A consolidare la teoria del complotto fortunatamente
sventato nel caso degli Illuminati di Baviera (vedi capitolo Gli Illuminati di
Baviera) ed ‘evidente’ negli sviluppi della Rivoluzione francese contribuirono,
da opposti fronti, diversi fattori.
La ‘giusta vendetta’ di Giacomo di Molay attuata dalla
Massoneria su Luigi XVI: illustrazione di apertura del saggio antimassonico di
L.C. de Gassicourt Gli Iniziati antichi e moderni (1796).
Giocò in primo luogo un ruolo importante la pubblicistica
reazionaria che ebbe i suoi più significativi esponenti nel radicale Louis
Cadet De Gassicourt, imprigionato durante il Terrore, e nel gesuita Augustin De
Barruel, in esilio in Inghilterra. L’uno, in La tomba di Giacomo di Molay, sostenne
che l’Ordine dei Templari, di cui la Massoneria aveva raccolto l’eredità, aveva
costituito il primo anello di una catena di cospiratori che non avevano cessato
di agire fino alla presa della Bastiglia. L’altro, in Memorie utili per la
storia del Giacobinismo, arrivò a unificare nell’immagine terrificante di una
plurisecolare congiura tutti i movimenti o i personaggi che nella storia si
erano ribellati all’ordine costituito, dagli eretici medioevali a Robespierre.
Questa versione dei fatti si saldò nell’opinione pubblica alla leggenda secondo
la quale Giacomo di Molay, ultimo Maestro dei Templari condannato al rogo da
Filippo il Bello con la complicità di Clemente V, avrebbe vaticinato nel
proclamare la sua innocenza la morte dell’ultimo discendente del suo
persecutore per mano di un Templare. Si mormorava che Luigi XVI, ultimo re di
Francia e appunto ultimo discendente di Filippo il Bello, prima di essere
ghigliottinato (21 gennaio 1793) avrebbe chiesto al boia il suo nome, per
sentirsi rispondere che era un Templare, pronto a eseguire la vendetta di
Giacomo di Molay. E, per rendere ancora più fosche le tinte del quadro, si
sottolineava come la ghigliottina fosse stata inventata dal medico e scienziato
Joseph-Ignace Guillottin, affiliato alla Massoneria. Ricostruzione fantastica
di un episodio di eroismo templare in Terrasanta. Nonostante l’infatuazione per
la cavalleria che caratterizzò gli ambienti sia aristocratici sia borghesi del
1700, l’infondata affermazione di un’ininterrotta vitalità dell’Ordine dei
Templari non giovò alla Massoneria, sulla quale furono trasferiti dai suoi
oppositori i sospetti di doppiezza, occultismo e addirittura satanismo che
avevano caratterizzato nei secoli l’approccio alla vicenda templare. L’abbinamento
Templari-Massoneria non era tuttavia un parto della fantasia degli avversari
dell’Ordine. Appartiene infatti peculiarmente alla sua storia e ne costituisce
il complicato capitolo del Templarismo.
Le origini del fenomeno vanno ricercate, entro l’orizzonte
massonico, nella sovrapposizione del tipo etico dei cavaliere a quello del
libero muratore medioevale, secondo l’impostazione già di Ramsay (vedi capitolo
Al di là della Manica), e nella presenza di vivaci interessi esoterici, in
particolare per l’alchimia e la Cabala, in varie logge continentali. Si era
cosi potuta sviluppare una leggenda interna all’Ordine, dimostratasi con il
tempo quanto mai tenace: i Templari, depositari di una dottrina occulta appresa
in Oriente, sarebbero segretamente sopravvissuti in Scozia alla condanna
decretata dal re di Francia e dal papa di Roma (1312) e avrebbero davvero
consegnato alla Massoneria la propria eredità spirituale e sapienziale.
Il re di Svezia Gustavo III (sul trono dal 1771 al 1792)
medita sulla rivoluzione assistito da Minerva e dalla Giustizia. Da quando
questo sovrano venne iniziato nel 1770 alla Massoneria, l’Ordine ha sempre
avuto membri della Corte nei suoi ranghi più elevati. Il Rito Svedese, che
monopolizza a tutt’oggi la Massoneria della Svezia, della Norvegia, della
Danimarca e dell’Islanda, ha mantenuto le sfumature templaristiche a suo tempo
acquisite dai contatti con la Stretta Osservanza ed è l’unico in cui l’ultimo
grado (Cavaliere Commendatore della Croce Rossa) costituisce nel contempo
un’onorificenza civica conferita dal sovrano in persona.
L’assunzione della leggenda all’interno della simbologia e
della ritualità delle logge ebbe importanti conseguenze: diede origine a vari
Sistemi che dalla Germania, dove incominciarono a germinare, si diffusero
rapidamente in tutto il mondo; indebolì i legami con la tradizione operativa,
anche per quanto riguarda il significato da attribuire all’iniziazione, e rese
più stretti i collegamenti con la tradizione ermetico-esoterica e rosacrociana;
interferì con il fenomeno, già in atto, della proliferazione di gradi
iniziatici; lasciò spazio a personaggi equivoci, che fecero proseliti tra
coloro che credevano sia nella possibilità di accedere, grado dopo grado, al
‘segreto massonico’ (coincidente con il presunto ‘segreto templare’), sia in
quella di arricchirsi una volta che l’Ordine del Tempio fosse tornato in
possesso dei suoi beni, per ripartirli fra gli ‘iniziati’; sovrapponendo
Giacomo di Molay a Hiram (vedi capitolo Un passato ‘su misura’), di cui venne
simbolicamente ampliata la leggenda in direzione della ‘vendetta’, avvalorò
all’esterno la convinzione di una Massoneria cospirante per imprimere alla
storia il corso voluto da una cerchia di ‘Superiori Incogniti’ e in grado in
ogni momento di realizzarne i disegni.
I Sistemi cosiddetti
´Templari´
Capitolo di Clermont
Nacque in Francia nel 1754, ispirandosi in parte alle
innovazioni introdotte dai Maestri Scozzesi nella Massoneria di Lione
(1741-1743). Rapidamente eclissatosi in Francia, ebbe una vivace ripresa in
Germania dove, a partire dalla loggia ‘Tre Globi’ di Berlino, si diffuse e fu
attivo dal 1759 al 1764. Il quinto e il sesto grado del Sistema facevano
esplicito riferimento alla vendetta per l’ingiusta morte di Giacomo di Molay,
con un cerimoniale dai tratti decisamente macabri.
Venne istituita dal barone K.G. von Hund (1722-1776),
signore ereditario di Lipsia, nell’Alta-Lusazia, che sostenne di essere stato
incaricato della ricostituzione dell’Ordine del Tempio da misteriosi ‘Superiori
Incogniti’. Struttura, rituali e organizzazione amministrativa furono messi a
punto tra il 1751 e il 1755, ma incominciò a operare solo dal 1763-1764.
Prevedeva un Ordine Interno , cui si accedeva dal sesto grado, comprendente tre
categorie di iniziati: i Cavalieri (obbligatoriamente di origine
aristocratica), gli Scudieri o Armigeri (provenienti dall’alta borghesia) e i
Soci o Amici dell’Ordine (principi o altezze, cui non si poteva chiedere un
giuramento di obbedienza a persone socialmente sottoposte). Von Hund concepì
l’ambizione di stabilire l’egemonia del suo Sistema su tutti i Fratelli
Massoni.
Decretò pertanto che anche le logge che praticavano, secondo
il modello anglosassone, solo i primi tre gradi, dovessero ricorrere ai
relativi rituali predisposti dalla Stretta Osservanza e sottoporsi all’autorità
del suo Gran Maestro Provinciale ; quelle che volevano aderire al Sistema nella
sua globalità dovevano invece farsi ‘rettificare’, cioè fare atto di
sottomissione e giurare obbedienza ai Superiori Incogniti. La Stretta
Osservanza, dopo aver praticamente raggiunto il controllo della Massoneria
tedesca, andò progressivamente perdendo di prestigio, per essere alla fine
sconfessata dal consesso massonico europeo riunitosi a Wilhelmsbad (1782).
Sistema del
Chiericato Templare
Fu ideato e messo a punto dal pastore protestante J.A.
Starck ed ebbe nel 1772 il riconoscimento della Stretta Osservanza di Hund. Si
basava sul falso storico dell’esistenza nel Medioevo di un clero templare distinto
e autonomo dal corpo cavalleresco dell’Ordine, custode di conoscenze segrete
acquisite in Oriente dalla setta degli Esseni. Il sistema tramontò in
concomitanza con il tramonto della Stretta Osservanza, anche se i Chierici del
Tempio se ne erano dissociati. Starck d’altra parte aveva raggiunto l’obiettivo
di accreditarsi presso l’alta aristocrazia tedesca, alla quale prestò i suoi
servizi a partire dal 1780.
Ordine dei Cavalieri Benefacienti della Città Santa
Ultima metamorfosi significativa della Massoneria Templare
del XVIII secolo, di cui fu ufficialmente registrata la nascita nel convento
massonico delle Gallie riunitosi a Lione nel 1778, segnò l’evoluzione di questo
indirizzo in senso mistico e la sua emancipazione in Francia dalla dirigenza tedesca.
Pur non facendo riferimento diretto nel nome all’Ordine del Tempio (anche per
non urtare le autorità temporali e spirituali di un Paese che ne aveva
decretato, per l’azione congiunta del re e di un papa ‘avignonese’, la
soppressione), l’emblema del grado supremo era costituito da una tomba sopra la
quale erano raffigurati un’aquila e un pellicano, con le lettere J.M. (Jacques
de Molay) e il motto in latino Ecce quod superest (‘Ecco ciò che sopravvive’).
L’Ordine fu voluto da J.B. Willermoz che, dopo insoddisfacenti
tentativi di collegarsi alla Stretta Osservanza, aveva concepito il progetto di
rigenerare l’umanitarismo massonico rilanciando il tema della fratellanza
nell’ottica della fraternità mistica e della carità cristiana. Va ricordato
tuttavia che l’Ordine mantenne una spiccata fisionomia esoterica, prevedendo
per i Cavalieri più dotati l’accesso a due gradi speciali (Professo e Gran
Professo).
L a R e g o l
a d e l l’ O r d i n e d e l
T e m p i o
(1128)
In questa pagina riportiamo il testo integrale, tratto
dall’originale latino, della Regola Primitiva dell’Ordine del Tempio. Come si
potrà constatare, la Regola è durissima, e su di essa venivano stilati i vari
regolamenti interni delle Precettorie dell’Ordine, che potevano differire tra
loro, se pur di poco. La Regola Primitiva è stata scritta di proprio pugno da
San Bernardo di Chiaravalle, il quale riprese come traccia la regola
benedettina, forgiandola e rendendola ancora più dura e difficile da rispettare.
La Regola è composta da 72 articoli, di cui i primi 10 sono dedicati
all’aspetto monacale guerriero dell’Ordine. La Regola ha subito poi diverse
integrazioni e modifiche, l’ultima delle quali apportata sotto il pontificato
di Bonifacio VIII. Questa edizione della Regola inizia con la descrizione della
presentazione al Concilio di Troyes nel 1128, con tutti i nome dei padri
conciliari presenti.
CONCILIO
REGOLA DEI POVERI COMMILITONI DI CRISTO E DEL TEMPIO DI
SALOMONE
Il nostro (discorso) si dirige innanzitutto con fermezza a
tutti coloro, che intendono rinunciare a seguire le proprie volontà, e
desiderano con purezza di spirito militare per il sommo e vero Re, perché
assumano l’armatura insigne dell’obbedienza, adempiendola con particolarissima
cura, e la portino a perfezione con la perseveranza. Esortiamo dunque voi che
fino a questo momento avete abbracciato la milizia secolare, nella quale Cristo
non fu la causa, ma per solo umano favore, perché facciate parte di coloro che
Dio ha eletto dalla massa di perdizione e per gratuita pietà riunì per la
difesa della santa Chiesa, vi affrettiate ad associarvi perennemente. Ma
innanzitutto, chiunque sei, o soldato di Cristo, che hai scelto tale santa
conversazione, è necessario che usi una pura diligenza verso la tua professione
e una ferma perseveranza; questa, che è conosciuta essere da Dio, tanto degna
santa e sublime, meriterai di ottenere forte, tra i militanti, che diedero le
loro anime per Cristo se con purezza e perseveranza sarà osservata. In questo è
rifiorito e tornato a splendere l’ordine militare, che, abbandonato lo zelo per
la giustizia, mirava a non difendere, come suo dovere, i poveri e le chiese, ma
a spogliare, rubare e uccidere. Si vive bene dunque con noi, ai quali il
Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo inviò i suoi amici dalla santa città
nelle terre di Francia e Borgogna, e non cessano per la nostra salvezza
diffusione della vera fede di offrire le loro anime quale ostia gradita a Dio.
Noi dunque con infinita gratitudine e fraterna pietà, convenuti, per le
preghiere del maestro Ugo, nel quale la sopraddetta milizia ebbe inizio, per
ispirazione dello Spirito Santo, dalle diverse zone della provincia
ultramontana nella solennità di sant’Ilario, anno 1128 dell’incarnazione del
Figlio di Dio, nono dall’inizio della sopraddetta milizia presso Troyes, sotto
la guida di Dio, meritammo di ascoltare dalla bocca dello stesso maestro Ugone
il modo e l’osservanza dell’ordine equestre secondo i singoli capitoli, e
secondo la comprensione della nostra esigua scienza, ciò che a noi sembrava
assurdo, e tutto ciò che nel presente concilio a noi non poteva essere a
memoria riferito ho detto, non per leggerezza ma per saggezza affidammo per
approvazione del comune capitolo in modo unanime alla provvidenza e alla
discrezione del venerabile padre nostro Onorio, e dell’inclito patriarca di
Gerusalemme Stefano, per sapienza necessità non ignari della religione
orientale e neppure dei poveri commilitoni di Cristo benché il massimo numero
di padri religiosi presenti in quel concilio per divina ispirazione raccomandi
l’autorità del nostro dettato, tuttavia non dobbiamo passare sotto silenzio i
loro pareri e le vere sentenze, io Giovanni Michele, per ordine del concilio e
del venerabile abate di Chiaravalle, al quale questo era affidato e dovuto, ho
meritato per grazia divina di essere umile scrivano di questa pagina.
Nomi di padri
presenti al concilio di Troyes:
Presente come primo fu il vescovo di Albano Matteo, legato
per grazia di Dio dalla santa Chiesa di Roma, poi Rainaldo arcivescovo di
Reims, terzo Enrico Arcivescovo di Sens, quindi i loro corepiscopi, Ranchedo
vescovo di Carnotensis, Golseno Vescovo Soissons, il Vescovo di Parigi, il
Vescovo di Troyes, il Presule di Orleansm il Vescovo di Auxerre, il Vescovo di Meaux,
il Vescovo di Chalons, il Vescovo di Laon, il Vescovo di Beauvais, l’Abate di
Vezzelay che non molto tempo dopo fu fatto Arcivescovo di Lione e legato della
Santa Romana Chiesa, l’Abate cirstercense, l’Abate di Pontigny, l’Abate della
Trois Fontain, l’Abate di S. Denise di Reims, l’Abate di S.Etienne di Dijon,
l’Abate di Molesmes….., non mancò il soprannominato Abate Bernardo di
Chiaravalle il cui parere i soprascritti spontaneamente approvavano, erano
presenti anche il Maestro Alberico di Reims, e il Maestro Fulcherio e molti
altri che sarebbe lungo enumerare, inoltre riguardo ai non elencati sembra
giusto che siano messi in mezzo come amanti della verità. Il compagno Teobaldo,
il compagno di Neverre e Andrea di Baundemant, così assistevano al concilio,
con attentissima cura esaminavano ciò che era ottimo, temperavano ciò che a
loro appariva assurdo. Lo stesso Maestro Ugo con i suoi discepoli espose ai
soprannominati padri, secondo quanto ricordava, il modo e l’osservanza della
esigua origine del suo ordine militare il quale prese inizio da colui che dice:
“Io, il Principio, che a voi parlo”,. Piacque al concilio che,
esaminato diligentemente ivi il regolamento con l’aiuto e la correzione delle
Scritture, nonché con il suggerimento del Papa dei Romani e del Patriarca dei
Gerosolimitani, avuto pure l’assenso del capito dei poveri Cavalieri del
Tempio, che è in Gerusalemme, fosse consegnato allo scritto, perché non fosse
dimenticato, e indelebilmente fosse conservato: questo perché con retta via
meritassero di pervenire degnamente al loro creatore, la cui dolcezza supera
talmente il miele che a lui comparato è più amaro dell’assenzio, per il quale
militano, e riposino dalla Milizia per gli infiniti secoli dei secoli. Amen.
INIZIA LA REGOLA DEI POVERI COMMILITONI DELLA SANTA CITTA’
I-Quale divino
ufficio debbano udire
Voi che rinunciate alla vostra volontà, e tutti gli altri
che per la salvezza della anime con cui militano per un certo tempo, con
cavalli e armi per il sommo re, abbiate cura di udire con pio e puro desiderio
nella sua totalità Matutini e l’Integro Servizio, secondo l’istituzione
canonica e la consuetudine dei dottori regolari della Santa Città.
I – Soprattutto da voi, venerabili fratelli, è dovuto il
sommo grado, poiché disprezzata la luce di questa vita, e superata la
preoccupazione dei vostri corpi, avete promesso di disprezzare il mondo
incalzante per amore di Dio per sempre: rifocillati e saziati dal divino cibo,
istituiti e confermati dai precetti del Signore, dopo la consumazione del Divino
Mistero nessuno tema la battaglia, ma sia preparato alla corona.
II-Dicano le preghiere del Signore, se non hanno potuto
udire il servizio di Dio
Inoltre se un fratello lontano per caso per un impegno della
cristianità orientale (e questo più spesso non dubitiamo sia avvenuto) non
potesse udire per tale assenza il servizio di Dio: per Matutini dica tredici
orazioni del Signore e per le singole ore, sette; per i Vespri, riteniamo se ne
debbano dire nove, e questo lo affermiamo unanimemente a libera voce: Questi
infatti impegnati così in un lavoro di preservazione, non possono accorrere
nell’ora opportuna al Divino Ufficio. Ma se fosse possibile, nell’ora stabilita
non trascurino quanto dovuto per istituzione.
III-Che cosa fare per i fratelli defunti
Quando uno dei fratelli professi sacrifica ciò che è
impossibile strappare alla morte, che non risparmia nessuno, ciò che è
impossibile strappare: ai cappellani e ai sacerdoti che con voi
caritatevolmente e temporaneamente servono al Sommo Sacerdote comandiamo con
carità di offrire per la sua anima a Cristo con purezza di spirito l’ufficio e
la Messa solenne. I fratelli ivi presenti, che pernottano pregando per la
salvezza del fratello defunto, dicano cento orazioni del Signore fino al
settimo giorno per il fratello defunto: dal giorno in cui fu annunciata la
morte del fratello, fino al predetto giorno, il numero centenario venga
rispettato con fraterna osservanza nella sua integrità con divina e
misericordiosa carità scongiuriamo, e con pastorale autorità, comandiamo, che
ogni giorno, come al fratello si dava e si doveva nelle necessità così si dia
ad un povero fino al quarantesimo giorno ciò che è necessario al sostentamento
di questa vita, per quanto riguarda cibo e bevanda. Del tutto proibiamo ogni
altra offerta, che nella morte dei fratelli, e nella solennità di Pasqua,
inoltre nelle altre solennità, la spontanea povertà dei poveri commilitoni di
Cristo era solita in modo esagerato dare al Signore.
IV-I cappellani abbiano soltanto vitto e vestito
Comandiamo che per comune accordo del capitolo le altre
offerte e tutte le altre specie di elemosine, in qualunque modo siano, vengano
date con attenta cura ai cappellani o gli altri che restano temporaneamente.
Perciò i servitori della Chiesa abbiano soltanto vitto e vestito secondo
l’autorità, e non pretendano di avere nulla di più, tranne che i maestri
spontaneamente e caritatevolmente abbiano dato.
V-I soldati temporanei defunti
Vi sono tra di noi dei soldati che temporaneamente e
misericordiosamente rimangono della casa di Dio, e Tempio di Salomone. Perciò
con ineffabile supplica vi preghiamo, scongiuriamo, e anche con insistenza
comandiamo, che nel frattanto la tremenda potestà avesse condotto qualcuno
all’ultimo giorno, per amore di Dio, fraterna pietà, un povero abbia sette
giorni di sostentamento per la sua anima.
VI-Nessun fratello professo faccia un’offerta
Abbiamo decretato, come più sopra fu detto, che nessuno dei
fratelli professi presuma di trattare un’altra offerta: ma giorno e notte con
cuore puro rimanga nella sua professione, perché sia in grado di eguagliare il
più santo dei profeti in questo: prenderò il calice della salvezza, e nella mia
morte imiterò la morte del Signore: poiché come Cristo diede la sua anima per
me, così anche io sono pronto a dare l’anima per i fratelli, ecco l’offerta
giusta: ecco l’ostia viva gradita a Dio.
VII-Non esagerare nello stare in piedi
Abbiamo sentito con le nostre orecchie un teste
sincerissimo, che voi assistete al divino ufficio stando costantemente in
piedi: questo non comandiamo anzi vituperiamo: comandiamo che finito il salmo,
“Venite esultiamo al Signore” con l’invitatorio e l’inno, tutti
siedano tanto i forti quanto i deboli, per evitare scandalo. Voi che siete
presenti, terminato ogni salmo, nel dire “Gloria al Padre”, con
atteggiamento supplice alzatevi dai vostri scanni verso gli altari, per
riverenza alla Santa Trinità ivi nominata, e insegnammo ai deboli il modo di
chinarsi. Così anche nella proclamazione del Vangelo, e al “Te Deum
laudamus”, e durante tutte le Lodi, finché finito “Benediciamo il
Signore”, cessiamo di stare in piedi, comandiamo anche che la stessa
regola sia tenuta nei Matutini di S. Maria.
VIII-Il riunirsi per il pasto
In un palazzo, ma sarebbe meglio dire refettorio,
comunitariamente riteniamo che voi assumiate il cibo, dove, quando ci fosse una
necessità, a causa della non conoscenza dei segni, sottovoce e privatamente è
opportuno chiedere. Così in ogni momento le cose che vi sono necessario con
ogni umiltà e soggezione di reverenza chiedete durante la mensa, poiché dice
l’apostolo: Mangia il tuo pane in silenzio. E il Salmista vi deve animare,
quando dice: Ho posto un freno alla mia bocca, cioè ho deciso dentro di me,
perché non venissi meno nella lingua cioè custodivo la mia bocca perché non parlassi
malamente.
IX-La lettura
Nel pranzo e nella cena sempre si faccia una santa lettura.
