuti gli amministratori ai quali in modo speciale è affidato e concesso il ministero riguardo al sacco e al baule.

XLIV-I sacchi per il cibo sui cavalli

E’ utile a tutti che questo ordine da noi stabilito sia rispettato senza eccezioni. Nessun fratello presuma di confezionare sacchi per il cibo di lino o di lana, preparati con troppa cura: non ne abbia se non di panno grezzo.

XLV-Nessuno osi cambiare o domandare

Nessuno presuma di cambiare le sue cose, fratello con il fratello, senza l’autorizzazione del maestro, e chiedere qualcosa, se non fratello al fratello, purché la cosa sia piccola, vile, non grande.

XLVI-Nessuno catturi un uccello con un uccello, neppure proceda con il richiamo

Noi giudichiamo con sentenza comune che nessuno osi catturare un uccello con un uccello. Non conviene infatti aderire alla religione conservando i piaceri mondani, ma ascoltare volentieri i comandamenti del Signore, frequentemente applicarsi alle preghiere, confessare a Dio i propri peccati con lacrime e gemito quotidianamente nella preghiera. Nessun fratello professo per questa causa principale presuma di accompagnarsi con un uomo che opera con il falco o con qualche altro uccello.

XLVII-Nessuno colpisca una fiera con l’arco o la balestra

E’ conveniente camminare in atteggiamento pio, con semplicità, senza ridere, umilmente, non pronunciando molte parole, ma ragionando, e non con voce troppo elevata. Specialmente imponiamo e comandiamo ad ogni fratello professo di non osare entrare in un bosco con arco o balestra o lanciare dardi: non vada con colui che fece tali cose se non per poterlo salvare da uno sciagurato pagano: né osi gridare con un cane né garrire; né spinga il suo cavallo per la bramosia di catturare la fiera.

XLVIII-Il leone sia sempre colpito

Infatti è certo, che a voi fu specialmente affidato il compito di offrire la vita per i vostri fratelli, e eliminare dalla terra gli increduli, che sempre minacciano il Figlio della Vergine. Del leone questo leggiamo, perché egli circuisce cercando chi divorare, e le sue mani contro tutti, e le mani di tutti contro lui.

XLIX-Ascoltate il giudizio riguardo a quanto è chiesto su di voi

Sappiamo che i persecutori della Santa Chiesa sono senza numero, e si affrettano incessantemente e sempre più crudelmente ad inquietare coloro che non amano le contese. In questo si tenga la sentenza del Concilio fatta con serena considerazione, che se qualcuno nelle parti della regione orientale, o in qualunque altro luogo chiedesse qualcosa su di voi, a voi comandiamo di ascoltare il giudizio emesso da giudici fedeli e amanti del vero; e ciò che sarà giusto, comandiamo che voi compiate senza esitazione.

L-In ogni cosa sia tenuta questa regola

Questa stessa regola comandiamo che venga tenuta per sempre in tutte le cose che immeritatamente sono state a voli tolte.

LI-Quando è lecito a tutti i militari professi avere una terra e degli uomini

Crediamo che per divina provvidenza nei santi luoghi prese inizio da voi questo genere nuovo di religione che cioè alla religione sia unita la milizia e così per la religione proceda armata mediante la milizia, o senza colpa colpisca il nemico. Giustamente quindi giudichiamo, poiché siamo chiamati soldati del Tempio che voi stessi per l’insigne e speciale merito di probità abbiate casa, terra, uomini, contadini e giustamente li governate: e a voi è dovuto in modo particolare quanto stabilito.

LII-Ai malati sia dedicata un’attenzione particolare

Ai fratelli che stanno male occorre prestare una cura attentissima, come si servisse a Cristo in loro: il detto evangelico, sono stato infermo e mi visitaste sia attentamente ricordato. Costoro vanno sopportati pazientemente, perché mediante loro senza dubbio si acquista una retribuzione superiore.

LIII-Agli infermi sia sempre dato ciò che è necessario

Agli assistenti degli infermi comandiamo con ogni osservanza e attenta cura, che quanto è necessario per le diverse malattie, fedelmente e diligentemente, secondo le possibilità della casa sia loro amministrato, ad esempio, carne e volatili ed altro, fino quando siano restituiti alla sanità.

LIV-Nessuno provochi l’altro all’ira

Massima attenzione va posta perché qualcuno non presuma di provocare l’altro all’ira: infatti la somma clemenza della vicina divina fraternità congiunse tanto i poveri quanto i potenti.

LV-In che modo siano accolti i fratelli sposati

Permettiamo a voi di accogliere i fratelli sposati in questo modo, se chiedono il beneficio e la partecipazione della vostra fraternità, entrambi concedano una parte della loro sostanza e quanto avessero ad acquistare lo diano all’unità del comune capitolo dopo la loro morte, e frattanto conducano una vita onesta, e si studino di agire bene verso i fratelli, ma non portino la veste candida e il mantello bianco. Se il marito fosse morto prima, lasci la sua parte ai fratelli: la moglie ricavi il sostegno della vita dall’altra parte. Consideriamo infatti questo ingiusto che fratelli di questo tipo risiedano nella stessa casa dei fratelli che hanno promesso la castità a Dio.

LVI-Non si abbiano più sorelle

Riunire ancora sorelle è pericoloso: l’antico nemico a causa della compagnia femminile cacciò molti dalla retta via del paradiso. Perciò, fratelli carissimi, perché sempre tra voi sia visibile il fiore dell’integrità, non è lecito mantenere ancora questa consuetudine.

LVII-I fratelli del Tempio non abbiano parte con gli scomunicati

Questo, fratelli è da evitare e da temere, che qualcuno dei soldati di Cristo in qualche modo si unisca ad una persona scomunicata singolarmente e pubblicamente, o presuma di ricevere le sue cose, perché la scomunica non sia simile al marantha (vieni Signore). Ma se fosse soltanto interdetto, non sarà fuori posto avere parte con lui, e ricevere caritatevolmente le sue cose.

LVIII-In che modo vanno ricevuti i soldati secolari

Se un soldato dalla massa della perdizione, o un altro secolare, volendo rinunziare al mondo, volesse scegliere la nostra comunione e vita, non si dia a lui subito l’assenso, ma secondo la parola di Paolo, provate gli spiriti se sono da Dio così a lui sia concesso l’ingresso. Si legga dunque la Regola in sua presenza: e se costui ottempererà diligentemente ai comandi di questa esimia Regola, allora se al maestro e ai fratelli sarà piaciuto riceverlo, convocati i fratelli esponga con purezza d’animo a tutti il suo desiderio e la sua richiesta. In seguito il termine della prova dipenda in tutto dalla considerazione e dalla decisione del maestro, secondo l’onestà di vita del richiedente.

LIX-Non siano chiamati tutti i fratelli al consiglio privato

Comandiamo che non sempre siano convocati al consiglio tutti i fratelli, ma solo quelli che il maestro avrà ritenuto idonei e provvidenziali per il consiglio. Quando volesse trattare le questioni maggiori, quale dare la terra comune, o discutere dell’Ordine stesso, o ricevere un fratello: allora è opportuno convocare tutta la congregazione, se così ritiene il maestro; udito il parere di tutto il capitolo, quanto di meglio e di più utile il maestro avrà ritenuto opportuno, questo si faccia.

LX-Devono pregare in silenzio

Comandiamo con parere concorde che, come avrà richiesto la propensione dell’anima e del corpo, i fratelli preghino in piedi o seduti: tuttavia con massima riverenza con semplicità, senza chiasso, perché uno non disturbi l’altro.

LXI-Ricevere la fede dei serventi

Abbiamo saputo che molti da diverse province, tanto aggregati, quanto scudieri desiderano vincolarsi nella nostra casa a tempo con animo fervoroso per la salvezza delle anime. E’ utile che riceviate la fede loro, affinché per caso l’antico nemico non intimi loro nel servizio di Dio alcunché furtivamente o indecentemente, o li distolga improvvisamente dal buon proposito.

LXII-I fanciulli, fin quando sono piccoli, non siano ricevuti tra i fratelli del Tempio

Quantunque la Regola dei Santi Padri permetta di avere dei fanciulli in una congregazione, noi non riteniamo di dover caricare voi di tale peso. Chi volesse dare in perpetuo suo figlio, o un suo congiunto, nella religione militare: lo nutra fino agli anni, in cui virilmente con mano armata possa eliminare dalla Terra Santa i nemici di Cristo: in seguito secondo la Regola il padre o i genitori lo pongano in mezzo ai fratelli, e rendano nota la sua richiesta. E’ meglio nella fanciullezza non giurare, piuttosto che diventato uomo ritirarsi in modo clamoroso.

LXIII-Sempre i vecchi siano venerati

E’ bene che i vecchi con pia considerazione, secondo la debolezza delle forze siano sopportati e diligentemente onorati: i nessun modo si usi severità in quanto la tolleranza è necessaria per il corpo, salva tuttavia l’autorità della Regola.

LXIV-I fratelli che partono per diverse province

I fratelli che si incamminano per diverse province, per quanto lo permettano le forze, si impegnino a osservare la Regola nel cibo e nella bevanda e nelle altre cose, e vivano in modo irreprensibile, perché abbiano buona testimonianza da coloro che stanno fuori: non macchino il proposito di religione né con parola né con atto, ma soprattutto a coloro, con i quali si sono incontrati, offrano esempio e sostanza di sapienza e di buone opere. Colui presso il quale avranno deciso di alloggiare, abbia buona fama: e, se è possibile, la casa dell’ospite in quella notte non manchi della candela, affinché il nemico tenebroso non procuri la morte, Dio non voglia. Quando avranno sentito di riunire soldati non scomunicati, diciamo che colà devono andare non preoccupandosi di una utilità temporale, quanto piuttosto della salvezza eterna delle loro anime. Ai fratelli diretti nelle zone aldilà del mare con la speranza di essere trasportati, raccomandiamo di ricevere con questa convenzione coloro che avessero voluto unirsi in perpetuo all’Ordine militare: entrambi si presentino al Vescovo di quella provincia e il presule ascolti la volontà di colui che chiede. Ascoltata la richiesta, il fratello lo invii al maestro e ai fratelli che si trovano nel Tempio che è in Gerusalemme: e se la sua vita è onesta e degna di tale appartenenza, misericordiosamente sia accolto, se questo sembra bene al maestro e ai fratelli. Se nel frattempo morisse, a causa del lavoro e della fatica, come a un fratello, a lui sia riconosciuto tutto il beneficio e la fraternità dei poveri e dei commilitoni di Cristo.

LXV-A tutti sia distribuito in modo uguale il vitto

Riteniamo anche che questo in modo congruo e ragionevole sia rispettato, che a tutti i fratelli professi sia dato cibo in eguale misura secondo la possibilità del luogo: non è infatti utile l’accezione delle persone, ma è necessario considerare le indisposizioni.

 LXVI-I soldati abbiano le decime del Tempio

Crediamo che avendo abbandonato le ricchezze a voi donate abbiate ad essere soggetti alla spontanea povertà, per cui in questo modo abbiamo dimostrato in quale modo spettino a voi che vivete in vita comune le decime. Se il Vescovo della chiesa, al quale è dovuta giustamente la decima, avrà voluto darla a voi caritatevolmente: deve dare a voi le decime che allora la Chiesa sembra possedere con il consenso del capitolo comune. Se un laico dovesse impossessarsi di essa (decima) o sottrarla dal suo patrimonio in modo condannabile, e confessando la propria colpa avrà voluto lasciare a voi la stessa: secondo la discrezione di colui che presiede questo può essere fatto, senza il consenso del capitolo.

LXVII-Le colpe leggere e gravi

Se un fratello avrà sbagliato in modo lieve nel parlare, nell’agire o altrimenti, egli stesso confessi al maestro il suo peccato con l’impegno della soddisfazione. Per le cose lievi, se non esiste una consuetudine, ci sia una lieve penitenza. Nel caso in cui tacesse e la colpa fosse conosciuta attraverso un altro, sia sottoposto a una disciplina e ad una riparazione maggiore e più evidente.

Se la colpa sarà grave, si allontani dalla familiarità dei fratelli, né mangi con loro alla stessa mensa, ma da solo assuma il pasto. Il tutto dipenda dalla decisione e dall’indicazione del maestro, affinché sia salvo nel giorno del giudizio.

LXVIII-Per quale colpa il fratello non sia più accolto

Soprattutto occorre provvedere che, nessun fratello, sia potente o impotente, forte o debole, voglia esaltarsi e poco a poco insuperbire, difendere la propria colpa, possa rimanere indisciplinato: ma, se non avrà voluto correggersi, a lui venga data una correzione più severa. Che se non avrà voluto correggersi con pie ammonizioni e per le preghiere a lui innalzate, ma si sarà innalzato sempre più nella superbia: allora secondo l’apostolo, sia sradicato dal pio gregge: togliete il male da voi: è necessario che la pecora malata sia allontanata dalla società dei fratelli fedeli. Inoltre il maestro che deve tenere in mano il bastone e la verga (cioè il bastone, con cui sostenga le debolezze delle altre forze, la verga con cui colpisca con lo zelo della rettitudine i vizi di coloro che vengono meno) con il consiglio del Patriarca e con una considerazione spirituale sul da farsi affinché, come dice il beato Massimo, la più libera clemenza non approvi l’arroganza del peccatore, né l’esagerata severità non richiami dall’errore chi sbaglia.

LXIX-Dalla solennità di Pasqua fino a Tutti i Santi si possa soltanto portare una camicia di lino

Per il grande caldo della regione orientale, consideriamo compassionevolmente, che dalla festa di Pasqua fino alla solennità di Tutti i Santi, si dia a ciascuno una unica

camicia di lino, non per il dovuto, ma per sola grazia, e questo dico per chi vorrà usufruire di essa. Negli altri tempi generalmente tutti portino camicie di lana.

LXX-Quanti e quali panni siano necessari nel letto

Per coloro che dormono nei singoli letti riteniamo di comune consiglio, se non sopravviene qualche grave causa o necessità: ciascuno abbia biancheria secondo la discreta assegnazione del maestro: crediamo infatti che a ciascuno sia sufficiente un pagliericcio, un cuscino e una coperta. Colui che manca di uno di questi, prenda una stuoia, e in ogni tempo sarà lecito usufruire di una coperta di lino, cioè un panno: dormano vestiti con la camicia, e sempre dormano indossando gli stivali. Mentre i fratelli dormono, fino al mattino non manchi la lucerna.

LXXI-Va evitata la mormorazione

Comandiamo a voi, per divino ammonimento di evitare, quasi peste da fuggire, le emulazioni, il livore, le mormorazioni, il sussurrare, le detrazioni. Si impegni ciascuno con animo vigile, a non incolpare o riprendere il suo fratello ma ricordi tra se la parola dell’apostolo: non essere un accusatore, né diffamatore del popolo. Quando qualcuno avrà conosciuto che un fratello ha peccato in qualcosa, in pace e fraterna pietà, secondo il precetto del Signore, lo corregga tra sé e lui solo: e se non lo avrà ascoltato prenda un altro fratello: ma se avrà disprezzato entrambi, in riunione davanti al capitolo tutto sia rimproverato. Soffrono di grave cecità, coloro che calunniano gli altri; sono di grande infelicità coloro che non si guardano dal livore: da qui sono immersi nell’antica iniquità dell’astuto nemico.

LXXII-Si evitino i baci di tutte le donne

Riteniamo pericoloso per ogni religioso fissare lungamente il volto delle donne: perciò un fratello non osi baciare né una vedova, né una nubile, né la madre, né la sorella, né un’amica, né nessuna altra donna. Fugga dunque la milizia di Cristo i baci femminili, attraverso i quali gli uomini spesso sono in pericolo: così con coscienza pura e vita libera può perennemente conversare al cospetto del Signore.

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IL LOGOS DEGLI ASTRI

Il Logos degli astri     

Gioele M..

Questo contributo del carissimo Fratello Gioele M. che si offre alla lettura e allo studio, è un lavoro pubblicato sul numero 1 di Pantheon.

Download ” Il Logos degli astri”

“Logos” e “astri”… I due termini costituiscono insieme la parola astrologia.

Propriamente, in base alla sua specifica valenza semantica, questo nome composto implica che esista un linguaggio razionale, dunque scientificamente significativo, connesso in qualche modo agli astri.

Il termine logos infatti, sin dall’epoca classica ellenica fino alla fondamentale accezione che la scuola filosofica stoica volle attribuirgli (gravida di conseguenze sulla “fortuna” del vocabolo in esame), a secondo dei contesti in cui viene utilizzato, può essere tradotto con “ragione”, “regola”, “giudizio”, “causa”, “legge”, “argomento”, “intelligenza”, “discorso”.

Esso, quale che sia la “materia” o il “nome” cui viene affiancato, mantiene intatto il suo valore ordinativo e chiarificante, quasi come sigillo e garanzia d’intelligibilità e intelligenza da sovrapporre al caos delle parole e delle cose.

Astrologia…Logos degli astri…Ma esiste, è rintracciabile davvero un “discorso” razionale, un tessuto intelligibile ed espressivo, una scienza connessa alla stasi e al movimento di alcuni corpi celesti in relazione a quelli terrestri?

Qualcuno sostiene di no. E allora, per riferirsi ad un corpus di dottrine ” razionali” riguardante pianeti, stelle, luminari e gli altri elementi costituenti la grammatica celeste, usa un termine più illibato: astronomia.

In questo caso agli “astri” è affiancato nomos che può essere tradotto con “prescrizione”, “legge”, “costume”, “consuetudine”, “regola”.

Un termine più sobrio, meno ridondante e pretenzioso del magniloquente logos, più adeguato al senso di ridimensionamento di cui vuole essere emblema nelle intenzioni di alcuni.

Insomma alla vetusta astrologia, arte superstiziosa, infondata e garrula, occorre contrapporre la moderna astronomia, uno dei parti nobili, austeri, onesti, sobri e veritieri della rivoluzione scientifica, progressista e trionfante contro le tenebre d’ignoranza che afflissero l’umanità..

Tuttavia chi scrive è da sempre alquanto scettico e diffidente rispetto agli “evoluzionisti”, ai “progressisti”, “positivisti”, “razionalisti”, “scientisti”… Almeno quanto lo è agli “involuzionisti” e ai “tradizionalisti”, nostalgici di lontane età dell’oro delle civiltà e delle conoscenze.