Se amiamo il signore, dobbiamo desiderare di ascoltare attentamente le sue
parole salutifere e i suoi precetti. Il lettore vi intima il silenzio.
X-Uso della carne
Nella settimana, se non vi cadono il Natale del Signore, o
la Pasqua, o la festa di S. Maria, o di tutti i Santi, vi sia sufficiente
mangiare tre volte la carne: l’abituale mangiare la carne va compresa quale
grave corruzione del corpo. Se nel giorno di Marte cadesse il digiuno, per cui
l’uso della carne è proibito, il giorno dopo sia dato a voi più
abbondantemente. Nel giorno del Signore appare senza dubbio, opportuno dare due
portate a tutti i soldati professi e ai cappellani in onore della Santa Resurrezione.
Gli altri invece, cioè gli armigeri e gli aggregati, rimangono contenti di uno,
ringraziando.
XI-Come debbono mangiare i soldati
E’ opportuno generalmente che mangino due per due, perché
l’uno sollecitamente provveda all’altro, affinché la durezza della vita, o una
furtiva astinenza non si mescoli in ogni pranzo. Questo giudichiamo
giustamente, che ogni soldato o fratello abbia per sé solo una uguale ed
equivalente misura di vino.
XII-Negli altri giorni siano sufficienti due o tre portate
di legumi
Negli altri giorni cioè nella seconda e quarta feria nonché
il sabato, riteniamo che siano sufficienti per tutti due o tre portate di
legumi o di altri cibi, o che si dica companatici cotti: e così comandiamo che
ci si comporti, perché chi non possa mangiare dell’uno sia rifocillato
dall’altro.
XIII-Con quale cibo è necessario cibarsi nella feria sesta
Nella feria sesta riteniamo lodevole accontentarsi di
prendere solamente un unico cibo quaresimale per riverenza alla passione,
tenuto conto però della debolezza dei malati, a partire dalla festa dei santi
fino a Pasqua, tranne che capiti il Natale del Signore o la festa di S. Maria o
degli Apostoli. Negli altri tempi, se non accadesse un digiuno generale, si
rifocillino due volte.
XIV-Dopo il pranzo sempre rendano grazie
Dopo il pranzo e la cena sempre nella chiesa, se è vicina,
o, se così non è, nello stesso luogo, come conviene, comandiamo che con cuore
umiliato immediatamente rendano grazie al sommo procuratore nostro: che è
Cristo: messi in disparte in pani interi, si comanda di distribuire come dovuto
per fraterna carità ai servi o ai poveri i resti.
XV-Il decimo del pane sia sempre dato all’elemosiniere
Benché il premio della povertà che è il regno dei cieli
senza dubbio spetti ai poveri: a voi tuttavia, che la fede cristiano vi
confessa indubitabilmente parte di quelli, comandiamo che il decimo di tutto il
pane quotidianamente consegniate al vostro elemosiniere.
XVI-La colazione sia secondo il parere del maestro
Quando il sole abbandona la regione orientale e discende nel
sonno, udito il segnale, come è consuetudine di quella regione, è necessario
che tutti voi vi rechiate a Compieta, ma prima desideriamo che assumiate un
convivio generale. Questo convivio poniamo nella disposizione e nella
discrezione del maestro, perché quando voglia sia composto di acqua; quando con
benevolenza comanderà, di vino opportunamente diluito. Questo non è necessario
che conduca a grande sazietà o avvenga nel lusso, ma sia parco; infatti vediamo
apostatare anche i sapienti.
XVII-Terminata la Compieta si conservi il silenzio
Finita la Compieta è necessario recarsi al giaciglio. Ai
fratelli che escono da Compieta non venga data licenza di parlare in pubblico,
se non per una necessità impellente; quanto sta per dire al suo scudiero sia
detto sommessamente. Forse può capitare che in tale intervallo per voi che
uscite da Compieta, per grandissima necessità di un affare militare, o dello
stato della nostra casa, perché il giorno non è stato sufficiente, sia
necessario che lo stesso maestro parli con una parte dei fratelli, oppure colui
al quale è dovuto il comando della casa come maestro. Così questo comandiamo
che avvenga; poiché è scritto: Nel molto parlare non sfuggirai al peccato. E
altrove: La morte e la vita nelle mani della lingua. In questo colloquio
proibiamo la scurrilità, le parole inutili e ciò che porta al riso: e a voi che
vi recate a letto, se qualcuno ha detto qualcosa di stolto, comandiamo di dire
l’orazione del Signore con umiltà e devota purezza.
XVIII-Gli stanchi non si alzino per i Matutini
Non approviamo che i soldati stanchi si alzino per i
Matutini, come è a voi evidente: ma con l’approvazione del maestro, o di colui
al quale fu conferito dal maestro, riteniamo unanimemente che essi debbano
riposare e cantare le tredici orazioni costituite, in modo che la loro mente
concordi con la voce secondo quanto detto dal profeta: Salmeggiate al Signore
con sapienza: e ancora: al cospetto degli angeli salmeggerò a te. Ma questo
deve dipendere dal consiglio del maestro.
XIX-Sia conservata comunità di vitto tra i fratelli
Si legge nella pagina Divina: Si divideva ai singoli, come
era necessario per ciascuno. Perciò non diciamo che vi sia accezione di persone
ma vi deve essere considerazione delle malattie. Quando uno ha meno bisogno,
ringrazi Dio, e non si rattristi: colui che ha bisogno si umili per
l’infermità, non si innalzi per la misericordia, e così tutte le membra saranno
in pace. Ma questo proibiamo ché a nessuno sia lecito abbracciare una astinenza
fuori posto, ma conducano una vita comune costantemente.
XX-Qualità e stile del vestito
Comandiamo che i vestiti siano sempre di un unico colore, ad
esempio bianchi, o neri, o, per così dire, bigi. A tutti i soldati professi in
inverno e in estate, se è possibile, concediamo vesti bianche, cosicché coloro
che avranno posposto una vita tenebrosa, riconoscano di doversi riconciliare
con il loro Creatore, mediante una vita trasparente e bianca. Che cosa di
bianco, se non l’integra castità? La castità è sicurezza della mente, e sanità
del corpo. Infatti ogni militare, se non avrà preservato nella castità, non
potrà raggiungere la pace perpetua e vedere Dio; come attesta l’apostolo San
Paolo: Seguiamo la pace con tutti e la castità, senza cui nessuno vedrà il
Signore. Ma perché una sia di questo stile deve essere privo della nota
arroganza e del superfluo; comandiamo a tutti che abbiano tali cose affinché
ciascuno da solo sia capace senza clamore di vestirsi e svestirsi, mettersi i
calzari e levarseli. Il procuratore di questo ministero con vigile cura sia
attento nell’evitare questo, coloro che ricevono abiti nuovi, restituiscano
subito i vecchi, da riporre in camera, o dove il fratello ci spetta il compito
avesse deciso, perché possano servire agli scudieri o agli aggregati, oppure ai
poveri.
XXI-I servi non portino vesti bianche, cioè pallii
Decisamente disapproviamo quanto era nella casa di Dio e del
tempio dei suoi soldati, senza discrezione e decisione del comune capitolo, e
comandiamo, che venga radicalmente eliminato quasi fosse un vizio proprio. I
servi e gli scudieri portavano una volta vestiti bianchi, donde derivavano
danni. Sorsero infatti in zone ultra montane alcuni falsi fratelli, sposati, ed
altri, che dissero di appartenere al Tempio, mentre sono del mondo. Costoro procurarono
tante ingiurie e tanti danni all’ordine militare, e gli aggregati presuntuosi
come professi insuperbendo fecero nascere numerosi scandali. Portino quindi
sempre vestiti neri: nel caso in cui questi non possano essere trovati, abbiano
quelli che si possano trovare nella provincia in cui abitano, o quanto può
essere avvicinato alla più semplice di un unico colore, cioè bigio.
XXII-I soldati professi portino solo vestiti bianchi
A nessuno è concesso portare tuniche candide, o avere pallii
bianchi, se non ai nominati soldati.
XXIII-Si usino solo pelli di agnelli
Abbiamo deciso di comune accordo, che nessun fratello
professo abbia pelli di lunga durata perenne o pelliccia o qualcosa di simile,
e che serva al corpo, anche per coprirlo se non di agnelli o arieti.
XXIV-I vecchi vestiti siano dati agli scudieri
Il procuratore o datore dei vestiti con ogni attenzione dia
i vecchi abiti sempre agli scudieri e agli aggregati, e talvolta ai poveri,
agendo con fedeltà ed equità.
XXV-Chi brama le cose migliori abbia le peggiori
Se un fratello professo, o perché gli è dovuto o perché
mosso da superbia volesse abiti belli o ottimi, meriterebbe per tale
presunzione senza dubbio quelli più umili.
XXVI-Sia rispettata la qualità e la quantità dei vestiti
E’ necessario osservare la quantità secondo la grandezza dei
corpi e la larghezza dei vestiti: colui che consegna gli abiti sia in questo
attento.
XXVII-Colui che consegna i vestiti conservi innanzitutto
l’uguaglianza
Il procuratore con fraterno intuito consideri la lunghezza,
come sopra fu detto, con la stessa attenzione, perché l’occhio dei sussurratori
o dei calunniatori non presuma di notare alcunché: e in tutte queste cose,
umilmente mediti la ricompensa di Dio.
XXVIII-L’inutilità dei capelli
Tutti i fratelli, soprattutto i professi, è bene che portino
capelli in modo che possano essere considerati regolari davanti e dietro e
ordinati; e nella barba e nei baffi si osservi senza discussione la stessa
regola, perché non si mostri o superficialità o il vizio della frivolezza.
XXIX-Circa gli speroni e le collane
Chiaramente gli speroni e le collane sono una questione
gentilizia. E poiché questo è riconosciuto abominevole da tutti, proibiamo e
rifiutiamo l’autorizzazione a possederli, anzi vogliamo che non ci siano. A
coloro che prestano servizio a tempo non permettiamo di avere né speroni, né
collane, né capigliatura vanitosa, né esagerata lunghezza di vestiti, anzi del
tutto proibiamo. A coloro che servono al sommo creatore è sommamente necessaria
la mondezza interna ed esterna, come egli stesso attesta, dicendo: Siate mondi,
perché Io sono mondo.
XXX-Numero dei cavalli e degli scudieri
A ciascun soldato è lecito possedere tre cavalli, poiché
l’insigne povertà della casa di Dio e del Tempio di Salomone non permette di
aumentare oltre, se non per licenza del maestro.
XXXI-Nessuno ferisca uno scudiero che serve gratuitamente
Concediamo ai singoli militari per la stessa ragione un solo
scudiero. Ma se gratuitamente e caritatevolmente quello scudiero appartiene a
un soldato, a costui non è lecito flagellarlo, e neppure percuoterlo per
qualsiasi colpa.
XXXII-In che modo siano ricevuti coloro che restano a tempo
Comandiamo a tutti i soldati che desiderano servire a tempo
a Gesù Cristo con purezza d’animo nella stessa casa, di comprare fedelmente
cavalli idonei in questo impegno quotidiano, e armi e quanto è necessario.
Abbiamo anche giudicato, tutto considerato, che sia cosa buona e utile valutare
i cavalli. Si conservi perciò il prezzo per iscritto perché non venga
dimenticato: quanto sarà necessario al soldato, o ai suoi cavalli, o allo
scudiero, aggiunti i ferri dei cavalli secondo la facoltà della casa, sia
acquistato dalla stessa casa con fraterna carità. Se frattanto il soldato per
qualche evento perdesse i suoi cavalli in questo servizio; il maestro per
quanto può la casa, ne procurerà altri. Al giungere del momento di rimpatriare,
lo stesso soldato conceda la metà del prezzo per amore divino, e se a lui
piace, riceva l’altra dalla comunità dei fratelli.
XXXIII-Nessuno agisca secondo la propria volontà
E’ conveniente a questi soldati, che stimano niente di più
caro loro di Cristo, che per il servizio, secondo il quale sono professi, e per
la gloria della somma beatitudine, o il timore della geenna, prestino
continuamente obbedienza al maestro. Occorre quindi che immediatamente, se
qualcosa sia stato comandato dal maestro, o da colui al quale è stato dato
mandato dal maestro, senza indugio, come fosse divinamente comandato, nel fare
non conoscano indugio. Di questi tali la stessa verità dice: Per l’ascolto
dell’orecchio mi ha obbedito.
XXXIV-Se è lecito andare senza comando del maestro in un
luogo isolato
Scongiuriamo, e fermamente loro comandiamo, che i generosi
soldati che hanno rinunciato alla propria volontà, e quanti sono aggregati,
senza la licenza del maestro, o di colui cui fu conferito, di non permettersi
di andare in un luogo isolato, eccetto di notte al sepolcro, in armi, e
sorvegliare, poiché l’astuto nemico colpisce di giorno e di notte, o a quei
luoghi che sono inclusi nelle mura della santa città.
XXXV-Se è lecito camminare da soli
Coloro che viaggiano, non ardiscano iniziare un viaggio né
di giorno né di notte, senza un custode, cioè un soldato o un fratello
professo. Infatti dopo che furono ospitati nella milizia, nessun militare, o
scudiero o altro, si permetta di andare per vedere negli atri degli altri
militari, o per parlare con qualcuno, senza permesso, come fu detto sopra.
Perciò affermiamo saggiamente, che in tale casa ordinata da Dio, nessuno
secondo il suo possesso svolga il proprio servizio o riposi; ma secondo il
comando del maestro ciascuno agisca così che imiti la sentenza del Signore, con
cui ha detto: Non sono venuto a fare la mia volontà, ma di Colui che mi ha
mandato.
XXXVI-Nessuno chieda singolarmente ciò che è a lui
necessario
Comandiamo, che sia scritta tra le altre come propria questa
consuetudine e posta ogni attenzione confermiamo perché si eviti di cercare il
vizio. Nessun fratello professo, deve chiedere che gli sia assegnato
personalmente un cavallo o una cavalcatura o delle armi. In che modo? Se la sua
malattia, o la debolezza dei sui cavalli, o la scarsezza delle sue armi, fosse
riconosciuta tale, che avanzare così sia un danno comune: si rechi dal maestro,
o da colui chi è dovuto il ministero dopo il maestro, e gli esponga la causa
con sincerità e purezza: infatti la cosa va risolta nella decisione del
maestro, o del suo procuratore.
XXXVII-I morsi e gli speroni
Non vogliamo che mai oro o argento che sono ricchezze
particolari appaiano nei morsi o nei pettorali, né gli speroni, o nei
finimenti, né sia lecito ad alcun fratello professo acquistarli. Se per caso
tali vecchi strumenti fossero stati dati in dono, l’oro o l’argento siano
colorati in modo che il colore o il decoro non appaia arroganza in mezzo agli
altri. Se fossero stati dati nuovi, il maestro faccia ciò che vuole di queste
cose.
XXXVIII-Sulle aste e sugli scudi non venga posta una
copertura
Non si abbia una copertura sopra gli scudi e le aste, perché
secondo noi questo non è proficuo, anzi dannoso.
XXXIX-L’autorizzazione del maestro
Al maestro è lecito dare cavalli o armi a chiunque, o a chi
ritiene opportuno qualunque altra cosa.
XL-Sacco e baule
Non sono permessi sacco e baule con il lucchetto: così siano
presentati, perché non si posseggano senza il permesso del maestro, o di colui
a cui furono affidati i compiti
della casa e i compiti in sua vece. Da questa norma sono
esclusi i procuratori e coloro che abitano in provincie diverse, e neppure è
inteso lo stesso maestro.
XLI-L’autorizzazione scritta
In nessun modo a un fratello sia lecito ricevere, o dare,
dai propri parenti, né qualsiasi uomo, né dall’uno all’altro, senza il permesso
del maestro o del procuratore. Dopo che un fratello avrà avuto licenza, alla
presenza del maestro, se così a lui piace, siano registrati. Nel caso che dai
parenti sia indirizzato a lui qualcosa, non si permetta riceverla, se prima non
è stato segnalato al maestro. In questa norma non sono inclusi il maestro e i
procuratori della casa.
XLII-La confessione delle proprie colpe
Poiché ogni parola oziosa si sa che genera il peccato, che
cosa essi diranno ostentatamente riguardo alle proprie colpe davanti al severo
giudice. Dice bene il profeta che se occorre astenersi dai buoni discorsi per
il silenzio, quanto più occorre astenersi dalle cattive parole per la penda del
peccato. Vietiamo quindi che un fratello professo osi ricordare con un suo
fratello, o con qualcun altro, per meglio dire, le stoltezze, che nel secolo
nel servizio militare compì in modo enorme, e i piaceri della carne con
sciaguratissime donne, o qualsiasi altra cosa: e se per caso avesse sentito
qualcuno che riferisce tali cose, lo faccia tacere, o appena può si allontani
per obbedienza, e al venditore d’olio non offra il cuore.
XLIII-Questua e accettazione
Se a un fratello fosse stata data qualcosa senza averla
chiesta, la consegni al maestro o all’economo: se un altro suo amico o parente
non volesse che fosse usata se non da lui, questa non riceva fino a quando
abbia il permesso del maestro. Colui al quale sarà stata data la cosa, non
dispiaccia che venga data ad un altro: sappia per certo, che se si arrabbiasse
per questo, agisce contro Dio. Nella sopraddetta regola non sono contenuti gli
amministratori ai quali in modo speciale è affidato e concesso il ministero
riguardo al sacco e al baule.
XLIV-I sacchi per il cibo sui cavalli
E’ utile a tutti che questo ordine da noi stabilito sia
rispettato senza eccezioni. Nessun fratello presuma di confezionare sacchi per
il cibo di lino o di lana, preparati con troppa cura: non ne abbia se non di
panno grezzo.
XLV-Nessuno osi cambiare o domandare
Nessuno presuma di cambiare le sue cose, fratello con il
fratello, senza l’autorizzazione del maestro, e chiedere qualcosa, se non
fratello al fratello, purché la cosa sia piccola, vile, non grande.
XLVI-Nessuno catturi un uccello con un uccello, neppure
proceda con il richiamo
Noi giudichiamo con sentenza comune che nessuno osi
catturare un uccello con un uccello. Non conviene infatti aderire alla
religione conservando i piaceri mondani, ma ascoltare volentieri i comandamenti
del Signore, frequentemente applicarsi alle preghiere, confessare a Dio i
propri peccati con lacrime e gemito quotidianamente nella preghiera. Nessun
fratello professo per questa causa principale presuma di accompagnarsi con un
uomo che opera con il falco o con qualche altro uccello.
XLVII-Nessuno colpisca una fiera con l’arco o la balestra
E’ conveniente camminare in atteggiamento pio, con
semplicità, senza ridere, umilmente, non pronunciando molte parole, ma
ragionando, e non con voce troppo elevata. Specialmente imponiamo e comandiamo
ad ogni fratello professo di non osare entrare in un bosco con arco o balestra
o lanciare dardi: non vada con colui che fece tali cose se non per poterlo
salvare da uno sciagurato pagano: né osi gridare con un cane né garrire; né
spinga il suo cavallo per la bramosia di catturare la fiera.
XLVIII-Il leone sia sempre colpito
Infatti è certo, che a voi fu specialmente affidato il
compito di offrire la vita per i vostri fratelli, e eliminare dalla terra gli
increduli, che sempre minacciano il Figlio della Vergine. Del leone questo
leggiamo, perché egli circuisce cercando chi divorare, e le sue mani contro
tutti, e le mani di tutti contro lui.
XLIX-Ascoltate il giudizio riguardo a quanto è chiesto su di
voi
Sappiamo che i persecutori della Santa Chiesa sono senza
numero, e si affrettano incessantemente e sempre più crudelmente ad inquietare
coloro che non amano le contese. In questo si tenga la sentenza del Concilio
fatta con serena considerazione, che se qualcuno nelle parti della regione
orientale, o in qualunque altro luogo chiedesse qualcosa su di voi, a voi
comandiamo di ascoltare il giudizio emesso da giudici fedeli e amanti del vero;
e ciò che sarà giusto, comandiamo che voi compiate senza esitazione.
L-In ogni cosa sia tenuta questa regola
Questa stessa regola comandiamo che venga tenuta per sempre
in tutte le cose che immeritatamente sono state a voli tolte.
LI-Quando è lecito a tutti i militari professi avere una
terra e degli uomini
Crediamo che per divina provvidenza nei santi luoghi prese
inizio da voi questo genere nuovo di religione che cioè alla religione sia
unita la milizia e così per la religione proceda armata mediante la milizia, o
senza colpa colpisca il nemico. Giustamente quindi giudichiamo, poiché siamo
chiamati soldati del Tempio che voi stessi per l’insigne e speciale merito di
probità abbiate casa, terra, uomini, contadini e giustamente li governate: e a
voi è dovuto in modo particolare quanto stabilito.
LII-Ai malati sia dedicata un’attenzione particolare
Ai fratelli che stanno male occorre prestare una cura
attentissima, come si servisse a Cristo in loro: il detto evangelico, sono
stato infermo e mi visitaste sia attentamente ricordato. Costoro vanno
sopportati pazientemente, perché mediante loro senza dubbio si acquista una
retribuzione superiore.
LIII-Agli infermi sia sempre dato ciò che è necessario
Agli assistenti degli infermi comandiamo con ogni osservanza
e attenta cura, che quanto è necessario per le diverse malattie, fedelmente e
diligentemente, secondo le possibilità della casa sia loro amministrato, ad
esempio, carne e volatili ed altro, fino quando siano restituiti alla sanità.
LIV-Nessuno provochi l’altro all’ira
Massima attenzione va posta perché qualcuno non presuma di
provocare l’altro all’ira: infatti la somma clemenza della vicina divina
fraternità congiunse tanto i poveri quanto i potenti.
LV-In che modo siano accolti i fratelli sposati
Permettiamo a voi di accogliere i fratelli sposati in questo
modo, se chiedono il beneficio e la partecipazione della vostra fraternità,
entrambi concedano una parte della loro sostanza e quanto avessero ad acquistare
lo diano all’unità del comune capitolo dopo la loro morte, e frattanto
conducano una vita onesta, e si studino di agire bene verso i fratelli, ma non
portino la veste candida e il mantello bianco. Se il marito fosse morto prima,
lasci la sua parte ai fratelli: la moglie ricavi il sostegno della vita
dall’altra parte. Consideriamo infatti questo ingiusto che fratelli di questo
tipo risiedano nella stessa casa dei fratelli che hanno promesso la castità a
Dio.
LVI-Non si abbiano più sorelle
Riunire ancora sorelle è pericoloso: l’antico nemico a causa
della compagnia femminile cacciò molti dalla retta via del paradiso. Perciò,
fratelli carissimi, perché sempre tra voi sia visibile il fiore dell’integrità,
non è lecito mantenere ancora questa consuetudine.