Forse la ricerca storica e la riflessione filosofica ed epistemologica sono, invece, ai nostri giorni, abbastanza raffinate e consapevolmente duttili e spregiudicate per riconsiderare interamente la secolare querelle sull’arte di Urania.

Sarebbe davvero auspicabile uno studio sull’astrologia che fosse parimenti indagine filologica rigorosa di testi e dottrine-collocate senza arbitrii nel reale contesto culturale e sociale in cui si svilupparono- e valutazione precisa dei fondamenti teoretici che presiedettero e tuttora presiedono al sapere astrologico.

Un progetto storiografico siffatto dovrebbe coniugare una sufficiente padronanza di ‘strumenti’ storico-critici e una ‘robusta’ conoscenza ‘dal di dentro’ delle teorie astrologiche e del complesso patrimonio ‘sapienziale’ e tecnico-dottrinario da esse presupposto.

D’altra parte, è piuttosto fondato ritenere che, se una ricerca di questo tipo non è stata ancora compiuta efficacemente da alcuno studioso, ciò non vada affatto ascritto a motivazioni contingenti o casuali.

Nel XX secolo, un’opera pionieristica famosa fu la Storia dell’astrologia di F.Boll, C. Bezold, W. Gundel, ( 1917).

All’incompetenza specifica dimostrata su ampie ‘zone’ della materia trattata, questo libro aggiungeva ‘solidi’ pregiudizi di varia natura, inammissibili per la teoria e la pratica storiografica.

Se lo storico ritiene, trattando e analizzando una qualche tradizione filosofica, religiosa o cosmologica, di dover esprimere giudizi di valore, approvazioni o disapprovazioni intellettuali o sentimentali, dichiarazioni previe di ‘lontananza’ o ‘vicinanza’ al tema trattato, ebbene quello studioso ha abdicato ai principi del suo mestiere. I quali principi gli impongono di dichiarare preliminarmente i presupposti metodologici e teorici in senso stretto e “tecnico” della sua indagine interpretativa (poiché non esiste analisi storica che non ne abbia, come non esiste storico o essere umano privo di una qualche Weltanschauung, magari inconsapevole).

Gli stessi principi gli impongono altresì di non cimentarsi sul valore etico o sulla “verità” di una dottrina che, per avventura, si trovasse ad onorare della sua attenzione di ricercatore.

Di quale “rigore” darebbe prova uno storico del cristianesimo di religione islamica che, ad un certo punto della sua “ricerca”, biasimasse e ridicolizzasse le dottrine cristiane in quanto false e blasfeme rispetto alla sua fede? O uno storico cristiano dell’ebraismo che rimproverasse ai “figli di Abramo” il “deicidio” e l’incomprensione della venuta del messia?

Dal primo, se l’oggetto del suo studio è, ad esempio, la comparazione del ruolo e della figura del profeta nell’ambito delle cosiddette “religioni del libro”, ci aspettiamo che tratti sapientemente e sobriamente questo tema, tralasciando di dirci, come “privato” credente, che l’Islam detiene il “giusto” e “vero” modo di presentare la questione.

Dal secondo, in sede storica, ci interesserà magari vedere delineati i rapporti che intercorsero tra i giudeo-cristiani e i giudei rimasti ortodossi, negli anni in cui l’aderenza alla nuova fede non sembrava abrogare il senso di appartenenza all’antica legge dei padri d’Israele, e così via…

Analisi dei dati disponibili, a partire da presupposti preliminarmente dichiarati (perché ciascuno si avvale di determinate e determinabili categorie “ermeneutiche”-giova ripeterlo- e la “storia” o lo storico non hanno mai potuto prescinderne; esiste però la differenza perspicua tra chi rende palese la propria griglia interpretativa e chi affetta “neutralità impossibili, al cui riparo porre le proprie occulte e indebite istanze”, spacciandole per oggettiva ricostruzione storica); questo è necessario “pretendere”.

Ma perché questa digressione sui compiti e i limiti della storiografia?

Evidentemente, proprio a partire dall’opera congiunta di Boll-Bezold-Gundel [1], per passare poi alle ricerche distinte dello stesso Franz Boll, di W.Gundel, di Franz Cumont [2] e arrivare ai pregevoli benché insufficienti lavori di A.Warburg, Fritz Saxl, L.Thorndike [3] e di qualche altro minore, si dispiegava una strana e ibrida miscela di originalità e pregiudizio, coraggio e inadeguatezza, slancio volenteroso verso territori inesplorati e autocensure a carattere razionalistico-positivistico di vario tipo.

Il “dissodamento” di una materia così delicata e complessa come l’astrologia veniva operato da insigni studiosi che, nonostante gli indubbi meriti “fattuali” delle loro ricerche, non seppero essere metodologicamente rigorosi, a scapito della stessa  ricostruzione storica, troppo spesso manchevole, super

Se ad una osservazione attenta appare sorprendentemente superficiale e inappropriato l’approccio sociologico di Th.W.Adorno in un saggio del 1957, tradotto in italiano solo molti anni più tardi [4], non si potevano registrare significativi progressi nelle opere di W.E. Peuckert, W.Knappisch,, D. e J. Parker, A.Kitson,, J.Hallbronn e S.Hutin, J.Tester [5]: troppo limitate e limitative ne erano le premesse, gli svolgimenti, le conclusioni.

La storia degli storici ufficiali- cui si univa qualche outsider di rilievo- confessava puntualmente, lungo tutto un secolo di tentativi malriusciti, la propria impreparazione ad affrontare ab imis fundamentis et in medias res l’argomento trattato.

Trattato, per l’appunto, ma spesso poco conosciuto e letto attraverso lenti spessissime e opache per i molteplici pregiudizi. Il problema era ed è, ne siamo convinti, soprattutto di metodo. Una storiografia, quand’anche originale, innovativa, acuta, penetrante, che sia tuttavia incapace di attenersi rigorosamente a dei saldi e condivisi oltre che condivisibili principi metodologici, abdica dai suoi fini e abortisce inevitabilmente nonostante le belle e suggestive premesse.

Proprio per questi motivi appaiono, d’altro canto, strutturalmente inservibili le molte pagine che alla storia dell’astrologia o alla “teoria” e alle teorie astrologiche hanno dedicato gli ‘astrologi’ contemporanei..

Intendiamoci: possiamo a buon diritto considerare alcuni fra i più importanti cultori di questo secolo dell’arte di Urania come interessanti “filosofi”, rielaboratori di dottrine più o meno antiche alla luce di moderni sincretismi.

Ma tutti e ciascuno di questi spesso affascinanti devoti dell’arte dispiegano il proprio ingegno senza interrogarsi sui fondamenti primi dei sistemi che incessantemente rifondano, riformano o rivoluzionano.

Sostanzialmente, costoro finiscono con l’accettare acriticamente l’una o l’altra delle premesse “derivate”, dei postulati secondari che storicamente fondarono, lungo i secoli, le pratiche e le specifiche dottrine astrologiche, senza peraltro svolgere una generale indagine dubitativa sul senso “ultimo” e “primo” dell’antica scienza dei cieli.

Senza contare che, proprio là dove essi si cimentano in tentativi di ricognizione diacronica di questa tradizione, il carattere approssimativo e inadeguato degli “strumenti” eruditi utilizzati rende palesemente inconsistenti, anche agli occhi dei lettori meno “esperti”, le “genealogie” culturali e le ricostruzioni storiche proposte.

Così, converrà citare quali importanti cultori ed interpreti di astrologia del sec. XX, ma non certo come storici degnamente attrezzati o teorici capaci di efficace critica epistemologica, personaggi indubbiamente non privi di una certa notorietà come P.Choisnard, H.Freiherr von Klockler, Andrè Barbaullt, Dane Rudhyar, Stephen Arroyo, Alexander Ruperti, Liz greene e Lisa Morpurgo.

Gli “ingredienti” essenziali che mi sembra di poter constatare in seno a questa spesso vivace e intellettualmente “intrigante” astrologia contemporanea sono:

A) Connessioni variamente modulate con la psicologia moderna e la psicoanalisi in generale e con la Psicologia Analitica dell’onnipresente e citatissimo C.G.Jung , in particolare;

B) orientamenti “umanistici” in senso lato con ascendenze “teosofiche” varie;

C) un uso consistente di indagini statistiche a supporto della “scientificità” dei lavori prodotti.

Prescindendo dall’interesse e dal fascino che un ‘movimento’ culturale siffatto può suscitare nell’animo del lettore medio del nostro ‘villaggio globale’ planetario- e infatti le librerie e i ‘siti’ internet sono letteralmente invasi da ‘materiali’ di tale ‘provenienza’- i “neoastrologi” cui ho appena accennato, ‘accompagnati’ dagli storici, dagli antropologi e dai sociologi ‘accademici’ di tutto il XX secolo costituiscono semmai un possibile “oggetto” di una ricerca volta a storicizzare l’astrologia o a rimetterne in discussione i presupposti teorici, non certo gli antesignani di questa stessa impresa, di cui non seppero o non vollero essere capaci.

Tuttavia, in questi ultimissimi anni, si sono iniziate a registrare alcune piacevoli novità, specialmente in Italia..

Se Giuseppe Bezza ha proseguito un’opera preziosa di traduzione e commento di testi fondamentali per la storia dell’astrologia [6], il 1996 ha visto la pubblicazione di quello che davvero potrebbe essere un discreto viatico per una profonda e sostanziale rimessa in discussione di un secolo di approcci balbettanti e insufficienti.

Alludo a Scritto negli astri. L’astrologia nella cultura dell’occidente [7].di Ornella Pompeo Faracovi.

Questo libro rappresenta, probabilmente, il tentativo finora meglio riuscito di indagare con rigore storico la complessa querelle astrologica. Esso, d’altra parte, non risulta neanche sprovvisto di sagaci riflessioni a carattere teorico-epistemologico.

L’autrice stessa sottolinea l’esigenza imprescindibile di coniugare insieme “momenti” di storia “interna” ed “esterna” dell’oggetto in questione, al fine di elaborare più precisamente il significato di un orizzonte di ricerca così complesso.

La Pompeo Faracovi, nel primo capitolo del suo libro, ironizza sottilmente sul fatto che:

“A nessuno verrebbe in mente di fare la storia, poniamo, di una corrente letteraria, di un dibattito filosofico, di una disputa scientifica, senza averne preliminarmente indagato temi e problemi. Allo stesso modo, nessuno azzarderebbe una critica della filosofia di Heidegger, o dell’epistemologia di Popper, senza averle prima esaminate a fondo: né un’indagine storica, né una discussione teorica sarebbero proponibili, in assenza di un’adeguata conoscenza dei quadri concettuali di cui si vogliono seguire gli sviluppi o discutere le implicazioni. Tutto il contrario accade, di regola, per l’astrologia, come notava, ormai è quasi un secolo, uno dei pionieri della rinascita astrologica del Novecento, Paul Choisnard: i suoi avversari mostrano invariabilmente di considerarla indegna di seria confutazione, pur senza potersi esimere dal riconoscere laconicamente il fatto, per loro inspiegabile, che molti spiriti illustri l’hanno coltivata. Nella maggioranza dei casi, i detrattori dell’arte di Urania ne hanno una conoscenza superficiale e orecchiata, seppur non ne ignorino palesemente tecniche e assetti disciplinari. La loro presa di posizione si struttura in rapporto a una immagine stereotipata e di maniera, assunta di seconda o terza mano da una lunga tradizione di polemiche antiastrologiche, con scarsi sforzi di documentazione diretta. E pour cause: poiché si dà per certo che l’astrologia sia solo superstizione e credulità, ecco l’incompetenza diventare, inopinatamente, una virtù. Così, nella famosa inchiesta sui risvolti psico-sociologici dell’uso contemporaneo dell’astrologia, vediamo Theodor Adorno impiegare una sola volta, con fastidio, termini dal sapore vagamente tecnico, come quadratura, congiunzione, opposizione, quasi il solo fatto di introdurre tali riferimenti rischiasse di trasformare l’austero studioso in un credulo adepto. Non mancano situazioni nelle quali gli autori di impegnative storie dell’astrologia danno prova di radicale incertezze sui rudimenti della disciplina, equivocando sul significato di termini come casa o domicilio, confondendo le tecniche dell’astrologia oraria con lo studio dei transiti, o usando a sproposito il termine progressione. Quando poi, con somma audacia, qualcuno mostra di saper seguire l’interpretazione di un tema natale, lo fa quasi scusandosi, come colto a trastullarsi con un passatempo infantile, che nulla ha a che fare con le proprie abituali occupazioni.”

[1] Cfr. F.Boll, C.Bezold, W.Gundel, Storia dell’astrologia ( 1917), Roma-Bari, Laterza, 1985. [Torna al testo]

[2] Cfr. F.Boll, Sphaera. Neue Griechische Texte und Untersuchungen zur Geschichte der Sternbilder, Leipzig, Teubner, 1903; Kleine Schriften zur Sternkund und Altertums, Lleipzig,1950; W.Gundel, Dekane und Dekansbilder. Ein Beitrag zur Geschichte der Sternbilder der Kulturvolker, Studien der Bibliothek Warburg, XIX, Gluckstadt-Hamburg !936; (in collaborazione con H.G.Gundel) Astrologumena. Die astrologische Literatur in der Antike und ihre Geschichte, Wiesbaden, Steiner, 1966; F. Cumont, Astrologia e religione presso i Greci e i Romani( 1912 ), Milano, Mimesis, 1990; L’Egipte des astrologues( 1937), Milano, Miimesis,1993; Lux perpetua, Paris, Geuthner, 1949.[Torna al testo]

[3] Cfr.A A.Warburg, La rinascita del paganesimo antico. Contributi alla storia della cultura (1932), a cura di G.Bing, Firenze, La Nuova Italia, 1966; Gesammelte Schriften. Die Erneurung der heidnischen Antike. Kulturwissenschaftliche Beitrage zur Geschichte der europaischen Renaissance, a cura di G.Bing, Leipzig-Berlin, Teubner, 1932, 3 voll. ; Ausgewalhte Schriften und Wurdigungen (1979), a cura di D.Wuttke e C.A. Heise, Baden Baden, Koerner, !981; F. Saxl, La storia delle immagini, Roma-Bari, Laterza,1982; La fede negli astri, Torino, Boringhieri, 1990; e il famoso studio sulla “Melancolia’’ di Durer , rielaborato e inserito in R.Klibanski, E.Panofski, F.Saxl, Saturno e la melanconia. Studi di storia della filosofia naturale, religione e arte(1965), Torino, Einaudi, 1983; L.Thorndike, A History of Magic and Experimental Science …, New York, Mac Millan and Columbia University Press, 1923-1958, 8 voll.[Torna al testo]

[4] Cfr. Th.W.Adorno, Stelle su misura. L’astrologia nella società contemporanea ( 1957), Torino, Einaudi, 1985.[Torna al testo]

[5] Cfr. W.E.Peuckert, L’astrologia (1960), Roma, Edizioni Mediterranee,1980; W.Knappisch, Geschichte der Astrologie, Frankfurt-am-Main 1967; D. e J.Parker, History of Astrology, London 1983; A.Kitson, History and Astrology,London, Unwin, 1984; J.Halbronn-S.Hutin, Histoire de l’astrologie, Paris, Artefact, 1986; J.Tester, Storia dell’astrologia occidentale. Dalle origini alla rivoluzione scientifica (1987), Genova, ECIG, 1990.[Torna al testo]

[6] Cfr. Giuseppe Bezza, Commento al primo libro della Tetrabiblos di C.Tolomeo. Con una nuova traduzione e le interpretazioni dei maggiori commentatori, Milano 1992; Arcana mundi. Antologia del pensiero astrologico antico, a cura di G.Bezza, Milano, Rizzoli, 1995, 2 voll.[Torna al Testo]

[7] Cfr. Ornella Pompeo Faracovi, Scritto negli astri. L’astrologia nella cultura dell’occidente, Venezia, Marsilio, 1996. [Torna al testo]

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IL DOMINIO DELLA VITA

    IL DOMINIO DELLA VITA

    Documentazione pubblicata sotto l’egida  dell’ANTICO E MISTICO  ORDINE DELLA ROSA-CROCE

    A.M.O.R.C.

    GLI ALBORI DELLA COSCIENZA UMANA

    Sin da quando l’uomo è apparso sulla terra, si è sempre trovato di fronte al mistero della propria natura e del proprio ambiente. Per migliaia di anni la sua esistenza si è praticamente limitata alla conservazione del benessere fisico. All’alba dell’umanità, viveva continuamente nel timore di essere sbranato dalle belve, sopraffatto dagli elementi naturali, ucciso dai propri simili. Incapace di riflettere sul passato per essere in grado di progettare il futuro, la sua memoria e immaginazione erano prigioniere di un eterno presente. Lo spazio, che fungeva da cornice alla sua attività cosciente, era quello che le facoltà sensorie gli permettevano di percepire: l’orizzonte segnava i confini del mondo terreno e la volta stellata i limiti dell’universo celeste. Ma il tempo domina l’evoluzione e, dopo molte generazioni, l’uomo giunse a esercitare una certa forma di dominio sul proprio ambiente e ad accedere definitivamente a una condizione di vita superiore a quella animale.

    La scoperta del fuoco fu probabilmente l’evento che più rivoluzionò la vita dell’uomo preistorico poiché gli portò un benessere inestimabile sia sul piano fisico che emozionale. Poté vincere le tenebre, scaldarsi, cuocere il cibo, difendersi dalle fiere e prolungare le ore di veglia. Progressivamente il timore nel quale viveva lasciò il posto a un sentimento di sicurezza. Incominciò allora a riflettere sul posto che occupava nell’universo, sul senso della nascita, della vita e della morte. Si risvegliò alla coscienza di sé e, senza rendersene conto, incominciò a percorrere il sentiero del “Conosci te stesso”. In altre parole, si iniziò alla propria anima e pose in essa le basi della propria evoluzione spirituale.

Molti secoli sono trascorsi da quando l’uomo ha capito di essere ben più di una semplice creatura vivente. Tuttavia, i quesiti che continua a porsi sul perché e il come della propria esistenza non sempre trovano risposte soddisfacenti. La scienza può oggi spiegarci la maggior parte dei processi fisiologici che permettono la vita organica di un essere umano, dal concepimento alla morte. Ma non è sempre in grado di dire con precisione ciò che avviene dopo l’ultimo soffio. Nessuno può negare che la dipartita verso l’aldilà costituisce uno dei più grandi enigmi che si siano mai presentati alla coscienza umana.

    Possiamo quindi affermare che la morte è veramente il mistero dei misteri.

Dalla nascita alla morte

    Per i nostri antenati, la nascita di un bambino era indubbiamente un avvenimento miracoloso che suscitava al tempo stesso ammirazione e paura. Non potendola comprendere né spiegare, l’attribuivano a uno spirito invisibile che aveva preso possesso del corpo della madre e lo lasciava a un dato momento sotto forma di neonato. L’evento della morte li rendeva ancor più sgomenti poiché, contrariamente alla nascita, è caratterizzato da un’inerzia totale e definitiva. Immaginate ciò che l’uomo primitivo ha potuto sentire quando si è trovato, per la prima volta, di fronte alla nascita di un bimbo o alla morte di una persona cara! In entrambi i casi si trattò di un’esperienza interiore molto importante. Mai più, in seguito, poté dimenticare quanto aveva visto e provato in queste circostanze.

    Durante la sua evoluzione, l’uomo giunse a capire che lui stesso aveva dovuto nascere così come aveva visto fare. Capì anche che lui stesso sarebbe morto un giorno sprofondando nello stato di totale inerzia che aveva osservato negli altri. Il fatto di essere nato non lo toccò, forse, quanto il presentimento che sarebbe morto, poiché aveva potuto vedere personalmente ciò che faceva seguito alla nascita, mentre non aveva idea di quanto accadeva dopo la morte. La fine dell’esistenza terrena divenne così uno dei più grandi misteri per l’uomo e lo è ancora ai giorni nostri. Questo perché essa porta verso l’ignoto e contiene la risposta alla domanda fondamentale che inevitabilmente ci poniamo: “Perché siamo su questa Terra?”.

I vincoli del materialismo

    Coloro che hanno una visione materialista dell’esistenza, considerano la morte in maniera negativa poiché non vedono alcuna ragione di concepirla diversamente. Ritenendo l’uomo solo una massa di carne tenuta in vita da determinate funzioni fisico-chimiche, controllata da una coscienza essenzialmente cerebrale, limitano la vita umana a un processo meccanico che viene ad arrestarsi con l’interruzione di queste funzioni e l’annichilimento di questa forma di coscienza. In altre parole, la morte porta soltanto al nulla. Sentono che il destino di ognuno è determinato dal caso e che l’umanità evolve unicamente sotto l’effetto di un istinto collettivo di sopravvivenza.

    Per colui che nega la dimensione spirituale nell’essere umano, tutto sulla scena dell’esistenza è teatro dell’ingiustizia e dell’incoerenza. È così perché vive nel mondo degli effetti e ignora il regno delle cause. Non comprende che il mondo di illusioni e apparenze nel quale si dibatte, procede da una Realtà Cosmica ove regnano ordine e armonia. Per tale ragione è incapace di cogliere che il visibile è in effetti un’emanazione dell’invisibile e il finito un’estensione dell’infinito. Prigioniero della ragione, costruisce la propria vita su basi giudicate razionali ma, ahimè, fragili come gli ideali che persegue. Vede i giorni scorrere inesorabilmente e si incammina con angoscia verso la morte, scadenza ultima che ha portato come una croce per tutta la vita.

La dualità dell’uomo

    Da secoli i mistici affermano che il destino dell’uomo oltrepassa ampiamente l’interludio cosciente che scorre dalla nascita alla transizione, impropriamente chiamata “morte”. Per loro l’essere umano è duplice. Possiede un’anima che si incarna nel momento in cui il neonato inspira per la prima volta, facendo di lui un’entità vivente e cosciente. Nell’istante in cui l’uomo esala l’ultimo respiro, essa si dissocia dal corpo al quale ha dato vita terrena e si fonde di nuovo con la Grande Anima Universale. La morte è solo il passaggio da un piano di coscienza a un altro, il ritorno a una condizione preesistente all’incarnazione in questo mondo materiale. In altre parole, corrisponde a una rinascita nel mondo invisibile. Per questo i Rosacrociani pensano che la morte sia soltanto una transizione dell’anima e costituisca uno dei due aspetti della Vita Universale.

Raffigurazione egizia della dualità (Per gli antichi Egizi la dualità dell’uomo era un dato di fatto. L’anima, chiamata “bà”, era rappresentata da un uccello: pensavano si elevasse verso il regno di Osiride dopo la morte. Il corpo, chiamato “khàt”, era simboleggiato da una statuina)

 Quando lascia il corpo fisico al momento della morte, l’anima resta cosciente della sua identità e si eleva gradualmente verso la nuova dimora, guidata da entità spirituali che hanno questo ruolo e dagli esseri cari che l’hanno preceduta nell’aldilà. Raggiunto il piano di coscienza corrispondente al suo livello di evoluzione, prosegue nell’invisibile un’esistenza basata sulle grandi lezioni che deve trarre dalla vita terrena appena terminata. A partire da questo bilancio e dai decreti karmici che ne derivano, si stabiliscono non solo le condizioni del suo soggiorno nel mondo spirituale, ma anche la trama dell’incarnazione successiva. Teniamo a precisare “incarnazione successiva”, poiché non si può vedere la morte dal punto di vista mistico senza essere al tempo stesso convinti che sarà seguita da altre vite sulla Terra.

Il dominio della vita

    Basta osservare l’atteggiamento dei nostri contemporanei di fronte alla morte, per capire che l’idea che se ne fanno influenza considerevolmente il loro modo di vivere. Ciò che la rende così angosciante, per molte persone, è l’ignoranza nella quale si mantengono o sono mantenute nei suoi confronti. Perciò è importante rompere i tabù che circondano questo grande avvenimento della vita umana. La scienza materialista non può arrivare a spiegarlo perché, nella sua preoccupazione di voler interpretare tutto razionalmente, pensa che la morte corrisponda alla cessazione di un processo biologico e alla sparizione definitiva dell’entità cosciente che beneficiava di questo processo. La religione, dal canto suo, pur predicando l’esistenza dell’anima e del dopo-vita, si perde in congetture contraddittorie sul perché e come della dimensione spirituale dell’uomo.

    Nell’interludio cosciente che trascorre tra la nascita e la morte, l’uomo vive il suo destino cercando di sopportare come meglio può le vicissitudini dell’esistenza. Egli aspira profondamente alla felicità, però non sa come né dove trovarla. La ricerca spesso nei piaceri dell’esistenza materiale, ma la realtà quotidiana gli dimostra che tali piaceri sono effimeri e lasciano sempre un vuoto da colmare. Questo vuoto rappresenta appunto l’abisso che esiste, per molti di noi, tra l’anima e il corpo. Allo scopo di riconciliare l’uomo con se stesso e permettergli di meglio padroneggiare la sua vita, un’Organizzazione come l’Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce perpetua da secoli l’insegnamento che gli Iniziati si sono tramandati nei tempi.

    La Sfinge di Giza

    (Le origini tradizionali dell’A.M.O.R.C. risalgono alle scuole di misteri dell’antico Egitto. I candidati all’iniziazione dovevano prestare giuramento davanti alla Sfinge)

    STORIA DELL’ANTICO E MISTICO ORDINE DELLA ROSA-CROCE

    L’Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce, conosciuto nel mondo con la sigla A.M.O.R.C., non è un movimento filosofico di recente creazione. La Tradizione ne ascrive le origini alle scuole di misteri dell’antico Egitto. In queste scuole, mistici illuminati si riunivano regolarmente per studiare i misteri dell’esistenza da cui il nome “Scuole di misteri”. Raggruppavano tutti coloro che ricercavano una migliore comprensione delle leggi naturali, universali e spirituali. La parola “mistero”, ai tempi antichi, cioè all’epoca delle grandi civiltà egizia, greca e romana, non aveva l’odierno significato di “insolito” o “strano”, bensì si riferiva a una gnosi o saggezza segreta.

Le scuole di misteri

    In Egitto, una delle prime scuole di misteri fu la Scuola Osiriaca. Gli insegnamenti trattavano della vita, la morte e la risurrezione del dio Osiride. Erano presentati sotto forma di lavori teatrali o più precisamente dì drammi rituali. Solo coloro che avevano dimostrato il proprio sincero desiderio di conoscenza potevano assistervi. Nel corso dei secoli queste scuole aggiunsero una dimensione ancora più iniziatica al sapere che trasmettevano. I loro lavori mistici assunsero un carattere più chiuso e si tennero esclusivamente in templi costruiti allo scopo. Secondo l’insegnamento rosacrociano, i templi più sacri per gli iniziati erano le grandi piramidi di Giza. Contrariamente a quanto affermano alcuni storici, queste piramidi non sono state costruite per la sepoltura di qualche faraone: erano luoghi di studio e di iniziazioni mistiche.

    Le iniziazioni ai misteri egizi comprendevano una fase finale durante la quale il candidato faceva l’esperienza di una morte simbolica. Disteso in un sarcofago, mantenuto mediante apposite tecniche mistiche in uno stato intermedio, veniva indotto a sdoppiarsi, cioè conoscere una separazione momentanea tra corpo e anima. Ciò doveva dimostrargli che era un essere duplice. Così non poteva più dubitare che l’uomo possedesse una natura spirituale e fosse destinato a ritornare al Regno Divino. Dopo aver fatto la promessa di non rivelare nulla dell’iniziazione ed essersi impegnato a seguire il sentiero del misticismo, era gradualmente istruito sugli insegnamenti più esoterici che un mortale potesse ricevere.

    Gli Iniziati dell’antico Egitto lasciarono una parte della loro saggezza sui muri dei templi e su numerosi papiri. Un’altra parte, non meno importante, fu segretamente trasmessa in modo orale. Il celebre egittologo E. A. Wallis Budge, in una delle sue pubblicazioni, cita con rispetto le scuole di misteri. “Uno sviluppo progressivo – egli scrive -, deve aver avuto luogo nelle scuole di misteri e sembrerebbe che alcune fossero totalmente sconosciute sotto l’Antico Regno. Senza dubbio i “misteri” erano parte integrante dei riti egizi. Si può quindi affermare che l’Ordine costituito dei Kheri-Hebs (sacerdoti) possedeva un sapere esoterico e segreto gelosamente custodito dai suoi Maestri. Avevano acquisito una gnosi, una conoscenza superiore che non fu mai posta per iscritto, ed erano anche in grado di accrescere o ridurre il suo campo di azione secondo le circostanze. È quindi assurdo cercare nei papiri i molteplici segreti che formavano la gnosi esoterica dei Kheri-Hebs”.

Sigillo del Faraone Tutmosi III(Sigillo del Faraone Tutmosi III, fondatore dell’Ordine)

I faraoni mistici

    La Tradizione rosacrociana riporta che il faraone Tutmosi III (1504-1447 a.C.), considerato dagli storici uno dei più grandi della 18° dinastia, faceva parte degli iniziati che frequentavano le scuole di misteri dell’Egitto.

Alla sua epoca funzionavano in modo totalmente indipendente e adottavano regolamenti propri. Designato dai Kheri-Hebs a succedere al padre sul trono, Tutmosi III decise di raggruppare tutte queste scuole in un solo Ordine retto dalle stesse regole, al fine di farne una Fraternità Unica. Per la sua intelligenza e saggezza fu scelto come Gran Maestro, funzione che mantenne fino alla morte. Fu il primo sovrano a portare il titolo di “faraone”, cosa molto significativa sul piano mistico.

    Circa settant’anni più tardi, il faraone Amenhotep IV nacque nel palazzo reale di Tebe. Ammesso giovanissimo nell’Ordine fondato da Tutmosi III, ne divenne Gran Maestro e ne ristrutturò gli insegnamenti e i rituali. In un’epoca in cui il politeismo era diffuso su tutta la Terra, instaurò ufficialmente il monoteismo. Cambiò il proprio nome e si fece chiamare “Akhenaton” che significa “devoto di Aton”. Fu il promotore di una rivoluzione nel campo dell’arte e della cultura. Profondamente umanista, consacrò tutta la sua esistenza alla lotta contro le tenebre dell’ignoranza e alla propagazione degli ideali più elevati. Poco dopo la sua morte che avvenne nel 1350 a.C., il potente clero di Tebe ristabilì il culto di Amon, ma la sua opera apparteneva già alla storia.

Museo di Luxor: testa di Akhenaton(Akhenaton, assieme alla sua sposa Nefertiti, fondò la prima religione monoteista della storia. Scelse il disco solare per simbolizzare il Dio unico della sua comprensione)

L’estensione dell’Ordine in Occidente

    Dall’Egitto, l’Ordine si diffuse in Grecia grazie soprattutto a Pitagora (572-492 a.C.), poi nell’antica Roma sotto l’impulso di Plotino (203-270). All’epoca di Carlo Magno (742-814) fu introdotto, per merito del filosofo Arnaldo da Tolosa, in Francia, Germania, Inghilterra e Paesi Bassi. Nei secoli successivi gli Alchimisti e i Templari contribuirono alla sua estensione in Occidente e in Oriente. Poiché la libertà di coscienza era limitata, l’Ordine dovette nascondersi sotto nomi diversi e svolgere le sue attività nel segreto. Tuttavia non le interruppe mai perpetuando ideali e insegnamenti, partecipando in maniera diretta o indiretta all’avanzamento delle arti, delle scienze e della civiltà in genere, dichiarando sempre l’uguaglianza dei sessi e una vera fraternità tra gli uomini.

Una rinascita ciclica

    In alcune opere letterarie che trattano dell’Ordine Rosa-Croce, si fa riferimento a un personaggio chiamato “Christian Rosenkreutz” (1378-1484) come al fondatore della Fraternità dei Rosa-Croce. È errato. In realtà l’Ordine esisteva già da secoli, ma funzionava per cicli di attività di 108 anni, seguiti ogni volta da un uguale periodo di sonno. Quando era giunto il momento di procedere alla sua rinascita, venivano prese delle disposizioni per annunciare l’apertura di una “tomba” nella quale si ritrovava il “corpo” di un “Gran Maestro C.R.C.” con gioielli rari e manoscritti che autorizzavano gli autori della scoperta a procedere al suo risveglio per un nuovo ciclo di attività. Questo proclama era allegorico e le iniziali “C.R.C.” non si riferivano a una persona realmente esistita. Bisogna quindi considerare il leggendario Christian Rosenkreutz e la sua storia alla luce di queste spiegazioni.

    Nel XVII secolo l’Ordine raggiunse la sua fama più considerevole in seguito alla pubblicazione di tre Manifesti stampati in Germania e attribuiti erroneamente a Valentin Andreae (1586-1654). Si tratta della “Fama Fraternitatis”, della “Confessio Fraternitatis” e delle “Nozze chimiche di Christian Rosenkreutz”, risalenti rispettivamente al 1614, 1615 e 1616. In realtà questi tre manifesti, che uniscono racconti storici e allegorici, furono redatti da un Collegio di Rosacrociani e segnarono l’inizio di un nuovo ciclo di attività per l’Ordine che si fece conoscere allora pubblicamente con il nome di “Ordine della Rosa-Croce”.

    Nel 1693, sotto la guida del Gran Maestro Johannes Kelpius (1673-1708), Rosacrociani provenienti da vari paesi d’Europa si imbarcarono per il Nuovo Mondo a bordo della “Sarah Maria”. All’inizio del 1694 sbarcarono a Filadelfia, dove si stabilirono. Qualche anno più tardi alcuni di loro si recarono nell’ovest della Pennsylvania dove fondarono una nuova colonia. Dopo aver istituito una propria stamperia, pubblicarono parecchi capolavori della letteratura esoterica e introdussero in America gli insegnamenti Rosa-Croce. Sotto il loro impulso, numerose istituzioni americane vennero alla luce e il mondo delle arti e delle scienze conobbe negli Stati Uniti uno sviluppo senza precedenti. Personaggi eminenti come Benjamin Franklin (1706-1790) e Thomas Jefferson (1743-1826) furono in stretto contatto con l’opera rosacrociana di questo paese.

Il ciclo attuale dell’A.M.O.R.C.

  Nel 1801, secondo le regole stabilite, l’Ordine negli Stati Uniti entrò in un periodo di sonno. Restava però attivo in Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera, Spagna, Russia e in Oriente. Nel 1909 Harvey Spencer Lewis (1883-1939), che da anni studiava l’esoterismo interessandosi in particolare alla filosofia rosacrociana, si recò in Francia per incontrare i responsabili dell’Ordine. Dopo aver affrontato numerosi esami e diverse prove, fu iniziato a Tolosa e ufficialmente incaricato di preparare la rinascita dell’Ordine in America.

    Quando tutto fu pronto per la rinascita, negli Stati Uniti venne pubblicato un Manifesto per annunciare il nuovo ciclo di attività dell’Ordine che venne allora chiamato “Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce” (A.M.O.R.C.). Nominato Imperator, Harvey Spencer Lewis sviluppò le attività dell’Ordine in America e incominciò a mettere per iscritto l’insegnamento rosacrociano utilizzando gli archivi affidatigli dai Rosa-Croce francesi. Dopo la seconda guerra mondiale questo metodo di insegnamento fu esteso al mondo intero. Così l’A.M.O.R.C. divenne il depositario dell’autentica Tradizione Rosa-Croce in tutti i paesi dove poteva esercitare liberamente le sue attività.

    Attualmente il francese Christian Bernard, eletto all’unanimità dai membri del Consiglio Supremo alla funzione di Imperator, ha la più alta responsabilità dell’A.M.O.R.C. A questo titolo è il garante delle attività rosacrociane per tutti i paesi del mondo, assistito in questo dai Gran Maestri.

Ritratto di Sir Francis Bacon(Francesco Bacone – Sir Francis Bacon – filosofo e uomo di stato inglese del XVII secolo, fu Imperator dell’Ordine della Rosa-Croce. Autore della “Nuova Atlantide”, a lui i Rosacrociani attribuiscono le opere di Shakespeare)

L’INSEGNAMENTO DELL’A.M.O.R.C.

    L’insegnamento non è opera di una persona, ma di un gran numero di Iniziati che si sono succeduti attraverso i secoli. Risulta dal lavoro che i mistici hanno sempre svolto per penetrare i misteri dell’universo, della natura e dell’uomo, fin dalla più remota Antichità. Come abbiamo affermato precedentemente, ha la sua fonte nell’eredità sacra che l’A.M.O.R.C. ha ricevuto dalle scuole di misteri dell’antico Egitto, soprattutto durante la 18° dinastia.