LVII-I fratelli del Tempio non abbiano parte con gli
scomunicati
Questo, fratelli è da evitare e da temere, che qualcuno dei
soldati di Cristo in qualche modo si unisca ad una persona scomunicata
singolarmente e pubblicamente, o presuma di ricevere le sue cose, perché la
scomunica non sia simile al marantha (vieni Signore). Ma se fosse soltanto
interdetto, non sarà fuori posto avere parte con lui, e ricevere
caritatevolmente le sue cose.
LVIII-In che modo vanno ricevuti i soldati secolari
Se un soldato dalla massa della perdizione, o un altro
secolare, volendo rinunziare al mondo, volesse scegliere la nostra comunione e
vita, non si dia a lui subito l’assenso, ma secondo la parola di Paolo, provate
gli spiriti se sono da Dio così a lui sia concesso l’ingresso. Si legga dunque
la Regola in sua presenza: e se costui ottempererà diligentemente ai comandi di
questa esimia Regola, allora se al maestro e ai fratelli sarà piaciuto
riceverlo, convocati i fratelli esponga con purezza d’animo a tutti il suo
desiderio e la sua richiesta. In seguito il termine della prova dipenda in
tutto dalla considerazione e dalla decisione del maestro, secondo l’onestà di
vita del richiedente.
LIX-Non siano chiamati tutti i fratelli al consiglio privato
Comandiamo che non sempre siano convocati al consiglio tutti
i fratelli, ma solo quelli che il maestro avrà ritenuto idonei e provvidenziali
per il consiglio. Quando volesse trattare le questioni maggiori, quale dare la
terra comune, o discutere dell’Ordine stesso, o ricevere un fratello: allora è
opportuno convocare tutta la congregazione, se così ritiene il maestro; udito
il parere di tutto il capitolo, quanto di meglio e di più utile il maestro avrà
ritenuto opportuno, questo si faccia.
LX-Devono pregare in silenzio
Comandiamo con parere concorde che, come avrà richiesto la
propensione dell’anima e del corpo, i fratelli preghino in piedi o seduti:
tuttavia con massima riverenza con semplicità, senza chiasso, perché uno non
disturbi l’altro.
LXI-Ricevere la fede dei serventi
Abbiamo saputo che molti da diverse province, tanto
aggregati, quanto scudieri desiderano vincolarsi nella nostra casa a tempo con
animo fervoroso per la salvezza delle anime. E’ utile che riceviate la fede
loro, affinché per caso l’antico nemico non intimi loro nel servizio di Dio
alcunché furtivamente o indecentemente, o li distolga improvvisamente dal buon
proposito.
LXII-I fanciulli, fin quando sono piccoli, non siano
ricevuti tra i fratelli del Tempio
Quantunque la Regola dei Santi Padri permetta di avere dei
fanciulli in una congregazione, noi non riteniamo di dover caricare voi di tale
peso. Chi volesse dare in perpetuo suo figlio, o un suo congiunto, nella
religione militare: lo nutra fino agli anni, in cui virilmente con mano armata
possa eliminare dalla Terra Santa i nemici di Cristo: in seguito secondo la
Regola il padre o i genitori lo pongano in mezzo ai fratelli, e rendano nota la
sua richiesta. E’ meglio nella fanciullezza non giurare, piuttosto che
diventato uomo ritirarsi in modo clamoroso.
LXIII-Sempre i vecchi siano venerati
E’ bene che i vecchi con pia considerazione, secondo la
debolezza delle forze siano sopportati e diligentemente onorati: i nessun modo
si usi severità in quanto la tolleranza è necessaria per il corpo, salva
tuttavia l’autorità della Regola.
LXIV-I fratelli che partono per diverse province
I fratelli che si incamminano per diverse province, per
quanto lo permettano le forze, si impegnino a osservare la Regola nel cibo e
nella bevanda e nelle altre cose, e vivano in modo irreprensibile, perché
abbiano buona testimonianza da coloro che stanno fuori: non macchino il
proposito di religione né con parola né con atto, ma soprattutto a coloro, con
i quali si sono incontrati, offrano esempio e sostanza di sapienza e di buone
opere. Colui presso il quale avranno deciso di alloggiare, abbia buona fama: e,
se è possibile, la casa dell’ospite in quella notte non manchi della candela,
affinché il nemico tenebroso non procuri la morte, Dio non voglia. Quando
avranno sentito di riunire soldati non scomunicati, diciamo che colà devono
andare non preoccupandosi di una utilità temporale, quanto piuttosto della
salvezza eterna delle loro anime. Ai fratelli diretti nelle zone aldilà del
mare con la speranza di essere trasportati, raccomandiamo di ricevere con
questa convenzione coloro che avessero voluto unirsi in perpetuo all’Ordine
militare: entrambi si presentino al Vescovo di quella provincia e il presule
ascolti la volontà di colui che chiede. Ascoltata la richiesta, il fratello lo
invii al maestro e ai fratelli che si trovano nel Tempio che è in Gerusalemme:
e se la sua vita è onesta e degna di tale appartenenza, misericordiosamente sia
accolto, se questo sembra bene al maestro e ai fratelli. Se nel frattempo
morisse, a causa del lavoro e della fatica, come a un fratello, a lui sia
riconosciuto tutto il beneficio e la fraternità dei poveri e dei commilitoni di
Cristo.
LXV-A tutti sia distribuito in modo uguale il vitto
Riteniamo anche che questo in modo congruo e ragionevole sia
rispettato, che a tutti i fratelli professi sia dato cibo in eguale misura
secondo la possibilità del luogo: non è infatti utile l’accezione delle
persone, ma è necessario considerare le indisposizioni.
LXVI-I soldati
abbiano le decime del Tempio
Crediamo che avendo abbandonato le ricchezze a voi donate
abbiate ad essere soggetti alla spontanea povertà, per cui in questo modo
abbiamo dimostrato in quale modo spettino a voi che vivete in vita comune le
decime. Se il Vescovo della chiesa, al quale è dovuta giustamente la decima,
avrà voluto darla a voi caritatevolmente: deve dare a voi le decime che allora
la Chiesa sembra possedere con il consenso del capitolo comune. Se un laico
dovesse impossessarsi di essa (decima) o sottrarla dal suo patrimonio in modo
condannabile, e confessando la propria colpa avrà voluto lasciare a voi la
stessa: secondo la discrezione di colui che presiede questo può essere fatto,
senza il consenso del capitolo.
LXVII-Le colpe leggere e gravi
Se un fratello avrà sbagliato in modo lieve nel parlare, nell’agire
o altrimenti, egli stesso confessi al maestro il suo peccato con l’impegno
della soddisfazione. Per le cose lievi, se non esiste una consuetudine, ci sia
una lieve penitenza. Nel caso in cui tacesse e la colpa fosse conosciuta
attraverso un altro, sia sottoposto a una disciplina e ad una riparazione
maggiore e più evidente.
Se la colpa sarà grave, si allontani dalla familiarità dei
fratelli, né mangi con loro alla stessa mensa, ma da solo assuma il pasto. Il
tutto dipenda dalla decisione e dall’indicazione del maestro, affinché sia
salvo nel giorno del giudizio.
LXVIII-Per quale colpa il fratello non sia più accolto
Soprattutto occorre provvedere che, nessun fratello, sia
potente o impotente, forte o debole, voglia esaltarsi e poco a poco
insuperbire, difendere la propria colpa, possa rimanere indisciplinato: ma, se
non avrà voluto correggersi, a lui venga data una correzione più severa. Che se
non avrà voluto correggersi con pie ammonizioni e per le preghiere a lui
innalzate, ma si sarà innalzato sempre più nella superbia: allora secondo
l’apostolo, sia sradicato dal pio gregge: togliete il male da voi: è necessario
che la pecora malata sia allontanata dalla società dei fratelli fedeli. Inoltre
il maestro che deve tenere in mano il bastone e la verga (cioè il bastone, con
cui sostenga le debolezze delle altre forze, la verga con cui colpisca con lo
zelo della rettitudine i vizi di coloro che vengono meno) con il consiglio del
Patriarca e con una considerazione spirituale sul da farsi affinché, come dice
il beato Massimo, la più libera clemenza non approvi l’arroganza del peccatore,
né l’esagerata severità non richiami dall’errore chi sbaglia.
LXIX-Dalla solennità di Pasqua fino a Tutti i Santi si possa
soltanto portare una camicia di lino
Per il grande caldo della regione orientale, consideriamo
compassionevolmente, che dalla festa di Pasqua fino alla solennità di Tutti i
Santi, si dia a ciascuno una unica
camicia di lino, non per il dovuto, ma per sola grazia, e
questo dico per chi vorrà usufruire di essa. Negli altri tempi generalmente
tutti portino camicie di lana.
LXX-Quanti e quali panni siano necessari nel letto
Per coloro che dormono nei singoli letti riteniamo di comune
consiglio, se non sopravviene qualche grave causa o necessità: ciascuno abbia
biancheria secondo la discreta assegnazione del maestro: crediamo infatti che a
ciascuno sia sufficiente un pagliericcio, un cuscino e una coperta. Colui che
manca di uno di questi, prenda una stuoia, e in ogni tempo sarà lecito
usufruire di una coperta di lino, cioè un panno: dormano vestiti con la
camicia, e sempre dormano indossando gli stivali. Mentre i fratelli dormono,
fino al mattino non manchi la lucerna.
LXXI-Va evitata la mormorazione
Comandiamo a voi, per divino ammonimento di evitare, quasi
peste da fuggire, le emulazioni, il livore, le mormorazioni, il sussurrare, le
detrazioni. Si impegni ciascuno con animo vigile, a non incolpare o riprendere
il suo fratello ma ricordi tra se la parola dell’apostolo: non essere un
accusatore, né diffamatore del popolo. Quando qualcuno avrà conosciuto che un
fratello ha peccato in qualcosa, in pace e fraterna pietà, secondo il precetto
del Signore, lo corregga tra sé e lui solo: e se non lo avrà ascoltato prenda
un altro fratello: ma se avrà disprezzato entrambi, in riunione davanti al
capitolo tutto sia rimproverato. Soffrono di grave cecità, coloro che
calunniano gli altri; sono di grande infelicità coloro che non si guardano dal
livore: da qui sono immersi nell’antica iniquità dell’astuto nemico.
LXXII-Si evitino i baci di tutte le donne
Riteniamo pericoloso per ogni religioso fissare lungamente
il volto delle donne: perciò un fratello non osi baciare né una vedova, né una
nubile, né la madre, né la sorella, né un’amica, né nessuna altra donna. Fugga
dunque la milizia di Cristo i baci femminili, attraverso i quali gli uomini
spesso sono in pericolo: così con coscienza pura e vita libera può perennemente
conversare al cospetto del Signore.
Questo contributo del carissimo Fratello Gioele M. che si
offre alla lettura e allo studio, è un lavoro pubblicato sul numero 1 di
Pantheon.
Download ” Il Logos degli astri”
“Logos” e “astri”… I due termini costituiscono
insieme la parola astrologia.
Propriamente, in base alla sua specifica valenza semantica,
questo nome composto implica che esista un linguaggio razionale, dunque
scientificamente significativo, connesso in qualche modo agli astri.
Il termine logos infatti, sin dall’epoca classica ellenica
fino alla fondamentale accezione che la scuola filosofica stoica volle
attribuirgli (gravida di conseguenze sulla “fortuna” del vocabolo in
esame), a secondo dei contesti in cui viene utilizzato, può essere tradotto con
“ragione”, “regola”, “giudizio”,
“causa”, “legge”, “argomento”,
“intelligenza”, “discorso”.
Esso, quale che sia la “materia” o il
“nome” cui viene affiancato, mantiene intatto il suo valore
ordinativo e chiarificante, quasi come sigillo e garanzia d’intelligibilità e
intelligenza da sovrapporre al caos delle parole e delle cose.
Astrologia…Logos degli astri…Ma esiste, è rintracciabile
davvero un “discorso” razionale, un tessuto intelligibile ed
espressivo, una scienza connessa alla stasi e al movimento di alcuni corpi
celesti in relazione a quelli terrestri?
Qualcuno sostiene di no. E allora, per riferirsi ad un
corpus di dottrine ” razionali” riguardante pianeti, stelle, luminari
e gli altri elementi costituenti la grammatica celeste, usa un termine più
illibato: astronomia.
In questo caso agli “astri” è affiancato nomos che
può essere tradotto con “prescrizione”, “legge”,
“costume”, “consuetudine”, “regola”.
Un termine più sobrio, meno ridondante e pretenzioso del
magniloquente logos, più adeguato al senso di ridimensionamento di cui vuole
essere emblema nelle intenzioni di alcuni.
Insomma alla vetusta astrologia, arte superstiziosa,
infondata e garrula, occorre contrapporre la moderna astronomia, uno dei parti
nobili, austeri, onesti, sobri e veritieri della rivoluzione scientifica,
progressista e trionfante contro le tenebre d’ignoranza che afflissero
l’umanità..
Tuttavia chi scrive è da sempre alquanto scettico e
diffidente rispetto agli “evoluzionisti”, ai
“progressisti”, “positivisti”, “razionalisti”,
“scientisti”… Almeno quanto lo è agli “involuzionisti” e ai
“tradizionalisti”, nostalgici di lontane età dell’oro delle civiltà e
delle conoscenze.
Forse la ricerca storica e la riflessione filosofica ed
epistemologica sono, invece, ai nostri giorni, abbastanza raffinate e
consapevolmente duttili e spregiudicate per riconsiderare interamente la
secolare querelle sull’arte di Urania.
Sarebbe davvero auspicabile uno studio sull’astrologia che
fosse parimenti indagine filologica rigorosa di testi e dottrine-collocate
senza arbitrii nel reale contesto culturale e sociale in cui si svilupparono- e
valutazione precisa dei fondamenti teoretici che presiedettero e tuttora
presiedono al sapere astrologico.
Un progetto storiografico siffatto dovrebbe coniugare una
sufficiente padronanza di ‘strumenti’ storico-critici e una ‘robusta’
conoscenza ‘dal di dentro’ delle teorie astrologiche e del complesso patrimonio
‘sapienziale’ e tecnico-dottrinario da esse presupposto.
D’altra parte, è piuttosto fondato ritenere che, se una
ricerca di questo tipo non è stata ancora compiuta efficacemente da alcuno
studioso, ciò non vada affatto ascritto a motivazioni contingenti o casuali.
Nel XX secolo, un’opera pionieristica famosa fu la Storia
dell’astrologia di F.Boll, C. Bezold, W. Gundel, ( 1917).
All’incompetenza specifica dimostrata su ampie ‘zone’ della
materia trattata, questo libro aggiungeva ‘solidi’ pregiudizi di varia natura,
inammissibili per la teoria e la pratica storiografica.
Se lo storico ritiene, trattando e analizzando una qualche
tradizione filosofica, religiosa o cosmologica, di dover esprimere giudizi di
valore, approvazioni o disapprovazioni intellettuali o sentimentali,
dichiarazioni previe di ‘lontananza’ o ‘vicinanza’ al tema trattato, ebbene
quello studioso ha abdicato ai principi del suo mestiere. I quali principi gli
impongono di dichiarare preliminarmente i presupposti metodologici e teorici in
senso stretto e “tecnico” della sua indagine interpretativa (poiché
non esiste analisi storica che non ne abbia, come non esiste storico o essere
umano privo di una qualche Weltanschauung, magari inconsapevole).
Gli stessi principi gli impongono altresì di non cimentarsi
sul valore etico o sulla “verità” di una dottrina che, per avventura,
si trovasse ad onorare della sua attenzione di ricercatore.
Di quale “rigore” darebbe prova uno storico del
cristianesimo di religione islamica che, ad un certo punto della sua
“ricerca”, biasimasse e ridicolizzasse le dottrine cristiane in
quanto false e blasfeme rispetto alla sua fede? O uno storico cristiano
dell’ebraismo che rimproverasse ai “figli di Abramo” il
“deicidio” e l’incomprensione della venuta del messia?
Dal primo, se l’oggetto del suo studio è, ad esempio, la
comparazione del ruolo e della figura del profeta nell’ambito delle cosiddette
“religioni del libro”, ci aspettiamo che tratti sapientemente e
sobriamente questo tema, tralasciando di dirci, come “privato”
credente, che l’Islam detiene il “giusto” e “vero” modo di
presentare la questione.
Dal secondo, in sede storica, ci interesserà magari vedere
delineati i rapporti che intercorsero tra i giudeo-cristiani e i giudei rimasti
ortodossi, negli anni in cui l’aderenza alla nuova fede non sembrava abrogare
il senso di appartenenza all’antica legge dei padri d’Israele, e così via…
Analisi dei dati disponibili, a partire da presupposti
preliminarmente dichiarati (perché ciascuno si avvale di determinate e
determinabili categorie “ermeneutiche”-giova ripeterlo- e la
“storia” o lo storico non hanno mai potuto prescinderne; esiste però
la differenza perspicua tra chi rende palese la propria griglia interpretativa
e chi affetta “neutralità impossibili, al cui riparo porre le proprie
occulte e indebite istanze”, spacciandole per oggettiva ricostruzione
storica); questo è necessario “pretendere”.
Ma perché questa digressione sui compiti e i limiti della
storiografia?
Evidentemente, proprio a partire dall’opera congiunta di
Boll-Bezold-Gundel [1], per passare poi alle ricerche distinte dello stesso
Franz Boll, di W.Gundel, di Franz Cumont [2] e arrivare ai pregevoli benché
insufficienti lavori di A.Warburg, Fritz Saxl, L.Thorndike [3] e di qualche
altro minore, si dispiegava una strana e ibrida miscela di originalità e
pregiudizio, coraggio e inadeguatezza, slancio volenteroso verso territori
inesplorati e autocensure a carattere razionalistico-positivistico di vario
tipo.
Il “dissodamento” di una materia così delicata e
complessa come l’astrologia veniva operato da insigni studiosi che, nonostante
gli indubbi meriti “fattuali” delle loro ricerche, non seppero essere
metodologicamente rigorosi, a scapito della stessa ricostruzione storica, troppo spesso
manchevole, super
Se ad una osservazione attenta appare sorprendentemente
superficiale e inappropriato l’approccio sociologico di Th.W.Adorno in un
saggio del 1957, tradotto in italiano solo molti anni più tardi [4], non si
potevano registrare significativi progressi nelle opere di W.E. Peuckert,
W.Knappisch,, D. e J. Parker, A.Kitson,, J.Hallbronn e S.Hutin, J.Tester [5]: troppo
limitate e limitative ne erano le premesse, gli svolgimenti, le conclusioni.
La storia degli storici ufficiali- cui si univa qualche
outsider di rilievo- confessava puntualmente, lungo tutto un secolo di
tentativi malriusciti, la propria impreparazione ad affrontare ab imis
fundamentis et in medias res l’argomento trattato.
Trattato, per l’appunto, ma spesso poco conosciuto e letto
attraverso lenti spessissime e opache per i molteplici pregiudizi. Il problema
era ed è, ne siamo convinti, soprattutto di metodo. Una storiografia,
quand’anche originale, innovativa, acuta, penetrante, che sia tuttavia incapace
di attenersi rigorosamente a dei saldi e condivisi oltre che condivisibili
principi metodologici, abdica dai suoi fini e abortisce inevitabilmente nonostante
le belle e suggestive premesse.
Proprio per questi motivi appaiono, d’altro canto,
strutturalmente inservibili le molte pagine che alla storia dell’astrologia o
alla “teoria” e alle teorie astrologiche hanno dedicato gli
‘astrologi’ contemporanei..
Intendiamoci: possiamo a buon diritto considerare alcuni fra
i più importanti cultori di questo secolo dell’arte di Urania come interessanti
“filosofi”, rielaboratori di dottrine più o meno antiche alla luce di
moderni sincretismi.
Ma tutti e ciascuno di questi spesso affascinanti devoti
dell’arte dispiegano il proprio ingegno senza interrogarsi sui fondamenti primi
dei sistemi che incessantemente rifondano, riformano o rivoluzionano.
Sostanzialmente, costoro finiscono con l’accettare
acriticamente l’una o l’altra delle premesse “derivate”, dei
postulati secondari che storicamente fondarono, lungo i secoli, le pratiche e
le specifiche dottrine astrologiche, senza peraltro svolgere una generale
indagine dubitativa sul senso “ultimo” e “primo”
dell’antica scienza dei cieli.
Senza contare che, proprio là dove essi si cimentano in
tentativi di ricognizione diacronica di questa tradizione, il carattere
approssimativo e inadeguato degli “strumenti” eruditi utilizzati
rende palesemente inconsistenti, anche agli occhi dei lettori meno
“esperti”, le “genealogie” culturali e le ricostruzioni
storiche proposte.
Così, converrà citare quali importanti cultori ed interpreti
di astrologia del sec. XX, ma non certo come storici degnamente attrezzati o
teorici capaci di efficace critica epistemologica, personaggi indubbiamente non
privi di una certa notorietà come P.Choisnard, H.Freiherr von Klockler, Andrè
Barbaullt, Dane Rudhyar, Stephen Arroyo, Alexander Ruperti, Liz greene e Lisa
Morpurgo.
Gli “ingredienti” essenziali che mi sembra di
poter constatare in seno a questa spesso vivace e intellettualmente
“intrigante” astrologia contemporanea sono:
A) Connessioni variamente modulate con la psicologia moderna
e la psicoanalisi in generale e con la Psicologia Analitica dell’onnipresente e
citatissimo C.G.Jung , in particolare;
B) orientamenti “umanistici” in senso lato con
ascendenze “teosofiche” varie;
C) un uso consistente di indagini statistiche a supporto
della “scientificità” dei lavori prodotti.
Prescindendo dall’interesse e dal fascino che un ‘movimento’
culturale siffatto può suscitare nell’animo del lettore medio del nostro
‘villaggio globale’ planetario- e infatti le librerie e i ‘siti’ internet sono
letteralmente invasi da ‘materiali’ di tale ‘provenienza’- i “neoastrologi”
cui ho appena accennato, ‘accompagnati’ dagli storici, dagli antropologi e dai
sociologi ‘accademici’ di tutto il XX secolo costituiscono semmai un possibile
“oggetto” di una ricerca volta a storicizzare l’astrologia o a
rimetterne in discussione i presupposti teorici, non certo gli antesignani di
questa stessa impresa, di cui non seppero o non vollero essere capaci.
Tuttavia, in questi ultimissimi anni, si sono iniziate a
registrare alcune piacevoli novità, specialmente in Italia..
Se Giuseppe Bezza ha proseguito un’opera preziosa di
traduzione e commento di testi fondamentali per la storia dell’astrologia [6],
il 1996 ha visto la pubblicazione di quello che davvero potrebbe essere un
discreto viatico per una profonda e sostanziale rimessa in discussione di un
secolo di approcci balbettanti e insufficienti.
Alludo a Scritto negli astri. L’astrologia nella cultura
dell’occidente [7].di Ornella Pompeo Faracovi.
Questo libro rappresenta, probabilmente, il tentativo finora
meglio riuscito di indagare con rigore storico la complessa querelle
astrologica. Esso, d’altra parte, non risulta neanche sprovvisto di sagaci
riflessioni a carattere teorico-epistemologico.
L’autrice stessa sottolinea l’esigenza imprescindibile di
coniugare insieme “momenti” di storia “interna” ed
“esterna” dell’oggetto in questione, al fine di elaborare più
precisamente il significato di un orizzonte di ricerca così complesso.
La Pompeo Faracovi, nel primo capitolo del suo libro,
ironizza sottilmente sul fatto che:
“A nessuno verrebbe in mente di fare la storia,
poniamo, di una corrente letteraria, di un dibattito filosofico, di una disputa
scientifica, senza averne preliminarmente indagato temi e problemi. Allo stesso
modo, nessuno azzarderebbe una critica della filosofia di Heidegger, o dell’epistemologia
di Popper, senza averle prima esaminate a fondo: né un’indagine storica, né una
discussione teorica sarebbero proponibili, in assenza di un’adeguata conoscenza
dei quadri concettuali di cui si vogliono seguire gli sviluppi o discutere le implicazioni.
Tutto il contrario accade, di regola, per l’astrologia, come notava, ormai è
quasi un secolo, uno dei pionieri della rinascita astrologica del Novecento,
Paul Choisnard: i suoi avversari mostrano invariabilmente di considerarla
indegna di seria confutazione, pur senza potersi esimere dal riconoscere
laconicamente il fatto, per loro inspiegabile, che molti spiriti illustri
l’hanno coltivata. Nella maggioranza dei casi, i detrattori dell’arte di Urania
ne hanno una conoscenza superficiale e orecchiata, seppur non ne ignorino
palesemente tecniche e assetti disciplinari. La loro presa di posizione si
struttura in rapporto a una immagine stereotipata e di maniera, assunta di
seconda o terza mano da una lunga tradizione di polemiche antiastrologiche, con
scarsi sforzi di documentazione diretta. E pour cause: poiché si dà per certo
che l’astrologia sia solo superstizione e credulità, ecco l’incompetenza
diventare, inopinatamente, una virtù. Così, nella famosa inchiesta sui risvolti
psico-sociologici dell’uso contemporaneo dell’astrologia, vediamo Theodor
Adorno impiegare una sola volta, con fastidio, termini dal sapore vagamente
tecnico, come quadratura, congiunzione, opposizione, quasi il solo fatto di
introdurre tali riferimenti rischiasse di trasformare l’austero studioso in un
credulo adepto. Non mancano situazioni nelle quali gli autori di impegnative
storie dell’astrologia danno prova di radicale incertezze sui rudimenti della
disciplina, equivocando sul significato di termini come casa o domicilio,
confondendo le tecniche dell’astrologia oraria con lo studio dei transiti, o
usando a sproposito il termine progressione. Quando poi, con somma audacia,
qualcuno mostra di saper seguire l’interpretazione di un tema natale, lo fa
quasi scusandosi, come colto a trastullarsi con un passatempo infantile, che
nulla ha a che fare con le proprie abituali occupazioni.”
[1] Cfr. F.Boll, C.Bezold, W.Gundel, Storia dell’astrologia
( 1917), Roma-Bari, Laterza, 1985. [Torna al testo]
[2] Cfr. F.Boll, Sphaera. Neue Griechische Texte und
Untersuchungen zur Geschichte der Sternbilder, Leipzig, Teubner, 1903; Kleine
Schriften zur Sternkund und Altertums, Lleipzig,1950; W.Gundel, Dekane und
Dekansbilder. Ein Beitrag zur Geschichte der Sternbilder der Kulturvolker,
Studien der Bibliothek Warburg, XIX, Gluckstadt-Hamburg !936; (in
collaborazione con H.G.Gundel) Astrologumena. Die astrologische Literatur in
der Antike und ihre Geschichte, Wiesbaden, Steiner, 1966; F. Cumont, Astrologia
e religione presso i Greci e i Romani( 1912 ), Milano, Mimesis, 1990; L’Egipte
des astrologues( 1937), Milano, Miimesis,1993; Lux perpetua, Paris, Geuthner,
1949.[Torna al testo]
[3] Cfr.A A.Warburg, La rinascita del paganesimo antico.
Contributi alla storia della cultura (1932), a cura di G.Bing, Firenze, La
Nuova Italia, 1966; Gesammelte Schriften. Die Erneurung der heidnischen Antike.
Kulturwissenschaftliche Beitrage zur Geschichte der europaischen Renaissance, a
cura di G.Bing, Leipzig-Berlin, Teubner, 1932, 3 voll. ; Ausgewalhte Schriften und
Wurdigungen (1979), a cura di D.Wuttke e C.A. Heise, Baden Baden, Koerner,
!981; F. Saxl, La storia delle immagini, Roma-Bari, Laterza,1982; La fede negli
astri, Torino, Boringhieri, 1990; e il famoso studio sulla “Melancolia’’ di
Durer , rielaborato e inserito in R.Klibanski, E.Panofski, F.Saxl, Saturno e la
melanconia. Studi di storia della filosofia naturale, religione e arte(1965),
Torino, Einaudi, 1983; L.Thorndike, A History of Magic and Experimental Science
…, New York, Mac Millan and Columbia University Press, 1923-1958, 8 voll.[Torna
al testo]
[4] Cfr. Th.W.Adorno, Stelle su misura. L’astrologia nella
società contemporanea ( 1957), Torino, Einaudi, 1985.[Torna al testo]
[5] Cfr. W.E.Peuckert, L’astrologia (1960), Roma, Edizioni
Mediterranee,1980; W.Knappisch, Geschichte der Astrologie, Frankfurt-am-Main
1967; D. e J.Parker, History of Astrology, London 1983; A.Kitson, History and
Astrology,London, Unwin, 1984; J.Halbronn-S.Hutin, Histoire de l’astrologie,
Paris, Artefact, 1986; J.Tester, Storia dell’astrologia occidentale. Dalle
origini alla rivoluzione scientifica (1987), Genova, ECIG, 1990.[Torna al
testo]
[6] Cfr. Giuseppe Bezza, Commento al primo libro della
Tetrabiblos di C.Tolomeo. Con una nuova traduzione e le interpretazioni dei
maggiori commentatori, Milano 1992; Arcana mundi. Antologia del pensiero
astrologico antico, a cura di G.Bezza, Milano, Rizzoli, 1995, 2 voll.[Torna al
Testo]
[7] Cfr. Ornella Pompeo Faracovi, Scritto negli astri.
L’astrologia nella cultura dell’occidente, Venezia, Marsilio, 1996. [Torna al
testo]
Sin da quando
l’uomo è apparso sulla terra, si è sempre trovato di fronte al mistero della
propria natura e del proprio ambiente. Per migliaia di anni la sua esistenza si
è praticamente limitata alla conservazione del benessere fisico. All’alba
dell’umanità, viveva continuamente nel timore di essere sbranato dalle belve,
sopraffatto dagli elementi naturali, ucciso dai propri simili. Incapace di
riflettere sul passato per essere in grado di progettare il futuro, la sua
memoria e immaginazione erano prigioniere di un eterno presente. Lo spazio, che
fungeva da cornice alla sua attività cosciente, era quello che le facoltà
sensorie gli permettevano di percepire: l’orizzonte segnava i confini del mondo
terreno e la volta stellata i limiti dell’universo celeste. Ma il tempo domina
l’evoluzione e, dopo molte generazioni, l’uomo giunse a esercitare una certa
forma di dominio sul proprio ambiente e ad accedere definitivamente a una
condizione di vita superiore a quella animale.
La scoperta del
fuoco fu probabilmente l’evento che più rivoluzionò la vita dell’uomo
preistorico poiché gli portò un benessere inestimabile sia sul piano fisico che
emozionale. Poté vincere le tenebre, scaldarsi, cuocere il cibo, difendersi
dalle fiere e prolungare le ore di veglia. Progressivamente il timore nel quale
viveva lasciò il posto a un sentimento di sicurezza. Incominciò allora a
riflettere sul posto che occupava nell’universo, sul senso della nascita, della
vita e della morte. Si risvegliò alla coscienza di sé e, senza rendersene
conto, incominciò a percorrere il sentiero del “Conosci te stesso”.
In altre parole, si iniziò alla propria anima e pose in essa le basi della
propria evoluzione spirituale.
Molti secoli sono trascorsi da quando l’uomo ha capito di
essere ben più di una semplice creatura vivente. Tuttavia, i quesiti che
continua a porsi sul perché e il come della propria esistenza non sempre
trovano risposte soddisfacenti. La scienza può oggi spiegarci la maggior parte
dei processi fisiologici che permettono la vita organica di un essere umano,
dal concepimento alla morte. Ma non è sempre in grado di dire con precisione
ciò che avviene dopo l’ultimo soffio. Nessuno può negare che la dipartita verso
l’aldilà costituisce uno dei più grandi enigmi che si siano mai presentati alla
coscienza umana.
Possiamo quindi
affermare che la morte è veramente il mistero dei misteri.
Dalla nascita alla
morte
Per i nostri
antenati, la nascita di un bambino era indubbiamente un avvenimento miracoloso
che suscitava al tempo stesso ammirazione e paura. Non potendola comprendere né
spiegare, l’attribuivano a uno spirito invisibile che aveva preso possesso del
corpo della madre e lo lasciava a un dato momento sotto forma di neonato.
L’evento della morte li rendeva ancor più sgomenti poiché, contrariamente alla
nascita, è caratterizzato da un’inerzia totale e definitiva. Immaginate ciò che
l’uomo primitivo ha potuto sentire quando si è trovato, per la prima volta, di
fronte alla nascita di un bimbo o alla morte di una persona cara! In entrambi i
casi si trattò di un’esperienza interiore molto importante. Mai più, in
seguito, poté dimenticare quanto aveva visto e provato in queste circostanze.
Durante la sua
evoluzione, l’uomo giunse a capire che lui stesso aveva dovuto nascere così come
aveva visto fare. Capì anche che lui stesso sarebbe morto un giorno
sprofondando nello stato di totale inerzia che aveva osservato negli altri. Il
fatto di essere nato non lo toccò, forse, quanto il presentimento che sarebbe
morto, poiché aveva potuto vedere personalmente ciò che faceva seguito alla
nascita, mentre non aveva idea di quanto accadeva dopo la morte. La fine
dell’esistenza terrena divenne così uno dei più grandi misteri per l’uomo e lo
è ancora ai giorni nostri. Questo perché essa porta verso l’ignoto e contiene
la risposta alla domanda fondamentale che inevitabilmente ci poniamo:
“Perché siamo su questa Terra?”.
I vincoli del
materialismo
Coloro che hanno
una visione materialista dell’esistenza, considerano la morte in maniera
negativa poiché non vedono alcuna ragione di concepirla diversamente. Ritenendo
l’uomo solo una massa di carne tenuta in vita da determinate funzioni
fisico-chimiche, controllata da una coscienza essenzialmente cerebrale,
limitano la vita umana a un processo meccanico che viene ad arrestarsi con
l’interruzione di queste funzioni e l’annichilimento di questa forma di
coscienza. In altre parole, la morte porta soltanto al nulla. Sentono che il
destino di ognuno è determinato dal caso e che l’umanità evolve unicamente sotto
l’effetto di un istinto collettivo di sopravvivenza.
Per colui che nega
la dimensione spirituale nell’essere umano, tutto sulla scena dell’esistenza è
teatro dell’ingiustizia e dell’incoerenza. È così perché vive nel mondo degli
effetti e ignora il regno delle cause. Non comprende che il mondo di illusioni
e apparenze nel quale si dibatte, procede da una Realtà Cosmica ove regnano
ordine e armonia. Per tale ragione è incapace di cogliere che il visibile è in
effetti un’emanazione dell’invisibile e il finito un’estensione dell’infinito.
Prigioniero della ragione, costruisce la propria vita su basi giudicate
razionali ma, ahimè, fragili come gli ideali che persegue. Vede i giorni
scorrere inesorabilmente e si incammina con angoscia verso la morte, scadenza
ultima che ha portato come una croce per tutta la vita.
La dualità dell’uomo
Da secoli i
mistici affermano che il destino dell’uomo oltrepassa ampiamente l’interludio
cosciente che scorre dalla nascita alla transizione, impropriamente chiamata
“morte”. Per loro l’essere umano è duplice. Possiede un’anima che si
incarna nel momento in cui il neonato inspira per la prima volta, facendo di
lui un’entità vivente e cosciente. Nell’istante in cui l’uomo esala l’ultimo
respiro, essa si dissocia dal corpo al quale ha dato vita terrena e si fonde di
nuovo con la Grande Anima Universale. La morte è solo il passaggio da un piano
di coscienza a un altro, il ritorno a una condizione preesistente
all’incarnazione in questo mondo materiale. In altre parole, corrisponde a una
rinascita nel mondo invisibile. Per questo i Rosacrociani pensano che la morte
sia soltanto una transizione dell’anima e costituisca uno dei due aspetti della
Vita Universale.
Raffigurazione egizia della dualità (Per gli antichi Egizi
la dualità dell’uomo era un dato di fatto. L’anima, chiamata “bà”,
era rappresentata da un uccello: pensavano si elevasse verso il regno di
Osiride dopo la morte. Il corpo, chiamato “khàt”, era simboleggiato
da una statuina)
Quando lascia il
corpo fisico al momento della morte, l’anima resta cosciente della sua identità
e si eleva gradualmente verso la nuova dimora, guidata da entità spirituali che
hanno questo ruolo e dagli esseri cari che l’hanno preceduta nell’aldilà.
Raggiunto il piano di coscienza corrispondente al suo livello di evoluzione,
prosegue nell’invisibile un’esistenza basata sulle grandi lezioni che deve
trarre dalla vita terrena appena terminata. A partire da questo bilancio e dai
decreti karmici che ne derivano, si stabiliscono non solo le condizioni del suo
soggiorno nel mondo spirituale, ma anche la trama dell’incarnazione successiva.
Teniamo a precisare “incarnazione successiva”, poiché non si può
vedere la morte dal punto di vista mistico senza essere al tempo stesso
convinti che sarà seguita da altre vite sulla Terra.
Il dominio della vita
Basta osservare
l’atteggiamento dei nostri contemporanei di fronte alla morte, per capire che
l’idea che se ne fanno influenza considerevolmente il loro modo di vivere. Ciò
che la rende così angosciante, per molte persone, è l’ignoranza nella quale si
mantengono o sono mantenute nei suoi confronti. Perciò è importante rompere i
tabù che circondano questo grande avvenimento della vita umana. La scienza
materialista non può arrivare a spiegarlo perché, nella sua preoccupazione di
voler interpretare tutto razionalmente, pensa che la morte corrisponda alla
cessazione di un processo biologico e alla sparizione definitiva dell’entità
cosciente che beneficiava di questo processo. La religione, dal canto suo, pur
predicando l’esistenza dell’anima e del dopo-vita, si perde in congetture
contraddittorie sul perché e come della dimensione spirituale dell’uomo.
Nell’interludio
cosciente che trascorre tra la nascita e la morte, l’uomo vive il suo destino
cercando di sopportare come meglio può le vicissitudini dell’esistenza. Egli
aspira profondamente alla felicità, però non sa come né dove trovarla. La
ricerca spesso nei piaceri dell’esistenza materiale, ma la realtà quotidiana
gli dimostra che tali piaceri sono effimeri e lasciano sempre un vuoto da
colmare. Questo vuoto rappresenta appunto l’abisso che esiste, per molti di
noi, tra l’anima e il corpo. Allo scopo di riconciliare l’uomo con se stesso e
permettergli di meglio padroneggiare la sua vita, un’Organizzazione come
l’Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce perpetua da secoli l’insegnamento
che gli Iniziati si sono tramandati nei tempi.
La Sfinge di Giza
(Le origini
tradizionali dell’A.M.O.R.C. risalgono alle scuole di misteri dell’antico
Egitto. I candidati all’iniziazione dovevano prestare giuramento davanti alla
Sfinge)
STORIA DELL’ANTICO
E MISTICO ORDINE DELLA ROSA-CROCE
L’Antico e Mistico
Ordine della Rosa-Croce, conosciuto nel mondo con la sigla A.M.O.R.C., non è un
movimento filosofico di recente creazione. La Tradizione ne ascrive le origini
alle scuole di misteri dell’antico Egitto. In queste scuole, mistici illuminati
si riunivano regolarmente per studiare i misteri dell’esistenza da cui il nome
“Scuole di misteri”. Raggruppavano tutti coloro che ricercavano una
migliore comprensione delle leggi naturali, universali e spirituali. La parola
“mistero”, ai tempi antichi, cioè all’epoca delle grandi civiltà
egizia, greca e romana, non aveva l’odierno significato di “insolito”
o “strano”, bensì si riferiva a una gnosi o saggezza segreta.
Le scuole di misteri
In Egitto, una
delle prime scuole di misteri fu la Scuola Osiriaca. Gli insegnamenti
trattavano della vita, la morte e la risurrezione del dio Osiride. Erano
presentati sotto forma di lavori teatrali o più precisamente dì drammi rituali.
Solo coloro che avevano dimostrato il proprio sincero desiderio di conoscenza
potevano assistervi. Nel corso dei secoli queste scuole aggiunsero una
dimensione ancora più iniziatica al sapere che trasmettevano. I loro lavori
mistici assunsero un carattere più chiuso e si tennero esclusivamente in templi
costruiti allo scopo. Secondo l’insegnamento rosacrociano, i templi più sacri
per gli iniziati erano le grandi piramidi di Giza. Contrariamente a quanto
affermano alcuni storici, queste piramidi non sono state costruite per la
sepoltura di qualche faraone: erano luoghi di studio e di iniziazioni mistiche.
Le iniziazioni ai
misteri egizi comprendevano una fase finale durante la quale il candidato
faceva l’esperienza di una morte simbolica. Disteso in un sarcofago, mantenuto
mediante apposite tecniche mistiche in uno stato intermedio, veniva indotto a
sdoppiarsi, cioè conoscere una separazione momentanea tra corpo e anima. Ciò
doveva dimostrargli che era un essere duplice. Così non poteva più dubitare che
l’uomo possedesse una natura spirituale e fosse destinato a ritornare al Regno
Divino. Dopo aver fatto la promessa di non rivelare nulla dell’iniziazione ed
essersi impegnato a seguire il sentiero del misticismo, era gradualmente
istruito sugli insegnamenti più esoterici che un mortale potesse ricevere.
Gli Iniziati
dell’antico Egitto lasciarono una parte della loro saggezza sui muri dei templi
e su numerosi papiri. Un’altra parte, non meno importante, fu segretamente
trasmessa in modo orale. Il celebre egittologo E. A. Wallis Budge, in una delle
sue pubblicazioni, cita con rispetto le scuole di misteri. “Uno sviluppo
progressivo – egli scrive -, deve aver avuto luogo nelle scuole di misteri e
sembrerebbe che alcune fossero totalmente sconosciute sotto l’Antico Regno.
Senza dubbio i “misteri” erano parte integrante dei riti egizi. Si
può quindi affermare che l’Ordine costituito dei Kheri-Hebs (sacerdoti)
possedeva un sapere esoterico e segreto gelosamente custodito dai suoi Maestri.
Avevano acquisito una gnosi, una conoscenza superiore che non fu mai posta per
iscritto, ed erano anche in grado di accrescere o ridurre il suo campo di
azione secondo le circostanze. È quindi assurdo cercare nei papiri i molteplici
segreti che formavano la gnosi esoterica dei Kheri-Hebs”.
Sigillo del Faraone Tutmosi III(Sigillo del Faraone Tutmosi
III, fondatore dell’Ordine)
I faraoni mistici
La Tradizione
rosacrociana riporta che il faraone Tutmosi III (1504-1447 a.C.), considerato
dagli storici uno dei più grandi della 18° dinastia, faceva parte degli
iniziati che frequentavano le scuole di misteri dell’Egitto.
Alla sua epoca funzionavano in modo totalmente indipendente
e adottavano regolamenti propri. Designato dai Kheri-Hebs a succedere al padre
sul trono, Tutmosi III decise di raggruppare tutte queste scuole in un solo
Ordine retto dalle stesse regole, al fine di farne una Fraternità Unica. Per la
sua intelligenza e saggezza fu scelto come Gran Maestro, funzione che mantenne
fino alla morte. Fu il primo sovrano a portare il titolo di
“faraone”, cosa molto significativa sul piano mistico.
Circa settant’anni
più tardi, il faraone Amenhotep IV nacque nel palazzo reale di Tebe. Ammesso
giovanissimo nell’Ordine fondato da Tutmosi III, ne divenne Gran Maestro e ne
ristrutturò gli insegnamenti e i rituali. In un’epoca in cui il politeismo era
diffuso su tutta la Terra, instaurò ufficialmente il monoteismo. Cambiò il
proprio nome e si fece chiamare “Akhenaton” che significa
“devoto di Aton”. Fu il promotore di una rivoluzione nel campo
dell’arte e della cultura. Profondamente umanista, consacrò tutta la sua
esistenza alla lotta contro le tenebre dell’ignoranza e alla propagazione degli
ideali più elevati. Poco dopo la sua morte che avvenne nel 1350 a.C., il
potente clero di Tebe ristabilì il culto di Amon, ma la sua opera apparteneva
già alla storia.
Museo di Luxor: testa di Akhenaton(Akhenaton, assieme alla
sua sposa Nefertiti, fondò la prima religione monoteista della storia. Scelse
il disco solare per simbolizzare il Dio unico della sua comprensione)
L’estensione
dell’Ordine in Occidente
Dall’Egitto,
l’Ordine si diffuse in Grecia grazie soprattutto a Pitagora (572-492 a.C.), poi
nell’antica Roma sotto l’impulso di Plotino (203-270). All’epoca di Carlo Magno
(742-814) fu introdotto, per merito del filosofo Arnaldo da Tolosa, in Francia,
Germania, Inghilterra e Paesi Bassi. Nei secoli successivi gli Alchimisti e i
Templari contribuirono alla sua estensione in Occidente e in Oriente. Poiché la
libertà di coscienza era limitata, l’Ordine dovette nascondersi sotto nomi
diversi e svolgere le sue attività nel segreto. Tuttavia non le interruppe mai
perpetuando ideali e insegnamenti, partecipando in maniera diretta o indiretta
all’avanzamento delle arti, delle scienze e della civiltà in genere,
dichiarando sempre l’uguaglianza dei sessi e una vera fraternità tra gli
uomini.