    Ai nostri giorni l’esistenza di queste scuole è riconosciuta dalla maggior parte degli storici e degli egittologi.

    Alle conoscenze perpetuate dai saggi dell’antico Egitto, si sono aggiunti i concetti filosofici dei grandi pensatori dell’antica Grecia e, alcuni secoli più tardi, di quelli del neoplatonismo. Poi la gnosi segreta fu arricchita dai precetti degli alchimisti rosacrociani del Medioevo. Eminenti personaggi vissuti in epoche meno lontane hanno precisato e sviluppato alcuni aspetti dell’antico retaggio. Per citare solo alcuni nomi, personalità come Dante Alighieri, Pico della Mirandola, Leonardo da Vinci, Cornelio Agrippa, Paracelso, Francesco Rabelais, Giordano Bruno, Francesco Bacone, Jakob Bòhme, Cartesio, Isacco Newton, Goffredo Leibniz, Beniamino Franklin, il conte di Saint-Germain, Cagliostro, Louis-Claude de Saint-Martin, Michael Faraday, Giulio Verne, Giuseppe Mazzini, Claude Debussy, Eric Satie, sono stati membri dell’Ordine o in diretto contatto con esso.

    Dal 1909, inizio del ciclo attuale dell’A.M.O.R.C., altri Rosacrociani, eminenti autorità in vari campi del sapere, hanno dato il loro contributo all’insegnamento dell’Ordine. Tra essi troviamo quelli che hanno svolto o svolgono ancora delle funzioni in seno all’A.M.O.R.C. e membri che come fisici, chimici, biologi, medici o filosofi, lavorano costantemente per l’arricchimento culturale della Conoscenza rosacrociana. Precisiamo “culturale” perché la dimensione spirituale della Tradizione iniziatica dell’A.M.O.R.C. è ciò che è sempre stata e sempre resterà.

    Ai nostri giorni l’insegnamento rosacrociano è diviso in dodici gradi e si presenta sotto forma di monografie inviate mensilmente ai membri dell’A.M.O.R.C. Ogni invio ne comprende quattro. Per quanto possibile devono essere studiate una alla settimana. Una monografia contiene da cinque a dieci pagine circa. L’elenco dettagliato dei soggetti studiati nell’Ordine sarebbe veramente troppo lungo per essere riportato in questa sede. Quindi diamo soltanto un breve excursus dei soggetti trattati nei primi nove gradi.

Il contenuto dell’insegnamento rosacrociano

– Il primo grado è un’esposizione delle leggi fondamentali che reggono il macrocosmo e il microcosmo. Costituisce una sintesi di ciò che i mistici del passato, in particolare i filosofi dell’antica Grecia, hanno insegnato riguardo alle vibrazioni dell’Etere e la struttura atomica della materia. Tale sintesi include i dati scientifici più recenti in questo campo.

– Il secondo grado è dedicato alle leggi della coscienza. Le sue fasi oggettiva, soggettiva e subcosciente vengono studiate in modo approfondito permettendo così una comprensione chiara di quanto gli psicologi insegnano riguardo alle facoltà mentali. Le nozioni sono trattate dal punto di vista della filosofia rosacrociana e, di conseguenza, danno luogo a spiegazioni che trascendono il campo della psicologia.

– Il terzo grado tratta le leggi della vita. Viene dimostrato che queste leggi manifestate sulla Terra traggono origine da un’energia cosmica chiamata Forza Vitale. Viene anche spiegato che i regni minerale, vegetale, animale e umano, costituiscono una catena naturale che l’Intelligenza Divina utilizza per raggiungere lo scopo che si è prefissata, ossia l’evoluzione della coscienza. Dopo aver definito i criteri comuni a tutte le creature viventi si giunge allo studio della vita umana.

– Il quarto grado è interamente basato su un antichissimo manoscritto tratto dagli archivi dell’A.M.O.R.C. Riferendosi ai concetti in esso espressi, costituisce una sintesi dei tre gradi precedenti e tratta soggetti filosofici particolarmente ispiranti. In questo grado sono esposte le leggi principali dell’Ontologia rosacrociana e i principi mistici che uniscono in un tutto coerente materia, coscienza e vita.

– Il quinto grado consiste in un’esposizione unica sulla vita e l’opera dei maggiori filosofi dell’antica Grecia come Talete, Pitagora, Platone, … Il suo scopo è familiarizzare lo studente Rosacrociano con l’insegnamento dei Saggi dell’Antichità greca e i precetti filosofici e scientifici che hanno trasmesso all’umanità. Precisiamo che tutte le monografie di questo grado sono tratte dagli archivi dell’Ordine e si riferiscono a fatti sconosciuti agli storici.

– Il sesto grado è dedicato alla terapeutica rosacrociana. Presenta in modo semplice ma esauriente le principali funzioni del corpo umano, includendo in questo studio un gran numero di regole da seguire per mantenersi in buona salute. La grande originalità di questo grado consiste nello studio dei principi mistici usati da secoli dai Rosacrociani per alleviare e guarire numerose affezioni. Tali principi fanno parte del retaggio trasmessoci dagli Esseni i quali erano esperti guaritori.

– Il settimo grado si riferisce al corpo psichico dell’uomo e alle funzioni che gli sono proprie, tra le quali la proiezione psichica (viaggio astrale). Questo grado comprende anche uno studio approfondito dell’aura umana e dei centri psichici, la maggior parte dei quali corrisponde ai “chakra” delle tradizioni orientali. Segue un esame approfondito dei suoni vocali tradizionali (i mantra) e dell’influenza fisica, psichica e spirituale che esercitano sull’uomo  

  – L’ottavo grado è filosofico poiché tratta essenzialmente delle origini dell’uomo e del suo destino. Vi si studiano, di conseguenza, soggetti che riguardano direttamente la sua evoluzione spirituale. Tra questi: il concetto di Dio, l’Anima Universale, l’anima umana e il suoi attributi, il pre-vita, il mistero della nascita, l’applicazione del libero arbitrio, il karma e il modo di padroneggiarlo, il mistero della morte, il dopo-vita, la reincarnazione, l’assistenza ai morenti, il potere della preghiera…

– Il nono grado è consacrato allo studio del simbolismo tradizionale e dei relativi principi mistici. Inoltre i Rosacrociani vengono iniziati a facoltà legate all’anima e che permettono all’uomo di trarre profitto dalla sua natura divina. Precisiamo che queste facoltà non hanno alcun legame con la magia, la teurgia o la taumaturgia, ma fanno appello a leggi spirituali che i Rosa-Croce hanno sempre messo al servizio del Bene. Rientrano piuttosto nell’ambito dell’attuale “parapsicologia”.

    In virtù di una regola tradizionale, non sveleremo il contenuto del decimo, undicesimo e dodicesimo grado. Precisiamo che fin dall’inizio degli studi, l’insegnamento rosacrociano, oltre ai temi citati, comporta delle esperienze consacrate all’apprendimento di tecniche mistiche fondamentali quali la concentrazione, la visualizzazione, la meditazione, l’alchimia spirituale.

    Un Tempio Rosa-Croce

    (Nelle Logge dell’A.M.O.R.C., che sono in genere di stile egizio per tramandare le origini tradizionali dell’Ordine, vengono conferite le iniziazioni rosacrociane)

    L’INIZIAZIONE ROSACROCIANA

    Ogni grado dell’insegnamento rosacrociano è preceduto da una monografia speciale consacrata a un’iniziazione che il membro è invitato a effettuare a casa propria. Oltre a questa iniziazione individuale può recarsi in una Loggia dell’A.M.O.R.C. e partecipare a una cerimonia collettiva che costituisce una preparazione simbolica al grado da studiare. Tale cerimonia, che riunisce vari candidati, si svolge in tutta la sua purezza tradizionale e si ispira a riti effettuati nelle scuole di misteri dell’Antichità. Benché facoltativa, presenta un grande interesse sul piano interiore.

    Senza entrare in considerazioni mistiche che non possiamo sviluppare nel quadro di questo scritto informativo, diremo semplicemente che lo scopo di tutte le iniziazioni rosacrociane è rivelare ai membri un nuovo aspetto della Tradizione Rosa-Croce permettendo loro di prendere maggiormente coscienza della loro anima. Precisiamo che non hanno nulla a che vedere con le pratiche occulte poiché l’A.M.O.R.C. non le ha mai insegnate né approvate. In genere consistono in rituali di grande profondità filosofica e simbolica.

    L’iniziazione rosacrociana non si limita alle cerimonie puntuali che precedono ogni grado. Si tratta in realtà di un processo che continua interiormente per tutta la durata dell’affiliazione all’Ordine. Il suo impatto spirituale è proporzionale all’impegno che ogni Rosacrociano mette nello studio e nell’applicazione dell’insegnamento che gli viene trasmesso. Nell’assoluto permette di raggiungere lo stato di Rosa-Croce, chiamato “stato cristico” nella tradizione cristiana, ma che si può anche chiamare “stato buddhico”. Il Rosacrociano che abbia raggiunto questo stato può essere considerato un vero Iniziato.

Manifesto della F.U.D.O.S.I.

    (Questo manifesto fu firmato a Bruxelles nel 1934 dai più alti responsabili della F.U.D.O.S.I., Federazione Universale degli Ordini e Società Iniziatiche. Stabiliva che l’A.M.O.R.C. è la sola Organizzazione tradizionale e iniziatica  a perpetuare l’eredità dell’autentica Tradizione Rosa-Croce)

    L’ATTUALE ORGANIZZAZIONE  DELL’ A.M.O.R.C.

    L’Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce è attualmente presente in tutto il mondo e costituisce di conseguenza una Fraternità internazionale. Comprende parecchie giurisdizioni ciascuna delle quali riunisce tutti i paesi della stessa lingua al di là delle frontiere. Esiste così una giurisdizione per i paesi di lingua francese, giapponese, greca, inglese, italiana, nordica, olandese, spagnola, tedesca, ecc. La sede di ogni giurisdizione, tradizionalmente chiamata “Grande Loggia”, è diretta da un Gran Maestro eletto con un mandato di cinque anni.

    Nel suo insieme l’A.M.O.R.C. è diretto da un Consiglio Supremo composto dai Gran Maestri di tutte le giurisdizioni. Questo Consiglio è posto sotto l’autorità e la presidenza dell’Imperator, titolo tradizionale e simbolico che designa il più alto responsabile dell’Ordine. In quanto tale è il garante della Tradizione rosacrociana e sovrintende alle attività amministrative e mistiche di tutte le Grandi Logge. Come ogni Gran Maestro, viene eletto a questa funzione per una durata di cinque anni.

    L’A.M.O.R.C. è dunque mondiale e i suoi dirigenti, di qualunque nazionalità siano, svolgono le attività rosacrociane non come cittadini di questo o quel paese, ma come responsabili di un’Organizzazione mistica le cui attività si estendono al mondo intero. In altre parole, tutte le giurisdizioni riunite formano l’Ordine nel suo insieme e operano in una unità perfetta al servizio di uno stesso ideale, quello della Rosa-Croce. Ne risulta che non vi è obbedienza in seno all’A.M.O.R.C., poiché tutti i Rosacrociani del mondo possiedono le stesse prerogative e ricevono lo stesso insegnamento.

    In ogni giurisdizione i Rosacrociani che lo desiderano possono riunirsi negli Organismi locali che, secondo le attività svolte, hanno il nome di “Loggia”, “Capitolo” o “Pronaos”. Questi organismi operano sotto la responsabilità e l’impulso della Grande Loggia alla quale fanno capo. In generale servono da cornice a incontri fraterni e a lavori che completano lo studio individuale dell’insegnamento scritto dell’Ordine. In questo perpetuano l’aspetto orale della Tradizione Rosa-Croce. Precisiamo inoltre che nelle Logge vengono conferite le iniziazioni rosacrociane.

    Per consentire ai membri che lo desiderano di incontrarsi, l’Ordine organizza dei Convegni mondiali, nazionali o regionali. Secondo il caso, riuniscono Rosacrociani venuti dal mondo intero o residenti in un determinato paese. Comunque sia, danno luogo ad attività culturali e spirituali durante le quali vengono presentati ai partecipanti degli esposti scientifici e filosofici. Non sono naturalmente obbligatori, essendo ogni membro libero di parteciparvi o meno.

    Parallelamente all’insegnamento mistico che mette a disposizione dei membri, l’Ordine possiede una Università interna conosciuta con il nome di “Università Rosa-Croce Internazionale” (U.R.C.I.). Formata essenzialmente da Rosacrociani, effettua ricerche in campi diversi come l’astronomia, l’egittologia, la medicina, la musica, la psicologia, le scienze fisiche e le tradizioni esoteriche. In genere il risultato di queste ricerche viene comunicato solo ai membri dell’Ordine. L’ U.R.C.I. organizza comunque anche conferenze e seminari aperti al pubblico.

    LO STATUTO DELL’ A.M.O.R.C.

    Per definizione, l’A.M.O.R.C. è un’Organizzazione filosofica, iniziatica e tradizionale che perpetua nel mondo moderno l’insegnamento che gli Iniziati si sono trasmessi attraverso i secoli fin dalla più remota Antichità. Non essendo una religione, riunisce membri appartenenti a tutte le confessioni religiose e lascia a ciascuno la possibilità di seguire liberamente il credo di sua scelta. È totalmente apolitico e ciò spiega perché i Rosacrociani provengono da tutti gli ambienti socio-culturali. Naturalmente non è una setta e non è mai stato classificato tale nei rapporti ufficiali pubblicati al riguardo. È privo infatti di ogni settarismo e ha sempre fatto della libertà di coscienza il fondamento della sua filosofia.

    In tutti i paesi del mondo, l’A.M.O.R.C. è riconosciuto come un’Organizzazione senza scopo di lucro. Non ha infatti carattere commerciale. In virtù di questo principio l’insegnamento rosacrociano non viene venduto sotto forma di libro e non può essere in alcun modo acquistato. Come ogni Organizzazione fraterna e culturale, l’Ordine deve sopperire ai propri bisogni e lo fa grazie alla quota annuale versata dai membri. Nonostante le spese considerevoli per l’insegnamento individuale loro dispensato (segreteria, informatica, invii postali, stampa, ecc.), questa quota annuale è molto ragionevole. È tra le più modiche fissate per un movimento filosofico e tradizionale di questo tipo. Inoltre può essere versata semestralmente.

IL MOTTO DELL’A.M.O.R.C.

    “La più ampia tolleranza nella più rigorosa indipendenza” è il motto dell’A.M.O.R.C. Infatti non è legato a nessuna Organizzazione, eccetto l’Ordine Martinista Tradizionale, movimento filosofico con sede presso la Grande Loggia di Milano, che perpetua l’insegnamento di Louis-Claude de Saint Martin, grande filosofo del 18° secolo. L’Ordine della Rosa-Croce, attento a preservare la propria indipendenza, si mostra tollerante verso tutti gli altri movimenti, poiché il suo ruolo non è giudicarli o criticarli, ma trasmettere il suo insegnamento a coloro che cercano la Conoscenza.

    Il motto che l’A.M.O.R.C. applica nei confronti degli altri movimenti, si ritrova nella natura stessa del suo insegnamento. In altre parole, è spoglio di ogni dogma e non comporta alcun credo settario. Così il rosacrociano, fin dall’inizio della sua affiliazione, è invitato a rimanere un punto interrogativo vivente in rapporto alla conoscenza che gli viene trasmessa. È libero di rifiutare i principi contrari alla propria comprensione personale e quelli che non incontrano la sua approvazione. Scopo del rosacrocianesimo è infatti indurre i membri a porsi delle domande piuttosto che fornire delle risposte categoriche sui vari argomenti. Questo approccio coltiva uno spirito tollerante e pone le basi di una personalità indipendente nella scelta delle proprie convinzioni filosofiche.

    In accordo con il motto, uomini e donne godono di una condizione di totale uguaglianza all’interno dell’Ordine. Come nei cicli anteriori, anche oggi non esiste nell’A.M.O.R.C. segregazione o discriminazione in materia di sesso, razza, nazionalità o religione.

    L’AMMISSIONE ALL’A.M.O.R.C.

    Le qualità richieste per essere ammessi nell’A.M.O.R.C. sono molto semplici: essere interessati al misticismo e aver raggiunto la maggior età. I minori, che abbiano compiuto almeno 15 anni, possono essere accettati con l’autorizzazione dei genitori.

La candidatura individuale

    Qualora dopo aver letto questa pubblicazione, sentiste il desiderio di diventare membri dell’Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce e condividere il suo insegnamento filosofico, iniziatico e tradizionale, vi invitiamo a scrivere alla sede di Milano per ricevere una domanda di affiliazione all’A.M.O.R.C. Dopo averla compilata, sarà sufficiente rinviarla accompagnata dal diritto d’entrata e dalla quota.

I membri associati

    Se un vostro congiunto, membro della vostra famiglia o amico, domiciliato al vostro stesso indirizzo, desidera diventare Rosacrociano, avete la possibilità di affiliarvi come membri associati. In tal caso sarete entrambi considerati membri dell’Ordine a pieno titolo, ma riceverete un solo invio di monografie e generalmente una sola copia di tutto ciò che viene inviato nell’ambito dell’affiliazione all’A.M.O.R.C.

    Il vantaggio di un’affiliazione associata sta nell’ammontare della quota che è molto meno elevata di quella di due membri individuali. È frequente però che amici, membri di una stessa famiglia o congiunti, preferiscano affiliarsi individualmente per disporre con maggiore libertà dei documenti inviati e poterli studiare nelle migliori condizioni.

    Nel caso desideraste affiliarvi con un’altra persona come membri associati, compilate una domanda di affiliazione ciascuno e inviatela insieme a Milano, allegando una lettera che spieghi il vostro desiderio di essere membri associati. In essa precisate a chi dovranno essere inviate le monografie, perché nell’eventualità di una separazione, al destinatario ne spetterà la custodia. Inoltre, non dimenticate di accludere il versamento dei due diritti di entrata e la quota di membri associati.

    Se, dopo essere stata esaminata, la vostra domanda viene accettata, riceverete la tessera di membro e poco dopo il primo invio di monografie. Così comincerà per voi uno studio che, secondo la vostra motivazione e perseveranza, potrà durare tutta la vita. Nel caso la vostra candidatura fosse rifiutata, il versamento del diritto d’entrata e della quota vi sarà restituito.

Una totale libertà

    Ci sembra importante insistere sul fatto che un Rosacrociano può, in ogni momento e senza alcuna riserva, porre fine alla propria affiliazione. In tal caso gli viene semplicemente richiesto di restituire alla sede della sua giurisdizione tutte le monografie ricevute in quanto proprietà legale e morale dell’Ordine. È il solo obbligo cui si deve sottostare in caso di dimissioni. Tuttavia di rado viene presa tale decisione dopo aver studiato soltanto per qualche mese l’insegnamento rosacrociano. L’esperienza prova infatti che esso costituisce una fonte di benessere inestimabile e permette di comprendere meglio il senso del destino umano.

    Nei secoli passati, l’Ordine della Rosa-Croce era considerato, giustamente, una società segreta. Se esce dalla sua discrezione, lo fa perché il contesto mondiale lo necessita. I suoi dirigenti e membri, infatti, sono convinti che l’epoca attuale è determinante per il genere umano. Come dice André Malraux in una frase divenuta celebre, “Il ventunesimo secolo sarà spirituale o non lo sarà affatto”, nel senso che l’umanità sopravviverà solo se si libera del materialismo eccessivo nel quale si è immersa e dà una direzione spirituale al suo avvenire. Per questo l’A.M.O.R.C. compie degli sforzi per sensibilizzare il mondo al misticismo e presentare l’insegnamento tradizionale e iniziatico, che mette a disposizione di tutti coloro che sono alla ricerca di maggior Luce.

    Prima di concludere e lasciarvi meditare sul seguito che conviene dare a questa pubblicazione, insistiamo sul fatto che il misticismo rosacrociano non è una via facile e si rivolge unicamente ai ricercatori sinceri. La Rosa, infatti, non è senza spine e la Croce è talvolta difficile da portare. In altri termini, non pensate che un’affiliazione all’A.M.O.R.C. farà di voi un Maestro in pochi mesi o vi preserverà dalle prove dell’esistenza umana. Il sentiero che porta alla Conoscenza è sempre stato arduo, tortuoso e pieno di ostacoli. Tuttavia esiste e può essere intrapreso da chiunque aspiri a elevarsi verso una migliore comprensione delle leggi che reggono il proprio destino. Si tratta, innanzitutto, di una questione di motivazione interiore fondata sul desiderio sincero di vivere in armonia con se stessi e con l’ambiente.

Simbolo ufficiale dell’Ordine

    L’Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce viene chiamato anche “Ordine della Rosa-Croce A.M.O.R.C.”. Denominazione usata per associare con uno stesso vocabolo il nome tradizionale dell’Ordine e la sigla con la quale è conosciuto nel mondo dal 1909, inizio del suo ciclo attuale di attività. Entrambi gli appellativi designano dunque la stessa Organizzazione.

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AUMENTO DI SALARIO DEI FR. COMPAGNI

AUMENTO DI SALARIO DEI FR. COMPAGNI

Venerabile Maestro in Cattedra,

Dignitari all’Oriente,

Fratelli tra le Colonne.

Raggiungere la perfezione della Maestria è la meta di ogni libero muratore. Lunghi anni di lavoro sulla pietra grezza sono serviti per imparare a maneggiare con abilità gli strumenti dell’arte moratoria. Dai primi colpi incerti battuti su uri informe pietra per cercare di darle una forma geometricamente definita, con capacità via via crescente, il libero muratore arriva alla perfezione dell’arte. Ora voi due, cari fratelli . . .. . … ed . . .. . … , sapete trarre dalle pietre tutte le forme architettoniche ed artistiche più ardite. Nel vostro lavoro continua il progetto, che Salomone affidò ad Hiram, della costruzione del Tempio alla Divinità: uri opera muraria che nei fasti architettonici e nello splendore dei decori e degli arredi dovesse dare una sia pur minima idea di cosa fosse (eternità, la vera abitazione della Divinità. Quando il tempio fu terminato, Salomone rivolse questa preghiera al  Dio dei suoi padri: “I cieli ed i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che ti ho costruita! Tuttavia volgiti alla preghiera del tuo servo ed alla sua supplica, Signore mio Dio; ascolta il grido e la preghiera che il tuo servo innalza a te. Siano i tuoi occhi aperti verso questa casa, giorno e notte, verso il luogo dove hai promesso di porre il tuo Nome, per ascoltare la preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo.’ II tempio, quindi, è il luogo dove Dio ha posto il suo Nome, il luogo, cioè, dove è possibile ritrovare la parola perduta, il luogo dove il finito si connette con l’infinito e questo si congiunge con il finito. Nel tempio l’uomo compie l’esperienza di Dio. E come la caratteristica fondamentale del tempio di Salomone è l’Armonia tra i suoi elementi costitutivi, così Armonia deve essere il fondamento del tempio massonico, tempio di pietre vive e non di pietre di cava, del quale il tempio di Salomone ne è metaforicamente il simbolo.

Se nel nostro tempio, quindi, possiamo fare l’esperienza dell’infinito, significa che qui è possibile trovare la parola perduta, quella che Hiram non ha mai rivelato, e che è appunto l’Armonia. E’ questa il segreto massonico! II profano che ci guarda dall’esterno crederà che nei nostri riti si celi chissà quale mistero; lo stesso bussante, ammesso nel tempio, crederà di poter trovare soluzione a chissà quali dubbi esistenziali, quasi fosse, la nostra, un’erudita accademia filosofica. Noi, invece, sappiamo che solo l’Armonia del perfetto equilibrio interiore ed esteriore è il segreto della nostra iniziazione ed il nostro lavoro è tutto proteso al miglioramento individuale per raggiungere, tra di noi come nel mondo profano, quel vivere virtuoso capace di generare pace e fratellanza universale. “Nella loggia massonica si innalzano templi alla virtù e si scavano prigioni al vizio” è detto nel nostro rituale del I° grado.

II lavoro individuale di perfezionamento è senza dubbio più importante di qualsiasi esercizio di erudizione culturale. Al riguardo cito, non letteralmente, un passo del Ma~jhima-Nikaya, raccolta di parabole attribuite al Buddha: “Non fu mai spiegato da me che il mondo non è eterno, nè che esso è limitato, nè che esso è infinito; non ho mai spiegato che anima e corpo sono la stessa cosa, nè che essi sono diversi; non ho mai spiegato che esiste un’altra vita oltre la morte, nè che essa non esiste. Non fu mai spiegato da me nulla di tutto questo perchè nulla di questo reca alcuna utilità, nè permette il distacco dal mondo o (assenza delle passioni o la cessazione del dolore o la tranquillità. Nulla di tutto questo conduce alla conoscenza ed all’illuminazione. Ecco perchè tutto questo non è stato spiegato da me”.

1 2Cronache,6, 18-20

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AUMENTO DI SALARIO DEI FR.’. COMPAGNI

A UMENTO DI SALARIO DEI FR. COMPAGNI

Venerabile Maestro in Cattedra,

Dignitari all’Oriente,

Fratelli tra le Colonne.

Raggiungere la perfezione della Maestria è la meta di ogni libero muratore. Lunghi anni di lavoro sulla pietra grezza sono serviti per imparare a maneggiare con abilità gli strumenti dell’arte moratoria. Dai primi colpi incerti battuti su uri informe pietra per cercare di darle una forma geometricamente definita, con capacità via via crescente, il libero muratore arriva alla perfezione dell’arte. Ora voi due, cari fratelli . . .. . … ed . . .. . … , sapete trarre dalle pietre tutte le forme architettoniche ed artistiche più ardite. Nel vostro lavoro continua il progetto, che Salomone affidò ad Hiram, della costruzione del Tempio alla Divinità: uri opera muraria che nei fasti architettonici e nello splendore dei decori e degli arredi dovesse dare una sia pur minima idea di cosa fosse (eternità, la vera abitazione della Divinità. Quando il tempio fu terminato, Salomone rivolse questa preghiera al  Dio dei suoi padri: “I cieli ed i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che ti ho costruita! Tuttavia volgiti alla preghiera del tuo servo ed alla sua supplica, Signore mio Dio; ascolta il grido e la preghiera che il tuo servo innalza a te. Siano i tuoi occhi aperti verso questa casa, giorno e notte, verso il luogo dove hai promesso di porre il tuo Nome, per ascoltare la preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo.’ II tempio, quindi, è il luogo dove Dio ha posto il suo Nome, il luogo, cioè, dove è possibile ritrovare la parola perduta, il luogo dove il finito si connette con l’infinito e questo si congiunge con il finito. Nel tempio l’uomo compie l’esperienza di Dio. E come la caratteristica fondamentale del tempio di Salomone è l’Armonia tra i suoi elementi costitutivi, così Armonia deve essere il fondamento del tempio massonico, tempio di pietre vive e non di pietre di cava, del quale il tempio di Salomone ne è metaforicamente il simbolo.

Se nel nostro tempio, quindi, possiamo fare l’esperienza dell’infinito, significa che qui è possibile trovare la parola perduta, quella che Hiram non ha mai rivelato, e che è appunto l’Armonia. E’ questa il segreto massonico! II profano che ci guarda dall’esterno crederà che nei nostri riti si celi chissà quale mistero; lo stesso bussante, ammesso nel tempio, crederà di poter trovare soluzione a chissà quali dubbi esistenziali, quasi fosse, la nostra, un’erudita accademia filosofica. Noi, invece, sappiamo che solo l’Armonia del perfetto equilibrio interiore ed esteriore è il segreto della nostra iniziazione ed il nostro lavoro è tutto proteso al miglioramento individuale per raggiungere, tra di noi come nel mondo profano, quel vivere virtuoso capace di generare pace e fratellanza universale. “Nella loggia massonica si innalzano templi alla virtù e si scavano prigioni al vizio” è detto nel nostro rituale del I° grado.

II lavoro individuale di perfezionamento è senza dubbio più importante di qualsiasi esercizio di erudizione culturale. Al riguardo cito, non letteralmente, un passo del Ma~jhima-Nikaya, raccolta di parabole attribuite al Buddha: “Non fu mai spiegato da me che il mondo non è eterno, nè che esso è limitato, nè che esso è infinito; non ho mai spiegato che anima e corpo sono la stessa cosa, nè che essi sono diversi; non ho mai spiegato che esiste un’altra vita oltre la morte, nè che essa non esiste. Non fu mai spiegato da me nulla di tutto questo perchè nulla di questo reca alcuna utilità, nè permette il distacco dal mondo o (assenza delle passioni o la cessazione del dolore o la tranquillità. Nulla di tutto questo conduce alla conoscenza ed all’illuminazione. Ecco perchè tutto questo non è stato spiegato da me”.

1 2Cronache,6, 18-20

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LA CERTEZZA DEL DUBBIO

La  certezza del  DUBBIO”

(R.  F..e U. T.)                

          Sarà forse sbagliate cercare nei libri la risposta alle nostre domande più profonde e angosciose, ma quello che ai spinge spesso a consultare volumi, non è il desiderio di risparmiarci la fatica di pensare, quanto piuttosto la mancata arroganza di considerarci padroni di verità assolute, la necessità di confrontarci con spiriti di noi più progrediti, e soprattutto la curiosità: — Come hanno fatto gli altri a risolvere il problema? — Come sono avanzati oltrela cortina del dubbio?

          Non abbiamo il dovere di risolvere i nostri problemi e di dare soluzione a tutti i nostri dubbi, ma una cosa la dobbiamo a noi stessi:

PORCI IL DUBBIO. Sollevare la questione, anche se poi il risultato finale ci sfugge irrimediabilmente. Eppure dobbiamo farlo: ne va del rispetto che possiamo nutrire per noi stessi.

          Se la vera libertà è avere la possibilità di scegliere tra due o più soluzioni a nostra disposizione, anche il porsi il dubbio é manifestazione dì libertà: prova ne sia che tutte le autocrazie, politiche e spirituali, tolgono all’uomo come prima cosa, il diritto al dubbio.

          E dei nostri diritti fa sicuramente parte la possibilità di porci la questione su cui riflettiamo spesso: il famoso DUBBIO DEI DUBBI. Dove andiamo? Che cosa si trova al di fuori e al di sopra del tempo concesso alla nostra vita e allo spazio fisico da noi occupato? E’  umano porsi questo interrogativo, perché se esiste qualcosa, qualsiasi cosa sia, allora anche il mondo in cui viviamo non è quel disordine caotico che appare a prima vista, quella casualità cieca  che mescola fortune e disgrazie. Se esiste qualcosa, deve,a maggior ragione, esserci un significato ultimo, un valore di cui l’uomo possa farsi interprete e fautore.

          Lo scienziato illuminista sa cosa rispondere: esiste solo la materia e le leggi che regolano il movimento della materia stessa. Esiste solo la legge matematica e la legge fisica. Soprattutto esiste solamente ciò che possiamo valutare con la nostra ragione e la nostra ragione trae nutrimento primo dalle esperienze suggerite dai cinque sensi. Ciò che viene meno  a questo  procedimento razionale non può esistere.

          E’ una posizione rispettabilissima, soprattutto se si tiene conto del fatto che l’Illuminismo contribuisce a seppellire definitivamente l’età barocca, un periodo in cui la realtà e la fantasia, la fisica e la metafisica sconfinano l’una nell’altra e le seconde costruiscono intorno alle prime delle proliferazioni inquietanti. Un bel scopa di scopa, un aprire le finestre: il problema metafisico nell’illuminismo non esiste, non esiste perché non si pone. E non si pone

perché é, appunto, al di là della fisica, e solo ciò che è all’interno della fisica si può porre come problema. Il resto è frutto di vacuità.

          In sé per sé; l’ateismo illuminista sa dare una parvenza di soluzione: una guida, sia pure limitata, esiste, ed è la SCIENZA. Il dubbioso é colui che vuole conoscere cose per le quali mancano strumenti conoscitivi adatti.

          Ammettiamolo pure.  Ma questa non può certe essere la risposta ultima. Ed il pensiero Romantico insorge, si sente orfano di lo va a cercare.

          L’ansia che spinge l’uomo a indagare nella metafisica non si può placare a buon mercato, ed ecco che spunta di nuovo il nome di Dio.

          Il  bisogno di Dio è soprattutto il bisogno di un mondo diverso da quello che appare nei suoi aspetti peggiori: di un mondo che, appunto perché create e governato da un essere onnipotente e perfetto, non può rivolgersi alla mortificazione e all’annientamento dell’uomo.                 

          L’uomo cercava qualcosa che fosse al di fuori e al di sopra di lui, ma se è stato lui stesso a creare Dio, questi non può essere al di sopra e al di fuori di lui.

          Eppure è proprio un Dio creata dall’Uomo quello che è risultato, nei secoli, più utile all’uomo. Se l’uomo è in cerca di Dio, in realtà è alla ricerca di qualcosa che gli somigli in meglio, pronto a occuparsi di lui, a consolarlo nei suoi affanni, a suggerirgli una strada per la soluzione dei suoi problemi ed eventualmente anche a punirlo per le sue colpe.

          Di un Dio lontanissimo e disinteressato alle vicende umane, l’uomo non sa che farsene; il Dio creato dall’uomo a propria immagine e somiglianza deve, in un certo senso, colmare tutte le sensazioni di vuoto e di abbandono in cui spesso viene a trovarsi l’essere Umano.

          Ma il filosofo Russell sostiene: “Una cosa è che la religione sia utile,  altra cosa è che la religione sia vera”. Aggiungiamo noi: Una cosa è Credere , altra cosa è Sperare.

          Il Romanticismo aveva creduto di riempire i vuoti del pensiero laico-illuminista, ma non sa proporre nulla di meglio che formule dialettiche e, nella migliore delle ipotesi, ideali umanitari. Al crollo di questi l’uomo si trova completamente solo, abbandonato a se stesso.

          Allora, se vegliamo andare avanti non dobbiamo formulare la domanda “Dove andiamo. Cosa c’è al di fuori e al di sopra di noi?” . Per queste domande non abbiamo strumenti di indagine e di dimostrazione, e perfino la Fede ci pone davanti il mistero del DOGMA. Se chiediamo a S. Agostino cosa c’era prima della creazione del mondo, lui ci risponde “DIO”; ma se gli chiediamo che cosa faceva DIO prima di creare il mondo, ci risponde con una battuta: “preparava l’inferno per i curiosi”.

          La fede ci risponde che non faceva nulla, ERA nella sua totalità, ed a questo possiamo credere del tutto, e non credere affatto. La scienza non ci dà una risposta migliore: prima del BIG—BANG  c’è solo la fantascienza; quello che ha provocate il BIG.-BANG ci è ignoto, né, per ora abbiamo possibilità di conoscerlo se non attraverso la FANTASIA.

Perciò, o siamo condannati al silenzio, eppure cerchiamo di aggirare il problema; la questione deve essere posta in altro modo, sottoaltra ferma. Deve, insomma, diventare una domanda  “umana ” , come:

“Che cosa desideriamo realmente avere dalla risposta a quella domanda” ?

Se infatti desideriamo conforto e consolazione, è bene che la nostra ricerca si orientiper vie diverse rispetto all’indagine di. chi desidera una risposta scientifica. Quindi invitiamo noi stessi e ciascuno di voi a munirsi degli strumenti più adatti per la strada che vogliamo percorrere. Questa strada non è tracciata, non ha un punto di partenza né un punto di arrivo, e prenderà le connotazioni che noi gli daremo, mano a mano che proseguiamo, perché solo due cose possiamo per ora conoscere: che c’è una foresta da attraversare e che possiamo aprirci in essa una strada solo con i mezzi che possediamo.

La foresta da attraversare é l‘esperienza dell’angoscia, che subentra quando l’uomo ha perso Ideali e Speranze, ma quando soprattutto non sa più dare alcuna giustificazione alla propria  esistenza.

L’uomo è sempre quel che decide di essere, all’interno della sua posizione storica ed umana. Nessun sacrificio è utile per procurarsi “cuscini in Paradiso” , se il Paradiso non esiste.….Il senso della vita si trova mentre viviamo, e siamo noi stessi a sceglierci quello che più ci piace, nell’ambito del nostro modo di sentire e delle nostre esigenze caratteriali e volontarie.

La religione non può essere la dispensatrice unica di verità legali e morali, in quanto non è che una interpretazione umana di tali verità, e come tale è destinata ad essere ricorretta.