Una rinascita ciclica
In alcune opere
letterarie che trattano dell’Ordine Rosa-Croce, si fa riferimento a un
personaggio chiamato “Christian Rosenkreutz” (1378-1484) come al
fondatore della Fraternità dei Rosa-Croce. È errato. In realtà l’Ordine
esisteva già da secoli, ma funzionava per cicli di attività di 108 anni,
seguiti ogni volta da un uguale periodo di sonno. Quando era giunto il momento
di procedere alla sua rinascita, venivano prese delle disposizioni per
annunciare l’apertura di una “tomba” nella quale si ritrovava il
“corpo” di un “Gran Maestro C.R.C.” con gioielli rari e
manoscritti che autorizzavano gli autori della scoperta a procedere al suo
risveglio per un nuovo ciclo di attività. Questo proclama era allegorico e le
iniziali “C.R.C.” non si riferivano a una persona realmente esistita.
Bisogna quindi considerare il leggendario Christian Rosenkreutz e la sua storia
alla luce di queste spiegazioni.
Nel XVII secolo
l’Ordine raggiunse la sua fama più considerevole in seguito alla pubblicazione
di tre Manifesti stampati in Germania e attribuiti erroneamente a Valentin
Andreae (1586-1654). Si tratta della “Fama Fraternitatis”, della
“Confessio Fraternitatis” e delle “Nozze chimiche di Christian
Rosenkreutz”, risalenti rispettivamente al 1614, 1615 e 1616. In realtà
questi tre manifesti, che uniscono racconti storici e allegorici, furono
redatti da un Collegio di Rosacrociani e segnarono l’inizio di un nuovo ciclo
di attività per l’Ordine che si fece conoscere allora pubblicamente con il nome
di “Ordine della Rosa-Croce”.
Nel 1693, sotto la
guida del Gran Maestro Johannes Kelpius (1673-1708), Rosacrociani provenienti
da vari paesi d’Europa si imbarcarono per il Nuovo Mondo a bordo della
“Sarah Maria”. All’inizio del 1694 sbarcarono a Filadelfia, dove si
stabilirono. Qualche anno più tardi alcuni di loro si recarono nell’ovest della
Pennsylvania dove fondarono una nuova colonia. Dopo aver istituito una propria
stamperia, pubblicarono parecchi capolavori della letteratura esoterica e
introdussero in America gli insegnamenti Rosa-Croce. Sotto il loro impulso,
numerose istituzioni americane vennero alla luce e il mondo delle arti e delle
scienze conobbe negli Stati Uniti uno sviluppo senza precedenti. Personaggi
eminenti come Benjamin Franklin (1706-1790) e Thomas Jefferson (1743-1826)
furono in stretto contatto con l’opera rosacrociana di questo paese.
Il ciclo attuale
dell’A.M.O.R.C.
Nel 1801, secondo le
regole stabilite, l’Ordine negli Stati Uniti entrò in un periodo di sonno.
Restava però attivo in Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera, Spagna, Russia
e in Oriente. Nel 1909 Harvey Spencer Lewis (1883-1939), che da anni studiava
l’esoterismo interessandosi in particolare alla filosofia rosacrociana, si recò
in Francia per incontrare i responsabili dell’Ordine. Dopo aver affrontato
numerosi esami e diverse prove, fu iniziato a Tolosa e ufficialmente incaricato
di preparare la rinascita dell’Ordine in America.
Quando tutto fu
pronto per la rinascita, negli Stati Uniti venne pubblicato un Manifesto per
annunciare il nuovo ciclo di attività dell’Ordine che venne allora chiamato
“Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce” (A.M.O.R.C.). Nominato
Imperator, Harvey Spencer Lewis sviluppò le attività dell’Ordine in America e
incominciò a mettere per iscritto l’insegnamento rosacrociano utilizzando gli
archivi affidatigli dai Rosa-Croce francesi. Dopo la seconda guerra mondiale
questo metodo di insegnamento fu esteso al mondo intero. Così l’A.M.O.R.C.
divenne il depositario dell’autentica Tradizione Rosa-Croce in tutti i paesi
dove poteva esercitare liberamente le sue attività.
Attualmente il
francese Christian Bernard, eletto all’unanimità dai membri del Consiglio
Supremo alla funzione di Imperator, ha la più alta responsabilità dell’A.M.O.R.C.
A questo titolo è il garante delle attività rosacrociane per tutti i paesi del
mondo, assistito in questo dai Gran Maestri.
Ritratto di Sir Francis Bacon(Francesco Bacone – Sir Francis
Bacon – filosofo e uomo di stato inglese del XVII secolo, fu Imperator
dell’Ordine della Rosa-Croce. Autore della “Nuova Atlantide”, a lui i
Rosacrociani attribuiscono le opere di Shakespeare)
L’INSEGNAMENTO
DELL’A.M.O.R.C.
L’insegnamento non
è opera di una persona, ma di un gran numero di Iniziati che si sono succeduti
attraverso i secoli. Risulta dal lavoro che i mistici hanno sempre svolto per
penetrare i misteri dell’universo, della natura e dell’uomo, fin dalla più
remota Antichità. Come abbiamo affermato precedentemente, ha la sua fonte
nell’eredità sacra che l’A.M.O.R.C. ha ricevuto dalle scuole di misteri
dell’antico Egitto, soprattutto durante la 18° dinastia.
Ai nostri giorni
l’esistenza di queste scuole è riconosciuta dalla maggior parte degli storici e
degli egittologi.
Alle conoscenze perpetuate
dai saggi dell’antico Egitto, si sono aggiunti i concetti filosofici dei grandi
pensatori dell’antica Grecia e, alcuni secoli più tardi, di quelli del
neoplatonismo. Poi la gnosi segreta fu arricchita dai precetti degli alchimisti
rosacrociani del Medioevo. Eminenti personaggi vissuti in epoche meno lontane
hanno precisato e sviluppato alcuni aspetti dell’antico retaggio. Per citare
solo alcuni nomi, personalità come Dante Alighieri, Pico della Mirandola,
Leonardo da Vinci, Cornelio Agrippa, Paracelso, Francesco Rabelais, Giordano
Bruno, Francesco Bacone, Jakob Bòhme, Cartesio, Isacco Newton, Goffredo
Leibniz, Beniamino Franklin, il conte di Saint-Germain, Cagliostro,
Louis-Claude de Saint-Martin, Michael Faraday, Giulio Verne, Giuseppe Mazzini,
Claude Debussy, Eric Satie, sono stati membri dell’Ordine o in diretto contatto
con esso.
Dal 1909, inizio
del ciclo attuale dell’A.M.O.R.C., altri Rosacrociani, eminenti autorità in
vari campi del sapere, hanno dato il loro contributo all’insegnamento
dell’Ordine. Tra essi troviamo quelli che hanno svolto o svolgono ancora delle
funzioni in seno all’A.M.O.R.C. e membri che come fisici, chimici, biologi,
medici o filosofi, lavorano costantemente per l’arricchimento culturale della
Conoscenza rosacrociana. Precisiamo “culturale” perché la dimensione
spirituale della Tradizione iniziatica dell’A.M.O.R.C. è ciò che è sempre stata
e sempre resterà.
Ai nostri giorni
l’insegnamento rosacrociano è diviso in dodici gradi e si presenta sotto forma
di monografie inviate mensilmente ai membri dell’A.M.O.R.C. Ogni invio ne
comprende quattro. Per quanto possibile devono essere studiate una alla
settimana. Una monografia contiene da cinque a dieci pagine circa. L’elenco
dettagliato dei soggetti studiati nell’Ordine sarebbe veramente troppo lungo
per essere riportato in questa sede. Quindi diamo soltanto un breve excursus
dei soggetti trattati nei primi nove gradi.
Il contenuto
dell’insegnamento rosacrociano
– Il primo grado è un’esposizione delle leggi fondamentali
che reggono il macrocosmo e il microcosmo. Costituisce una sintesi di ciò che i
mistici del passato, in particolare i filosofi dell’antica Grecia, hanno
insegnato riguardo alle vibrazioni dell’Etere e la struttura atomica della
materia. Tale sintesi include i dati scientifici più recenti in questo campo.
– Il secondo grado è dedicato alle leggi della coscienza. Le
sue fasi oggettiva, soggettiva e subcosciente vengono studiate in modo
approfondito permettendo così una comprensione chiara di quanto gli psicologi
insegnano riguardo alle facoltà mentali. Le nozioni sono trattate dal punto di
vista della filosofia rosacrociana e, di conseguenza, danno luogo a spiegazioni
che trascendono il campo della psicologia.
– Il terzo grado tratta le leggi della vita. Viene
dimostrato che queste leggi manifestate sulla Terra traggono origine da
un’energia cosmica chiamata Forza Vitale. Viene anche spiegato che i regni
minerale, vegetale, animale e umano, costituiscono una catena naturale che
l’Intelligenza Divina utilizza per raggiungere lo scopo che si è prefissata,
ossia l’evoluzione della coscienza. Dopo aver definito i criteri comuni a tutte
le creature viventi si giunge allo studio della vita umana.
– Il quarto grado è interamente basato su un antichissimo
manoscritto tratto dagli archivi dell’A.M.O.R.C. Riferendosi ai concetti in
esso espressi, costituisce una sintesi dei tre gradi precedenti e tratta
soggetti filosofici particolarmente ispiranti. In questo grado sono esposte le
leggi principali dell’Ontologia rosacrociana e i principi mistici che uniscono
in un tutto coerente materia, coscienza e vita.
– Il quinto grado consiste in un’esposizione unica sulla
vita e l’opera dei maggiori filosofi dell’antica Grecia come Talete, Pitagora,
Platone, … Il suo scopo è familiarizzare lo studente Rosacrociano con
l’insegnamento dei Saggi dell’Antichità greca e i precetti filosofici e
scientifici che hanno trasmesso all’umanità. Precisiamo che tutte le monografie
di questo grado sono tratte dagli archivi dell’Ordine e si riferiscono a fatti
sconosciuti agli storici.
– Il sesto grado è dedicato alla terapeutica rosacrociana.
Presenta in modo semplice ma esauriente le principali funzioni del corpo umano,
includendo in questo studio un gran numero di regole da seguire per mantenersi
in buona salute. La grande originalità di questo grado consiste nello studio
dei principi mistici usati da secoli dai Rosacrociani per alleviare e guarire
numerose affezioni. Tali principi fanno parte del retaggio trasmessoci dagli
Esseni i quali erano esperti guaritori.
– Il settimo grado si riferisce al corpo psichico dell’uomo
e alle funzioni che gli sono proprie, tra le quali la proiezione psichica
(viaggio astrale). Questo grado comprende anche uno studio approfondito
dell’aura umana e dei centri psichici, la maggior parte dei quali corrisponde
ai “chakra” delle tradizioni orientali. Segue un esame approfondito
dei suoni vocali tradizionali (i mantra) e dell’influenza fisica, psichica e
spirituale che esercitano sull’uomo
– L’ottavo grado è
filosofico poiché tratta essenzialmente delle origini dell’uomo e del suo
destino. Vi si studiano, di conseguenza, soggetti che riguardano direttamente
la sua evoluzione spirituale. Tra questi: il concetto di Dio, l’Anima
Universale, l’anima umana e il suoi attributi, il pre-vita, il mistero della
nascita, l’applicazione del libero arbitrio, il karma e il modo di
padroneggiarlo, il mistero della morte, il dopo-vita, la reincarnazione,
l’assistenza ai morenti, il potere della preghiera…
– Il nono grado è consacrato allo studio del simbolismo
tradizionale e dei relativi principi mistici. Inoltre i Rosacrociani vengono
iniziati a facoltà legate all’anima e che permettono all’uomo di trarre
profitto dalla sua natura divina. Precisiamo che queste facoltà non hanno alcun
legame con la magia, la teurgia o la taumaturgia, ma fanno appello a leggi
spirituali che i Rosa-Croce hanno sempre messo al servizio del Bene. Rientrano
piuttosto nell’ambito dell’attuale “parapsicologia”.
In virtù di una
regola tradizionale, non sveleremo il contenuto del decimo, undicesimo e
dodicesimo grado. Precisiamo che fin dall’inizio degli studi, l’insegnamento
rosacrociano, oltre ai temi citati, comporta delle esperienze consacrate
all’apprendimento di tecniche mistiche fondamentali quali la concentrazione, la
visualizzazione, la meditazione, l’alchimia spirituale.
Un Tempio Rosa-Croce
(Nelle Logge
dell’A.M.O.R.C., che sono in genere di stile egizio per tramandare le origini
tradizionali dell’Ordine, vengono conferite le iniziazioni rosacrociane)
L’INIZIAZIONE
ROSACROCIANA
Ogni grado
dell’insegnamento rosacrociano è preceduto da una monografia speciale
consacrata a un’iniziazione che il membro è invitato a effettuare a casa
propria. Oltre a questa iniziazione individuale può recarsi in una Loggia
dell’A.M.O.R.C. e partecipare a una cerimonia collettiva che costituisce una
preparazione simbolica al grado da studiare. Tale cerimonia, che riunisce vari
candidati, si svolge in tutta la sua purezza tradizionale e si ispira a riti
effettuati nelle scuole di misteri dell’Antichità. Benché facoltativa, presenta
un grande interesse sul piano interiore.
Senza entrare in
considerazioni mistiche che non possiamo sviluppare nel quadro di questo
scritto informativo, diremo semplicemente che lo scopo di tutte le iniziazioni
rosacrociane è rivelare ai membri un nuovo aspetto della Tradizione Rosa-Croce
permettendo loro di prendere maggiormente coscienza della loro anima.
Precisiamo che non hanno nulla a che vedere con le pratiche occulte poiché
l’A.M.O.R.C. non le ha mai insegnate né approvate. In genere consistono in
rituali di grande profondità filosofica e simbolica.
L’iniziazione
rosacrociana non si limita alle cerimonie puntuali che precedono ogni grado. Si
tratta in realtà di un processo che continua interiormente per tutta la durata
dell’affiliazione all’Ordine. Il suo impatto spirituale è proporzionale
all’impegno che ogni Rosacrociano mette nello studio e nell’applicazione
dell’insegnamento che gli viene trasmesso. Nell’assoluto permette di
raggiungere lo stato di Rosa-Croce, chiamato “stato cristico” nella
tradizione cristiana, ma che si può anche chiamare “stato buddhico”.
Il Rosacrociano che abbia raggiunto questo stato può essere considerato un vero
Iniziato.
Manifesto della
F.U.D.O.S.I.
(Questo manifesto
fu firmato a Bruxelles nel 1934 dai più alti responsabili della F.U.D.O.S.I.,
Federazione Universale degli Ordini e Società Iniziatiche. Stabiliva che
l’A.M.O.R.C. è la sola Organizzazione tradizionale e iniziatica a perpetuare l’eredità dell’autentica
Tradizione Rosa-Croce)
L’ATTUALE
ORGANIZZAZIONE DELL’ A.M.O.R.C.
L’Antico e Mistico
Ordine della Rosa-Croce è attualmente presente in tutto il mondo e costituisce
di conseguenza una Fraternità internazionale. Comprende parecchie giurisdizioni
ciascuna delle quali riunisce tutti i paesi della stessa lingua al di là delle
frontiere. Esiste così una giurisdizione per i paesi di lingua francese,
giapponese, greca, inglese, italiana, nordica, olandese, spagnola, tedesca,
ecc. La sede di ogni giurisdizione, tradizionalmente chiamata “Grande
Loggia”, è diretta da un Gran Maestro eletto con un mandato di cinque
anni.
Nel suo insieme
l’A.M.O.R.C. è diretto da un Consiglio Supremo composto dai Gran Maestri di
tutte le giurisdizioni. Questo Consiglio è posto sotto l’autorità e la
presidenza dell’Imperator, titolo tradizionale e simbolico che designa il più
alto responsabile dell’Ordine. In quanto tale è il garante della Tradizione
rosacrociana e sovrintende alle attività amministrative e mistiche di tutte le
Grandi Logge. Come ogni Gran Maestro, viene eletto a questa funzione per una
durata di cinque anni.
L’A.M.O.R.C. è
dunque mondiale e i suoi dirigenti, di qualunque nazionalità siano, svolgono le
attività rosacrociane non come cittadini di questo o quel paese, ma come
responsabili di un’Organizzazione mistica le cui attività si estendono al mondo
intero. In altre parole, tutte le giurisdizioni riunite formano l’Ordine nel
suo insieme e operano in una unità perfetta al servizio di uno stesso ideale,
quello della Rosa-Croce. Ne risulta che non vi è obbedienza in seno
all’A.M.O.R.C., poiché tutti i Rosacrociani del mondo possiedono le stesse
prerogative e ricevono lo stesso insegnamento.
In ogni
giurisdizione i Rosacrociani che lo desiderano possono riunirsi negli Organismi
locali che, secondo le attività svolte, hanno il nome di “Loggia”,
“Capitolo” o “Pronaos”. Questi organismi operano sotto la
responsabilità e l’impulso della Grande Loggia alla quale fanno capo. In
generale servono da cornice a incontri fraterni e a lavori che completano lo
studio individuale dell’insegnamento scritto dell’Ordine. In questo perpetuano
l’aspetto orale della Tradizione Rosa-Croce. Precisiamo inoltre che nelle Logge
vengono conferite le iniziazioni rosacrociane.
Per consentire ai
membri che lo desiderano di incontrarsi, l’Ordine organizza dei Convegni
mondiali, nazionali o regionali. Secondo il caso, riuniscono Rosacrociani
venuti dal mondo intero o residenti in un determinato paese. Comunque sia,
danno luogo ad attività culturali e spirituali durante le quali vengono
presentati ai partecipanti degli esposti scientifici e filosofici. Non sono
naturalmente obbligatori, essendo ogni membro libero di parteciparvi o meno.
Parallelamente
all’insegnamento mistico che mette a disposizione dei membri, l’Ordine possiede
una Università interna conosciuta con il nome di “Università Rosa-Croce
Internazionale” (U.R.C.I.). Formata essenzialmente da Rosacrociani,
effettua ricerche in campi diversi come l’astronomia, l’egittologia, la
medicina, la musica, la psicologia, le scienze fisiche e le tradizioni
esoteriche. In genere il risultato di queste ricerche viene comunicato solo ai
membri dell’Ordine. L’ U.R.C.I. organizza comunque anche conferenze e seminari
aperti al pubblico.
LO STATUTO DELL’
A.M.O.R.C.
Per definizione,
l’A.M.O.R.C. è un’Organizzazione filosofica, iniziatica e tradizionale che
perpetua nel mondo moderno l’insegnamento che gli Iniziati si sono trasmessi
attraverso i secoli fin dalla più remota Antichità. Non essendo una religione,
riunisce membri appartenenti a tutte le confessioni religiose e lascia a
ciascuno la possibilità di seguire liberamente il credo di sua scelta. È
totalmente apolitico e ciò spiega perché i Rosacrociani provengono da tutti gli
ambienti socio-culturali. Naturalmente non è una setta e non è mai stato
classificato tale nei rapporti ufficiali pubblicati al riguardo. È privo
infatti di ogni settarismo e ha sempre fatto della libertà di coscienza il
fondamento della sua filosofia.
In tutti i paesi
del mondo, l’A.M.O.R.C. è riconosciuto come un’Organizzazione senza scopo di
lucro. Non ha infatti carattere commerciale. In virtù di questo principio
l’insegnamento rosacrociano non viene venduto sotto forma di libro e non può
essere in alcun modo acquistato. Come ogni Organizzazione fraterna e culturale,
l’Ordine deve sopperire ai propri bisogni e lo fa grazie alla quota annuale
versata dai membri. Nonostante le spese considerevoli per l’insegnamento
individuale loro dispensato (segreteria, informatica, invii postali, stampa,
ecc.), questa quota annuale è molto ragionevole. È tra le più modiche fissate
per un movimento filosofico e tradizionale di questo tipo. Inoltre può essere
versata semestralmente.
IL MOTTO DELL’A.M.O.R.C.
“La più ampia
tolleranza nella più rigorosa indipendenza” è il motto dell’A.M.O.R.C.
Infatti non è legato a nessuna Organizzazione, eccetto l’Ordine Martinista
Tradizionale, movimento filosofico con sede presso la Grande Loggia di Milano,
che perpetua l’insegnamento di Louis-Claude de Saint Martin, grande filosofo
del 18° secolo. L’Ordine della Rosa-Croce, attento a preservare la propria
indipendenza, si mostra tollerante verso tutti gli altri movimenti, poiché il
suo ruolo non è giudicarli o criticarli, ma trasmettere il suo insegnamento a
coloro che cercano la Conoscenza.
Il motto che
l’A.M.O.R.C. applica nei confronti degli altri movimenti, si ritrova nella
natura stessa del suo insegnamento. In altre parole, è spoglio di ogni dogma e
non comporta alcun credo settario. Così il rosacrociano, fin dall’inizio della
sua affiliazione, è invitato a rimanere un punto interrogativo vivente in
rapporto alla conoscenza che gli viene trasmessa. È libero di rifiutare i
principi contrari alla propria comprensione personale e quelli che non
incontrano la sua approvazione. Scopo del rosacrocianesimo è infatti indurre i
membri a porsi delle domande piuttosto che fornire delle risposte categoriche
sui vari argomenti. Questo approccio coltiva uno spirito tollerante e pone le
basi di una personalità indipendente nella scelta delle proprie convinzioni
filosofiche.
In accordo con il
motto, uomini e donne godono di una condizione di totale uguaglianza
all’interno dell’Ordine. Come nei cicli anteriori, anche oggi non esiste nell’A.M.O.R.C.
segregazione o discriminazione in materia di sesso, razza, nazionalità o
religione.
L’AMMISSIONE
ALL’A.M.O.R.C.
Le qualità
richieste per essere ammessi nell’A.M.O.R.C. sono molto semplici: essere
interessati al misticismo e aver raggiunto la maggior età. I minori, che
abbiano compiuto almeno 15 anni, possono essere accettati con l’autorizzazione
dei genitori.
La candidatura
individuale
Qualora dopo aver
letto questa pubblicazione, sentiste il desiderio di diventare membri dell’Antico
e Mistico Ordine della Rosa-Croce e condividere il suo insegnamento filosofico,
iniziatico e tradizionale, vi invitiamo a scrivere alla sede di Milano per
ricevere una domanda di affiliazione all’A.M.O.R.C. Dopo averla compilata, sarà
sufficiente rinviarla accompagnata dal diritto d’entrata e dalla quota.
I membri associati
Se un vostro
congiunto, membro della vostra famiglia o amico, domiciliato al vostro stesso
indirizzo, desidera diventare Rosacrociano, avete la possibilità di affiliarvi
come membri associati. In tal caso sarete entrambi considerati membri
dell’Ordine a pieno titolo, ma riceverete un solo invio di monografie e
generalmente una sola copia di tutto ciò che viene inviato nell’ambito
dell’affiliazione all’A.M.O.R.C.
Il vantaggio di
un’affiliazione associata sta nell’ammontare della quota che è molto meno
elevata di quella di due membri individuali. È frequente però che amici, membri
di una stessa famiglia o congiunti, preferiscano affiliarsi individualmente per
disporre con maggiore libertà dei documenti inviati e poterli studiare nelle
migliori condizioni.
Nel caso
desideraste affiliarvi con un’altra persona come membri associati, compilate
una domanda di affiliazione ciascuno e inviatela insieme a Milano, allegando
una lettera che spieghi il vostro desiderio di essere membri associati. In essa
precisate a chi dovranno essere inviate le monografie, perché nell’eventualità
di una separazione, al destinatario ne spetterà la custodia. Inoltre, non
dimenticate di accludere il versamento dei due diritti di entrata e la quota di
membri associati.
Se, dopo essere
stata esaminata, la vostra domanda viene accettata, riceverete la tessera di
membro e poco dopo il primo invio di monografie. Così comincerà per voi uno
studio che, secondo la vostra motivazione e perseveranza, potrà durare tutta la
vita. Nel caso la vostra candidatura fosse rifiutata, il versamento del diritto
d’entrata e della quota vi sarà restituito.
Una totale libertà
Ci sembra
importante insistere sul fatto che un Rosacrociano può, in ogni momento e senza
alcuna riserva, porre fine alla propria affiliazione. In tal caso gli viene
semplicemente richiesto di restituire alla sede della sua giurisdizione tutte
le monografie ricevute in quanto proprietà legale e morale dell’Ordine. È il
solo obbligo cui si deve sottostare in caso di dimissioni. Tuttavia di rado
viene presa tale decisione dopo aver studiato soltanto per qualche mese
l’insegnamento rosacrociano. L’esperienza prova infatti che esso costituisce
una fonte di benessere inestimabile e permette di comprendere meglio il senso
del destino umano.
Nei secoli
passati, l’Ordine della Rosa-Croce era considerato, giustamente, una società
segreta. Se esce dalla sua discrezione, lo fa perché il contesto mondiale lo
necessita. I suoi dirigenti e membri, infatti, sono convinti che l’epoca
attuale è determinante per il genere umano. Come dice André Malraux in una
frase divenuta celebre, “Il ventunesimo secolo sarà spirituale o non lo
sarà affatto”, nel senso che l’umanità sopravviverà solo se si libera del
materialismo eccessivo nel quale si è immersa e dà una direzione spirituale al
suo avvenire. Per questo l’A.M.O.R.C. compie degli sforzi per sensibilizzare il
mondo al misticismo e presentare l’insegnamento tradizionale e iniziatico, che
mette a disposizione di tutti coloro che sono alla ricerca di maggior Luce.
Prima di
concludere e lasciarvi meditare sul seguito che conviene dare a questa
pubblicazione, insistiamo sul fatto che il misticismo rosacrociano non è una
via facile e si rivolge unicamente ai ricercatori sinceri. La Rosa, infatti,
non è senza spine e la Croce è talvolta difficile da portare. In altri termini,
non pensate che un’affiliazione all’A.M.O.R.C. farà di voi un Maestro in pochi
mesi o vi preserverà dalle prove dell’esistenza umana. Il sentiero che porta
alla Conoscenza è sempre stato arduo, tortuoso e pieno di ostacoli. Tuttavia
esiste e può essere intrapreso da chiunque aspiri a elevarsi verso una migliore
comprensione delle leggi che reggono il proprio destino. Si tratta,
innanzitutto, di una questione di motivazione interiore fondata sul desiderio
sincero di vivere in armonia con se stessi e con l’ambiente.
Simbolo ufficiale
dell’Ordine
L’Antico e Mistico
Ordine della Rosa-Croce viene chiamato anche “Ordine della Rosa-Croce
A.M.O.R.C.”. Denominazione usata per associare con uno stesso vocabolo il
nome tradizionale dell’Ordine e la sigla con la quale è conosciuto nel mondo
dal 1909, inizio del suo ciclo attuale di attività. Entrambi gli appellativi designano
dunque la stessa Organizzazione.
Raggiungere la perfezione della Maestria è la
meta di ogni libero muratore. Lunghi anni di lavoro sulla pietra grezza sono serviti
per imparare a maneggiare con abilità gli strumenti dell’arte moratoria. Dai
primi colpi incerti battuti su uri informe pietra per cercare di darle una
forma geometricamente definita, con capacità via via crescente, il libero
muratore arriva alla perfezione dell’arte. Ora voi due, cari fratelli . . .. .
… ed . . .. . … , sapete trarre dalle pietre tutte le forme architettoniche
ed artistiche più ardite. Nel vostro lavoro continua il progetto, che Salomone
affidò ad Hiram, della costruzione del Tempio alla Divinità: uri opera muraria
che nei fasti architettonici e nello splendore dei decori e degli arredi
dovesse dare una sia pur minima idea di cosa fosse (eternità, la vera
abitazione della Divinità. Quando il tempio fu terminato, Salomone rivolse questa
preghiera al Dio dei suoi padri: “I
cieli ed i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che
ti ho costruita! Tuttavia volgiti alla preghiera del tuo servo ed alla sua
supplica, Signore mio Dio; ascolta il grido e la preghiera che il tuo servo
innalza a te. Siano i tuoi occhi aperti verso questa casa, giorno e notte,
verso il luogo dove hai promesso di porre il tuo Nome, per ascoltare la
preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo.’ II tempio, quindi, è il
luogo dove Dio ha posto il suo Nome, il luogo, cioè, dove è possibile ritrovare
la parola perduta, il luogo dove il finito si connette con l’infinito e questo
si congiunge con il finito. Nel tempio l’uomo compie l’esperienza di Dio. E
come la caratteristica fondamentale del tempio di Salomone è l’Armonia tra i
suoi elementi costitutivi, così Armonia deve essere il fondamento del tempio
massonico, tempio di pietre vive e non di pietre di cava, del quale il tempio
di Salomone ne è metaforicamente il simbolo.
Se nel nostro tempio, quindi, possiamo fare l’esperienza
dell’infinito, significa che qui è possibile trovare la parola perduta, quella
che Hiram non ha mai rivelato, e che è appunto l’Armonia. E’ questa il segreto
massonico! II profano che ci guarda dall’esterno crederà che nei nostri riti si
celi chissà quale mistero; lo stesso bussante, ammesso nel tempio, crederà di
poter trovare soluzione a chissà quali dubbi esistenziali, quasi fosse, la
nostra, un’erudita accademia filosofica. Noi, invece, sappiamo che solo l’Armonia
del perfetto equilibrio interiore ed esteriore è il segreto della nostra
iniziazione ed il nostro lavoro è tutto proteso al miglioramento individuale
per raggiungere, tra di noi come nel mondo profano, quel vivere virtuoso capace
di generare pace e fratellanza universale. “Nella loggia massonica si
innalzano templi alla virtù e si scavano prigioni al vizio” è detto nel
nostro rituale del I° grado.
II lavoro individuale di perfezionamento è
senza dubbio più importante di qualsiasi esercizio di erudizione culturale. Al
riguardo cito, non letteralmente, un passo del Ma~jhima-Nikaya, raccolta di
parabole attribuite al Buddha: “Non fu mai spiegato da me che il mondo non
è eterno, nè che esso è limitato, nè che esso è infinito; non ho mai spiegato
che anima e corpo sono la stessa cosa, nè che essi sono diversi; non ho mai
spiegato che esiste un’altra vita oltre la morte, nè che essa non esiste. Non
fu mai spiegato da me nulla di tutto questo perchè nulla di questo reca alcuna
utilità, nè permette il distacco dal mondo o (assenza delle passioni o la
cessazione del dolore o la tranquillità. Nulla di tutto questo conduce alla
conoscenza ed all’illuminazione. Ecco perchè tutto questo non è stato spiegato
da me”.
Raggiungere la perfezione della Maestria è la
meta di ogni libero muratore. Lunghi anni di lavoro sulla pietra grezza sono serviti
per imparare a maneggiare con abilità gli strumenti dell’arte moratoria. Dai
primi colpi incerti battuti su uri informe pietra per cercare di darle una
forma geometricamente definita, con capacità via via crescente, il libero
muratore arriva alla perfezione dell’arte. Ora voi due, cari fratelli . . .. .
… ed . . .. . … , sapete trarre dalle pietre tutte le forme architettoniche
ed artistiche più ardite. Nel vostro lavoro continua il progetto, che Salomone
affidò ad Hiram, della costruzione del Tempio alla Divinità: uri opera muraria
che nei fasti architettonici e nello splendore dei decori e degli arredi
dovesse dare una sia pur minima idea di cosa fosse (eternità, la vera
abitazione della Divinità. Quando il tempio fu terminato, Salomone rivolse questa
preghiera al Dio dei suoi padri: “I
cieli ed i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che
ti ho costruita! Tuttavia volgiti alla preghiera del tuo servo ed alla sua
supplica, Signore mio Dio; ascolta il grido e la preghiera che il tuo servo
innalza a te. Siano i tuoi occhi aperti verso questa casa, giorno e notte,
verso il luogo dove hai promesso di porre il tuo Nome, per ascoltare la
preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo.’ II tempio, quindi, è il
luogo dove Dio ha posto il suo Nome, il luogo, cioè, dove è possibile ritrovare
la parola perduta, il luogo dove il finito si connette con l’infinito e questo
si congiunge con il finito. Nel tempio l’uomo compie l’esperienza di Dio. E
come la caratteristica fondamentale del tempio di Salomone è l’Armonia tra i
suoi elementi costitutivi, così Armonia deve essere il fondamento del tempio
massonico, tempio di pietre vive e non di pietre di cava, del quale il tempio
di Salomone ne è metaforicamente il simbolo.
Se nel nostro tempio, quindi, possiamo fare l’esperienza
dell’infinito, significa che qui è possibile trovare la parola perduta, quella
che Hiram non ha mai rivelato, e che è appunto l’Armonia. E’ questa il segreto
massonico! II profano che ci guarda dall’esterno crederà che nei nostri riti si
celi chissà quale mistero; lo stesso bussante, ammesso nel tempio, crederà di
poter trovare soluzione a chissà quali dubbi esistenziali, quasi fosse, la
nostra, un’erudita accademia filosofica. Noi, invece, sappiamo che solo l’Armonia
del perfetto equilibrio interiore ed esteriore è il segreto della nostra
iniziazione ed il nostro lavoro è tutto proteso al miglioramento individuale
per raggiungere, tra di noi come nel mondo profano, quel vivere virtuoso capace
di generare pace e fratellanza universale. “Nella loggia massonica si
innalzano templi alla virtù e si scavano prigioni al vizio” è detto nel
nostro rituale del I° grado.
II lavoro individuale di perfezionamento è
senza dubbio più importante di qualsiasi esercizio di erudizione culturale. Al
riguardo cito, non letteralmente, un passo del Ma~jhima-Nikaya, raccolta di
parabole attribuite al Buddha: “Non fu mai spiegato da me che il mondo non
è eterno, nè che esso è limitato, nè che esso è infinito; non ho mai spiegato
che anima e corpo sono la stessa cosa, nè che essi sono diversi; non ho mai
spiegato che esiste un’altra vita oltre la morte, nè che essa non esiste. Non
fu mai spiegato da me nulla di tutto questo perchè nulla di questo reca alcuna
utilità, nè permette il distacco dal mondo o (assenza delle passioni o la
cessazione del dolore o la tranquillità. Nulla di tutto questo conduce alla
conoscenza ed all’illuminazione. Ecco perchè tutto questo non è stato spiegato
da me”.
Sarà forse sbagliate cercare nei
libri la risposta alle nostre domande più profonde e angosciose, ma quello che
ai spinge spesso a consultare volumi, non è il desiderio di risparmiarci la
fatica di pensare, quanto piuttosto la mancata arroganza di considerarci
padroni di verità assolute, la necessità di confrontarci con spiriti di noi più
progrediti, e soprattutto la curiosità: — Come hanno fatto gli altri a
risolvere il problema? — Come sono avanzati oltrela cortina del dubbio?
Non abbiamo il dovere di risolvere i
nostri problemi e di dare soluzione a tutti i nostri dubbi, ma una cosa la
dobbiamo a noi stessi:
PORCI
IL DUBBIO. Sollevare la questione, anche se poi il risultato finale ci sfugge
irrimediabilmente. Eppure dobbiamo farlo: ne va del rispetto che possiamo
nutrire per noi stessi.
Se la vera libertà è avere la
possibilità di scegliere tra due o più soluzioni a nostra disposizione, anche
il porsi il dubbio é manifestazione dì libertà: prova ne sia che tutte le
autocrazie, politiche e spirituali, tolgono all’uomo come prima cosa, il
diritto al dubbio.
E dei nostri diritti fa sicuramente
parte la possibilità di porci la questione su cui riflettiamo spesso: il famoso
DUBBIO DEI DUBBI. Dove andiamo? Che cosa si trova al di fuori e al di sopra del
tempo concesso alla nostra vita e allo spazio fisico da noi occupato? E’ umano porsi questo interrogativo, perché
se esiste qualcosa, qualsiasi cosa sia, allora anche il mondo in cui viviamo
non è quel disordine caotico che appare a prima vista, quella casualità
cieca che mescola fortune e disgrazie.
Se esiste qualcosa, deve,a maggior ragione, esserci un significato
ultimo, un valore di cui l’uomo possa farsi interprete e fautore.
Lo scienziato illuminista sa cosa
rispondere: esiste solo la materia e le leggi che regolano il movimento della
materia stessa. Esiste solo la legge matematica e la legge fisica. Soprattutto
esiste solamente ciò che possiamo valutare con la nostra ragione e la nostra
ragione trae nutrimento primo dalle esperienze suggerite dai cinque sensi. Ciò
che viene meno a questo procedimento razionale non può esistere.
E’ una posizione rispettabilissima,
soprattutto se si tiene conto del fatto che l’Illuminismo contribuisce a
seppellire definitivamente l’età barocca, un periodo in cui la realtà e la
fantasia, la fisica e la metafisica sconfinano l’una nell’altra e le seconde
costruiscono intorno alle prime delle proliferazioni inquietanti. Un bel scopa
di scopa, un aprire le finestre: il problema metafisico nell’illuminismo non
esiste, non esiste perché non si pone. E non si pone
perché é,
appunto, al di là della fisica, e solo ciò che è all’interno della fisica si
può porre come problema. Il resto è frutto di vacuità.
In sé per sé; l’ateismo illuminista
sa dare una parvenza di soluzione: una guida, sia pure limitata, esiste, ed
è la SCIENZA. Il dubbioso é colui che vuole conoscere cose per le quali mancano
strumenti conoscitivi adatti.
Ammettiamolo pure. Ma questa non può certe essere la risposta
ultima. Ed il pensiero Romantico insorge, si sente orfano di lo va a cercare.
L’ansia che spinge l’uomo a indagare
nella metafisica non si può placare a buon mercato, ed ecco che spunta di nuovo
il nome di Dio.
Il bisogno
di Dio è soprattutto il bisogno di un mondo diverso da quello che appare nei
suoi aspetti peggiori: di un mondo che, appunto perché create e governato da un
essere onnipotente e perfetto, non può rivolgersi alla mortificazione e
all’annientamento dell’uomo.
L’uomo cercava qualcosa che fosse al
di fuori e al di sopra di lui, ma se è stato lui stesso a creare Dio, questi
non può essere al di sopra e al di fuori di lui.
Eppure è proprio un Dio creata
dall’Uomo quello che è risultato, nei secoli, più utile all’uomo. Se l’uomo è
in cerca di Dio, in realtà è alla ricerca di qualcosa che gli somigli in
meglio, pronto a occuparsi di lui, a consolarlo nei suoi affanni, a suggerirgli
una strada per la soluzione dei suoi problemi ed eventualmente anche a punirlo
per le sue colpe.
Di un Dio lontanissimo e
disinteressato alle vicende umane, l’uomo non sa che farsene; il Dio creato
dall’uomo a propria immagine e somiglianza deve, in un certo senso, colmare
tutte le sensazioni di vuoto e di abbandono in cui spesso viene a trovarsi
l’essere Umano.
Ma il filosofo Russell sostiene: “Una
cosa è che la religione sia utile, altra
cosa è che la religione sia vera”. Aggiungiamo noi: Una cosa è Credere , altra
cosa è Sperare.
Il Romanticismo aveva creduto di
riempire i vuoti del pensiero laico-illuminista, ma non sa proporre nulla di
meglio che formule dialettiche e, nella migliore delle ipotesi, ideali
umanitari. Al crollo di questi l’uomo si trova completamente solo, abbandonato
a se stesso.
Allora, se vegliamo andare avanti non
dobbiamo formulare la domanda “Dove andiamo. Cosa c’è al di fuori e al di sopra
di noi?” . Per queste domande non abbiamo strumenti di indagine e di
dimostrazione, e perfino la Fede ci pone davanti il mistero del DOGMA. Se
chiediamo a S. Agostino cosa c’era prima della creazione del mondo, lui ci
risponde “DIO”; ma se gli chiediamo che cosa faceva DIO prima di creare il
mondo, ci risponde con una battuta: “preparava l’inferno per i curiosi”.
La fede ci risponde che non faceva
nulla, ERA nella sua totalità, ed a questo possiamo credere del tutto, e non
credere affatto. La scienza non ci dà una risposta migliore: prima del BIG—BANG c’è solo la fantascienza; quello che ha provocate
il BIG.-BANG ci è ignoto, né, per ora abbiamo possibilità di conoscerlo se non
attraverso la FANTASIA.
Perciò, o
siamo condannati al silenzio, eppure cerchiamo di aggirare il problema; la
questione deve essere posta in altro modo, sottoaltra ferma. Deve,
insomma, diventare una domanda “umana ”
, come:
“Che cosa
desideriamo realmente avere dalla risposta a quella domanda” ?
Se infatti
desideriamo conforto e consolazione, è bene che la nostra ricerca si orientiper vie diverse rispetto all’indagine di. chi desidera una risposta
scientifica. Quindi invitiamo noi stessi e ciascuno di voi a munirsi degli
strumenti più adatti per la strada che vogliamo percorrere. Questa strada non è
tracciata, non ha un punto di partenza né un punto di arrivo, e prenderà le
connotazioni che noi gli daremo, mano a mano che proseguiamo, perché solo due
cose possiamo per ora conoscere: che c’è una foresta da attraversare e che
possiamo aprirci in essa una strada solo con i mezzi che possediamo.
La foresta
da attraversare é l‘esperienza dell’angoscia, che subentra quando l’uomo ha
perso Ideali e Speranze, ma quando soprattutto non sa più dare alcuna
giustificazione alla propria esistenza.
L’uomo è
sempre quel che decide di essere, all’interno della sua posizione storica ed umana.
Nessun sacrificio è utile per procurarsi “cuscini in Paradiso” , se il Paradiso
non esiste.….Il senso della vita si trova mentre viviamo, e siamo noi stessi a
sceglierci quello che più ci piace, nell’ambito del nostro modo di sentire e
delle nostre esigenze caratteriali e volontarie.
La
religione non può essere la dispensatrice unica di verità legali e morali, in
quanto non è che una interpretazione umana di tali verità, e come tale è
destinata ad essere ricorretta.
Il rispetto
per la vita, l’aiutarci reciproco, e via dicendo, sonovalori che non
possono essere prerogativa dei credenti e basta. Se qualcuno ci chiede aiuto,
non deve chiedercele, come nei Promessi Sposi, “Per amor di Dio”, ma perché è
nostro dovere di esseri umani, così come è nostro diritto difenderci dalle
aggressioni che da essi ci possono venire.
L’uomo deve
sempre essere LIBERO di scegliere tra alternative “morali”
La
Chiesa, pur non venendo meno al ruolo di suggeritrice di comportamenti morali,
cerca o dovrebbe cercare, almeno nei suoi spiriti migliori e più aperti, di
mettersi in discussione e quindi di accettare la SFIDA del DUBBIO, per non
dover finire inevitabilmente nel dogmatismo più assoluto e intransigente.
In questa
gamma di spunti e riflessioni, emerge dunque un valore che non trova mai
contraddizione, per lo meno tra individui sani di mente: “La responsabilità
personale nella scelta del nostre pensiero privato”.
Allora ci
chiederete: “Qual è la
SOLUZIONE?”
Nessuna,
cari Fr T, la soluzione non esiste, non può esistere, esiste solo il diritto,
il dovere di porsi il DUBBIO, e di cercare la risposta, o le risposte, o la NON
risposta che sentiamo più congeniale.
L a
R e g o l a d e l l’ O r d i n e
d e l T e m p i o
(1128)
In
questa pagina riportiamo il testo integrale, tratto dall’originale latino,
della Regola Primitiva dell’Ordine del Tempio. Come si potrà constatare,
la Regola è durissima, e su di essa venivano stilati i vari regolamenti
interni delle Precettorie dell’Ordine, che potevano differire tra loro, se
pur di poco. La Regola Primitiva è stata scritta di proprio pugno da San Bernardo di Chiaravalle, il quale riprese
come traccia la regola benedettina, forgiandola e rendendola ancora più
dura e difficile da rispettare. La Regola è composta da 72 articoli, di
cui i primi 10 sono dedicati all’aspetto monacale guerriero dell’Ordine.
La Regola ha subito poi diverse integrazioni e modifiche, l’ultima delle
quali apportata sotto il pontificato di Bonifacio VIII. Questa edizione
della Regola inizia con la descrizione della presentazione al Concilio di
Troyes nel 1128, con tutti i nome dei padri conciliari presenti.