Il rispetto per la vita, l’aiutarci reciproco, e via dicendo, sonovalori che non possono essere prerogativa dei credenti e basta. Se qualcuno ci chiede aiuto, non deve chiedercele, come nei Promessi Sposi, “Per amor di Dio”, ma perché è nostro dovere di esseri umani, così come è nostro diritto difenderci dalle aggressioni che da essi ci possono venire.

L’uomo deve sempre essere LIBERO di scegliere tra alternative morali”

La Chiesa, pur non venendo meno al ruolo di suggeritrice di comportamenti morali, cerca o dovrebbe cercare, almeno nei suoi spiriti migliori e più aperti, di mettersi in discussione e quindi di accettare la SFIDA del DUBBIO, per non dover finire inevitabilmente nel dogmatismo più assoluto e intransigente.

In questa gamma di spunti e riflessioni, emerge dunque un valore che non trova mai contraddizione, per lo meno tra individui sani di mente: “La responsabilità personale nella scelta del nostre pensiero privato”.

Allora ci chiederete:  “Qual è  la  SOLUZIONE?”

Nessuna, cari Fr T, la soluzione non esiste, non può esistere, esiste solo il diritto, il dovere di porsi il DUBBIO, e di cercare la risposta, o le risposte, o la NON risposta che sentiamo più congeniale.

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L’ESEMPIO DI UN UOMO CHE HA NAVIGATO CONTRO VENTO

L’esempio di un Uomo che ha navigato controvento

Le Logge Garibaldi sono una grande catena di libertà ai quattro angoli del mondo. Il

Generale conosceva il segreto del mare, sapeva che occorre viverlo con ogni vento,

senza paura. In questo tempo di crisi morale prima ancora che economica, c’è

bisogno di tornare alle radici della libertà, intesa come possibilità di realizzare il

nostro progetto di vita senza scontrarsi con il pensiero altrui.

Il senso del cammino è l’accesso alla conoscenza del nostro tempo. Fanno

paura le parole pronunciate per mettersi la coscienza a posto, ripetizioni di belanti

umanisti dell’ultima ora, appollaiati sul trespolo della mancanza di certezze. Noi non

siamo figli di nessuno: abbiamo una storia, radici profonde, veniamo da lontano.

L’esempio di Garibaldi e dei suoli ragazzi che controvento cercavano un’Italia

diversa e migliore, non è un gioco letterario né una pagina chiusa di storia. Quel

racconto di libertà lo portiamo nel cuore ma non è nostalgia: è insegnamento per

l’oggi. E’ rottura con i compromessi, con un presente fatto di conformismo e pensiero

unico. E’ coraggio per un viaggio mai concluso dentro noi stessi e quello che

vogliamo essere in questo tempo.

L’interesse di Garibaldi era rivolto ai grandi progetti di riforma, tra i quali

l’allargamento del suffragio, l’istruzione obbligatoria, il riconoscimento dei diritti

delle donne, senza dimenticare la lotta per il riscatto del Sud. Parole e azioni che

hanno cementato il sentimento nazionale, gettando le basi dell’Italia moderna.

Ci fa ancora strada quell’uomo che, di fronte a ciò che era giusto fare, non

badava al rischio, il condottiero più vicino alle masse contadine che alla borghesia, il

pensatore che non si arrese alle sirene della politica pur essendo stato membro del

Parlamento per otto legislature.

Oggi, nell’era biomediatica, servono maestri e testimoni. Un percorso

necessario per sperare in una rinascita civile dell’Italia. La rinascita nel nostro Paese

è sempre avvenuta grazie all’educazione che fa scoprire la bellezza e la dignità della

vita vissuta secondo un alto senso dei doveri civili. La scuola come palestra di

confronto, l’amore per la Costituzione, la libertà sono i sentieri del nostro impegno,

allargando lo spazio per i cittadini, perché senza partecipazione ogni processo è

calato dall’alto, e non ci sono rivoluzioni di coscienza. Non siamo liberi nonostante i

doveri, ma grazie ad essi. Perché la coscienza civile è sempre una forma di lealtà

verso le istituzioni e la storia, le memorie e i linguaggi.

Il nostro compito è contribuire ad educare alla cittadinanza responsabile. Ecco

perché il Generale che fu Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, non può restare

un’immagine fissata sulla lastra di bromuro né un ‘santino’ laico su piazze e strade.

Dobbiamo andare alle radici di un messaggio morale, e impegnarci a costruire il

futuro. Occorre promuovere, nel segno della lezione dell’Eroe dei Due mondi, una

nuova visione dell’Italia e dell’Europa. Un nuovo viaggio nell’incompiuto del

Risorgimento, per cogliere il segno che resta.

Le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia – che l’anno scorso abbiamo

promosso da Nord a Sud del paese – hanno fatto molto, ma c’è bisogno di un nuovo

impegno civile per una memoria che sappia farsi progetto e declinare futuro. Il testo

programmatico della spedizione in Sicilia, ordine del giorno del 7 maggio 1860, è un

documento da quale ripartire per trovare nuove ragioni dell’essere italiani: abita in

quelle pagine la teorizzazione del rifiuto di una ”ricompensa” per il servizio alla

Nazione. Si lotta e si costruisce per un fine, non per i metalli. Un altro testo, che

conclude idealmente la spedizione dei Mille, venti giorni dopo la battaglia del

Volturno e quattro giorni prima dello storico incontro di Teano, è documento di

grande valore, spesso dimenticato nelle cronache, Alle potenze d’Europa:

memorandum. Il Generale propone ai governi francese e britannico di dar vita a una

confederazione europea che punti a costituire uno Stato unico europeo: “Supponiamo

che l’Europa formasse un solo Stato […] e in tale supposizione, non più eserciti, non

più flotte, e gli immensi capitali strappati quasi sempre ai bisogni e alla miseria dei

popoli per esser prodigati in servizio di sterminio, sarebbero convertiti invece a

vantaggio del popolo in uno sviluppo colossale dell’industria, nel miglioramento

delle strade, nella costruzione dei ponti, nello scavamento dei canali, nella fondazione

di stabilimenti pubblici e nell’erezione delle scuole che torrebbero alla miseria e alla

ignoranza tante povere creature che in tutti i paesi del mondo, qualunque sia il loro

grado di civiltà, sono condannate dall’egoismo del calcolo e dalla cattiva

amministrazione delle classi privilegiate e potenti all’abbrutimento, alla prostituzione

dell’anima e della materia”. Questo testo vagheggia gli Stati Uniti d’Europa, ma è un

monito anche per l’oggi.

Non basta dire ciò che Garibaldi è stato: occorre dire cosa vogliono oggi gli

eredi del suo pensiero, e come pensano il futuro. C’è bisogno di risposte serie. Di

riprendere il filo di un cammino, pur tra le necessarie transizioni, lavorando per

superare lo smarrimento morale in un tempo in cui il blocco declinista si ingrossa. I

‘garibaldini’ non sono tra quelli che parlano di Finis Italiae. Non lo saranno mai. La

storia ci insegna altro. Le nostre battaglie per la laicità, ci indicano alla storia come

costruttori, soldati della libertà. Non serve agitare un contro-passato rispetto alla

storia risorgimentale che ha cucito l’Italia Unita. Né dividersi sulle memorie di parte,

vedendo passare carri armati che difendono trincee già perse. Va invece riscoperto ciò

che legò per sempre più generazioni di italiani in un destino comune. La storia è

punteggiata da esempi positivi che possono fare ancora strada. Trovare una nuova

alchimia che serva all’Italia vuole dire puntare sui giovani e sulla cultura. Come ai

tempi del Generale, occorre rimettere in piedi l’Italia.

Nel 1861 l’Unità d’Italia nasce con uno scopo preciso: diventare moderni. Non

è un caso che La storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis, uscita nel

1870 e da molti ritenuta la massima espressione ideologica del Risorgimento, si

chiuda con l’esortazione a “fare il mondo moderno il mondo nostro”. Non servono

zone riparate, ma saper leggere ciò che porta il vento. E impegnarsi per una nuova

giustizia sociale, riconquistando la modernità non con le baionette ma con le idee di

lungo respiro. Una ‘nuova spedizione’ culurale e sociale, che potremo fare solo

insieme.

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LA REGOLA DELL’ORDINE DEL TEMPIO

L a    R e g o l a    d e l l’ O r d i n e    d e l    T e m p i o

(1128)

In questa pagina riportiamo il testo integrale, tratto dall’originale latino, della Regola Primitiva dell’Ordine del Tempio. Come si potrà constatare, la Regola è durissima, e su di essa venivano stilati i vari regolamenti interni delle Precettorie dell’Ordine, che potevano differire tra loro, se pur di poco. La Regola Primitiva è stata scritta di proprio pugno da San Bernardo di Chiaravalle, il quale riprese come traccia la regola benedettina, forgiandola e rendendola ancora più dura e difficile da rispettare. La Regola è composta da 72 articoli, di cui i primi 10 sono dedicati all’aspetto monacale guerriero dell’Ordine. La Regola ha subito poi diverse integrazioni e modifiche, l’ultima delle quali apportata sotto il pontificato di Bonifacio VIII. Questa edizione della Regola inizia con la descrizione della presentazione al Concilio di Troyes nel 1128, con tutti i nome dei padri conciliari presenti.

CONCILIO

REGOLA DEI POVERI COMMILITONI DI CRISTO E DEL TEMPIO DI SALOMONE

Il nostro (discorso) si dirige innanzitutto con fermezza a tutti coloro, che intendono rinunciare a seguire le proprie volontà, e desiderano con purezza di spirito militare per il sommo e vero Re, perché assumano l’armatura insigne dell’obbedienza, adempiendola con particolarissima cura, e la portino a perfezione con la perseveranza. Esortiamo dunque voi che fino a questo momento avete abbracciato la milizia secolare, nella quale Cristo non fu la causa, ma per solo umano favore, perché facciate parte di coloro che Dio ha eletto dalla massa di perdizione e per gratuita pietà riunì per la difesa della santa Chiesa, vi affrettiate ad associarvi perennemente. Ma innanzitutto, chiunque sei, o soldato di Cristo, che hai scelto tale santa conversazione, è necessario che usi una pura diligenza verso la tua professione e una ferma perseveranza; questa, che è conosciuta essere da Dio, tanto degna santa e sublime, meriterai di ottenere forte, tra i militanti, che diedero le loro anime per Cristo se con purezza e perseveranza sarà osservata. In questo è rifiorito e tornato a splendere l’ordine militare, che, abbandonato lo zelo per la giustizia, mirava a non difendere, come suo dovere, i poveri e le chiese, ma a spogliare, rubare e uccidere. Si vive bene dunque con noi, ai quali il Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo inviò i suoi amici dalla santa città nelle terre di Francia e Borgogna, e non cessano per la nostra salvezza diffusione della vera fede di offrire le loro anime quale ostia gradita a Dio. Noi dunque con infinita gratitudine e fraterna pietà, convenuti, per le preghiere del maestro Ugo, nel quale la sopraddetta milizia ebbe inizio, per ispirazione dello Spirito Santo, dalle diverse zone della provincia ultramontana nella solennità di sant’Ilario, anno 1128 dell’incarnazione del Figlio di Dio, nono dall’inizio della sopraddetta milizia presso Troyes, sotto la guida di Dio, meritammo di ascoltare dalla bocca dello stesso maestro Ugone il modo e l’osservanza dell’ordine equestre secondo i singoli capitoli, e secondo la comprensione della nostra esigua scienza, ciò che a noi sembrava assurdo, e tutto ciò che nel presente concilio a noi non poteva essere a memoria riferito ho detto, non per leggerezza ma per saggezza affidammo per approvazione del comune capitolo in modo unanime alla provvidenza e alla discrezione del venerabile padre nostro Onorio, e dell’inclito patriarca di Gerusalemme Stefano, per sapienza necessità non ignari della religione orientale e neppure dei poveri commilitoni di Cristo benché il massimo numero di padri religiosi presenti in quel concilio per divina ispirazione raccomandi l’autorità del nostro dettato, tuttavia non dobbiamo passare sotto silenzio i loro pareri e le vere sentenze, io Giovanni Michele, per ordine del concilio e del venerabile abate di Chiaravalle, al quale questo era affidato e dovuto, ho meritato per grazia divina di essere umile scrivano di questa pagina.

Nomi di padri presenti al concilio di Troyes:

Presente come primo fu il vescovo di Albano Matteo, legato per grazia di Dio dalla santa Chiesa di Roma, poi Rainaldo arcivescovo di Reims, terzo Enrico Arcivescovo di Sens, quindi i loro corepiscopi, Ranchedo vescovo di Carnotensis, Golseno Vescovo Soissons, il Vescovo di Parigi, il Vescovo di Troyes, il Presule di Orleansm il Vescovo di Auxerre, il Vescovo di Meaux, il Vescovo di Chalons, il Vescovo di Laon, il Vescovo di Beauvais, l’Abate di Vezzelay che non molto tempo dopo fu fatto Arcivescovo di Lione e legato della Santa Romana Chiesa, l’Abate cirstercense, l’Abate di Pontigny, l’Abate della Trois Fontain, l’Abate di S. Denise di Reims, l’Abate di S.Etienne di Dijon, l’Abate di Molesmes….., non mancò il soprannominato Abate Bernardo di Chiaravalle il cui parere i soprascritti spontaneamente approvavano, erano presenti anche il Maestro Alberico di Reims, e il Maestro Fulcherio e molti altri che sarebbe lungo enumerare, inoltre riguardo ai non elencati sembra giusto che siano messi in mezzo come amanti della verità. Il compagno Teobaldo, il compagno di Neverre e Andrea di Baundemant, così assistevano al concilio, con attentissima cura esaminavano ciò che era ottimo, temperavano ciò che a loro appariva assurdo. Lo stesso Maestro Ugo con i suoi discepoli espose ai soprannominati padri, secondo quanto ricordava, il modo e l’osservanza della esigua origine del suo ordine militare il quale prese inizio da colui che dice: “Io, il Principio, che a voi parlo”,. Piacque al concilio che, esaminato diligentemente ivi il regolamento con l’aiuto e la correzione delle Scritture, nonché con il suggerimento del Papa dei Romani e del Patriarca dei Gerosolimitani, avuto pure l’assenso del capito dei poveri Cavalieri del Tempio, che è in Gerusalemme, fosse consegnato allo scritto, perché non fosse dimenticato, e indelebilmente fosse conservato: questo perché con retta via meritassero di pervenire degnamente al loro creatore, la cui dolcezza supera talmente il miele che a lui comparato è più amaro dell’assenzio, per il quale militano, e riposino dalla Milizia per gli infiniti secoli dei secoli.

Amen.

INIZIA LA REGOLA DEI POVERI COMMILITONI DELLA SANTA CITTA’

I-Quale divino ufficio debbano udire

Voi che rinunciate alla vostra volontà, e tutti gli altri che per la salvezza della anime con cui militano per un certo tempo, con cavalli e armi per il sommo re, abbiate cura di udire con pio e puro desiderio nella sua totalità Matutini e l’Integro Servizio, secondo l’istituzione canonica e la consuetudine dei dottori regolari della Santa Città.

Soprattutto da voi, venerabili fratelli, è dovuto il sommo grado, poiché disprezzata la luce di questa vita, e superata la preoccupazione dei vostri corpi, avete promesso di disprezzare il mondo incalzante per amore di Dio per sempre: rifocillati e saziati dal divino cibo, istituiti e confermati dai precetti del Signore, dopo la consumazione del Divino Mistero nessuno tema la battaglia, ma sia preparato alla corona.

II-Dicano le preghiere del Signore, se non hanno potuto udire il servizio di Dio

Inoltre se un fratello lontano per caso per un impegno della cristianità orientale (e questo più spesso non dubitiamo sia avvenuto) non potesse udire per tale assenza il servizio di Dio: per Matutini dica tredici orazioni del Signore e per le singole ore, sette; per i Vespri, riteniamo se ne debbano dire nove, e questo lo affermiamo unanimemente a libera voce: Questi infatti impegnati così in un lavoro di preservazione, non possono accorrere nell’ora opportuna al Divino Ufficio. Ma se fosse possibile, nell’ora stabilita non trascurino quanto dovuto per istituzione.

III-Che cosa fare per i fratelli defunti

Quando uno dei fratelli professi sacrifica ciò che è impossibile strappare alla morte, che non risparmia nessuno, ciò che è impossibile strappare: ai cappellani e ai sacerdoti che con voi caritatevolmente e temporaneamente servono al Sommo Sacerdote comandiamo con carità di offrire per la sua anima a Cristo con purezza di spirito l’ufficio e la Messa solenne. I fratelli ivi presenti, che pernottano pregando per la salvezza del fratello defunto, dicano cento orazioni del Signore fino al settimo giorno per il fratello defunto: dal giorno in cui fu annunciata la morte del fratello, fino al predetto giorno, il numero centenario venga rispettato con fraterna osservanza nella sua integrità con divina e misericordiosa carità scongiuriamo, e con pastorale autorità, comandiamo, che ogni giorno, come al fratello si dava e si doveva nelle necessità così si dia ad un povero fino al quarantesimo giorno ciò che è necessario al sostentamento di questa vita, per quanto riguarda cibo e bevanda. Del tutto proibiamo ogni altra offerta, che nella morte dei fratelli, e nella solennità di Pasqua, inoltre nelle altre solennità, la spontanea povertà dei poveri commilitoni di Cristo era solita in modo esagerato dare al Signore.

IV-I cappellani abbiano soltanto vitto e vestito

Comandiamo che per comune accordo del capitolo le altre offerte e tutte le altre specie di elemosine, in qualunque modo siano, vengano date con attenta cura ai cappellani o gli altri che restano temporaneamente. Perciò i servitori della Chiesa abbiano soltanto vitto e vestito secondo l’autorità, e non pretendano di avere nulla di più, tranne che i maestri spontaneamente e caritatevolmente abbiano dato.

V-I soldati temporanei defunti

Vi sono tra di noi dei soldati che temporaneamente e misericordiosamente rimangono della casa di Dio, e Tempio di Salomone. Perciò con ineffabile supplica vi preghiamo, scongiuriamo, e anche con insistenza comandiamo, che nel frattanto la tremenda potestà avesse condotto qualcuno all’ultimo giorno, per amore di Dio, fraterna pietà, un povero abbia sette giorni di sostentamento per la sua anima.