CONCILIO
REGOLA DEI POVERI COMMILITONI DI CRISTO E DEL TEMPIO DI
SALOMONE
Il
nostro (discorso) si dirige innanzitutto con fermezza a tutti coloro, che
intendono rinunciare a seguire le proprie volontà, e desiderano con
purezza di spirito militare per il sommo e vero Re, perché assumano
l’armatura insigne dell’obbedienza, adempiendola con particolarissima
cura, e la portino a perfezione con la perseveranza. Esortiamo dunque voi
che fino a questo momento avete abbracciato la milizia secolare, nella
quale Cristo non fu la causa, ma per solo umano favore, perché facciate
parte di coloro che Dio ha eletto dalla massa di perdizione e per gratuita
pietà riunì per la difesa della santa Chiesa, vi affrettiate ad associarvi
perennemente. Ma innanzitutto, chiunque sei, o soldato di Cristo, che hai
scelto tale santa conversazione, è necessario che usi una pura diligenza
verso la tua professione e una ferma perseveranza; questa, che è
conosciuta essere da Dio, tanto degna santa e sublime, meriterai di
ottenere forte, tra i militanti, che diedero le loro anime per Cristo se
con purezza e perseveranza sarà osservata. In questo è rifiorito e tornato
a splendere l’ordine militare, che, abbandonato lo zelo per la giustizia,
mirava a non difendere, come suo dovere, i poveri e le chiese, ma a
spogliare, rubare e uccidere. Si vive bene dunque con noi, ai quali il
Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo inviò i suoi amici dalla santa
città nelle terre di Francia e Borgogna, e non cessano per la nostra
salvezza diffusione della vera fede di offrire le loro anime quale ostia
gradita a Dio. Noi dunque con infinita gratitudine e fraterna pietà,
convenuti, per le preghiere del maestro Ugo, nel quale la sopraddetta
milizia ebbe inizio, per ispirazione dello Spirito Santo, dalle diverse
zone della provincia ultramontana nella solennità di sant’Ilario, anno
1128 dell’incarnazione del Figlio di Dio, nono dall’inizio della
sopraddetta milizia presso Troyes, sotto la guida di Dio, meritammo di
ascoltare dalla bocca dello stesso maestro Ugone il modo e l’osservanza
dell’ordine equestre secondo i singoli capitoli, e secondo la comprensione
della nostra esigua scienza, ciò che a noi sembrava assurdo, e tutto ciò
che nel presente concilio a noi non poteva essere a memoria riferito ho
detto, non per leggerezza ma per saggezza affidammo per approvazione del
comune capitolo in modo unanime alla provvidenza e alla discrezione del
venerabile padre nostro Onorio, e dell’inclito patriarca di Gerusalemme
Stefano, per sapienza necessità non ignari della religione orientale e
neppure dei poveri commilitoni di Cristo benché il massimo numero di padri
religiosi presenti in quel concilio per divina ispirazione raccomandi
l’autorità del nostro dettato, tuttavia non dobbiamo passare sotto
silenzio i loro pareri e le vere sentenze, io Giovanni Michele, per ordine
del concilio e del venerabile abate di Chiaravalle, al quale questo era
affidato e dovuto, ho meritato per grazia divina di essere umile scrivano
di questa pagina.
Nomi di padri
presenti al concilio di Troyes:
Presente come primo
fu il vescovo di Albano Matteo, legato per grazia di Dio dalla santa
Chiesa di Roma, poi Rainaldo arcivescovo di Reims, terzo Enrico
Arcivescovo di Sens, quindi i loro corepiscopi, Ranchedo vescovo di
Carnotensis, Golseno Vescovo Soissons, il Vescovo di Parigi, il Vescovo di
Troyes, il Presule di Orleansm il Vescovo di Auxerre, il Vescovo di Meaux,
il Vescovo di Chalons, il Vescovo di Laon, il Vescovo di Beauvais, l’Abate
di Vezzelay che non molto tempo dopo fu fatto Arcivescovo di Lione e
legato della Santa Romana Chiesa, l’Abate cirstercense, l’Abate di
Pontigny, l’Abate della Trois Fontain, l’Abate di S. Denise di Reims,
l’Abate di S.Etienne di Dijon, l’Abate di Molesmes….., non mancò il
soprannominato Abate Bernardo di Chiaravalle il cui parere i soprascritti
spontaneamente approvavano, erano presenti anche il Maestro Alberico di
Reims, e il Maestro Fulcherio e molti altri che sarebbe lungo enumerare,
inoltre riguardo ai non elencati sembra giusto che siano messi in mezzo
come amanti della verità. Il compagno Teobaldo, il compagno di Neverre e
Andrea di Baundemant, così assistevano al concilio, con attentissima cura
esaminavano ciò che era ottimo, temperavano ciò che a loro appariva
assurdo. Lo stesso Maestro Ugo con i suoi discepoli espose ai
soprannominati padri, secondo quanto ricordava, il modo e l’osservanza
della esigua origine del suo ordine militare il quale prese inizio da
colui che dice: “Io, il Principio, che a voi parlo”,. Piacque al concilio
che, esaminato diligentemente ivi il regolamento con l’aiuto e la
correzione delle Scritture, nonché con il suggerimento del Papa dei Romani
e del Patriarca dei Gerosolimitani, avuto pure l’assenso del capito dei
poveri Cavalieri del Tempio, che è in Gerusalemme, fosse consegnato allo
scritto, perché non fosse dimenticato, e indelebilmente fosse conservato:
questo perché con retta via meritassero di pervenire degnamente al loro
creatore, la cui dolcezza supera talmente il miele che a lui comparato è
più amaro dell’assenzio, per il quale militano, e riposino dalla Milizia
per gli infiniti secoli dei secoli.
Amen.
INIZIA LA REGOLA DEI POVERI COMMILITONI DELLA SANTA
CITTA’
I-Quale divino ufficio debbano udire
Voi
che rinunciate alla vostra volontà, e tutti gli altri che per la salvezza
della anime con cui militano per un certo tempo, con cavalli e armi per il
sommo re, abbiate cura di udire con pio e puro desiderio nella sua
totalità Matutini e l’Integro Servizio, secondo l’istituzione canonica e
la consuetudine dei dottori regolari della Santa Città.
Soprattutto da voi,
venerabili fratelli, è dovuto il sommo grado, poiché disprezzata la luce
di questa vita, e superata la preoccupazione dei vostri corpi, avete
promesso di disprezzare il mondo incalzante per amore di Dio per sempre:
rifocillati e saziati dal divino cibo, istituiti e confermati dai precetti
del Signore, dopo la consumazione del Divino Mistero nessuno tema la
battaglia, ma sia preparato alla corona.
II-Dicano le preghiere del Signore, se non hanno potuto udire
il servizio di Dio
Inoltre se un
fratello lontano per caso per un impegno della cristianità orientale (e
questo più spesso non dubitiamo sia avvenuto) non potesse udire per tale
assenza il servizio di Dio: per Matutini dica tredici orazioni del Signore
e per le singole ore, sette; per i Vespri, riteniamo se ne debbano dire
nove, e questo lo affermiamo unanimemente a libera voce: Questi infatti
impegnati così in un lavoro di preservazione, non possono accorrere
nell’ora opportuna al Divino Ufficio. Ma se fosse possibile, nell’ora
stabilita non trascurino quanto dovuto per istituzione.
III-Che cosa fare per i fratelli defunti
Quando uno dei
fratelli professi sacrifica ciò che è impossibile strappare alla morte,
che non risparmia nessuno, ciò che è impossibile strappare: ai cappellani
e ai sacerdoti che con voi caritatevolmente e temporaneamente servono al
Sommo Sacerdote comandiamo con carità di offrire per la sua anima a Cristo
con purezza di spirito l’ufficio e la Messa solenne. I fratelli ivi
presenti, che pernottano pregando per la salvezza del fratello defunto,
dicano cento orazioni del Signore fino al settimo giorno per il fratello
defunto: dal giorno in cui fu annunciata la morte del fratello, fino al
predetto giorno, il numero centenario venga rispettato con fraterna
osservanza nella sua integrità con divina e misericordiosa carità
scongiuriamo, e con pastorale autorità, comandiamo, che ogni giorno, come
al fratello si dava e si doveva nelle necessità così si dia ad un povero
fino al quarantesimo giorno ciò che è necessario al sostentamento di
questa vita, per quanto riguarda cibo e bevanda. Del tutto proibiamo ogni
altra offerta, che nella morte dei fratelli, e nella solennità di Pasqua,
inoltre nelle altre solennità, la spontanea povertà dei poveri commilitoni
di Cristo era solita in modo esagerato dare al Signore.
IV-I cappellani abbiano soltanto vitto e vestito
Comandiamo che per
comune accordo del capitolo le altre offerte e tutte le altre specie di
elemosine, in qualunque modo siano, vengano date con attenta cura ai
cappellani o gli altri che restano temporaneamente. Perciò i servitori
della Chiesa abbiano soltanto vitto e vestito secondo l’autorità, e non
pretendano di avere nulla di più, tranne che i maestri spontaneamente e
caritatevolmente abbiano dato.
V-I
soldati temporanei defunti
Vi
sono tra di noi dei soldati che temporaneamente e misericordiosamente
rimangono della casa di Dio, e Tempio di Salomone. Perciò con ineffabile
supplica vi preghiamo, scongiuriamo, e anche con insistenza comandiamo,
che nel frattanto la tremenda potestà avesse condotto qualcuno all’ultimo
giorno, per amore di Dio, fraterna pietà, un povero abbia sette giorni di
sostentamento per la sua anima.
VI-Nessun fratello professo faccia un’offerta
Abbiamo decretato,
come più sopra fu detto, che nessuno dei fratelli professi presuma di
trattare un’altra offerta: ma giorno e notte con cuore puro rimanga nella
sua professione, perché sia in grado di eguagliare il più santo dei
profeti in questo: prenderò il calice della salvezza, e nella mia morte
imiterò la morte del Signore: poiché come Cristo diede la sua anima per
me, così anche io sono pronto a dare l’anima per i fratelli, ecco
l’offerta giusta: ecco l’ostia viva gradita a Dio.
VII-Non esagerare nello stare in piedi
Abbiamo sentito con
le nostre orecchie un teste sincerissimo, che voi assistete al divino
ufficio stando costantemente in piedi: questo non comandiamo anzi
vituperiamo: comandiamo che finito il salmo, “Venite esultiamo al Signore”
con l’invitatorio e l’inno, tutti siedano tanto i forti quanto i deboli,
per evitare scandalo. Voi che siete presenti, terminato ogni salmo, nel
dire “Gloria al Padre”, con atteggiamento supplice alzatevi dai vostri
scanni verso gli altari, per riverenza alla Santa Trinità ivi nominata, e
insegnammo ai deboli il modo di chinarsi. Così anche nella proclamazione
del Vangelo, e al “Te Deum laudamus”, e durante tutte le Lodi, finché
finito “Benediciamo il Signore”, cessiamo di stare in piedi, comandiamo
anche che la stessa regola sia tenuta nei Matutini di S. Maria.
VIII-Il riunirsi per il pasto
In
un palazzo, ma sarebbe meglio dire refettorio, comunitariamente riteniamo
che voi assumiate il cibo, dove, quando ci fosse una necessità, a causa
della non conoscenza dei segni, sottovoce e privatamente è opportuno
chiedere. Così in ogni momento le cose che vi sono necessario con ogni
umiltà e soggezione di reverenza chiedete durante la mensa, poiché dice
l’apostolo: Mangia il tuo pane in silenzio. E il Salmista vi deve animare,
quando dice: Ho posto un freno alla mia bocca, cioè ho deciso dentro di
me, perché non venissi meno nella lingua cioè custodivo la mia bocca
perché non parlassi malamente.
IX-La lettura
Nel
pranzo e nella cena sempre si faccia una santa lettura. Se amiamo il
signore, dobbiamo desiderare di ascoltare attentamente le sue parole
salutifere e i suoi precetti. Il lettore vi intima il silenzio.
X-Uso della carne
Nella settimana, se
non vi cadono il Natale del Signore, o la Pasqua, o la festa di S. Maria,
o di tutti i Santi, vi sia sufficiente mangiare tre volte la carne:
l’abituale mangiare la carne va compresa quale grave corruzione del corpo.
Se nel giorno di Marte cadesse il digiuno, per cui l’uso della carne è
proibito, il giorno dopo sia dato a voi più abbondantemente. Nel giorno
del Signore appare senza dubbio, opportuno dare due portate a tutti i
soldati professi e ai cappellani in onore della Santa Resurrezione. Gli
altri invece, cioè gli armigeri e gli aggregati, rimangono contenti di
uno, ringraziando.
XI-Come debbono mangiare i soldati
E’
opportuno generalmente che mangino due per due, perché l’uno
sollecitamente provveda all’altro, affinché la durezza della vita, o una
furtiva astinenza non si mescoli in ogni pranzo. Questo giudichiamo
giustamente, che ogni soldato o fratello abbia per sé solo una uguale ed
equivalente misura di vino.
XII-Negli altri giorni siano sufficienti due o tre portate di
legumi
Negli altri giorni
cioè nella seconda e quarta feria nonché il sabato, riteniamo che siano
sufficienti per tutti due o tre portate di legumi o di altri cibi, o che
si dica companatici cotti: e così comandiamo che ci si comporti, perché
chi non possa mangiare dell’uno sia rifocillato dall’altro.
XIII-Con quale cibo è necessario cibarsi nella feria
sesta
Nella feria sesta
riteniamo lodevole accontentarsi di prendere solamente un unico cibo
quaresimale per riverenza alla passione, tenuto conto però della debolezza
dei malati, a partire dalla festa dei santi fino a Pasqua, tranne che
capiti il Natale del Signore o la festa di S. Maria o degli Apostoli.
Negli altri tempi, se non accadesse un digiuno generale, si rifocillino
due volte.
XIV-Dopo il pranzo sempre rendano grazie
Dopo il pranzo e la
cena sempre nella chiesa, se è vicina, o, se così non è, nello stesso
luogo, come conviene, comandiamo che con cuore umiliato immediatamente
rendano grazie al sommo procuratore nostro: che è Cristo: messi in
disparte in pani interi, si comanda di distribuire come dovuto per
fraterna carità ai servi o ai poveri i resti.
XV-Il decimo del pane sia sempre dato
all’elemosiniere
Benché il premio
della povertà che è il regno dei cieli senza dubbio spetti ai poveri: a
voi tuttavia, che la fede cristiano vi confessa indubitabilmente parte di
quelli, comandiamo che il decimo di tutto il pane quotidianamente
consegniate al vostro elemosiniere.
XVI-La colazione sia secondo il parere del maestro
Quando il sole
abbandona la regione orientale e discende nel sonno, udito il segnale,
come è consuetudine di quella regione, è necessario che tutti voi vi
rechiate a Compieta, ma prima desideriamo che assumiate un convivio
generale. Questo convivio poniamo nella disposizione e nella discrezione
del maestro, perché quando voglia sia composto di acqua; quando con
benevolenza comanderà, di vino opportunamente diluito. Questo non è
necessario che conduca a grande sazietà o avvenga nel lusso, ma sia parco;
infatti vediamo apostatare anche i sapienti.
XVII-Terminata la Compieta si conservi il silenzio
Finita la Compieta è
necessario recarsi al giaciglio. Ai fratelli che escono da Compieta non
venga data licenza di parlare in pubblico, se non per una necessità
impellente; quanto sta per dire al suo scudiero sia detto sommessamente.
Forse può capitare che in tale intervallo per voi che uscite da Compieta,
per grandissima necessità di un affare militare, o dello stato della
nostra casa, perché il giorno non è stato sufficiente, sia necessario che
lo stesso maestro parli con una parte dei fratelli, oppure colui al quale
è dovuto il comando della casa come maestro. Così questo comandiamo che
avvenga; poiché è scritto: Nel molto parlare non sfuggirai al peccato. E
altrove: La morte e la vita nelle mani della lingua. In questo colloquio
proibiamo la scurrilità, le parole inutili e ciò che porta al riso: e a
voi che vi recate a letto, se qualcuno ha detto qualcosa di stolto,
comandiamo di dire l’orazione del Signore con umiltà e devota purezza.
XVIII-Gli stanchi non si alzino per i Matutini
Non
approviamo che i soldati stanchi si alzino per i Matutini, come è a voi
evidente: ma con l’approvazione del maestro, o di colui al quale fu
conferito dal maestro, riteniamo unanimemente che essi debbano riposare e
cantare le tredici orazioni costituite, in modo che la loro mente concordi
con la voce secondo quanto detto dal profeta: Salmeggiate al Signore con
sapienza: e ancora: al cospetto degli angeli salmeggerò a te. Ma questo
deve dipendere dal consiglio del maestro.
XIX-Sia conservata comunità di vitto tra i fratelli
Si
legge nella pagina Divina: Si divideva ai singoli, come era necessario per
ciascuno. Perciò non diciamo che vi sia accezione di persone ma vi deve
essere considerazione delle malattie. Quando uno ha meno bisogno, ringrazi
Dio, e non si rattristi: colui che ha bisogno si umili per l’infermità,
non si innalzi per la misericordia, e così tutte le membra saranno in
pace. Ma questo proibiamo ché a nessuno sia lecito abbracciare una
astinenza fuori posto, ma conducano una vita comune costantemente.
XX-Qualità e stile del vestito
Comandiamo che i
vestiti siano sempre di un unico colore, ad esempio bianchi, o neri, o,
per così dire, bigi. A tutti i soldati professi in inverno e in estate, se
è possibile, concediamo vesti bianche, cosicché coloro che avranno
posposto una vita tenebrosa, riconoscano di doversi riconciliare con il
loro Creatore, mediante una vita trasparente e bianca. Che cosa di bianco,
se non l’integra castità? La castità è sicurezza della mente, e sanità del
corpo. Infatti ogni militare, se non avrà preservato nella castità, non
potrà raggiungere la pace perpetua e vedere Dio; come attesta l’apostolo
San Paolo: Seguiamo la pace con tutti e la castità, senza cui nessuno
vedrà il Signore. Ma perché una sia di questo stile deve essere privo
della nota arroganza e del superfluo; comandiamo a tutti che abbiano tali
cose affinché ciascuno da solo sia capace senza clamore di vestirsi e
svestirsi, mettersi i calzari e levarseli. Il procuratore di questo
ministero con vigile cura sia attento nell’evitare questo, coloro che
ricevono abiti nuovi, restituiscano subito i vecchi, da riporre in camera,
o dove il fratello ci spetta il compito avesse deciso, perché possano
servire agli scudieri o agli aggregati, oppure ai poveri.
XXI-I servi non portino vesti bianche, cioè pallii
Decisamente
disapproviamo quanto era nella casa di Dio e del tempio dei suoi soldati,
senza discrezione e decisione del comune capitolo, e comandiamo, che venga
radicalmente eliminato quasi fosse un vizio proprio. I servi e gli
scudieri portavano una volta vestiti bianchi, donde derivavano danni.
Sorsero infatti in zone ultra montane alcuni falsi fratelli, sposati, ed
altri, che dissero di appartenere al Tempio, mentre sono del mondo.
Costoro procurarono tante ingiurie e tanti danni all’ordine militare, e
gli aggregati presuntuosi come professi insuperbendo fecero nascere
numerosi scandali. Portino quindi sempre vestiti neri: nel caso in cui
questi non possano essere trovati, abbiano quelli che si possano trovare
nella provincia in cui abitano, o quanto può essere avvicinato alla più
semplice di un unico colore, cioè bigio.
XXII-I soldati professi portino solo vestiti bianchi
A
nessuno è concesso portare tuniche candide, o avere pallii bianchi, se non
ai nominati soldati.
XXIII-Si usino solo pelli di agnelli
Abbiamo deciso di
comune accordo, che nessun fratello professo abbia pelli di lunga durata
perenne o pelliccia o qualcosa di simile, e che serva al corpo, anche per
coprirlo se non di agnelli o arieti.
XXIV-I vecchi vestiti siano dati agli scudieri
Il
procuratore o datore dei vestiti con ogni attenzione dia i vecchi abiti
sempre agli scudieri e agli aggregati, e talvolta ai poveri, agendo con
fedeltà ed equità.
XXV-Chi brama le cose migliori abbia le peggiori
Se
un fratello professo, o perché gli è dovuto o perché mosso da superbia
volesse abiti belli o ottimi, meriterebbe per tale presunzione senza
dubbio quelli più umili.
XXVI-Sia rispettata la qualità e la quantità dei
vestiti
E’
necessario osservare la quantità secondo la grandezza dei corpi e la
larghezza dei vestiti: colui che consegna gli abiti sia in questo
attento.
XXVII-Colui che consegna i vestiti conservi innanzitutto
l’uguaglianza
Il
procuratore con fraterno intuito consideri la lunghezza, come sopra fu
detto, con la stessa attenzione, perché l’occhio dei sussurratori o dei
calunniatori non presuma di notare alcunché: e in tutte queste cose,
umilmente mediti la ricompensa di Dio.
XXVIII-L’inutilità dei capelli
Tutti i fratelli,
soprattutto i professi, è bene che portino capelli in modo che possano
essere considerati regolari davanti e dietro e ordinati; e nella barba e
nei baffi si osservi senza discussione la stessa regola, perché non si
mostri o superficialità o il vizio della frivolezza.
XXIX-Circa gli speroni e le collane
Chiaramente gli
speroni e le collane sono una questione gentilizia. E poiché questo è
riconosciuto abominevole da tutti, proibiamo e rifiutiamo l’autorizzazione
a possederli, anzi vogliamo che non ci siano. A coloro che prestano
servizio a tempo non permettiamo di avere né speroni, né collane, né
capigliatura vanitosa, né esagerata lunghezza di vestiti, anzi del tutto
proibiamo. A coloro che servono al sommo creatore è sommamente necessaria
la mondezza interna ed esterna, come egli stesso attesta, dicendo: Siate
mondi, perché Io sono mondo.
XXX-Numero dei cavalli e degli scudieri
A
ciascun soldato è lecito possedere tre cavalli, poiché l’insigne povertà
della casa di Dio e del Tempio di Salomone non permette di aumentare
oltre, se non per licenza del maestro.
XXXI-Nessuno ferisca uno scudiero che serve
gratuitamente
Concediamo ai
singoli militari per la stessa ragione un solo scudiero. Ma se
gratuitamente e caritatevolmente quello scudiero appartiene a un soldato,
a costui non è lecito flagellarlo, e neppure percuoterlo per qualsiasi
colpa.
XXXII-In che modo siano ricevuti coloro che restano a
tempo
Comandiamo a tutti i
soldati che desiderano servire a tempo a Gesù Cristo con purezza d’animo
nella stessa casa, di comprare fedelmente cavalli idonei in questo impegno
quotidiano, e armi e quanto è necessario. Abbiamo anche giudicato, tutto
considerato, che sia cosa buona e utile valutare i cavalli. Si conservi
perciò il prezzo per iscritto perché non venga dimenticato: quanto sarà
necessario al soldato, o ai suoi cavalli, o allo scudiero, aggiunti i
ferri dei cavalli secondo la facoltà della casa, sia acquistato dalla
stessa casa con fraterna carità. Se frattanto il soldato per qualche
evento perdesse i suoi cavalli in questo servizio; il maestro per quanto
può la casa, ne procurerà altri. Al giungere del momento di rimpatriare,
lo stesso soldato conceda la metà del prezzo per amore divino, e se a lui
piace, riceva l’altra dalla comunità dei fratelli.
XXXIII-Nessuno agisca secondo la propria volontà
E’
conveniente a questi soldati, che stimano niente di più caro loro di
Cristo, che per il servizio, secondo il quale sono professi, e per la
gloria della somma beatitudine, o il timore della geenna, prestino
continuamente obbedienza al maestro. Occorre quindi che immediatamente, se
qualcosa sia stato comandato dal maestro, o da colui al quale è stato dato
mandato dal maestro, senza indugio, come fosse divinamente comandato, nel
fare non conoscano indugio. Di questi tali la stessa verità dice: Per
l’ascolto dell’orecchio mi ha obbedito.