VI-Nessun fratello professo faccia un’offerta

Abbiamo decretato, come più sopra fu detto, che nessuno dei fratelli professi presuma di trattare un’altra offerta: ma giorno e notte con cuore puro rimanga nella sua professione, perché sia in grado di eguagliare il più santo dei profeti in questo: prenderò il calice della salvezza, e nella mia morte imiterò la morte del Signore: poiché come Cristo diede la sua anima per me, così anche io sono pronto a dare l’anima per i fratelli, ecco l’offerta giusta: ecco l’ostia viva gradita a Dio.

VII-Non esagerare nello stare in piedi

Abbiamo sentito con le nostre orecchie un teste sincerissimo, che voi assistete al divino ufficio stando costantemente in piedi: questo non comandiamo anzi vituperiamo: comandiamo che finito il salmo, “Venite esultiamo al Signore” con l’invitatorio e l’inno, tutti siedano tanto i forti quanto i deboli, per evitare scandalo. Voi che siete presenti, terminato ogni salmo, nel dire “Gloria al Padre”, con atteggiamento supplice alzatevi dai vostri scanni verso gli altari, per riverenza alla Santa Trinità ivi nominata, e insegnammo ai deboli il modo di chinarsi. Così anche nella proclamazione del Vangelo, e al “Te Deum laudamus”, e durante tutte le Lodi, finché finito “Benediciamo il Signore”, cessiamo di stare in piedi, comandiamo anche che la stessa regola sia tenuta nei Matutini di S. Maria.

VIII-Il riunirsi per il pasto

In un palazzo, ma sarebbe meglio dire refettorio, comunitariamente riteniamo che voi assumiate il cibo, dove, quando ci fosse una necessità, a causa della non conoscenza dei segni, sottovoce e privatamente è opportuno chiedere. Così in ogni momento le cose che vi sono necessario con ogni umiltà e soggezione di reverenza chiedete durante la mensa, poiché dice l’apostolo: Mangia il tuo pane in silenzio. E il Salmista vi deve animare, quando dice: Ho posto un freno alla mia bocca, cioè ho deciso dentro di me, perché non venissi meno nella lingua cioè custodivo la mia bocca perché non parlassi malamente.

IX-La lettura

Nel pranzo e nella cena sempre si faccia una santa lettura. Se amiamo il signore, dobbiamo desiderare di ascoltare attentamente le sue parole salutifere e i suoi precetti. Il lettore vi intima il silenzio.

X-Uso della carne

Nella settimana, se non vi cadono il Natale del Signore, o la Pasqua, o la festa di S. Maria, o di tutti i Santi, vi sia sufficiente mangiare tre volte la carne: l’abituale mangiare la carne va compresa quale grave corruzione del corpo. Se nel giorno di Marte cadesse il digiuno, per cui l’uso della carne è proibito, il giorno dopo sia dato a voi più abbondantemente. Nel giorno del Signore appare senza dubbio, opportuno dare due portate a tutti i soldati professi e ai cappellani in onore della Santa Resurrezione. Gli altri invece, cioè gli armigeri e gli aggregati, rimangono contenti di uno, ringraziando.

XI-Come debbono mangiare i soldati

E’ opportuno generalmente che mangino due per due, perché l’uno sollecitamente provveda all’altro, affinché la durezza della vita, o una furtiva astinenza non si mescoli in ogni pranzo. Questo giudichiamo giustamente, che ogni soldato o fratello abbia per sé solo una uguale ed equivalente misura di vino.

XII-Negli altri giorni siano sufficienti due o tre portate di legumi

Negli altri giorni cioè nella seconda e quarta feria nonché il sabato, riteniamo che siano sufficienti per tutti due o tre portate di legumi o di altri cibi, o che si dica companatici cotti: e così comandiamo che ci si comporti, perché chi non possa mangiare dell’uno sia rifocillato dall’altro.

XIII-Con quale cibo è necessario cibarsi nella feria sesta

Nella feria sesta riteniamo lodevole accontentarsi di prendere solamente un unico cibo quaresimale per riverenza alla passione, tenuto conto però della debolezza dei malati, a partire dalla festa dei santi fino a Pasqua, tranne che capiti il Natale del Signore o la festa di S. Maria o degli Apostoli. Negli altri tempi, se non accadesse un digiuno generale, si rifocillino due volte.

XIV-Dopo il pranzo sempre rendano grazie

Dopo il pranzo e la cena sempre nella chiesa, se è vicina, o, se così non è, nello stesso luogo, come conviene, comandiamo che con cuore umiliato immediatamente rendano grazie al sommo procuratore nostro: che è Cristo: messi in disparte in pani interi, si comanda di distribuire come dovuto per fraterna carità ai servi o ai poveri i resti.

XV-Il decimo del pane sia sempre dato all’elemosiniere

Benché il premio della povertà che è il regno dei cieli senza dubbio spetti ai poveri: a voi tuttavia, che la fede cristiano vi confessa indubitabilmente parte di quelli, comandiamo che il decimo di tutto il pane quotidianamente consegniate al vostro elemosiniere.

XVI-La colazione sia secondo il parere del maestro

Quando il sole abbandona la regione orientale e discende nel sonno, udito il segnale, come è consuetudine di quella regione, è necessario che tutti voi vi rechiate a Compieta, ma prima desideriamo che assumiate un convivio generale. Questo convivio poniamo nella disposizione e nella discrezione del maestro, perché quando voglia sia composto di acqua; quando con benevolenza comanderà, di vino opportunamente diluito. Questo non è necessario che conduca a grande sazietà o avvenga nel lusso, ma sia parco; infatti vediamo apostatare anche i sapienti.

XVII-Terminata la Compieta si conservi il silenzio

Finita la Compieta è necessario recarsi al giaciglio. Ai fratelli che escono da Compieta non venga data licenza di parlare in pubblico, se non per una necessità impellente; quanto sta per dire al suo scudiero sia detto sommessamente. Forse può capitare che in tale intervallo per voi che uscite da Compieta, per grandissima necessità di un affare militare, o dello stato della nostra casa, perché il giorno non è stato sufficiente, sia necessario che lo stesso maestro parli con una parte dei fratelli, oppure colui al quale è dovuto il comando della casa come maestro. Così questo comandiamo che avvenga; poiché è scritto: Nel molto parlare non sfuggirai al peccato. E altrove: La morte e la vita nelle mani della lingua. In questo colloquio proibiamo la scurrilità, le parole inutili e ciò che porta al riso: e a voi che vi recate a letto, se qualcuno ha detto qualcosa di stolto, comandiamo di dire l’orazione del Signore con umiltà e devota purezza.

XVIII-Gli stanchi non si alzino per i Matutini

Non approviamo che i soldati stanchi si alzino per i Matutini, come è a voi evidente: ma con l’approvazione del maestro, o di colui al quale fu conferito dal maestro, riteniamo unanimemente che essi debbano riposare e cantare le tredici orazioni costituite, in modo che la loro mente concordi con la voce secondo quanto detto dal profeta: Salmeggiate al Signore con sapienza: e ancora: al cospetto degli angeli salmeggerò a te. Ma questo deve dipendere dal consiglio del maestro.

XIX-Sia conservata comunità di vitto tra i fratelli

Si legge nella pagina Divina: Si divideva ai singoli, come era necessario per ciascuno. Perciò non diciamo che vi sia accezione di persone ma vi deve essere considerazione delle malattie. Quando uno ha meno bisogno, ringrazi Dio, e non si rattristi: colui che ha bisogno si umili per l’infermità, non si innalzi per la misericordia, e così tutte le membra saranno in pace. Ma questo proibiamo ché a nessuno sia lecito abbracciare una astinenza fuori posto, ma conducano una vita comune costantemente.

XX-Qualità e stile del vestito

Comandiamo che i vestiti siano sempre di un unico colore, ad esempio bianchi, o neri, o, per così dire, bigi. A tutti i soldati professi in inverno e in estate, se è possibile, concediamo vesti bianche, cosicché coloro che avranno posposto una vita tenebrosa, riconoscano di doversi riconciliare con il loro Creatore, mediante una vita trasparente e bianca. Che cosa di bianco, se non l’integra castità? La castità è sicurezza della mente, e sanità del corpo. Infatti ogni militare, se non avrà preservato nella castità, non potrà raggiungere la pace perpetua e vedere Dio; come attesta l’apostolo San Paolo: Seguiamo la pace con tutti e la castità, senza cui nessuno vedrà il Signore. Ma perché una sia di questo stile deve essere privo della nota arroganza e del superfluo; comandiamo a tutti che abbiano tali cose affinché ciascuno da solo sia capace senza clamore di vestirsi e svestirsi, mettersi i calzari e levarseli. Il procuratore di questo ministero con vigile cura sia attento nell’evitare questo, coloro che ricevono abiti nuovi, restituiscano subito i vecchi, da riporre in camera, o dove il fratello ci spetta il compito avesse deciso, perché possano servire agli scudieri o agli aggregati, oppure ai poveri.

XXI-I servi non portino vesti bianche, cioè pallii

Decisamente disapproviamo quanto era nella casa di Dio e del tempio dei suoi soldati, senza discrezione e decisione del comune capitolo, e comandiamo, che venga radicalmente eliminato quasi fosse un vizio proprio. I servi e gli scudieri portavano una volta vestiti bianchi, donde derivavano danni. Sorsero infatti in zone ultra montane alcuni falsi fratelli, sposati, ed altri, che dissero di appartenere al Tempio, mentre sono del mondo. Costoro procurarono tante ingiurie e tanti danni all’ordine militare, e gli aggregati presuntuosi come professi insuperbendo fecero nascere numerosi scandali. Portino quindi sempre vestiti neri: nel caso in cui questi non possano essere trovati, abbiano quelli che si possano trovare nella provincia in cui abitano, o quanto può essere avvicinato alla più semplice di un unico colore, cioè bigio.

XXII-I soldati professi portino solo vestiti bianchi

A nessuno è concesso portare tuniche candide, o avere pallii bianchi, se non ai nominati soldati.

XXIII-Si usino solo pelli di agnelli

Abbiamo deciso di comune accordo, che nessun fratello professo abbia pelli di lunga durata perenne o pelliccia o qualcosa di simile, e che serva al corpo, anche per coprirlo se non di agnelli o arieti.

XXIV-I vecchi vestiti siano dati agli scudieri

Il procuratore o datore dei vestiti con ogni attenzione dia i vecchi abiti sempre agli scudieri e agli aggregati, e talvolta ai poveri, agendo con fedeltà ed equità.

XXV-Chi brama le cose migliori abbia le peggiori

Se un fratello professo, o perché gli è dovuto o perché mosso da superbia volesse abiti belli o ottimi, meriterebbe per tale presunzione senza dubbio quelli più umili.

XXVI-Sia rispettata la qualità e la quantità dei vestiti

E’ necessario osservare la quantità secondo la grandezza dei corpi e la larghezza dei vestiti: colui che consegna gli abiti sia in questo attento.

XXVII-Colui che consegna i vestiti conservi innanzitutto l’uguaglianza

Il procuratore con fraterno intuito consideri la lunghezza, come sopra fu detto, con la stessa attenzione, perché l’occhio dei sussurratori o dei calunniatori non presuma di notare alcunché: e in tutte queste cose, umilmente mediti la ricompensa di Dio.

XXVIII-L’inutilità dei capelli

Tutti i fratelli, soprattutto i professi, è bene che portino capelli in modo che possano essere considerati regolari davanti e dietro e ordinati; e nella barba e nei baffi si osservi senza discussione la stessa regola, perché non si mostri o superficialità o il vizio della frivolezza.

XXIX-Circa gli speroni e le collane

Chiaramente gli speroni e le collane sono una questione gentilizia. E poiché questo è riconosciuto abominevole da tutti, proibiamo e rifiutiamo l’autorizzazione a possederli, anzi vogliamo che non ci siano. A coloro che prestano servizio a tempo non permettiamo di avere né speroni, né collane, né capigliatura vanitosa, né esagerata lunghezza di vestiti, anzi del tutto proibiamo. A coloro che servono al sommo creatore è sommamente necessaria la mondezza interna ed esterna, come egli stesso attesta, dicendo: Siate mondi, perché Io sono mondo.

XXX-Numero dei cavalli e degli scudieri

A ciascun soldato è lecito possedere tre cavalli, poiché l’insigne povertà della casa di Dio e del Tempio di Salomone non permette di aumentare oltre, se non per licenza del maestro.

XXXI-Nessuno ferisca uno scudiero che serve gratuitamente

Concediamo ai singoli militari per la stessa ragione un solo scudiero. Ma se gratuitamente e caritatevolmente quello scudiero appartiene a un soldato, a costui non è lecito flagellarlo, e neppure percuoterlo per qualsiasi colpa.

XXXII-In che modo siano ricevuti coloro che restano a tempo

Comandiamo a tutti i soldati che desiderano servire a tempo a Gesù Cristo con purezza d’animo nella stessa casa, di comprare fedelmente cavalli idonei in questo impegno quotidiano, e armi e quanto è necessario. Abbiamo anche giudicato, tutto considerato, che sia cosa buona e utile valutare i cavalli. Si conservi perciò il prezzo per iscritto perché non venga dimenticato: quanto sarà necessario al soldato, o ai suoi cavalli, o allo scudiero, aggiunti i ferri dei cavalli secondo la facoltà della casa, sia acquistato dalla stessa casa con fraterna carità. Se frattanto il soldato per qualche evento perdesse i suoi cavalli in questo servizio; il maestro per quanto può la casa, ne procurerà altri. Al giungere del momento di rimpatriare, lo stesso soldato conceda la metà del prezzo per amore divino, e se a lui piace, riceva l’altra dalla comunità dei fratelli.

XXXIII-Nessuno agisca secondo la propria volontà

E’ conveniente a questi soldati, che stimano niente di più caro loro di Cristo, che per il servizio, secondo il quale sono professi, e per la gloria della somma beatitudine, o il timore della geenna, prestino continuamente obbedienza al maestro. Occorre quindi che immediatamente, se qualcosa sia stato comandato dal maestro, o da colui al quale è stato dato mandato dal maestro, senza indugio, come fosse divinamente comandato, nel fare non conoscano indugio. Di questi tali la stessa verità dice: Per l’ascolto dell’orecchio mi ha obbedito.

XXXIV-Se è lecito andare senza comando del maestro in un luogo isolato

Scongiuriamo, e fermamente loro comandiamo, che i generosi soldati che hanno rinunciato alla propria volontà, e quanti sono aggregati, senza la licenza del maestro, o di colui cui fu conferito, di non permettersi di andare in un luogo isolato, eccetto di notte al sepolcro, in armi, e sorvegliare, poiché l’astuto nemico colpisce di giorno e di notte, o a quei luoghi che sono inclusi nelle mura della santa città.

XXXV-Se è lecito camminare da soli

Coloro che viaggiano, non ardiscano iniziare un viaggio né di giorno né di notte, senza un custode, cioè un soldato o un fratello professo. Infatti dopo che furono ospitati nella milizia, nessun militare, o scudiero o altro, si permetta di andare per vedere negli atri degli altri militari, o per parlare con qualcuno, senza permesso, come fu detto sopra. Perciò affermiamo saggiamente, che in tale casa ordinata da Dio, nessuno secondo il suo possesso svolga il proprio servizio o riposi; ma secondo il comando del maestro ciascuno agisca così che imiti la sentenza del Signore, con cui ha detto: Non sono venuto a fare la mia volontà, ma di Colui che mi ha mandato.

XXXVI-Nessuno chieda singolarmente ciò che è a lui necessario

Comandiamo, che sia scritta tra le altre come propria questa consuetudine e posta ogni attenzione confermiamo perché si eviti di cercare il vizio. Nessun fratello professo, deve chiedere che gli sia assegnato personalmente un cavallo o una cavalcatura o delle armi. In che modo? Se la sua malattia, o la debolezza dei sui cavalli, o la scarsezza delle sue armi, fosse riconosciuta tale, che avanzare così sia un danno comune: si rechi dal maestro, o da colui chi è dovuto il ministero dopo il maestro, e gli esponga la causa con sincerità e purezza: infatti la cosa va risolta nella decisione del maestro, o del suo procuratore.

XXXVII-I morsi e gli speroni

Non vogliamo che mai oro o argento che sono ricchezze particolari appaiano nei morsi o nei pettorali, né gli speroni, o nei finimenti, né sia lecito ad alcun fratello professo acquistarli. Se per caso tali vecchi strumenti fossero stati dati in dono, l’oro o l’argento siano colorati in modo che il colore o il decoro non appaia arroganza in mezzo agli altri. Se fossero stati dati nuovi, il maestro faccia ciò che vuole di queste cose.

XXXVIII-Sulle aste e sugli scudi non venga posta una copertura

Non si abbia una copertura sopra gli scudi e le aste, perché secondo noi questo non è proficuo, anzi dannoso.

XXXIX-L’autorizzazione del maestro

Al maestro è lecito dare cavalli o armi a chiunque, o a chi ritiene opportuno qualunque altra cosa.

XL-Sacco e baule

Non sono permessi sacco e baule con il lucchetto: così siano presentati, perché non si posseggano senza il permesso del maestro, o di colui a cui furono affidati i compiti della casa e i compiti in sua vece. Da questa norma sono esclusi i procuratori e coloro che abitano in provincie diverse, e neppure è inteso lo stesso maestro.

XLI-L’autorizzazione scritta

In nessun modo a un fratello sia lecito ricevere, o dare, dai propri parenti, né qualsiasi uomo, né dall’uno all’altro, senza il permesso del maestro o del procuratore. Dopo che un fratello avrà avuto licenza, alla presenza del maestro, se così a lui piace, siano registrati. Nel caso che dai parenti sia indirizzato a lui qualcosa, non si permetta riceverla, se prima non è stato segnalato al maestro. In questa norma non sono inclusi il maestro e i procuratori della casa.

XLII-La confessione delle proprie colpe

Poiché ogni parola oziosa si sa che genera il peccato, che cosa essi diranno ostentatamente riguardo alle proprie colpe davanti al severo giudice. Dice bene il profeta che se occorre astenersi dai buoni discorsi per il silenzio, quanto più occorre astenersi dalle cattive parole per la penda del peccato. Vietiamo quindi che un fratello professo osi ricordare con un suo fratello, o con qualcun altro, per meglio dire, le stoltezze, che nel secolo nel servizio militare compì in modo enorme, e i piaceri della carne con sciaguratissime donne, o qualsiasi altra cosa: e se per caso avesse sentito qualcuno che riferisce tali cose, lo faccia tacere, o appena può si allontani per obbedienza, e al venditore d’olio non offra il cuore.

XLIII-Questua e accettazione

Se a un fratello fosse stata data qualcosa senza averla chiesta, la consegni al maestro o all’economo: se un altro suo amico o parente non volesse che fosse usata se non da lui, questa non riceva fino a quando abbia il permesso del maestro. Colui al quale sarà stata data la cosa, non dispiaccia che venga data ad un altro: sappia per certo, che se si arrabbiasse per questo, agisce contro Dio. Nella sopraddetta regola non sono contenuti gli amministratori ai quali in modo speciale è affidato e concesso il ministero riguardo al sacco e al baule.

XLIV-I sacchi per il cibo sui cavalli

E’ utile a tutti che questo ordine da noi stabilito sia rispettato senza eccezioni. Nessun fratello presuma di confezionare sacchi per il cibo di lino o di lana, preparati con troppa cura: non ne abbia se non di panno grezzo.

XLV-Nessuno osi cambiare o domandare

Nessuno presuma di cambiare le sue cose, fratello con il fratello, senza l’autorizzazione del maestro, e chiedere qualcosa, se non fratello al fratello, purché la cosa sia piccola, vile, non grande.

XLVI-Nessuno catturi un uccello con un uccello, neppure proceda con il richiamo

Noi giudichiamo con sentenza comune che nessuno osi catturare un uccello con un uccello. Non conviene infatti aderire alla religione conservando i piaceri mondani, ma ascoltare volentieri i comandamenti del Signore, frequentemente applicarsi alle preghiere, confessare a Dio i propri peccati con lacrime e gemito quotidianamente nella preghiera. Nessun fratello professo per questa causa principale presuma di accompagnarsi con un uomo che opera con il falco o con qualche altro uccello.

XLVII-Nessuno colpisca una fiera con l’arco o la balestra

E’ conveniente camminare in atteggiamento pio, con semplicità, senza ridere, umilmente, non pronunciando molte parole, ma ragionando, e non con voce troppo elevata. Specialmente imponiamo e comandiamo ad ogni fratello professo di non osare entrare in un bosco con arco o balestra o lanciare dardi: non vada con colui che fece tali cose se non per poterlo salvare da uno sciagurato pagano: né osi gridare con un cane né garrire; né spinga il suo cavallo per la bramosia di catturare la fiera.

XLVIII-Il leone sia sempre colpito

Infatti è certo, che a voi fu specialmente affidato il compito di offrire la vita per i vostri fratelli, e eliminare dalla terra gli increduli, che sempre minacciano il Figlio della Vergine. Del leone questo leggiamo, perché egli circuisce cercando chi divorare, e le sue mani contro tutti, e le mani di tutti contro lui.

XLIX-Ascoltate il giudizio riguardo a quanto è chiesto su di voi

Sappiamo che i persecutori della Santa Chiesa sono senza numero, e si affrettano incessantemente e sempre più crudelmente ad inquietare coloro che non amano le contese. In questo si tenga la sentenza del Concilio fatta con serena considerazione, che se qualcuno nelle parti della regione orientale, o in qualunque altro luogo chiedesse qualcosa su di voi, a voi comandiamo di ascoltare il giudizio emesso da giudici fedeli e amanti del vero; e ciò che sarà giusto, comandiamo che voi compiate senza esitazione.

L-In ogni cosa sia tenuta questa regola

Questa stessa regola comandiamo che venga tenuta per sempre in tutte le cose che immeritatamente sono state a voli tolte.

LI-Quando è lecito a tutti i militari professi avere una terra e degli uomini

Crediamo che per divina provvidenza nei santi luoghi prese inizio da voi questo genere nuovo di religione che cioè alla religione sia unita la milizia e così per la religione proceda armata mediante la milizia, o senza colpa colpisca il nemico. Giustamente quindi giudichiamo, poiché siamo chiamati soldati del Tempio che voi stessi per l’insigne e speciale merito di probità abbiate casa, terra, uomini, contadini e giustamente li governate: e a voi è dovuto in modo particolare quanto stabilito.

LII-Ai malati sia dedicata un’attenzione particolare

Ai fratelli che stanno male occorre prestare una cura attentissima, come si servisse a Cristo in loro: il detto evangelico, sono stato infermo e mi visitaste sia attentamente ricordato. Costoro vanno sopportati pazientemente, perché mediante loro senza dubbio si acquista una retribuzione superiore.

LIII-Agli infermi sia sempre dato ciò che è necessario

Agli assistenti degli infermi comandiamo con ogni osservanza e attenta cura, che quanto è necessario per le diverse malattie, fedelmente e diligentemente, secondo le possibilità della casa sia loro amministrato, ad esempio, carne e volatili ed altro, fino quando siano restituiti alla sanità.

LIV-Nessuno provochi l’altro all’ira

Massima attenzione va posta perché qualcuno non presuma di provocare l’altro all’ira: infatti la somma clemenza della vicina divina fraternità congiunse tanto i poveri quanto i potenti.

LV-In che modo siano accolti i fratelli sposati

Permettiamo a voi di accogliere i fratelli sposati in questo modo, se chiedono il beneficio e la partecipazione della vostra fraternità, entrambi concedano una parte della loro sostanza e quanto avessero ad acquistare lo diano all’unità del comune capitolo dopo la loro morte, e frattanto conducano una vita onesta, e si studino di agire bene verso i fratelli, ma non portino la veste candida e il mantello bianco. Se il marito fosse morto prima, lasci la sua parte ai fratelli: la moglie ricavi il sostegno della vita dall’altra parte. Consideriamo infatti questo ingiusto che fratelli di questo tipo risiedano nella stessa casa dei fratelli che hanno promesso la castità a Dio.

LVI-Non si abbiano più sorelle

Riunire ancora sorelle è pericoloso: l’antico nemico a causa della compagnia femminile cacciò molti dalla retta via del paradiso. Perciò, fratelli carissimi, perché sempre tra voi sia visibile il fiore dell’integrità, non è lecito mantenere ancora questa consuetudine.

LVII-I fratelli del Tempio non abbiano parte con gli scomunicati

Questo, fratelli è da evitare e da temere, che qualcuno dei soldati di Cristo in qualche modo si unisca ad una persona scomunicata singolarmente e pubblicamente, o presuma di ricevere le sue cose, perché la scomunica non sia simile al marantha (vieni Signore). Ma se fosse soltanto interdetto, non sarà fuori posto avere parte con lui, e ricevere caritatevolmente le sue cose.

LVIII-In che modo vanno ricevuti i soldati secolari

Se un soldato dalla massa della perdizione, o un altro secolare, volendo rinunziare al mondo, volesse scegliere la nostra comunione e vita, non si dia a lui subito l’assenso, ma secondo la parola di Paolo, provate gli spiriti se sono da Dio così a lui sia concesso l’ingresso. Si legga dunque la Regola in sua presenza: e se costui ottempererà diligentemente ai comandi di questa esimia Regola, allora se al maestro e ai fratelli sarà piaciuto riceverlo, convocati i fratelli esponga con purezza d’animo a tutti il suo desiderio e la sua richiesta. In seguito il termine della prova dipenda in tutto dalla considerazione e dalla decisione del maestro, secondo l’onestà di vita del richiedente.

LIX-Non siano chiamati tutti i fratelli al consiglio privato

Comandiamo che non sempre siano convocati al consiglio tutti i fratelli, ma solo quelli che il maestro avrà ritenuto idonei e provvidenziali per il consiglio. Quando volesse trattare le questioni maggiori, quale dare la terra comune, o discutere dell’Ordine stesso, o ricevere un fratello: allora è opportuno convocare tutta la congregazione, se così ritiene il maestro; udito il parere di tutto il capitolo, quanto di meglio e di più utile il maestro avrà ritenuto opportuno, questo si faccia.

LX-Devono pregare in silenzio

Comandiamo con parere concorde che, come avrà richiesto la propensione dell’anima e del corpo, i fratelli preghino in piedi o seduti: tuttavia con massima riverenza con semplicità, senza chiasso, perché uno non disturbi l’altro.

LXI-Ricevere la fede dei serventi

Abbiamo saputo che molti da diverse province, tanto aggregati, quanto scudieri desiderano vincolarsi nella nostra casa a tempo con animo fervoroso per la salvezza delle anime. E’ utile che riceviate la fede loro, affinché per caso l’antico nemico non intimi loro nel servizio di Dio alcunché furtivamente o indecentemente, o li distolga improvvisamente dal buon proposito.

LXII-I fanciulli, fin quando sono piccoli, non siano ricevuti tra i fratelli del Tempio

Quantunque la Regola dei Santi Padri permetta di avere dei fanciulli in una congregazione, noi non riteniamo di dover caricare voi di tale peso. Chi volesse dare in perpetuo suo figlio, o un suo congiunto, nella religione militare: lo nutra fino agli anni, in cui virilmente con mano armata possa eliminare dalla Terra Santa i nemici di Cristo: in seguito secondo la Regola il padre o i genitori lo pongano in mezzo ai fratelli, e rendano nota la sua richiesta. E’ meglio nella fanciullezza non giurare, piuttosto che diventato uomo ritirarsi in modo clamoroso.

LXIII-Sempre i vecchi siano venerati

E’ bene che i vecchi con pia considerazione, secondo la debolezza delle forze siano sopportati e diligentemente onorati: i nessun modo si usi severità in quanto la tolleranza è necessaria per il corpo, salva tuttavia l’autorità della Regola.

LXIV-I fratelli che partono per diverse province

I fratelli che si incamminano per diverse province, per quanto lo permettano le forze, si impegnino a osservare la Regola nel cibo e nella bevanda e nelle altre cose, e vivano in modo irreprensibile, perché abbiano buona testimonianza da coloro che stanno fuori: non macchino il proposito di religione né con parola né con atto, ma soprattutto a coloro, con i quali si sono incontrati, offrano esempio e sostanza di sapienza e di buone opere. Colui presso il quale avranno deciso di alloggiare, abbia buona fama: e, se è possibile, la casa dell’ospite in quella notte non manchi della candela, affinché il nemico tenebroso non procuri la morte, Dio non voglia. Quando avranno sentito di riunire soldati non scomunicati, diciamo che colà devono andare non preoccupandosi di una utilità temporale, quanto piuttosto della salvezza eterna delle loro anime. Ai fratelli diretti nelle zone aldilà del mare con la speranza di essere trasportati, raccomandiamo di ricevere con questa convenzione coloro che avessero voluto unirsi in perpetuo all’Ordine militare: entrambi si presentino al Vescovo di quella provincia e il presule ascolti la volontà di colui che chiede. Ascoltata la richiesta, il fratello lo invii al maestro e ai fratelli che si trovano nel Tempio che è in Gerusalemme: e se la sua vita è onesta e degna di tale appartenenza, misericordiosamente sia accolto, se questo sembra bene al maestro e ai fratelli. Se nel frattempo morisse, a causa del lavoro e della fatica, come a un fratello, a lui sia riconosciuto tutto il beneficio e la fraternità dei poveri e dei commilitoni di Cristo.

LXV-A tutti sia distribuito in modo uguale il vitto

Riteniamo anche che questo in modo congruo e ragionevole sia rispettato, che a tutti i fratelli professi sia dato cibo in eguale misura secondo la possibilità del luogo: non è infatti utile l’accezione delle persone, ma è necessario considerare le indisposizioni.

LXVI-I soldati abbiano le decime del Tempio

Crediamo che avendo abbandonato le ricchezze a voi donate abbiate ad essere soggetti alla spontanea povertà, per cui in questo modo abbiamo dimostrato in quale modo spettino a voi che vivete in vita comune le decime. Se il Vescovo della chiesa, al quale è dovuta giustamente la decima, avrà voluto darla a voi caritatevolmente: deve dare a voi le decime che allora la Chiesa sembra possedere con il consenso del capitolo comune. Se un laico dovesse impossessarsi di essa (decima) o sottrarla dal suo patrimonio in modo condannabile, e confessando la propria colpa avrà voluto lasciare a voi la stessa: secondo la discrezione di colui che presiede questo può essere fatto, senza il consenso del capitolo.

LXVII-Le colpe leggere e gravi

Se un fratello avrà sbagliato in modo lieve nel parlare, nell’agire o altrimenti, egli stesso confessi al maestro il suo peccato con l’impegno della soddisfazione. Per le cose lievi, se non esiste una consuetudine, ci sia una lieve penitenza. Nel caso in cui tacesse e la colpa fosse conosciuta attraverso un altro, sia sottoposto a una disciplina e ad una riparazione maggiore e più evidente.

Se la colpa sarà grave, si allontani dalla familiarità dei fratelli, né mangi con loro alla stessa mensa, ma da solo assuma il pasto. Il tutto dipenda dalla decisione e dall’indicazione del maestro, affinché sia salvo nel giorno del giudizio.

LXVIII-Per quale colpa il fratello non sia più accolto

Soprattutto occorre provvedere che, nessun fratello, sia potente o impotente, forte o debole, voglia esaltarsi e poco a poco insuperbire, difendere la propria colpa, possa rimanere indisciplinato: ma, se non avrà voluto correggersi, a lui venga data una correzione più severa. Che se non avrà voluto correggersi con pie ammonizioni e per le preghiere a lui innalzate, ma si sarà innalzato sempre più nella superbia: allora secondo l’apostolo, sia sradicato dal pio gregge: togliete il male da voi: è necessario che la pecora malata sia allontanata dalla società dei fratelli fedeli. Inoltre il maestro che deve tenere in mano il bastone e la verga (cioè il bastone, con cui sostenga le debolezze delle altre forze, la verga con cui colpisca con lo zelo della rettitudine i vizi di coloro che vengono meno) con il consiglio del Patriarca e con una considerazione spirituale sul da farsi affinché, come dice il beato Massimo, la più libera clemenza non approvi l’arroganza del peccatore, né l’esagerata severità non richiami dall’errore chi sbaglia.

LXIX-Dalla solennità di Pasqua fino a Tutti i Santi si possa soltanto portare una camicia di lino

Per il grande caldo della regione orientale, consideriamo compassionevolmente, che dalla festa di Pasqua fino alla solennità di Tutti i Santi, si dia a ciascuno una unica camicia di lino, non per il dovuto, ma per sola grazia, e questo dico per chi vorrà usufruire di essa. Negli altri tempi generalmente tutti portino camicie di lana.

LXX-Quanti e quali panni siano necessari nel letto

Per coloro che dormono nei singoli letti riteniamo di comune consiglio, se non sopravviene qualche grave causa o necessità: ciascuno abbia biancheria secondo la discreta assegnazione del maestro: crediamo infatti che a ciascuno sia sufficiente un pagliericcio, un cuscino e una coperta. Colui che manca di uno di questi, prenda una stuoia, e in ogni tempo sarà lecito usufruire di una coperta di lino, cioè un panno: dormano vestiti con la camicia, e sempre dormano indossando gli stivali. Mentre i fratelli dormono, fino al mattino non manchi la lucerna.

LXXI-Va evitata la mormorazione

Comandiamo a voi, per divino ammonimento di evitare, quasi peste da fuggire, le emulazioni, il livore, le mormorazioni, il sussurrare, le detrazioni. Si impegni ciascuno con animo vigile, a non incolpare o riprendere il suo fratello ma ricordi tra se la parola dell’apostolo: non essere un accusatore, né diffamatore del popolo. Quando qualcuno avrà conosciuto che un fratello ha peccato in qualcosa, in pace e fraterna pietà, secondo il precetto del Signore, lo corregga tra sé e lui solo: e se non lo avrà ascoltato prenda un altro fratello: ma se avrà disprezzato entrambi, in riunione davanti al capitolo tutto sia rimproverato. Soffrono di grave cecità, coloro che calunniano gli altri; sono di grande infelicità coloro che non si guardano dal livore: da qui sono immersi nell’antica iniquità dell’astuto nemico.

LXXII-Si evitino i baci di tutte le donne

Riteniamo pericoloso per ogni religioso fissare lungamente il volto delle donne: perciò un fratello non osi baciare né una vedova, né una nubile, né la madre, né la sorella, né un’amica, né nessuna altra donna. Fugga dunque la milizia di Cristo i baci femminili, attraverso i quali gli uomini spesso sono in pericolo: così con coscienza pura e vita libera può perennemente conversare al cospetto del Signore.

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LA LIBERTA’ DEL MASSONE

Libertà del Massone

Dante all’inizio del Purgatorio fa dire a Virgilio che …

“libertà va cercando ch’è si cara / come sa chi per lei vita rifiuta”

“Liberté” è la prima parola che figura nel vessillo della Rivoluzione francese

 Libertà è soprattutto uno dei pilastri fondamentali del credo massonico.

La Libertà concepita in senso massonico non incontra quegli ostacoli che la delimitano sul piano dei rapporti umani e sociali. Nell’interiorità dell’individuo non esistono confini o spazi altrui da rispettare. Lo spirito ha una dimensione assoluta, incommensurabile. Lo spaziare nell’infinito è un viaggio affascinante, in cui l’uomo nella visione massonica può provare l’ebbrezza che si prova a contatto con l’ossigeno puro.

 Se poi il viaggio avviene in compagnia di altri Fratelli, esploratori dello spirito come lui, sarà ancora più emozionante. Si arriverà al G.A.D.U.? Si rimarrà delusi di non averlo trovato? Si giungerà in un porto tranquillo o si navigherà in eterno in acque burrascose? Si ritroverà se stessi o ci si perderà? Non conosciamo la meta, il Massone segue un istinto insopprimibile, quello che da sempre ha animato i migliori spiriti. Il suo viaggio avviene a tappe, ognuna delle quali gli riserva una nuova emozione. Ad ogni traguardo raggiunto gli si dischiudono nuovi orizzonti più lontani; la sensazione che prova è quella di un viaggio senza fine, ma di un viaggio che lo arricchirà interiormente e che, comunque si concluda, rappresenterà per lui un’esperienza irripetibile. La sua Libertà si manifesterà proprio nel poter condurre a tutto campo una ricerca che si estende negli sconfinati spazi dello spirito.         

Come diceva Giorgio Gaber:

 “La libertà non è star sopra un albero
non è neanche avere un’opinione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione”

                                                                                                                                  G. T.

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