XXXIV-Se è lecito andare senza comando del maestro in un luogo
isolato
Scongiuriamo, e
fermamente loro comandiamo, che i generosi soldati che hanno rinunciato
alla propria volontà, e quanti sono aggregati, senza la licenza del
maestro, o di colui cui fu conferito, di non permettersi di andare in un
luogo isolato, eccetto di notte al sepolcro, in armi, e sorvegliare,
poiché l’astuto nemico colpisce di giorno e di notte, o a quei luoghi che
sono inclusi nelle mura della santa città.
XXXV-Se è lecito camminare da soli
Coloro che
viaggiano, non ardiscano iniziare un viaggio né di giorno né di notte,
senza un custode, cioè un soldato o un fratello professo. Infatti dopo che
furono ospitati nella milizia, nessun militare, o scudiero o altro, si
permetta di andare per vedere negli atri degli altri militari, o per
parlare con qualcuno, senza permesso, come fu detto sopra. Perciò
affermiamo saggiamente, che in tale casa ordinata da Dio, nessuno secondo
il suo possesso svolga il proprio servizio o riposi; ma secondo il comando
del maestro ciascuno agisca così che imiti la sentenza del Signore, con
cui ha detto: Non sono venuto a fare la mia volontà, ma di Colui che mi ha
mandato.
XXXVI-Nessuno chieda singolarmente ciò che è a lui
necessario
Comandiamo, che sia
scritta tra le altre come propria questa consuetudine e posta ogni
attenzione confermiamo perché si eviti di cercare il vizio. Nessun
fratello professo, deve chiedere che gli sia assegnato personalmente un
cavallo o una cavalcatura o delle armi. In che modo? Se la sua malattia, o
la debolezza dei sui cavalli, o la scarsezza delle sue armi, fosse
riconosciuta tale, che avanzare così sia un danno comune: si rechi dal
maestro, o da colui chi è dovuto il ministero dopo il maestro, e gli
esponga la causa con sincerità e purezza: infatti la cosa va risolta nella
decisione del maestro, o del suo procuratore.
XXXVII-I morsi e gli speroni
Non
vogliamo che mai oro o argento che sono ricchezze particolari appaiano nei
morsi o nei pettorali, né gli speroni, o nei finimenti, né sia lecito ad
alcun fratello professo acquistarli. Se per caso tali vecchi strumenti
fossero stati dati in dono, l’oro o l’argento siano colorati in modo che
il colore o il decoro non appaia arroganza in mezzo agli altri. Se fossero
stati dati nuovi, il maestro faccia ciò che vuole di queste cose.
XXXVIII-Sulle aste e sugli scudi non venga posta una
copertura
Non
si abbia una copertura sopra gli scudi e le aste, perché secondo noi
questo non è proficuo, anzi dannoso.
XXXIX-L’autorizzazione del maestro
Al
maestro è lecito dare cavalli o armi a chiunque, o a chi ritiene opportuno
qualunque altra cosa.
XL-Sacco e baule
Non
sono permessi sacco e baule con il lucchetto: così siano presentati,
perché non si posseggano senza il permesso del maestro, o di colui a cui
furono affidati i compiti della casa e i compiti in sua vece. Da questa
norma sono esclusi i procuratori e coloro che abitano in provincie
diverse, e neppure è inteso lo stesso maestro.
XLI-L’autorizzazione scritta
In
nessun modo a un fratello sia lecito ricevere, o dare, dai propri parenti,
né qualsiasi uomo, né dall’uno all’altro, senza il permesso del maestro o
del procuratore. Dopo che un fratello avrà avuto licenza, alla presenza
del maestro, se così a lui piace, siano registrati. Nel caso che dai
parenti sia indirizzato a lui qualcosa, non si permetta riceverla, se
prima non è stato segnalato al maestro. In questa norma non sono inclusi
il maestro e i procuratori della casa.
XLII-La confessione delle proprie colpe
Poiché ogni parola
oziosa si sa che genera il peccato, che cosa essi diranno ostentatamente
riguardo alle proprie colpe davanti al severo giudice. Dice bene il
profeta che se occorre astenersi dai buoni discorsi per il silenzio,
quanto più occorre astenersi dalle cattive parole per la penda del
peccato. Vietiamo quindi che un fratello professo osi ricordare con un suo
fratello, o con qualcun altro, per meglio dire, le stoltezze, che nel
secolo nel servizio militare compì in modo enorme, e i piaceri della carne
con sciaguratissime donne, o qualsiasi altra cosa: e se per caso avesse
sentito qualcuno che riferisce tali cose, lo faccia tacere, o appena può
si allontani per obbedienza, e al venditore d’olio non offra il cuore.
XLIII-Questua e accettazione
Se
a un fratello fosse stata data qualcosa senza averla chiesta, la consegni
al maestro o all’economo: se un altro suo amico o parente non volesse che
fosse usata se non da lui, questa non riceva fino a quando abbia il
permesso del maestro. Colui al quale sarà stata data la cosa, non
dispiaccia che venga data ad un altro: sappia per certo, che se si
arrabbiasse per questo, agisce contro Dio. Nella sopraddetta regola non
sono contenuti gli amministratori ai quali in modo speciale è affidato e
concesso il ministero riguardo al sacco e al baule.
XLIV-I sacchi per il cibo sui cavalli
E’
utile a tutti che questo ordine da noi stabilito sia rispettato senza
eccezioni. Nessun fratello presuma di confezionare sacchi per il cibo di
lino o di lana, preparati con troppa cura: non ne abbia se non di panno
grezzo.
XLV-Nessuno osi cambiare o domandare
Nessuno presuma di
cambiare le sue cose, fratello con il fratello, senza l’autorizzazione del
maestro, e chiedere qualcosa, se non fratello al fratello, purché la cosa
sia piccola, vile, non grande.
XLVI-Nessuno catturi un uccello con un uccello, neppure proceda
con il richiamo
Noi
giudichiamo con sentenza comune che nessuno osi catturare un uccello con
un uccello. Non conviene infatti aderire alla religione conservando i
piaceri mondani, ma ascoltare volentieri i comandamenti del Signore,
frequentemente applicarsi alle preghiere, confessare a Dio i propri
peccati con lacrime e gemito quotidianamente nella preghiera. Nessun
fratello professo per questa causa principale presuma di accompagnarsi con
un uomo che opera con il falco o con qualche altro uccello.
XLVII-Nessuno colpisca una fiera con l’arco o la
balestra
E’
conveniente camminare in atteggiamento pio, con semplicità, senza ridere,
umilmente, non pronunciando molte parole, ma ragionando, e non con voce
troppo elevata. Specialmente imponiamo e comandiamo ad ogni fratello
professo di non osare entrare in un bosco con arco o balestra o lanciare
dardi: non vada con colui che fece tali cose se non per poterlo salvare da
uno sciagurato pagano: né osi gridare con un cane né garrire; né spinga il
suo cavallo per la bramosia di catturare la fiera.
XLVIII-Il leone sia sempre colpito
Infatti è certo, che
a voi fu specialmente affidato il compito di offrire la vita per i vostri
fratelli, e eliminare dalla terra gli increduli, che sempre minacciano il
Figlio della Vergine. Del leone questo leggiamo, perché egli circuisce
cercando chi divorare, e le sue mani contro tutti, e le mani di tutti
contro lui.
XLIX-Ascoltate il giudizio riguardo a quanto è chiesto su di
voi
Sappiamo che i
persecutori della Santa Chiesa sono senza numero, e si affrettano
incessantemente e sempre più crudelmente ad inquietare coloro che non
amano le contese. In questo si tenga la sentenza del Concilio fatta con
serena considerazione, che se qualcuno nelle parti della regione
orientale, o in qualunque altro luogo chiedesse qualcosa su di voi, a voi
comandiamo di ascoltare il giudizio emesso da giudici fedeli e amanti del
vero; e ciò che sarà giusto, comandiamo che voi compiate senza
esitazione.
L-In ogni cosa sia tenuta questa regola
Questa stessa regola
comandiamo che venga tenuta per sempre in tutte le cose che
immeritatamente sono state a voli tolte.
LI-Quando è lecito a tutti i militari professi avere una terra
e degli uomini
Crediamo che per
divina provvidenza nei santi luoghi prese inizio da voi questo genere
nuovo di religione che cioè alla religione sia unita la milizia e così per
la religione proceda armata mediante la milizia, o senza colpa colpisca il
nemico. Giustamente quindi giudichiamo, poiché siamo chiamati soldati del
Tempio che voi stessi per l’insigne e speciale merito di probità abbiate
casa, terra, uomini, contadini e giustamente li governate: e a voi è
dovuto in modo particolare quanto stabilito.
LII-Ai malati sia dedicata un’attenzione particolare
Ai
fratelli che stanno male occorre prestare una cura attentissima, come si
servisse a Cristo in loro: il detto evangelico, sono stato infermo e mi
visitaste sia attentamente ricordato. Costoro vanno sopportati
pazientemente, perché mediante loro senza dubbio si acquista una
retribuzione superiore.
LIII-Agli infermi sia sempre dato ciò che è
necessario
Agli assistenti
degli infermi comandiamo con ogni osservanza e attenta cura, che quanto è
necessario per le diverse malattie, fedelmente e diligentemente, secondo
le possibilità della casa sia loro amministrato, ad esempio, carne e
volatili ed altro, fino quando siano restituiti alla sanità.
LIV-Nessuno provochi l’altro all’ira
Massima attenzione
va posta perché qualcuno non presuma di provocare l’altro all’ira: infatti
la somma clemenza della vicina divina fraternità congiunse tanto i poveri
quanto i potenti.
LV-In che modo siano accolti i fratelli sposati
Permettiamo a voi di
accogliere i fratelli sposati in questo modo, se chiedono il beneficio e
la partecipazione della vostra fraternità, entrambi concedano una parte
della loro sostanza e quanto avessero ad acquistare lo diano all’unità del
comune capitolo dopo la loro morte, e frattanto conducano una vita onesta,
e si studino di agire bene verso i fratelli, ma non portino la veste
candida e il mantello bianco. Se il marito fosse morto prima, lasci la sua
parte ai fratelli: la moglie ricavi il sostegno della vita dall’altra
parte. Consideriamo infatti questo ingiusto che fratelli di questo tipo
risiedano nella stessa casa dei fratelli che hanno promesso la castità a
Dio.
LVI-Non si abbiano più sorelle
Riunire ancora
sorelle è pericoloso: l’antico nemico a causa della compagnia femminile
cacciò molti dalla retta via del paradiso. Perciò, fratelli carissimi,
perché sempre tra voi sia visibile il fiore dell’integrità, non è lecito
mantenere ancora questa consuetudine.
LVII-I fratelli del Tempio non abbiano parte con gli
scomunicati
Questo, fratelli è
da evitare e da temere, che qualcuno dei soldati di Cristo in qualche modo
si unisca ad una persona scomunicata singolarmente e pubblicamente, o
presuma di ricevere le sue cose, perché la scomunica non sia simile al
marantha (vieni Signore). Ma se fosse soltanto interdetto, non sarà fuori
posto avere parte con lui, e ricevere caritatevolmente le sue cose.
LVIII-In che modo vanno ricevuti i soldati secolari
Se
un soldato dalla massa della perdizione, o un altro secolare, volendo
rinunziare al mondo, volesse scegliere la nostra comunione e vita, non si
dia a lui subito l’assenso, ma secondo la parola di Paolo, provate gli
spiriti se sono da Dio così a lui sia concesso l’ingresso. Si legga dunque
la Regola in sua presenza: e se costui ottempererà diligentemente ai
comandi di questa esimia Regola, allora se al maestro e ai fratelli sarà
piaciuto riceverlo, convocati i fratelli esponga con purezza d’animo a
tutti il suo desiderio e la sua richiesta. In seguito il termine della
prova dipenda in tutto dalla considerazione e dalla decisione del maestro,
secondo l’onestà di vita del richiedente.
LIX-Non siano chiamati tutti i fratelli al consiglio
privato
Comandiamo che non
sempre siano convocati al consiglio tutti i fratelli, ma solo quelli che
il maestro avrà ritenuto idonei e provvidenziali per il consiglio. Quando
volesse trattare le questioni maggiori, quale dare la terra comune, o
discutere dell’Ordine stesso, o ricevere un fratello: allora è opportuno
convocare tutta la congregazione, se così ritiene il maestro; udito il
parere di tutto il capitolo, quanto di meglio e di più utile il maestro
avrà ritenuto opportuno, questo si faccia.
LX-Devono pregare in silenzio
Comandiamo con
parere concorde che, come avrà richiesto la propensione dell’anima e del
corpo, i fratelli preghino in piedi o seduti: tuttavia con massima
riverenza con semplicità, senza chiasso, perché uno non disturbi
l’altro.
LXI-Ricevere la fede dei serventi
Abbiamo saputo che
molti da diverse province, tanto aggregati, quanto scudieri desiderano
vincolarsi nella nostra casa a tempo con animo fervoroso per la salvezza
delle anime. E’ utile che riceviate la fede loro, affinché per caso
l’antico nemico non intimi loro nel servizio di Dio alcunché furtivamente
o indecentemente, o li distolga improvvisamente dal buon proposito.
LXII-I fanciulli, fin quando sono piccoli, non siano ricevuti
tra i fratelli del Tempio
Quantunque la Regola
dei Santi Padri permetta di avere dei fanciulli in una congregazione, noi
non riteniamo di dover caricare voi di tale peso. Chi volesse dare in
perpetuo suo figlio, o un suo congiunto, nella religione militare: lo
nutra fino agli anni, in cui virilmente con mano armata possa eliminare
dalla Terra Santa i nemici di Cristo: in seguito secondo la Regola il
padre o i genitori lo pongano in mezzo ai fratelli, e rendano nota la sua
richiesta. E’ meglio nella fanciullezza non giurare, piuttosto che
diventato uomo ritirarsi in modo clamoroso.
LXIII-Sempre i vecchi siano venerati
E’
bene che i vecchi con pia considerazione, secondo la debolezza delle forze
siano sopportati e diligentemente onorati: i nessun modo si usi severità
in quanto la tolleranza è necessaria per il corpo, salva tuttavia
l’autorità della Regola.
LXIV-I fratelli che partono per diverse province
I
fratelli che si incamminano per diverse province, per quanto lo permettano
le forze, si impegnino a osservare la Regola nel cibo e nella bevanda e
nelle altre cose, e vivano in modo irreprensibile, perché abbiano buona
testimonianza da coloro che stanno fuori: non macchino il proposito di
religione né con parola né con atto, ma soprattutto a coloro, con i quali
si sono incontrati, offrano esempio e sostanza di sapienza e di buone
opere. Colui presso il quale avranno deciso di alloggiare, abbia buona
fama: e, se è possibile, la casa dell’ospite in quella notte non manchi
della candela, affinché il nemico tenebroso non procuri la morte, Dio non
voglia. Quando avranno sentito di riunire soldati non scomunicati, diciamo
che colà devono andare non preoccupandosi di una utilità temporale, quanto
piuttosto della salvezza eterna delle loro anime. Ai fratelli diretti
nelle zone aldilà del mare con la speranza di essere trasportati,
raccomandiamo di ricevere con questa convenzione coloro che avessero
voluto unirsi in perpetuo all’Ordine militare: entrambi si presentino al
Vescovo di quella provincia e il presule ascolti la volontà di colui che
chiede. Ascoltata la richiesta, il fratello lo invii al maestro e ai
fratelli che si trovano nel Tempio che è in Gerusalemme: e se la sua vita
è onesta e degna di tale appartenenza, misericordiosamente sia accolto, se
questo sembra bene al maestro e ai fratelli. Se nel frattempo morisse, a
causa del lavoro e della fatica, come a un fratello, a lui sia
riconosciuto tutto il beneficio e la fraternità dei poveri e dei
commilitoni di Cristo.
LXV-A tutti sia distribuito in modo uguale il vitto
Riteniamo anche che
questo in modo congruo e ragionevole sia rispettato, che a tutti i
fratelli professi sia dato cibo in eguale misura secondo la possibilità
del luogo: non è infatti utile l’accezione delle persone, ma è necessario
considerare le indisposizioni.
LXVI-I soldati abbiano le decime del Tempio
Crediamo che avendo
abbandonato le ricchezze a voi donate abbiate ad essere soggetti alla
spontanea povertà, per cui in questo modo abbiamo dimostrato in quale modo
spettino a voi che vivete in vita comune le decime. Se il Vescovo della
chiesa, al quale è dovuta giustamente la decima, avrà voluto darla a voi
caritatevolmente: deve dare a voi le decime che allora la Chiesa sembra
possedere con il consenso del capitolo comune. Se un laico dovesse
impossessarsi di essa (decima) o sottrarla dal suo patrimonio in modo
condannabile, e confessando la propria colpa avrà voluto lasciare a voi la
stessa: secondo la discrezione di colui che presiede questo può essere
fatto, senza il consenso del capitolo.
LXVII-Le colpe leggere e gravi
Se
un fratello avrà sbagliato in modo lieve nel parlare, nell’agire o
altrimenti, egli stesso confessi al maestro il suo peccato con l’impegno
della soddisfazione. Per le cose lievi, se non esiste una consuetudine, ci
sia una lieve penitenza. Nel caso in cui tacesse e la colpa fosse
conosciuta attraverso un altro, sia sottoposto a una disciplina e ad una
riparazione maggiore e più evidente.
Se
la colpa sarà grave, si allontani dalla familiarità dei fratelli, né mangi
con loro alla stessa mensa, ma da solo assuma il pasto. Il tutto dipenda
dalla decisione e dall’indicazione del maestro, affinché sia salvo nel
giorno del giudizio.
LXVIII-Per quale colpa il fratello non sia più
accolto
Soprattutto occorre
provvedere che, nessun fratello, sia potente o impotente, forte o debole,
voglia esaltarsi e poco a poco insuperbire, difendere la propria colpa,
possa rimanere indisciplinato: ma, se non avrà voluto correggersi, a lui
venga data una correzione più severa. Che se non avrà voluto correggersi
con pie ammonizioni e per le preghiere a lui innalzate, ma si sarà
innalzato sempre più nella superbia: allora secondo l’apostolo, sia
sradicato dal pio gregge: togliete il male da voi: è necessario che la
pecora malata sia allontanata dalla società dei fratelli fedeli. Inoltre
il maestro che deve tenere in mano il bastone e la verga (cioè il bastone,
con cui sostenga le debolezze delle altre forze, la verga con cui colpisca
con lo zelo della rettitudine i vizi di coloro che vengono meno) con il
consiglio del Patriarca e con una considerazione spirituale sul da farsi
affinché, come dice il beato Massimo, la più libera clemenza non approvi
l’arroganza del peccatore, né l’esagerata severità non richiami
dall’errore chi sbaglia.
LXIX-Dalla solennità di Pasqua fino a Tutti i Santi si possa
soltanto portare una camicia di lino
Per
il grande caldo della regione orientale, consideriamo compassionevolmente,
che dalla festa di Pasqua fino alla solennità di Tutti i Santi, si dia a
ciascuno una unica camicia di lino, non per il dovuto, ma per sola grazia,
e questo dico per chi vorrà usufruire di essa. Negli altri tempi
generalmente tutti portino camicie di lana.
LXX-Quanti e quali panni siano necessari nel letto
Per
coloro che dormono nei singoli letti riteniamo di comune consiglio, se non
sopravviene qualche grave causa o necessità: ciascuno abbia biancheria
secondo la discreta assegnazione del maestro: crediamo infatti che a
ciascuno sia sufficiente un pagliericcio, un cuscino e una coperta. Colui
che manca di uno di questi, prenda una stuoia, e in ogni tempo sarà lecito
usufruire di una coperta di lino, cioè un panno: dormano vestiti con la
camicia, e sempre dormano indossando gli stivali. Mentre i fratelli
dormono, fino al mattino non manchi la lucerna.
LXXI-Va evitata la mormorazione
Comandiamo a voi,
per divino ammonimento di evitare, quasi peste da fuggire, le emulazioni,
il livore, le mormorazioni, il sussurrare, le detrazioni. Si impegni
ciascuno con animo vigile, a non incolpare o riprendere il suo fratello ma
ricordi tra se la parola dell’apostolo: non essere un accusatore, né
diffamatore del popolo. Quando qualcuno avrà conosciuto che un fratello ha
peccato in qualcosa, in pace e fraterna pietà, secondo il precetto del
Signore, lo corregga tra sé e lui solo: e se non lo avrà ascoltato prenda
un altro fratello: ma se avrà disprezzato entrambi, in riunione davanti al
capitolo tutto sia rimproverato. Soffrono di grave cecità, coloro che
calunniano gli altri; sono di grande infelicità coloro che non si guardano
dal livore: da qui sono immersi nell’antica iniquità dell’astuto
nemico.
LXXII-Si evitino i baci di tutte le donne
Riteniamo pericoloso
per ogni religioso fissare lungamente il volto delle donne: perciò un
fratello non osi baciare né una vedova, né una nubile, né la madre, né la
sorella, né un’amica, né nessuna altra donna. Fugga dunque la milizia di
Cristo i baci femminili, attraverso i quali gli uomini spesso sono in
pericolo: così con coscienza pura e vita libera può perennemente
conversare al cospetto del Signore.
Dante
all’inizio del Purgatorio fa dire a Virgilio che …
“libertà va cercando ch’è si cara / come sa
chi per lei vita rifiuta”
“Liberté” è
la prima parola che figura nel vessillo della Rivoluzione francese
Libertà è soprattutto uno dei pilastri
fondamentali del credo massonico.
La Libertà
concepita in senso massonico non incontra quegli ostacoli che la delimitano sul
piano dei rapporti umani e sociali. Nell’interiorità dell’individuo non
esistono confini o spazi altrui da rispettare. Lo spirito ha una dimensione
assoluta, incommensurabile. Lo spaziare nell’infinito è un viaggio
affascinante, in cui l’uomo nella visione massonica può provare l’ebbrezza che
si prova a contatto con l’ossigeno puro.
Se poi il viaggio avviene in compagnia di altri
Fratelli, esploratori dello spirito come lui, sarà ancora più emozionante. Si
arriverà al G.A.D.U.? Si rimarrà delusi di non averlo trovato? Si giungerà in
un porto tranquillo o si navigherà in eterno in acque burrascose? Si ritroverà
se stessi o ci si perderà? Non conosciamo la meta, il Massone segue un istinto
insopprimibile, quello che da sempre ha animato i migliori spiriti. Il suo
viaggio avviene a tappe, ognuna delle quali gli riserva una nuova emozione. Ad
ogni traguardo raggiunto gli si dischiudono nuovi orizzonti più lontani; la
sensazione che prova è quella di un viaggio senza fine, ma di un viaggio che lo
arricchirà interiormente e che, comunque si concluda, rappresenterà per lui
un’esperienza irripetibile. La sua Libertà si manifesterà proprio nel poter
condurre a tutto campo una ricerca che si estende negli sconfinati spazi dello
spirito.
Come diceva Giorgio Gaber:
“La
libertà non è star sopra un albero
non è neanche avere un’opinione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione”