Un anno di bugie La disinformazione della Russia contro l’Ucraina
(e quelli che ci cascano)
di Olga Tokariuk
La f
ake news del Cremlino nei prossimi mesi continueranno ad
alimentare la narrazione dell’alto costo del sostegno a Kyjiv e della
stanchezza psicologica nei confronti del conflitto. Ma non è detto che saranno
efficaci
Unsplas
Uno dei luoghi comuni preferiti del Cremlino per anni,
l’affermazione che l’Ucraina è “piena di nazisti”, è stata una delle
motivazioni addotte da Vladimir Putin per la sua “operazione militare speciale”
del 24 febbraio dello scorso anno. La necessità di “denazificare l’Ucraina” si
è poi estesa ad altri obiettivi nel suo discorso ufficiale, ma questa
narrazione, presente nella propaganda di Mosca almeno dall’invasione russa del
Donbas e dall’annessione della Crimea nel 2014, ha trovato il favore del popolo
russo. Gran parte della popolazione russa sostiene ancora la guerra e la
continua propaganda disumanizzante sull’Ucraina ha giustificato e permesso
l’attuale genocidio.
La manciata di media indipendenti russi rimasti è stata
costretta all’esilio e per loro è una lotta continua per superare la macchina
della propaganda del Cremlino, che rimane la fonte primaria di informazione per
la maggior parte dei russi. Sebbene i media indipendenti in esilio cerchino di
riportare in modo più o meno oggettivo ciò che accade in guerra, rimangono
dubbi sull’uso talvolta compassionevole del loro linguaggio nei confronti dei
soldati russi, come dimostrato di recente dalla controversia che ha visto Rain
TV privata della sua licenza dalle autorità lettoni.
Il fallimento del Cremlino nel convincere gli ucraini
In Ucraina, la resistenza alla propaganda e alla
disinformazione russa, sviluppata dal 2014, ha aiutato il Paese a evitare il
caos informativo nel 2022. Le stazioni televisive filorusse sono state tolte
dalla circolazione non appena è iniziata l’invasione e la maratona televisiva
United, lanciata da alcune delle più importanti emittenti nei primi giorni di
guerra, ha fatto sì che gli ucraini avessero informazioni affidabili 24 ore su
24 da parte di presentatori televisivi ed emittenti che conoscevano e di cui si
fidavano. Questa iniziativa ha inoltre contribuito a contrastare le
informazioni non verificate e i post dannosi sui social media da parte dei
tirapiedi del Cremlino nella fase iniziale della guerra. Fake news che
avrebbero potuto scatenare il panico e ostacolare la capacità di resistere alla
avanzata iniziale della Russia.
Con il proseguire della guerra, sono sorti interrogativi
sull’opportunità di mantenere la maratona televisiva, sempre più giudicata come
troppo filogovernativa e fonte solo di buone notizie. Tuttavia i media ucraini,
che hanno affrontato sfide significative nel 2022 (secondo l’Istituto per
l’informazione di massa, più di 200 punti vendita sono stati costretti a
chiudere a causa della bancarotta o dell’occupazione russa), rimangono diversi
e vivaci. C’è spazio per il dibattito e i giornalisti ucraini non solo hanno
raccontato la guerra e denunciato i crimini di guerra russi, ma hanno anche
portato alla luce esempi di corruzione ucraina.
Le operazioni di disinformazione della Russia in Ucraina
dopo l’invasione sono in gran parte fallite. Molti ucraini che un tempo
simpatizzavano con la Russia hanno cambiato opinione dopo aver assistito e
sperimentato le atrocità dell’esercito russo, e i russofoni sono passati alla
lingua ucraina nella loro vita quotidiana, spinti dal desiderio di tagliare
tutti i legami con tutto ciò che è russo.
La disinformazione russa inciampa in Occidente
La Russia non è riuscita finora a convincere le popolazioni
e i governi occidentali della necessità dell’invasione, né a minare la loro
unità nel sostenere l’Ucraina. Al contrario, il sostegno dell’opinione pubblica
occidentale è rimasto notevolmente solido tra aprile e gennaio di quest’anno,
esprimendo una diffusa disponibilità a sopportare l’aumento dei prezzi
dell’energia a causa dell’aggressione russa. Secondo un sondaggio di Ipsos su
28 Paesi «la piena maggioranza della popolazione di Stati Uniti, Canada, Regno,
Francia, Paesi Bassi e Polonia sostiene la fornitura di armi e/o sistemi di
difesa aerea alle forze armate ucraine da parte del loro Paese».
Il sostegno militare dell’Occidente all’Ucraina è in
costante aumento dal febbraio 2022 e la posizione ufficiale è che continuerà
«finché sarà necessario», come ha sottolineato il presidente Joe Biden durante
la sua visita a Kyjiv il 20 febbraio. I tentativi russi di negare i propri
crimini di guerra a Bucha e altrove, così come i successi delle controffensive
militari ucraine, hanno solo rafforzato questa determinazione.
Alcune narrazioni distorte, tuttavia, hanno avuto risonanza
presso alcuni politici e parti dell’opinione pubblica occidentale. In Italia,
ad esempio, il sostegno pubblico all’invio di armi all’Ucraina sta diminuendo,
dopo mesi di retorica da parte dei partiti della coalizione del governo Meloni,
in particolare Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, politici noti per gli
stretti legami prebellici con il Cremlino, nonché del Movimento 5 Stelle
all’opposizione e degli opinionisti filorussi nei media. La Russia cercherà di
sfruttare queste divisioni per minare l’unità dell’Unione europea e della NATO
in Ucraina.
La Russia ha utilizzato altre narrazioni in Occidente e
continuerà a farlo nel 2023. Per esempio, evidenziare il costo economico del
sostegno all’Ucraina per i contribuenti occidentali; screditare il governo e i
vertici militari ucraini facendoli passare come corrotti, avidi e ingrati;
fomentare il risentimento per i rifugiati ucraini nei Paesi che ne hanno
ospitato la maggior parte (Polonia, Germania, ecc.); incoraggiare la stanchezza
psicologica verso la guerra e la stanchezza morale nel sostenere l’Ucraina.
La Russia trova sostegno nel mondo non occidentale
Nei Paesi del Sud globale, tra cui India, Brasile e alcuni
Stati africani, così come la Turchia, membro della NATO, le operazioni di
disinformazione russa hanno avuto un parziale successo. In molti di questi
luoghi i canali di propaganda russi, come RT e Sputnik, non sono stati
limitati, a differenza di quanto avviene in Occidente, e i funzionari russi e i
loro sostenitori hanno accesso incontrastato ai media locali.
La Russia sfrutta i sentimenti anti-occidentali e
anti-imperialisti dei Paesi in via di sviluppo, dipingendosi come “vittima
della NATO” e come alternativa all’Occidente imperialista (Stati Uniti, Regno
Unito, Francia, ecc.) e promuovendo relazioni diplomatiche e commerciali di
reciproco vantaggio, un argomento importante per molti Paesi in via di sviluppo
che devono affrontare sfide economiche e provvedere al sostentamento delle loro
popolazioni in crescita. Alla Russia, questo serve a presentare sé stessa come
parte della comunità globale, come un Paese che non è isolato ma ha ancora
amici sulla scena mondiale.
Nel Sud globale, la Russia manipola anche la narrazione del
presunto razzismo degli ucraini e degli occidentali. Ad esempio, sfrutta le
tensioni per il trattamento più favorevole riservato ai rifugiati ucraini
rispetto a quelli provenienti da Africa, Medio Oriente o America Latina.
Quale sarà il prossimo passo?
Con l’inizio del secondo anno della guerra russa contro
l’Ucraina, è prevedibile che le campagne di disinformazione e influenza del
Cremlino si intensifichino. Molto probabilmente saranno più sofisticate e più
sfumate, mirando al pubblico di specifici Paesi ritenuti più suscettibili.
L’obiettivo primario è quello di minare l’unità
dell’Occidente e la sua solidarietà con l’Ucraina, concentrandosi
sull’interruzione del sostegno militare. In altre parti del mondo, gli sforzi
di disinformazione del Cremlino saranno finalizzati a favorire la ricerca di
alleati che aiutino la Russia a consolidare la reputazione internazionale di
potenza forte, inserita nella comunità internazionale nonostante la guerra
all’Ucraina.
Per quanto riguarda gli argomenti di queste campagne di
disinformazione, dobbiamo aspettarci maggiori sforzi per screditare il governo,
le forze armate e la società civile ucraina. Ci si concentrerà sempre di più
sull’alto costo percepito del sostegno all’Ucraina, sullo sfruttamento della
stanchezza della guerra e sul dissenso per i rifugiati ucraini all’estero.
Articolo pubblicato in inglese su Center for European Policy
Analysis
La
Terna di Fuoco è costituita da tre segni
zodiacali analogicamente collegati ai seguenti dignitari:
— ARIETE:
MAESTRO VENERABILE,
— LEONE: l° SORVEOLIANTE
— SAGITTARIO 2° SORVEGLIANTE.
MAESTRO
VENERABILE
Il Maestro Venerabile dirige la Loggia. Corrisponde
al Fuoco primo, allo “Iod” (prima lettera del tetragramma sacro inscritto nel
Delta), al Fuoco creatore, al seme maschile senza il quale non esiste la vita e,
analogicamente, non può esservi Loggia ne’ lavoro operativo.
Nel M. Ven. devono confluire tutte le
energie della Loggia e a lui deve essere fornito tutto il “mangime” necessario
per la produzione costante del Fuoco creatore e della Luce, la cui
concretizzazione è evidente nelle cerimonie di Iniziazione e nello svolgimento
dei lavori operativi veri e propri.
Insieme con il 1° e il 2° Sorvegliante,
il M. Ven. provvede alla manifestazione unisona e costante del Fuoco nella sua
triplice qualità fisica, animica e spirituale.
Benché il Fuoco primo di Ariete sia
anche la qualità elementare ed energetica su cui devono lavorare gli Apprendisti
(cfr. “Quaderno 2 – Il Lavoro Muratorio
nei tre gradi”), la collocazione interiore del M. Ven. nei segno dell’Ariete
non può apparire come una detrazione qualitativa. Si tratta, infatti,della
prima qualità di tutti e 12 i segni e di tutta la Loggia: il M. Ven.
rappresenta il Principio.
Se si tien conto della corrispondenza
analogica del linguaggio alchemico tra la Loggia, l’Uomo e l’Athanor (cfr.
anche “Quaderno 3 – il Gabinetto di Riflessione”).
la Loggia può essere definita un “forno a riverbero” che occorre riscaldare “a
giusto regime di Fuoco”.
Per ulteriori speculazioni, si tenga
anche conto dei seguenti riferimenti:
● collocazione: Est (Oriente); nascita del Sole per illuminare
la
Terra; equinozio di primavera punto gamma longitudine 0°-30°;
● qualità : Fuoco orimo di Ariete. segno
cardinale.
● pianeti: Marte in domicilio diurno. Sole
in esaltazio
Questo è un piccolo contributo al
bellissimo lavoro presentato dal Fratello C.
Si tratta della parte finale dell’opera
“Poemi Conviviali” del Fratello-poeta Giovanni Pascoli
Dopo aver compiuto il viaggio
alla ricerca degli uomini che non conoscono il mare, prescrittogli da Tiresia,
per nove anni rimane ad Itaca. La sua
non è però la «splendente vecchiezza» di
cui parla il testo omerico, perché Ulisse, assorto nella rievocazione del
proprio passato, nel rimpianto dei tempi eroici, è nello stesso tempo colto da un dubbio sempre più tormentoso e si mette in
viaggio a ritroso.
Così, dopo aver ripercorso i
luoghi visitati nel suo primo viaggio, la sua nave giunge dove sono le Sirene.
Ma queste non sono quelle che aveva precedentemente incontrato, ma come
vedremo, sono solo due scogli immobili e solitari.
Ma è proprio qui che Ulisse parla
in tono angoscioso. Ascoltiamolo:
Sirene,
io sono ancora quel mortale che v’ascoltò, ma non poté sostare.
E la
corrente tacita e soave
più
sempre avanti sospingea la nave.
E il
vecchio vide che le due Sirene, le ciglia alzate su le due pupille,
avanti
sé miravano, nel sole fisse, od in
lui, nella sua nave nera.
E su la
calma immobile del mare,
alta e
sicura egli inalzò la voce.
Son
io! Son io, che torno per sapere!
Ché
molto io vidi, come voi vedete me
Sì; ma
tutto ch’io guardai nel mondo, mi riguardò;
mi
domando: Chi sono?
E la
corrente rapida e soave
più
sempre avanti sospingea la nave.
E il
vecchio vide un grande mucchio d’ossa d’uomini,
e pelli
raggrinzate intorno,
presso
le due Sirene, immobilmente stese sul lido,
simili
a due scogli.
Vedo. Sia pure.
Questo duro ossame cresca quel
mucchio. Ma, voi due, parlate!
Ma dite
un vero, un solo a me, tra il tutto,
prima
ch’io muoia, a ciò ch’io sia vissuto!
E la
corrente rapida e soave
più
sempre avanti sospingea la nave.
E
s’ergean su la nave alte le fronti,
con gli
occhi fissi, delle due Sirene.
Solo mi
resta un attimo. Vi prego!
Ditemi
almeno chi sono io! chi ero!
E tra i
due scogli si spezzò la nave.
(Pascoli,
Poemi conviviali, Canto XXIII)
In questa
rappresentazione, il viaggio di Ulisse non è più rivolto all’esterno, alla
ricerca di nuove esperienze, ma all’interno, alla ricerca dell’ambiguo confine
tra sogno e realtà. Odisseo è animato da una forte ansia di conoscenza, della
ricerca della propria identità. Di se stesso.
E’ commovente
la supplica che egli fa alle Sirene: ditemi
almeno chi sono oggi! Chi sono stato nel passato.
Ma non
poteva essere diversamente: le Sirene rimangono fisse come due scogli, contro i
quali va inesorabilmente ad infrangersi la nave. E così Odisseo, come tutti
noi, non può che avere una sola certezza: quella della morte.
In questo ultimo viaggio, il Fratello Giovanni Pascoli ha voluto presentare il suo Ulisse come un antieroe con assenza di sicurezze: insomma, un uomo nel dubbio e del dubbio che però diventa un eroe quando cerca con ogni mezzo di indagare nell’animo umano, di affrontare il crollo delle illusioni, di accettare la realtà della morte.
In Massoneria, come nella vita non si finisce mai di imparare
non si finisce mai di sbagliarenon si finisce mai di correggersi e di ricominciare. In una parola non si finisce mai di Costruire
( J.W.Goethe, Symbolum).
…
così scriveva Johann Wolfgang Goethe,
nel 1815, in occasione dell’iniziazione in Loggia del figlio August, evocando
in modo chiaro alcuni dei fondamentali principi
del nostro Ordine Iniziatico. (*)
Uno dei temi fondamentali espressi
nella poesia – Symbolum- di Goethe è quello della “speranza” . Infatti in essa
c’è una forte esortazione a sperare, a rivolgere lo sguardo all’orizzonte,
all’infinito; ad affrontare con forza e dignità l’assoluta imprevedibilità del
destino. Questo concetto è alla base della “saggezza massonica” che rappresenta quella “carica misteriosa”
che ci permette di lottare contro le avversità del vivere e del morire… “Sei saggio quando incontrando trionfi o
rovine, riuscirai a trattarli nello stesso modo” ( R.Kipling),
Goethe nella sua poesia esorta, inoltre,
il neofita ad ascoltare le voci dei Maestri, sia dei vivi sia dei morti; quest’ultimi continuano,
dall’al di là, tramite il loro Spirito immortale, ad emanare a coloro che sono
capaci di ascoltare, virtù ed insegnamenti.
Il
poeta, nel penultimo rigo, elogia l’“operosità”
e denigra la “dispersione delle forze” e la “pigrizia”. Goethe stesso,
comunque, in alcuni suoi scritti, si autoaccusa dicendo che ha sempre
sonnecchiato, che ha iniziato molte cose ma poche di esse portate a termine.
L’uomo
è un animale – dice Fëdor Dostoevskij – costruttivo, condannato a tendere
coscientemente verso la meta. Ma spesso la meta è solo l’occasione, è una
scusa, è solo motivo per partire, ma è il “viaggio” l’aspetto più affascinante
e sublime del vivere umano. Nelle “Memorie del sottosuolo” egli scrive: <<Dal formicaio le rispettabili
formiche hanno cominciato e col formicaio sicuramente finiranno, cosa che fa
molto onore alla loro costanza e al loro carattere positivo. Ma l’uomo è un
essere leggero e d’ingrato aspetto e
forse come il giocatore di scacchi non ama che il processo attraverso il quale
raggiunge il fine e non il fine stesso. E chi sa… forse anche tutto il fine a
cui tende l’umanità sulla terra è racchiuso unicamente in questo solo ‘processo
di raggiungimento’ o per dirla altrimenti nella vita stessa e non propriamente nel fine, che s’intende
non deve essere se non il due per due quattro, cioè una formula… ma il due per
due quattro è sempre una cosa eccellente ma pur sempre è una cosa
arcinsopportabile … Il due per due cinque a volte è, invece, una cosuccia graziosissima >> .
Il viaggio per noi Liberi Muratori
è il “nostro personale, unico ed assoluto cammino iniziatico” ed il cammino di
un Libero Muratore – citando ancora Goethe – << somiglia alla vita ed alle sue fatiche… che nasconde passo
dopo passo dolori e gioie… Noi, senza timore dobbiamo andare avanti sulla
nostra strada , sempre… il nostro passo tranquillo muove più in alto delle
stelle e nel profondo più delle tombe>>. Il “senso a questo magico
viaggio ”, secondo la mia opinione,
dobbiamo darglielo noi… certe storie diventano eccezionali solo per
quello che ci aggiungiamo noi …grazie al
nostro entusiasmo, al nostro amore, alla nostra volontà, alla nostra
fantasia, alla nostra creatività, alla nostra intuizione…. qualcuno ha detto
che: “
un uomo è un massone quando sa osservare una pozzanghera al bordo della strada
e vedervi qualcosa oltre il fango”… dobbiamo imparare … a vedere
l’invisibile al di là del visibile … a sapere che l’essenziale è invisibile… a
sapere che per acquisire questa peculiare capacità sensoriale non dobbiamo
avere fretta, perché noi abbiamo “molto tempo… tanto tempo”. Perché il modo di
guardare e di interpretare il mondo, per
un Libero Muratore, deve essere “senza tempo e senza spazio”… un Libero
Muratore deve saper acquisire una visione eterna… solo prendendo coscienza di
questo è possibile lavorare
“ Per il bene dell’Umanità ed alla
Gloria del Grande Architetto dell’Universo”.
(*)
Questa poesia influenzerà, successivamente, l’ariosità dei cori degli iniziati
dell’opera “ Il Flauto magico “ musicata da un altro nome supremo della
massoneria europea romantica della fine del settecento, il massone Wolgang
Amadeus Mozart. Il flauto magico fu programmato come una opera massonica. La
trama è un racconto di un viaggio iniziatico del protagonista (Tamino) che
aspira alla conoscenza e alla saggezza, e per raggiungere questi alti piani
sensoriali deve affrontare le prove supreme della terra, dell’acqua, dell’area
e del fuoco. Questo aspro percorso può essere metaforicamente paragonato a
quello del sole che morendo la sera ad occidente, affronta il suo viaggio
attraverso il mare oscuro del mondo sottomarino e della morte, fino a risorgere
trasformato, come nuovo sole, ad oriente.
DEPLORO
che la vita di milioni di esseri umani sia
minacciata da altri esseri umani
con guerre, genocidio e trattamenti inumani,
causati dalla rivalità tra gli uomini.
CONFESSO
di avere una parte di responsabilità
nelle ingiustizie economiche e sociali, che opprimono il mio prossimo.
M’IMPEGNO,
a costo della mia vita, di fare di tutto
per aiutare i miei Fratelli e per
proteggerli.
RESPINGO
tutte le discriminazioni, che potrebbero colpire i miei Fratelli a causa della loro diversità di razza, colore, nazionalità
ed origine sociale.
MI
SENTO COLPEVOLE di aver ceduto qualche
volta ad un sentimento di orgoglio o di invidia,
di fronte al mio Fratello vicino e
lontano.
PROMETTO
di combattere tutte le forme
di intolleranza che potrebbero distruggere i legami fraterni tra gli
uomini.
M’IMPEGNO
di rispettare, in avvenire, maggiormente i diritti personali e sociali dei miei simili e di facilitare il dialogo con loro.
RIFIUTO,
nella
mia e nelle loro vita, ogni atteggiamento
di violenza, straniamento ed arbitrio, che si opponga alla pacifica ricerca
della verità.
Ciò che identifica la Massoneria ‘regolare’ rispetto ad
altre formule affermatesi nel tempo sono in primo luogo i cosiddetti Landmarks,
parola che in inglese significa ‘confini’, ‘limiti’. In quanto tali,
stabiliscono la linea di demarcazione tra il ‘dentro’ e il ‘fuori’ e sono
riconosciuti e conservati da tutte le logge, per quanto diverse possano esserne
le connotazioni interne.
A duecento anni dalla costituzione a Londra della Grande
Loggia Madre del mondo, nel 1919, i Landmarks venivano così catalogati:
Monoteismo
Credenza nell’immortalità
Volume della Sacra Legge
Leggenda del terzo grado [quello di ‘Maestro’, collegato
alla leggenda di Hiram: vedi il capitolo Un passato ‘su misura’]
Segreto
Simbolismo dell’arte operativa
Nascita libera del Massone e appartenenza al sesso maschile.
Frontespizio dell’edizione tedesca della Bibbia tradotta da
Lutero. La libertà per il Massone da vincoli confessionali, con il solo obbligo
di aderire al monoteismo, nonché la diffusione della Massoneria in tutto il
mondo e quindi anche in aree di religione non cristiana, hanno portato con il
tempo a legittimare l’assunzione come Volume della Sacra Legge anche di un
testo che non fosse la Bibbia, purché avente il carisma di un codice religioso
tradizionale.
Ai Landmarks si sono affiancati nel 1929 i Principi Base,
che comprendono d’altra parte i Landmarks come uno dei Principi stessi. Gli
altri riguardano le modalità di costituzione di una nuova loggia («Ogni Grande
Loggia deve essere stata fondata legittimamente da una debitamente riconosciuta
Grande Loggia o da tre o più logge regolarmente costituite»); la subordinazione
dell’appartenenza alla Massoneria alla credenza nel Grande Architetto
dell’Universo e alla sua volontà rivelata; la necessità per un Massone di
assumere i propri obblighi sopra o in piena vista del Volume aperto della Sacra
Legge; la suprema e incondizionata autorità della Grande Loggia su tutte le
logge sotto il suo governo; l’esclusione delle donne; la presenza del Volume
della Sacra Legge, della squadra e del compasso nel corso dei ‘lavori’; il
bando degli argomenti religiosi o politici dalle discussioni nella loggia.
I Principi vennero infine integrati nel 1949 con
l’emanazione degli Scopi e Relazioni dell’Arte. Le nuove disposizioni ammettono
la liceità di sostituire alla Bibbia, come Volume della Sacra Legge, dei testi
sacri diversi, purché riconoscibili come codici religiosi tradizionali;
ribadiscono il lealismo massonico, ovvero l’impegno a obbedire alle leggi degli
Stati di residenza delle logge; affermano la neutralità politica
dell’istituzione, indipendentemente dal diritto per ogni adepto di avere delle
proprie opinioni sugli affari pubblici.
Sigillo del Grande Oriente d’Italia, l’obbedienza regolare
attiva nel nostro Paese.
Il rispetto dei ‘confini’, dei ‘principi’ e degli ‘scopi’
elencati è il criterio di riferimento per definire un’obbedienza regolare. Le
obbedienze regolari nelle loro articolazioni nazionali fanno poi riferimento a
Costituzioni e Regolamenti che ne disciplinano l’attività. Tuttavia i principi
che vi si affermano possono esplicitare, ma non contraddicono mai, i canoni
fondamentali sopra esposti, né valicano i confini che definiscono l’identità
massonica.
Il sempre più consistente ingresso nell’organizzazione
massonica di gentiluomini, borghesi e intellettuali a fianco dei ‘liberi
muratori’ (cui per altro si erano da tempo aggiunte altre categorie
professionali come quelle dei fabbri, dei tappezzieri e così via) determinò la
progressiva trasformazione della Massoneria da operativa, come si era
sostanzialmente mantenuta fino all’inizio del Settecento, in speculativa. I
ruoli dirigenziali della Gran Loggia di Londra, inizialmente assunti da
personaggi oscuri e di scarso rilievo sociale o culturale, vennero poi
continuativamente ricoperti da personalità di prestigio, con la conseguenza di
una notevole crescita di importanza in patria e all’estero.
Ciò determinò una duplice necessità: da una parte occorreva
rivisitare l’umile passato della Massoneria e in qualche modo nobilitarlo;
dall’altra doveva essere predisposto un programma interclassista, che potesse
suffragare l’ipotesi di una ‘fraternità spirituale’ al di sopra delle barriere
sociali e confessionali.
Incisione che celebra la fondazione della Royal Society,
sancita nel 1660 sotto gli auspici di Carlo II Stuart. Fra quelli dei membri
fondatori della Società compaiono i nomi di sir Robert Moray ed Elias Ashmole,
che vennero ‘accettati’ rispettivamente da una loggia di Edimburgo e da una di
Warrington nel 1641 e nel 1646. La biografia dei due personaggi non solo
documenta il passaggio dalla Massoneria operativa a quella speculativa, ma fa
anche ipotizzare stretti legami tra la Massoneria inglese delle origini e gli
interessi culturali della Royal Society.
Il compito di realizzare il primo obiettivo venne assegnato
dal quarto Gran Maestro della Gran Loggia di Londra Duca di Montagu al pastore
presbiteriano James Anderson (16841739) che, nel 1723, pubblicò il Libro delle
Costituzioni. Si trattava di una revisione radicale delle antiche Costituzioni
gotiche, ulteriormente ritoccata per la successiva edizione del 1738. Tipico
‘poligrafo’ dell’epoca, scrittore su commissione, Anderson fornì la nuova
Massoneria di un albero genealogico di cui si poteva andare fieri,
collezionando e semplificando d’altra parte i secolari statuti corporativi cui
si erano fino allora ispirate le singole logge. Agli effetti prodotti
dall’opera di Anderson si affiancò l’azione ‘promozionale’ del massone di fede
anglicana John Theophilus Desaguliers (1683-1744), figlio di un pastore
protestante francese rifugiatosi in Inghilterra per motivi religiosi, ben
introdotto nelle élites aristocratiche e culturali dell’epoca (nel 1714 era
stato accolto fra i membri della Royal Society di Londra), con cui condivideva
gli interessi per la scienza, e responsabile, secondo i Massoni
tradizionalisti, dell’attenuazione nella Massoneria inglese del significato
spirituale dell’iter iniziatico e dell’essenza operativa e realizzativa a
favore di istanze più superficiali e mondane.
Litografia tratta da un libro di fisica di J.T. Desaguliers,
pubblicato nel 1751, che illustra ‘antropomorficamente’ le leggi della statica.
La ‘curiosità’ per la scienza sganciata da una sua dimensione spirituale
costituisce una delle critiche mosse dai Massoni tradizionalisti alla svolta
speculativa assunta dalla Massoneria inglese rispetto al genuino carattere
iniziatico dell’Istituzione.
Per raggiungere il secondo obiettivo, mediante la
pubblicazione degli Antichi Doveri assieme al Libro delle Costituzioni del
1723, si richiese a chi volesse entrare nella Massoneria la condizione di
essere un ‘uomo libero e di buoni costumi’. La libertà non era tuttavia da
intendersi in senso politico, come più tardi nel programma della Rivoluzione
francese, ma come libertà da pregiudizi e prevenzioni, soprattutto di natura
religiosa. Analogamente, l’uguaglianza non veniva proposta come un principio di
carattere assoluto, ma come uguaglianza di diritti in rapporto a capacità
uguali. Ciò comportava di fatto un’intonazione élitaria, per cui era possibile
una fraternità solo fra individui disposti a coltivare il meglio delle proprie
doti umane e spirituali e a fornire l’esempio di una coscienza retta.
Si ridimensiona così, almeno per quanto riguarda la
Massoneria inglese, la tesi per cui avrebbe consapevolmente dato l’avvio a quel
processo di democratizzazione confluito alla fine del secolo XVIII nella
Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e alla base delle costituzioni politiche
degli Stati moderni. Se nei singoli adepti potevano esserci e senz’altro erano
presenti istanze filantropiche o riformiste, per esempio in quei ‘fratelli’ che
esercitavano la professione medica, non sembra lecito affermare che esse
costituissero un programma ‘operativo’ generale. Il Rito Inglese, altrimenti
definito Massoneria Azzurra, si è sempre piuttosto caratterizzato come una
formula aggiornata di corporativismo, nell’ambito del quale sono stati sì
coltivati valori quali la collaborazione o la mutua assistenza, ma
essenzialmente a vantaggio degli adepti e a prezzo di una subordinazione alla
gerarchia interna.
Si deve ancora ricordare che la svolta assunta dalla
Massoneria in Inghilterra dopo la pubblicazione del Libro delle Costituzioni di
Anderson non ebbe un consenso unanime da parte di tutte le logge. La resistenza
di quelle più ‘tradizionaliste’ ebbe due espressioni ufficiali:
l’organizzazione da parte della Massoneria di York della Gran Loggia di tutta
l’Inghilterra (1725), che non riuscì tuttavia a espandere la propria influenza
al di là di alcune aree del Nord e non sopravvisse alla fine del secolo, e la
costituzione, nel 1751, di un’obbedienza autonoma detta degli ‘Antichi’. Fra le
accuse mosse da questi ultimi ai ‘Moderni’ vi era quella di aver svuotato il
rituale di alcuni, irrinunciabili collegamenti con la tradizione cristiana. La
riunificazione avvenne soltanto nel 1813, con la fondazione della Gran Loggia
Unita d’Inghilterra.
Uno scorcio della Cattedrale di St. Peter di York, che
compendia e illustra varie fasi dell’architettura gotica inglese e, a sinistra,
il campanile della chiesa cattolica di St. Vilgfrid. La Massoneria di York
contese la superiorità rivendicata da quella di Londra sulla base delle proprie
origini molto più antiche, identificandosi il suo primo Gran Maestro nel re
cristiano Edwin, che attorno al 600 d.C. avrebbe gettato le fondamenta della
Cattedrale.
Se gli eventi tratteggiati riguardano la storia interna
della Massoneria inglese, vale la pena di spendere ancora qualche parola
relativamente alla percezione che il Paese ne ebbe dall’esterno. La ritualità
muratoria era oggetto di grande curiosità, che sfociava in molti nel sospetto
che i ‘lavori’ delle logge, protetti dal segreto, potessero costituire un
pericolo per la sicurezza sociale. Lo stesso Parlamento giunse, nel 1799, a
dichiarare legalmente perseguibili tutti coloro che appartenessero a sodalizi
comportanti un giuramento. La presenza di personalità politicamente influenti
agli alti vertici dell’Ordine consentì tuttavia di ottenere che la Massoneria
fosse esclusa dal novero dei sodalizi giurati, alla condizione che i Segretari
di Loggia fornissero annualmente un elenco dei membri al locale giudice di
pace. Ciò non valse a dissipare per sempre sospetti e prevenzioni, ma liberò la
Massoneria inglese dal rischio di dover affrontare la condizione
dell’illegalità, permettendo che ‘il silenzio’ mantenesse per gli adepti il
solo significato di ‘disciplina spirituale’.
Il Massone e la società civile, secondo gli Antichi Doveri
Un Muratore è un pacifico suddito dei Poteri Civili, ovunque
egli risieda o lavori, e non deve mai essere coinvolto in complotti e
cospirazioni contro la pace e il benessere della Nazione […]; poiché la
Muratoria è sempre stata danneggiata da guerre, massacri e disordini; così gli
antichi Re e Principi furono assai disposti a incoraggiare gli uomini
dell’Arte, a causa della loro tranquillità e lealtà; per cui essi praticamente
risposero ai cavilli dei loro avversari e promossero l’onore della Fraternità,
che sempre fiorì in tempi di pace. Cosicché se un Fratello divenisse un ribelle
contro lo Stato, egli non deve essere favorito nella sua ribellione, ma
piuttosto compianto come uomo infelice…
Il 30 gennaio del 1933 Adolf Hitler diventò cancelliere del
Reich e il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi venne a
coincidere con lo Stato, sopprimendo le altre forze politiche.
Nei tredici anni di vita del Partito, con l’appoggio teorico
di Alfred Rosemberg, Hitler aveva messo a punto un’ideologia fondata sul
primato della razza tedesca e sul suo diritto a tutelare in ogni modo la
propria integrità, nonché sull’orrore per il Bolscevismo, la peggiore e più
pericolosa incarnazione di un’umanità degenerata e inferiore, che faceva
peraltro tutt’uno con l’Ebraismo. Questo quadro, rispetto alla realtà storica e
culturale delle forze demonizzate, era ulteriormente confuso dalla convinzione
che la Massoneria si fosse prestata a fare da longa manus all’Ebraismo
internazionale, alleata in un complotto mirante al dominio del mondo intero.
Edizione pubblicata in Francia nel 1943, durante il governo
di Vichy, dei Protocolli degli Anziani di Sion. Si tratta di un clamoroso falso
diffusosi a partire dalla Russia dei primi anni del Novecento e ampiamente
sfruttato dalla propaganda antisemita in tutto il mondo e dal Nazismo in
particolare. Ai presunti cospiratori intenzionati a impadronirsi del pianeta si
attribuisce, tra l’altro, questa intenzione: «Sinché non avremo conquistato il
potere, noi favoriremo la diffusione della Massoneria, attirando verso di essa
tutti coloro che si interessano alle sorti della collettività; queste logge
avranno poi una direzione unica e segreta. Tutti i piani politici altrui ci
saranno noti in partenza, in quanto delle nostre logge faranno parte agenti
segreti e agenti delle varie polizie».
Naturalmente la Massoneria non aveva niente a che fare con
il Comunismo: molto forte nel 1700, in Russia l’Ordine era stato messo al bando
da un decreto zarista nel 1822 e la sua debole ripresa agli inizi del nostro
secolo (Massoneria della Duma), con un orientamento politico vicino a quello
dei Menscevichi, non aveva potuto resistere alla vittoria dei Bolscevichi.
Inoltre nel 1922 la Terza Internazionale a Mosca aveva ufficialmente dichiarato
l’incompatibilità tra Comunismo e Massoneria, per l’interclassismo e
l’antimaterialismo di quest’ultima, nonché per la sua presunta subordinazione a
una visione capitalistica della società. Infine in quella che era diventata
l’Unione Sovietica sopravvivevano i pregiudizi contro gli Ebrei della Russia
ottocentesca e l’ipotesi di un complotto del Sionismo internazionale, non molto
diversa nella sostanza da quella propagandata negli USA dal massone Henry Ford
(vedi capitolo Massoneria made in USA), anche se qui poggiante sull’avversione
per il capitalismo. Nonostante tutto ciò, quando nel 1935 l’Unione Sovietica
venne accolta nella Società delle Nazioni, il nazista J. Streicher ribadì la
tesi che i governi dei Paesi che avevano votato per l’accoglimento dovevano
essere collegati al sovra-governo occulto del mondo, composto da trecento
uomini che erano tutti «membri della razza ebraica e cospiratori della
Massoneria».
Un’immagine del lager di Birhenau. L’assimilazione di Ebrei
e Massoni come nemici dell’umanità sbandierata dal Nazismo fece sì che anche
parecchie centinaia di Massoni ‘ariani’, cui non era stato possibile rifugiarsi
all’estero, venissero internati nei campi di concentramento.
Nello stesso 1935 la Massoneria tedesca era stata
definitivamente messa al bando per ordine del Reich e del Ministro degli
Interni. Al momento della presa del potere da parte di Hitler nel 1933 era
costituita da nove Grandi Logge, tre cosiddette Vecchie Prussiane e sei
Umanitarie, le prime di orientamento nazionalista e aperte ad accogliere
affiliati esclusivamente di religione cristiana, le altre più vicine al modello
anglosassone. Queste ultime si erano orientate per l’autoscioglimento nello
stesso 1933, mentre una delle Vecchie Prussiane aveva tentato di sopravvivere
al regime invitando le logge sottoposte a modificare il rituale con
l’abolizione di qualunque riferimento al Vecchio Testamento, la sostituzione del
nome di Hiram (vedi capitolo Un passato ‘su misura’) con quello di
‘Costruttore’, la rinuncia al segreto iniziatico (‘competenti funzionari’ del
Partito e dello Stato potevano partecipare ai lavori delle logge) e l’impegno a
verificare le origini tedesche degli affiliati. Ma anche quello che, da Ordine
Massonico, si era ribattezzato Ordine Cristiano Germanico ebbe vita breve,
perché solamente lo sviluppo e l’esito degli eventi bellici posero fine
all’ininterrotta propaganda tedesca contro la ‘cospirazione giudeo-massonica’.
Per ironia della sorte la tesi di questa cospirazione era divampata e aveva
avuto le conseguenze tragiche che sappiamo in quella stessa Germania in cui,
nel secolo precedente, la Grande Loggia ‘Royal Jork’, protetta da Guglielmo I, aveva
deciso di non accogliere degli Ebrei nel proprio seno ‘cristiano’.
Dopo aver analizzato un po’ più nel dettaglio il caso del
Fascismo e del Nazismo, si può dire in generale che, in presenza di regimi
totalitari, la Massoneria non ha spazio vitale.
Così, per il suo indirizzo in prevalenza democratico e
anticlericale, venne aspramente perseguitata in Spagna e in Portogallo durante
le dittature rispettivamente di Francisco Franco e Antonio Salazar. D’altra
parte in questi Paesi ha trovato un formidabile avversario nell’Opus Dei,
un’organizzazione cattolica attiva dal 1928 che ha il fine dichiarato di
portare i propri membri a vivere più integralmente il messaggio evangelico
nella vita privata, professionale, politica e sociale. ‘L’Opera’ è
gerarchicamente strutturata, vincola al segreto e all’obbedienza attraverso una
serie di adempimenti (per esempio quello di confessarsi solo a sacerdoti che ne
facciano parte o di ‘confidarsi’ con il superiore della sede di riferimento) e
incentiva l’attività ‘nel mondo’ dei suoi quadri più elevati, cui non sono
preclusi gli strumenti della politica, della finanza e della cultura per
«riportare la società a Dio». Pertanto rappresenta un polo di attrazione per le
persone desiderose di una più profonda spiritualità, ma si configura d’altra
parte come una vera fucina di ‘potere’, e tutto ciò spiega, assieme
all’integralismo cattolico, la costante opposizione alla Massoneria.
Un caffè turco: a tutt’oggi negli ambienti pubblici del
Paese è sempre presente un’immagine di Mustafa Kemal, detto Atatürk, ovvero
‘Padre dei Turchi’ (la si vede nell’illustrazione sopra l’orologio).
Singolare è il caso della Turchia, dove Mustafa Kemal
Atatürk, a capo della rivolta dei ‘Giovani Turchi’, depose l’ultimo sultano
Maometto VI e, eletto presidente della nuova Repubblica (1923), fu fino alla
morte (1938) il capo incontrastato dello Stato. Membro della Loggia ‘Machedonia
Resorta et Veritas’ di Salonicco, di costituzione italiana, nel corso della
dittatura prese progressivamente le distanze dalla Massoneria, che a sua volta
fu sempre meno attiva in Turchia, fino a ‘mettersi in sonno’ nel 1935.
Nell’opera di laicizzazione e modernizzazione dello Stato, che furono i suoi
principali obiettivi, Mustafa Kernal abolì tra l’altro il califfato, istituì il
suffragio universale, dichiarò la parità dei sessi, adottò l’alfabeto latino,
il calendario gregoriano e il sistema metrico decimale. Ma a questa ‘apertura’
corrispose addirittura la persecuzione nei confronti di una componente di
profondo significato esoterico nel mondo musulmano: il Sufismo. Questo
atteggiamento, incomprensibile in un uomo di formazione massonica, sembra
avvalorare la tesi da alcuni espressa per cui, in una situazione in cui un
Partito o un uomo si vogliono più o meno tatticamente proporre come il centro
assoluto della vita di tutti, perché il carisma funzioni si deve
inevitabilmente procedere all’eliminazione di qualunque altro polo di
attrazione spirituale, a maggior ragione ogni forma di spiritualità
‘costruttiva’.
Massoneria e mondo comunista
Le posizioni antimassoniche sovietiche si estesero, a
partire dal Quarto Congresso della Terza Internazionale (1922), a tutti i
partiti che vi facevano riferimento e, dopo la fine del secondo conflitto
mondiale, a tutti i Paesi del blocco comunista: furono quindi sciolte per
decreto statale le logge dell’Ungheria (1950) , della Cecoslovacchia , della
Polonia e della Repubblica Democratica Tedesca.
In Italia, dopo la costituzione del Partito Comunista nel
1921, la Massoneria, pure identificata come una forza prettamente borghese,
ebbe il rispetto di Antonio Gramsci per il suo efficientismo, il suo senso
dello Stato, le distanze mantenute rispetto alle forze politiche clericali e
reazionarie. Anche Palmiro Togliatti si astenne dal demonizzarla, in una
generale rivalutazione degli aspetti ‘illuminati’ della cultura borghese.
Enrico Berlinguer e Giorgio Amendola, in tempi più recenti, non si unirono al
coro di chi interpretava la Massoneria nel suo complesso come la copertura di
intrighi politici nazionali e internazionali e di una rete di affari più o meno
lecita, avendone forse presenti le idealità costitutive per avere entrambi
avuto un padre massone.
Discorso particolare meritano la Cina, dove fu consentito di
operare alle logge di impostazione europea cui facevano riferimento esponenti
di imprese straniere presenti nel Paese, e Cuba dove, nonostante momenti di
tensione, la Massoneria non è mai stata messa fuori legge dal regime castrista.
“Perché vale in generale l’atteggiamento di considerare
le questioni della matematica o della scienza da un punto di vista storico?…
Io credo che oggi più che mai abbiamo bisogno di questo modo di vedere le cose.
In particolare per quanto riguarda la scienza molto dipende da quanto i suoi
rappresentanti siano capaci di considerare se stessi e la loro sfera di azione
come elementi di una lunga serie di sviluppi, e fino a che punto siano in grado
di trarre un insegnamento per il presente e per il futuro dalla consapevolezza
di questo legame”. Richard Courant , 1926
“Nei giorni scorsi un eminente matematico, la
professoressa Emmy Noether, che in precedenza ha lavorato nell’Università di
Göttingen e negli ultimi due anni ha fatto parte del Bryn Mawr College, è morta
a cinquantatrè anni. Secondo il giudizio dei più competenti matematici
contemporanei Fräulein Noether è stata il genio matematico più importante da
quando le donne hanno avuto accesso all’istruzione superiore”.
Queste righe sono estratte da un necrologio a firma Albert
Einstein, apparso sul New York Times il 3 maggio 1935. Einstein conosceva bene
il lavoro di Emmy Noether, fin dai tempi in cui entrambi vivevano ancora nel
continente europeo, dove Einstein non aveva più fatto ritorno dopo il suo arrivo
negli Stati Uniti il 17 ottobre 1933. Il 30 gennaio di quello stesso anno i
nazisti erano giunti al potere e Emmy, come tanti altri, era fuggita anche lei
negli Stati Uniti, costretta, in quanto ebrea, pacifista convinta e
simpatizzante marxista, ad abbandonare l’Istituto di matematica dell’università
di Göttingen e tutto il suo mondo di colleghi, amici e allievi amatissimi. In
realtà Einstein non aveva mai frequentato la Noether. Principale ispiratore del
necrologio sembra infatti essere stato l’eminente matematico tedesco Hermann
Weyl, anche lui rifugiato negli Stati Uniti per problemi razziali. Weyl, che
era stato l’artefice della sistemazione di Emmy nel prestigioso College di Bryn
Mawr, vicino a Princeton, la conosceva invece benissimo, essendo stato a lungo
suo collega a Göttingen: “Nei miei anni passati a Göttingen, 1930-1933,
lei è stata senza dubbio il più forte centro di attività matematica, sia dal
punto di vista della fecondità del suo programma di ricerca scientifica, sia
riguardo la sua influenza su una vasta cerchia di allievi” .
Il genio matematico in questione è Amalie Emmy Noether, nata
a Erlangen, una piccola città del Sud della Germania, il 23 marzo 1882. In
questo importante centro universitario, una delle tre università
“libere” del Paese (non fondate dalla chiesa) insegnava suo padre
Max, uno dei maggiori rappresentanti della scuola algebrico-geometrica, che
aveva svolto un ruolo rilevante nello sviluppo della teoria delle funzioni
algebriche. Max Noether era un uomo di grande intelligenza, pieno di calore
umano e di interessi. La madre di Emmy, Ida Noether, apparteneva a una
ricchissima famiglia ebrea. Emmy era la primogenita di quattro figli. Suo
fratello Fritz, di circa tre anni più giovane, segue le orme di suo padre,
mentre la vita di Emmy sembra inizialmente seguire i canoni dell’educazione
femminile dell’epoca: aiuta sua madre nella cura della casa e frequenta con
profitto le tipiche scuole per ragazze studiando lingue ed economia domestica.
La madre, che suonava il pianoforte, aveva una grande passione per la musica e
così Emmy prese lezioni di piano, secondo un tipico cliché nell’educazione
delle ragazze di buona famiglia, e tuttavia non andò mai oltre l’esecuzione di
una allegra canzoncina popolare. Peraltro amava molto andare a ballare in casa
dei colleghi del padre ed è famosa la storia di come i genitori raccomandassero
ai propri figli di non dimenticare di invitare Emmy, una ragazza miope e molto
poco attraente, seppure simpatica e vivace, ma non certo la compagna ideale per
un ballo. Nell’aprile del 1900 Emmy sostenne brillantemente l’esame di stato
per l’insegnamento del francese e dell’inglese. Ma non divenne mai
un’insegnante di lingue.
Nell’autunno dello stesso anno, insieme ad un’altra ragazza,
è la sola donna presente fra i circa mille studenti della popolazione
universitaria di Erlangen. Dal 1900 al 1903 frequenta come uditrice le lezioni
di matematica, romanistica e storia e nel frattempo si prepara per l’esame di
maturità. A quell’epoca non esistevano scuole superiori dove le ragazze
potessero prepararsi a sostenere questo tipo di esame; in Germania e in Austria
l’educazione formale delle donne finiva all’età di 14 anni e la loro iscrizione
regolare all’università era del tutto fuori questione. Nel 1898 il senato accademico
dell’università di Erlangen, dove il padre di Emmy era professore, dichiarò che
l’ammissione di studenti di sesso femminile avrebbe “sovvertito l’ordine
accademico”. Ma la discussione su questi temi è molto infiammata e nel
1900, quando Emmy ha diciotto anni, l’università di Erlangen consente
finalmente alle donne di assistere alle lezioni, il permesso rimane tuttavia
subordinato al parere del titolare; anche la possibilità di sostenere un
colloquio finale per ottenere un certificato universitario dipende
completamente dalle simpatie dell’esaminatore. Fino alla prima guerra mondiale
esistevano in Germania professori che si rifiutavano di fare lezione se erano
presenti donne in aula! Eppure nel 1908 il ministro prussiano dell’educazione
si trovò nella necessità di ribadire che l’accesso delle donne alle lezioni
“non doveva essere subordinato al personale grado di disapprovazione
dell’insegnante riguardo l’educazione mista”! Nel luglio del 1903 Emmy
sostiene come privatista l’esame di maturità.
Nell’anno accademico 1903/1904 Emmy Noether frequenta
l’università di Göttingen, di nuovo come uditrice. All’inizio del XX secolo gli
studenti di matematica di tutto il mondo ricevevano lo stesso consiglio:
“Fai la valigia e vai a Göttingen”. La grande tradizione scientifica
di Göttingen aveva una solida posizione nel campo della matematica,
principalmente come risultato dei contributi di Carl Friedrich Gauss, Peter
Gustav Lejeune Dirichlet, Bernhard Riemann. All’epoca vi dominava la figura
leggendaria di Christian Felix Klein, il più celebre e venerato esponente della
matematica tedesca di fine Ottocento. Nel 1872, a soli 23 anni, era già
diventato professore a Erlangen e la sua lezione inaugurale, nota come
“Programma di Erlangen”, faceva ormai parte della storia della
matematica . La fama di Klein attirava a Göttingen studenti da tutto il mondo,
particolarmente dagli Stati Uniti. Il cuore della vita matematica si trovava
nella sala di lettura voluta da Klein, completamente diversa da qualsiasi
biblioteca di matematica esistente all’epoca. Gli studenti potevano accedere
liberamente ai libri messi a loro disposizione in scaffali aperti. Prima della
lezione Klein si preparava accuratamente uno schema mentale della lezione
organizzato in formule, diagrammi e citazioni controllando la lista
enciclopedica dei riferimenti bibliografici preparata dal suo assistente. Alla
fine della lezione la lavagna era ordinatamente ricoperta fino all’ultimo
centimetro, senza alcun segno di cancellatura. A Göttingen Emmy segue le
mitiche lezioni del “divino Felix”, di sicuro ben lontana
dall’immaginare che entro dieci anni lei stessa avrebbe in qualche modo fatto
parte di quell’olimpo.
Quello stesso anno nelle università bavaresi viene concessa
la possibilità di iscrizione alle donne che hanno sostenuto la licenza.
Nell’autunno del 1904 Emmy si iscrive regolarmente all’università di Erlangen,
Facoltà di filosofia, frequentando esclusivamente i corsi di matematica. E’
l’unica donna insieme a 46 uomini. Qualcuno sostiene che Emmy volesse far
piacere a suo padre studiando la matematica; ciò non toglie che il suo talento
fosse inequivocabile. Nel 1907 si laurea “summa cum laude”; suo
relatore di tesi è Paul Gordan, “il re della teoria degli
invarianti”, collega e grande amico di suo padre. A quel tempo ci si poneva
il problema di scoprire se esisteva una base, cioè un insieme finito di
invarianti, nei cui termini potessero esprimersi, attraverso una funzione
polinomiale, integralmente e senza eccezioni, tutti gli altri infiniti
invarianti. Vent’anni prima Gordan aveva ottenuto un risultato chiave nella
teoria che tuttavia era relativo a un insieme semplificato di forme algebriche.
Gli sforzi successivi di matematici tedeschi, inglesi, francesi e italiani non
erano riusciti in un ventennio a venir a capo della forma più generale del
teorema, nota appunto come “problema di Gordan” che era tra i più
aperti e tra i più dibattuti nei circoli matematici dell’epoca. Insieme a Max
Noether, Gordan fu certo una delle figure più familiari nella vita della
giovane Emmy. Gordan amava parlare e camminare, interrompendo le sue
passeggiate con soste al caffè o in birrerie all’aperto. Come matematico lo
stesso Noether lo aveva definito un “algoritmico”. I suoi lavori
consistevano in venti pagine di formule ininterrotte e si diceva che le poche
righe di testo fossero aggiunte dagli amici. Emmy conserverà sempre una
profonda devozione per Gordan, il cui ritratto campeggiò sempre sulle pareti
del suo studio.
Rapidamente Emmy Noether inizia a lavorare, senza alcun
contratto né compenso, presso l’Istituto di Matematica di Erlangen,
collaborando con suo padre e con i due successori di Gordan. Uno di loro in
particolare, Ernst Fischer, ebbe un’influenza notevole sul suo lavoro nel campo
dell’algebra. Fischer diventa uno dei suoi più importanti interlocutori, con
lui poteva “parlare di matematica” a suo piacimento. Nonostante
vivessero entrambi a Erlangen e si vedessero di frequente all’università,
esiste un notevole carteggio fra i due fatto di cartoline contenenti argomenti
matematici, conservato con cura da Fischer, nonostante l’avventura della
guerra. Sembra quasi che Emmy, subito dopo aver conversato con lui si
precipitasse a buttare giù le idee di cui avevano discusso, vuoi per non
dimenticarle, vuoi per stimolare la prosecuzione del discorso. Fischer fu senza
dubbio il suo mentore; sotto la sua guida Emmy Noether passò dallo stile
algoritmico alla Gordan all’approccio assiomatico e astratto di Hilbert,
grandissimo protagonista della matematica a cavallo tra Ottocento e Novecento.
La Noether della maturità sarà chiamata la “madre” della moderna
algebra astratta e costituirà un estremo e grandioso esempio di pensiero
concettuale assiomatico in matematica: è difficile immaginare un contrasto
maggiore rispetto al più puro stile formale che aveva caratterizzato la sua
tesi, un lavoro che lei stessa liquiderà definendolo una “giungla di
formule”, una pura “faccenda di conti”.
La sua reputazione cresce insieme alle sue pubblicazioni:
nel 1908 viene eletta membro del Circolo Matematico di Palermo, l’anno
successivo viene invitata a far parte della Deutsche Mathematiker Vereinigung.
E’ la prima donna a partecipare alla riunione annuale della Società. Emmy ama
molto questi incontri annuali che soddisfano il suo naturale desiderio di
“parlare di matematica” come lei stessa diceva sempre. I primi anni
era praticamente l’unica donna attiva presente, a parte le mogli dei
partecipanti. Nel 1913 la riunione annuale si tiene a Vienna. 65 anni più tardi
viene ricordata così da un nipote del matematico Franz Mertens che ebbe modo di
incontrarla in quell’occasione: “Ricordo chiaramente una persona in visita
che, sebbene una donna, mi sembrò simile a un cappellano cattolico di una
parrocchia di campagna. Vestita con un indescrivibile pastrano nero che le sfiorava
la caviglia, un cappello da uomo da cui spuntavano capelli corti (ancora una
rarità all’epoca) e con una borsa a tracolla sistemata di traverso simile a
quella dei ferrovieri all’epoca dell’impero. Era una ben strana figura. Avrà
avuto circa trent’anni allora. L’avrei fa. In questa descrizione sono già
evidenti molti tratti caratteristici di quello che sarà il tipico stile “à
la Noether”. Negli anni fra il 1913 e il 1914 la Noether intensifica i
suoi contatti con Felix Klein e David Hilbert i quali all’epoca si stavano
interessando della teoria della relatività generale di Einstein. Hilbert era il
personaggio di punta della vita scientifica di Göttingen e dopo la morte di
Henri Poincaré era ormai considerato il più grande matematico dell’epoca.
Hilbert insegnava a Göttingen dal 1895, città dove sarebbe
rimasto per il resto della sua vita; durante il famoso semestre 1903/1904 Emmy
aveva seguito anche i suoi corsi. A differenza di Klein, un uomo piuttosto
bello, barba e capelli nerissimi, alto e distaccato nella sua tipica aria
regale, Hilbert era di media statura, vivace, quasi sanguigno, con una barba
rossiccia e dall’abbigliamento non pretenzioso; non aveva affatto l’aria del
professore. Anche il suo stile come insegnante era del tutto diverso da quello
di Klein: parlava lentamente senza “darsi delle arie” e con molte
ripetizioni “per essere sicuro che tutti fossero in grado di
capirlo”. Era sua abitudine fare una accurata rassegna degli argomenti
della lezione precedente, una tecnica ritenuta da liceo e disdegnata dagli
altri professori. A volte, senza dirlo in modo esplicito, Hilbert sviluppava
una delle sue personali idee spontaneamente, di fronte alla classe. Le sue
lezioni erano lontanissime dalla perfezione di Klein, eppure proprio le false
partenze, le asperità, il perdersi nei dettagli, rendevano gli studenti
intensamente partecipi del processo stesso della ricerca. Non era infrequente
che le lezioni si trasformassero in un fiasco. Hilbert borbottava che avrebbe
dovuto prepararsi meglio e lasciava liberi gli studenti. Fin dall’inizio
Hilbert aveva deciso che, attraverso la scelta dei soggetti, avrebbe educato se
stesso esattamente come i suoi allievi e che quindi non avrebbe mai ripetuto
sempre le stesse lezioni. A Hermann Weyl, anche lui, come Emmy, arrivato a
Göttingen nel 1903, Hilbert apparve come il “Pifferaio Magico” della
fiaba, che con l’irresistibile richiamo del suo “dolce flauto” lo
attirava “nel profondo fiume della matematica” Dopo i seminari andavano tutti insieme a
mangiare in un ristorante tipico, parlando tutto il tempo di matematica.
Hilbert selezionava gli studenti più brillanti con i quali faceva delle
passeggiate più lunghe. I suoi “ragazzi prodigio”, li chiamava.
All’inizio del secolo Göttingen era considerata la
“Mecca della matematica”, e Klein, sempre nel suo stile da dio
lontano che dirigeva tutto dall’alto delle nuvole, dedicava molto del suo tempo
e delle sue energie alla realizzazione del suo sogno di rendere Göttingen il
centro del mondo scientifico. Già alla fine dell’Ottocento aveva creato una
Società per lo sviluppo della matematica applicata e della meccanica e
parallelamente aveva gradualmente organizzato l’Università in una serie di
istituti scientifici e tecnici che sarebbero stati il futuro modello per i
complessi scientifico-tecnologici che in seguito si sarebbero sviluppati
intorno a varie università americane. Il forte interesse di Hilbert nei
confronti della fisica matematica contribuiva alla notevole reputazione
dell’università di Göttingen nel campo delle scienze fisiche. L’unità organica
di matematica e fisica era d’altra parte un risultato che la moderna Scuola di
Göttingen aveva ereditato da Friedrich Gauss e da Wilhelm Weber e Hilbert fu
sempre ben lontano dal disattendere le speranze di Klein in una rinascita della
tradizione. Dopo il 1900 Hilbert decise di mettersi a studiare fisica e si
occupò attivamente di fisica classica prima, e poi di teorie relativistiche e
di meccanica quantistica. Hilbert coltivava questi interessi in stretto
contatto con Hermann Minkowski, un altro degli astri di Göttingen. Questo
rapporto molto profondo, grazie al quale avranno una forte influenza reciproca
nel rispettivo lavoro scientifico, era maturato nel corso degli studi
universitari. La mente brillante e la precocità del timido Hermann, parecchio
più giovane di tutti i suoi compagni, avevano affascinato il giovane David.
Appena diciottenne Minkowski aveva vinto il Grand Prix des Mathématiques
dell’Accadémie des Sciences di Parigi con una memoria sulla rappresentabilità
di ogni numero come somma di cinque quadrati. L’entusiastico amore per la
matematica aveva unito Hilbert e Minkowski, in un’amicizia durata fino alla
morte precoce di quest’ultimo, avvenuta all’inizio del 1909.
Torniamo al 1915, anno in cui il lavoro di Einstein sulla
relatività generale gioca un ruolo importante nel destino di Emmy Noether. A
differenza della relatività speciale, che rappresentava la sintesi e la
conclusione delle scoperte di una generazione di scienziati, la relatività
generale è stata una creazione individuale, solitaria, una geniale intuizione,
poggiata però su solide basi matematiche. In primo luogo sulla geometria non
euclidea, elaborata nel secolo scorso da Riemann, ma anche sulla utilizzazione
di uno strumento matematico di difficile accesso, il calcolo differenziale
assoluto, che, sorto con le ricerche di Friedrich Gauss, Bernard Riemann e
Erwin Christoffel, in quel periodo era stato sistematicamente sviluppato da due
grandi matematici italiani, Gregorio Ricci-Curbastro e Tullio Levi-Civita. L’estensione
del principio di relatività al caso della gravitazione richiese un lavoro
durissimo. L’elaborazione matematica della teoria fu particolarmente
impegnativa e si protrasse per circa sette anni. Nel 1912 Einstein scriveva a
Arnold Sommerfeld: “Una cosa è certa, in tutta la mia vita non ho mai
lavorato tanto duramente, e l’animo mi si è riempito di un sacro rispetto per
la matematica, la parti più sottili della quale avevo finora considerato, nella
mia dabbenaggine, un inutile orpello. Di fronte a tale problema, l’originaria
teoria della relatività è un gioco da ragazzi”.
Nonostante i progressi la teoria non funzionava ancora. Nel
1913 Max Planck, in visita da Einstein, gli aveva detto: “Come amico di
vecchia data devo metterti in guardia; in primo luogo non riuscirai, e anche se
ciò dovesse accadere nessuno ti crederà”. Verso la fine del 1914 Einstein
tenne una proficua corrispondenza con Levi-Civita il quale, mostrandosi molto
più interessato di molti suoi colleghi alle idee di Einstein sulla relatività,
lo aiutò a risolvere alcuni errori tecnici relativi al calcolo tensoriale. Tra
la fine di giugno e i primi di luglio del 1915 Einstein viene invitato a tenere
sei conferenze a Göttingen. “Con mia grande gioia sono riuscito a
convincere completamente Hilbert e Klein”. “Sono entusiasta di
Hilbert: un personaggio autorevole”, scrisse a Sommerfeld al suo ritorno a
Berlino . Un entusiasmo apparentemente condiviso da Hilbert, che in quello
stesso anno propone Einstein per il prestigioso premio Bolyai “per l’alto
spirito matematico che permea tutti i suoi risultati”. A quest’epoca
Einstein non aveva ancora completato la teoria, che presentava alcuni problemi.
I progressi più importanti risalgono al periodo tra l’ottobre e il novembre di
quell’anno. Il passo finale verso il completamento della teoria generale della
relatività fu fatto quasi contemporaneamente da Einstein e da Hilbert. Tra il 7
e il 20 novembre i due hanno un fitto scambio di lettere – da cui traspare una
notevole cordialità – nel quale comunicano l’uno all’altro gli ultimi
risultati. Hilbert a Einstein: “Il tuo sistema [di equazioni] si accorda,
per quanto mi è dato di vedere, esattamente con ciò che ho trovato nelle ultime
settimane e ho esposto all’Accademia”. Il 25 novembre Einstein presenta all’Accademia
prussiana la versione definitiva delle equazioni del campo gravitazionale –
“la scoperta più preziosa della mia vita” – che rappresentavano il
completamento della struttura logica della teoria . Il 20 novembre Hilbert
aveva sottoposto a sua volta all’Accademia delle scienze di Göttingen una nota
– “Grundlagen der Physik” (Fondamenti della fisica) – nella quale
derivava le equazioni definitive del campo gravitazionale come soluzione di un
problema variazionale. E’ difficile stabilire quanto ciascuno avesse appreso
dall’altro, tuttavia Hilbert ammise pubblicamente che la grande idea di base
era di Einstein. Alla fine del suo lavoro Hilbert magnificava il “metodo
assiomatico”, del quale era il re, che aveva utilizzato impiegando “i
più potenti strumenti dell’analisi, ovvero il calcolo delle variazioni e la
teoria degli invarianti”.
E’ interessante notare che nelle “Grundlagen der
Physik” Hilbert presentava anche il primo sforzo di formulare
esplicitamente una teoria di campo che unificava gravitazione,
elettromagnetismo e materia. Il tutto era nella linea caratteristica della
tradizione di Göttingen: il punto di vista assiomatico-deduttivo,
l’utilizzazione di teorie matematiche astratte (geometria differenziale, teoria
dei gruppi e calcolo delle variazioni), l’aspirazione alla costruzione di
teorie fisiche unificate. Gli aspetti sperimentali ed empirici e le questioni
di interpretazione fisica erano invece considerati di secondaria importanza .
All’epoca l’entusiasmo di Hilbert e dei suoi seguaci era alle stelle. Il sogno
di una legge universale che rendesse conto della struttura del cosmo nel suo
insieme, compresi gli enigmi della struttura atomica, sembrava quasi a portata
di mano. La formulazione di grandi teorie di unificazione volte alla sintesi delle
conoscenze seguirà un percorso ben più complesso, ma certamente Hilbert restava
un precursore dei primi modelli di teorie di campo unificate. Lo stesso
Einstein sembrava considerare fin troppo ambizioso il programma hilbertiano.
Nel 1917 disse a uno studente di Göttingen: “E’ troppo temerario tracciare
già ora una immagine del mondo, dal momento che vi sono ancora tante cose che
non possiamo neppure lontanamente immaginare”. Eppure, di lì a poco, lui
stesso, come ricorda Pais, “avrebbe dato inizio a un proprio programma di
costruzione di una immagine del mondo…” .
Nel XX secolo la natura dei rapporti fra matematica e fisica
si modifica profondamente. Nel caso della teoria della relatività di Einstein –
speciale e generale – interviene una forma inedita di interazione: la
matematica non è più un mero supporto “di calcolo”, ma assume ormai
un ruolo di struttura fondante per la descrizione della realtà fisica. Nel 1907
Einstein aveva avuto quello che lui stesso ha definito “il pensiero più
felice della mia vita”. “Ero seduto sulla mia sedia nell’ufficio
brevetti a Berna quando all’improvviso mi si presentò un pensiero: “Se una
persona cade liberamente non sentirà il suo stesso peso”. Ne fui colpito.
Questo semplice pensiero fece su di me una profonda impressione. Mi indirizzò
verso una teoria della gravitazione”. Dalla primitiva intuizione fisica
del principio di equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale, il
cammino di Einstein verso la formulazione di una teoria generale dovette passare
attraverso la scoperta dell’esistenza di strutture matematiche che forniranno
un fondamento matematico alla teoria fisica. Nel primo paragrafo della sua
memoria del 25 novembre Einstein aveva esplicitamente affermato: “I mezzi
matematici necessari per la teoria della relatività generale erano già pronti
nel “calcolo differenziale assoluto”, che si basa sulle ricerche di
Gauss, Riemann e Christoffel sulle varietà non euclidee, ed è stato eretto a
sistema da Ricci e Levi-Civita e da essi applicato a problemi della fisica
teorica” .
La teoria dei gruppi, un tipo di matematica che gli stessi
matematici consideravano all’inizio troppo astratta per trovare applicazioni
nella fisica, costituisce un’altra eclatante dimostrazione di quella che Eugene
Wigner ha definito la ingiustificabile (unreasonable) applicabilità della
matematica alla fisica. Fu la teoria dei gruppi continui di trasformazioni,
elaborata da Lie intorno al 1870, quella che si dimostrò più fruttuosa nelle
sue applicazioni alla fisica. Essa condusse in maniera naturale a definire il
concetto di simmetria o invarianza delle leggi fisiche rispetto a un gruppo
continuo di trasformazioni, concetto che rappresenta una delle innovazioni più
significative della fisica del nostro secolo . Certamente Einstein, più di ogni
altro, comprese le conseguenze della simmetria delle leggi fisiche – e il loro
collegamento con la struttura matematica dello spazio-tempo – mettendone in
luce le profonde e rivoluzionarie implicazioni: “Le leggi della fisica
devono essere di natura tale da valere in sistemi di riferimento in moto
arbitrario” e non già solo in quelli in moto uniforme, come richiedeva la
relatività speciale. Già nel 1910 Klein aveva osservato che relatività
significa invarianza rispetto a un gruppo di trasformazioni e implica perciò
una particolare simmetria delle equazioni della teoria, a sua volta un riflesso
della geometria dello spazio-tempo postulata per l’insieme degli eventi fisici.
A questo punto entra ufficialmente in scena Emmy Noether, che a quell’epoca aveva
al suo attivo numerose pubblicazioni sulla teoria degli invarianti ed era ormai
considerata un’ autorità sull’argomento. Questo spiega perché avesse attratto
l’attenzione di Hilbert e di Klein i quali, immersi fino al collo nella teoria
della gravitazione l’avevano invitata a Göttingen. Emmy Noether si trovava là
dall’aprile del 1915.
Nell’autunno del 1915 Emmy scriveva a Ernst Fischer:
“La teoria degli invarianti qui va per la maggiore; perfino Hertz, un
fisico, studia il Gordan-Kerschensteiner, la prossima settimana Hilbert farà un
seminario sugli invarianti differenziali di Einstein, e allora sì che a
Göttingen bisognerà saperne qualcosa” . Le porte della “Mecca”
si erano aperte dinanzi a Emmy Noether che non lascerà più Göttingen, se non
per soggiorni di studio e di lavoro, e vi rimarrà fino ad assistere alla fine
di quell’epoca gloriosa a opera della Germania di Hitler. Hilbert e Klein, ben
determinati a farla restare, pongono immediatamente il problema della sua
collocazione accademica e già il 20 luglio del 1915 spingono la Noether a fare
richiesta per l’abilitazione. L’università di Göttingen era stata la prima
università tedesca a fornire il titolo di dottore a una donna, ma concedere
l’abilitazione era tutt’altra faccenda. Nell’intera Germania nessuna donna
aveva ancora ottenuto l’abilitazione all’insegnamento. L’intera facoltà di
Filosofia, che comprendeva filosofi, filologi e storici insieme ai matematici e
agli studiosi di scienze naturali, doveva votare l’accettazione della tesi di
abilitazione. Nel 1907 lo storico Karl Brandi aveva espresso la sua profonda
disapprovazione “Molti di noi giudicano l’accesso delle donne agli
organismi universitari come qualcosa di dannoso per l’influsso umano e morale
che può avere sul corpo insegnante maschile e su un uditorio fino ad ora
omogeneo”. E continuava su questo tono affermando che la presenza
femminile avrebbe compromesso il buon esito dell’insegnamento: “Non vorrei
rinunciare a quel tono di confidenza informale […] una condizione fondamentale
per una perfetta riuscita della lezione risiede nell’omogeneità di sesso”
. Naturalmente l’opposizione veniva in particolare dai membri non matematici
della facoltà. “Come si può consentire che una donna diventi Privatdozent?
Se diventa Privatdozent può diventare professore e membro del Senato
accademico. Si può permettere che una donna entri a far parte del Senato?”
Queste erano le ragioni formali. Ma altre inquietanti preoccupazioni agitavano
le menti: “Cosa penseranno i nostri soldati quando torneranno all’università
e scopriranno che gli si chiede di studiare sotto la guida di una donna?”
Hilbert, che non aveva peli sulla lingua ed era sempre molto diretto nelle sue
argomentazioni, sembra rispondesse così agli argomenti formali: “Cari
signori, non vedo perché il sesso della candidata debba costituire un argomento
contro la sua ammissione come Privatdozent. In fin dei conti il Senato
accademico non è uno stabilimento termale”. Per ironia della sorte nessuno
sembrava considerare Emmy come appartenente al sesso femminile a tutti gli
effetti. A chi gli chiedeva se ritenesse la Noether il più grande matematico di
sesso femminile, il matematico Edmund Landau, collega di Emmy, dirà più tardi:
“Non c’è alcun dubbio che sia un grande matematico, ma che sia una donna
non posso giurarlo”. Normalmente ci si riferiva a lei con l’appellativo
“der Noether” – der è l’articolo che precede i nomi maschili in
tedesco. Era stato uno dei suoi studenti più famosi, Alexandrov, a
ribattezzarla così. Lui stesso preciserà in seguito: “La sua femminilità
si manifestava in quel gentile e sottile liricismo che era al cuore degli assai
diffusi ma mai superficiali interessi nei confronti delle persone, della sua
professione, e dell’intera umanità”.
In ogni caso l’aspetto fisico di Emmy Noether sembra fosse
ben lontano dall’indurre in tentazione: “Nessuno potrebbe sostenere che le
Grazie abbiano presieduto alla sua nascita”, dice Weyl, che la frequentò a
lungo. Certo Emmy aveva poco in comune con la leggendaria Sonya Kowalewski, che
aveva stregato anche Weierstrass con il suo charme fisico e intellettuale.
Tutti quelli che hanno conosciuto Emmy sono concordi nel dichiarare che
“aveva una voce forte e sgradevole” e che “il suo abbigliamento
faceva borse da tutte le parti”. In contrasto con queste apparenze le sue
qualità umane e spirituali erano considerate notevoli e lo stesso Weyl ricorda
che Emmy era “piena di calore umano quanto una pagnotta di pane”.
Nonostante gli sforzi Hilbert e Klein non riuscirono nel loro intento. Alla
richiesta ufficiale di concedere l’abilitazione – “La nostra istanza non
ha l’obiettivo di andare contro il decreto ma chiede di prendere in
considerazione una dispensa per questo caso particolare, più unico che
raro…” – il Ministero rispose dopo due anni: “Non si possono concedere
eccezioni, anche se in un caso così particolare in cui l’eccezione è
innegabile”. Nel frattempo Hilbert aveva risolto il problema a modo suo.
Le lezioni di fisica matematica – Teoria degli invarianti – annunciate con il
nome del professor Hilbert, venivano tenute da Fräulein Noether. Nel corso del
semestre invernale 1916/17 la Noether tenne lezioni sulla teoria degli
invarianti e continuò a lavorare su questi argomenti per i quali lo stesso
Klein dimostrava un fortissimo interesse che scaturiva dall’individuare una
correlazione fra le idee alla base della teoria speciale e generale della
relatività e il suo “Programma di Erlangen”, vero e proprio
“manifesto” sull’importanza dei gruppi di trasformazioni e dei loro
invarianti per la geometria. Il tutto si integrava con la sua grande
ammirazione per Riemann, che Klein vedeva così sorprendentemente giustificata
dalla teoria di Einstein sulla gravitazione .
Anche la connessione fra le leggi di conservazione della
meccanica classica (energia, impulso, momento angolare e moto uniforme del
centro di massa) e le corrispondenti simmetrie dello spazio-tempo (traslazioni
nello spazio e nel tempo, rotazioni e trasformazioni di Galileo e di Lorentz)
erano da diversi anni al centro degli interessi di Klein, come si deduce dal
testo delle conferenze da lui tenute negli anni 1915-1917 sugli sviluppi della
matematica nel XIX secolo. Nel frattempo Hilbert continuava a occuparsi di
relatività generale e in particolare dell’apparente venir meno delle leggi di
conservazione dell’energia-impulso. Questo restava il punto debole della
teoria. Hilbert lo aveva citato in un lavoro come “il venir meno del
teorema dell’energia”. In una lettera a Klein affermava che questo
sembrava una caratteristica distintiva della teoria generale. Hilbert dice
anche di aver chiesto a Emmy Noether di aiutarlo a chiarire la faccenda. Nel
1916 anche Klein stava lavorando a questo problema della conservazione
dell’energia – che lui definiva “vettore dell’energia di Hilbert” – e
a questo proposito scriveva a Hilbert: “Lei sa che la signorina Noether
continua a consigliarmi nel mio lavoro ed è certo grazie a lei che sono
diventato competente nell’argomento. Parlando di recente con Fräulein Noether
dei risultati ottenuti con il suo vettore dell’energia, mi ha detto di aver
derivato la stessa cosa a partire dalla sua nota di un anno fa [Grundlagen der
Physik] e di averne preso nota su un manoscritto che ho esaminato”. Nel
presentare i suoi risultati sul vettore dell’energia all’Accademia, Klein
ringraziava la Noether per i suoi contributi. Nel rispondere a Klein Hilbert
sottolineava a sua volta: “Emmy Noether, al cui aiuto ho fatto ricorso per
chiarire le questioni connesse alla mia legge dell’energia…”. L’
“esperto di teoria degli invarianti”, come Hilbert una volta si era
autodefinito, ricorreva all’aiuto dell’antica allieva del “re degli
invarianti”! Nello stesso periodo la Noether raccontava a un’amica che un
gruppo di Göttingen, al quale apparteneva anche lei, stava eseguendo calcoli
difficilissimi per Einstein. “Nessuno di noi capisce a che cosa possano
servire”. A questo punto sembrerebbe proprio che anche Emmy stesse
sguazzando in piena teoria della relatività.
Il 24 maggio 1918 Einstein scrive a Hilbert a proposito di
un articolo pubblicato da Emmy nel mese di gennaio : “Ieri ho ricevuto
dalla signorina Noether un lavoro molto interessante sugli invarianti. Mi
impressiona molto il fatto che qualcuno riesca a comprendere questioni di
questo tipo da un punto di vista così generale. Non sarebbe stato male mandare
la vecchia guardia di Göttingen a scuola da Fräulein Noether. Di sicuro conosce
bene il suo mestiere!”. Nel mese di luglio dello stesso anno un lavoro di
Emmy Noether fu presentato all’Accademia
reale delle scienze di Göttingen da Felix Klein, presumibilmente perché la
Noether non faceva parte di quell’accademia. Viene perfino la tentazione di
chiedersi se fosse presente quando il lavoro venne letto! Vi si presentavano
due teoremi e i loro inversi che rivelavano nel modo più generale la
connessione tra simmetrie e leggi di conservazione in fisica, generalizzando
una serie di risultati ottenuti in epoche diverse a tutti i gruppi continui
finiti e infiniti. Il lavoro della Noether incorporava in modo inedito
differenti campi della matematica e della fisica matematica:
1) La teoria degli invarianti algebrici e differenziali;
2) La geometria di Riemann e il calcolo delle variazioni nel
contesto della relatività generale, della meccanica e della teoria dei campi;
3) La teoria dei gruppi, in particolare la teoria dei gruppi
di Lie per risolvere o ridurre le equazioni differenziali per mezzo dei loro
gruppi di invarianza.
L’originalità di quello che si chiamerà il “Teorema di
Noether” consiste proprio nel fondare ciascun principio di conservazione
di una quantità fisica sull’invarianza formale delle leggi . Più precisamente
enuncia che, per ciascuna simmetria continua – come per esempio una rotazione
nello spazio – o una simmetria discreta – come l’inversione temporale o
riflessione spaziale – della funzione di Lagrange che rappresenta il sistema
fisico, esiste una quantità che si conserva nel corso dell’evoluzione di questo
sistema. Le conclusioni più interessanti del teorema si ottengono nel caso di
trasformazioni cosiddette euclidee, perché in questo caso le grandezze
conservate hanno una interpretazione fisica immediata. Le trasformazioni
euclidee hanno la caratteristica di non deformare gli oggetti: si tratta di
traslazioni temporali, traslazioni spaziali o rotazioni. In queste situazioni
semplici il teorema fornisce i tre risultati seguenti: se la lagrangiana che
rappresenta il sistema fisico è invariante (simmetrica) per una traslazione
temporale – ovvero se la sua espressione formale non cambia quando si effettua
uno spostamento sulla variabile tempo – l’energia totale del sistema si
conserva nel corso del movimento; nel caso di invarianza per traslazioni
spaziali, la quantità che si conserva è l’impulso (quantità di moto del
sistema); infine, se si ha invarianza per rotazione (i parametri necessari per
descriverla sono tre) si conserva il momento angolare (tre componenti).
Ciascuno dei tre grandi principi di conservazione della fisica si fonda quindi
in ultima analisi su una simmetria di tipo particolare. Il teorema di Noether
fa quindi apparire un legame del tutto inatteso fra il contenuto delle leggi
fisiche e la struttura dello spazio tempo stesso. La conservazione dell’energia
in particolare ha come diretta implicazione la costanza delle leggi della
fisica, e dunque l’uniformità del tempo. In effetti la costanza di alcuni
parametri base come la carica elettrica, la massa dell’elettrone, la costante
di Planck, la velocità della luce, ecc. è stata verificata ampiamente su tempi
lunghissimi e distanze enormi attraverso osservazioni astronomiche e geologiche
con una precisione di circa 10-8 sull’intera età dell’Universo. La
conservazione della quantità di moto ci rinvia a quella che si potrebbe
chiamare l’universalità delle leggi (l’invarianza per traslazione spaziale ci
dice che la fisica si scrive nello stesso modo a Parigi e a New York) e dunque
all’omogeneità dello spazio. La conservazione del momento angolare implica
invece che lo spazio è isotropo (non esiste una direzione privilegiata).
Questi teoremi si allontanavano in qualche modo dalla
principale linea di ricerca della Noether, lo sviluppo della moderna algebra
astratta. Ma la caratteristica costante dei suoi maggiori contributi alla
matematica moderna consisteva proprio nella sua abilità nel derivare risultati
di importanza generale a partire da un caso specifico. Anche in questo caso il
risultato che Emmy aveva ottenuto era infatti del tutto generale, nel più puro
stile “noetheriano”. Nel primo teorema Emmy Noether mostrava infatti,
come caso particolare, che in teorie del tipo della relatività generale
esistono delle identità – nel caso di questa teoria sono le cosiddette identità
di Bianchi – che forniscono delle leggi di conservazione locali di tipo
differenziale le quali in uno spazio tempo piatto si trasformano nelle
ordinarie leggi di conservazione dell’energia e dell’impulso. La bellezza e
l’importanza straordinaria del Teorema di Noether sta proprio nella
combinazione di due proprietà: è estremamente generale da una parte e
dall’altra fornisce la possibilità di costruire immediatamente le quantità
conservate data la funzione di Lagrange e il suo gruppo di invarianza! Nel
lavoro di Emmy confluivano in definitiva una serie di ingredienti che ne
facevano l’apice dell’evoluzione di una serie di campi di ricerca rendendo
molto più profonda la comprensione dei principi di conservazione e fornendo lo
strumento per le grandi scoperte delle simmetrie di gauge che caratterizzeranno
il XX secolo, proprio grazie al fatto che il teorema si basa su una versione
generalizzata della teoria del gruppi. La generalità del teorema è infatti tale
che attraverso di esso la matematica ha acquistato una portata
“euristica” del tutto inedita: diventa possibile derivare a priori e
in modo del tutto stupefacente l’esistenza di entità fisiche ben determinate.
Tutto ciò non ha fatto che accrescere il mistero sulla natura del potere
creativo del linguaggio matematico, apparentemente una semplice concatenazione
di simboli, eppure così prossima alla natura delle cose. Questo lavoro
rappresentò la sua tesi di abilitazione. Nel curriculum vitae che la Noether
allegò agli atti lei stessa lo presenta come uno studio che “in parte
consiste in uno sviluppo del mio lavoro di supporto a Klein e Hilbert nelle
loro ricerche sulla teoria generale della relatività di Einstein”. Ben
cosciente degli scopi e dell’importanza dei suoi risultati per la fisica, la
Noether scriveva anche: “I risultati generali contengono, come casi particolari,
i teoremi sugli integrali primi [leggi di conservazione] in meccanica, oltre ai
teoremi di conservazione e le identità fra le equazioni di campo della teoria
della relatività”. Questi risultati così fondamentali furono comprensibilmente
molto apprezzati da Einstein, il quale, in una lettera a Hilbert, si riferiva
al “penetrante pensiero matematico della Noether”. Alla fine del 1918
Einstein scriveva a Klein, a proposito del deplorevole protrarsi del caso
Noether: “Nel ricevere il nuovo lavoro della Noether ho riflettuto di
nuovo sulla grossa ingiustizia che le viene fatta negandole la venia legendi.
Io sarei dell’avviso di intraprendere un energico passo verso il Ministero. Se
lei non lo ritiene possibile, allora me ne incaricherò io stesso”. Alla
fine della prima guerra mondiale l’atteggiamento politico cambia, ha luogo un
riconoscimento più esteso dei diritti della donna e il ministero concede
l’abilitazione a Emmy, che nel 1919 divenne finalmente Privatdozent, una
posizione che, oltre a rappresentare il più basso dei gradini nella scala
accademica, non comportava alcuno stipendio. Nel 1923 Hilbert riuscì a ottenere
per lei l’incarico di nicht-beamteter ausseordentlicher Professor, di nuovo una
nomina che non implicava “alcun mutamento nella sua posizione legale”,
in particolare non comportava l’assegnazione di alcuna funzione ufficiale. In
altre parole era un mero “titolo senza mezzi”. L’unico piccolo
introito stabile le derivava da un contratto per l’insegnamento dell’algebra.
Tutto ciò obbligò sempre la Noether a vivere in modo molto semplice e modesto,
ma forse Emmy avrebbe mantenuto ugualmente uno stile di vita di questo tipo;
tutti i soldi che le avanzavano li utilizzava in genere per aiutare i propri
familiari.
Intanto le preoccupazioni dei membri più reazionari del
senato accademico venivano smentite in modo eclatante: intorno a Emmy Noether
ruotava uno dei più fertili gruppi di ricerca della Göttingen fra le due
guerre. I suoi rapporti con gli studenti erano leggendari. Come disse una volta
Norbert Wiener: “Sembrava una robusta lavandaia molto miope i cui studenti
si affollavano intorno a lei come una nidiata di anatroccoli intorno a una
chioccia materna e affettuosa”. Con autoironia lei stessa chiamava i più
brillanti “Trabanten”, i suoi “seguaci”. I “ragazzi di
Noether” venivano da tutto il mondo: Russia, Olanda, Israele, Cina e
Giappone. Erano la sua famiglia e un’offesa fatta a loro era per Emmy peggiore
di qualsiasi oltraggio fatto a lei stessa. La sua dedizione verso i suoi
studenti era enorme, ed essi ricorrevano a lei per qualsiasi problema, anche di
carattere privato. Emmy di certo non era adatta per l’insegnamento dei corsi di
base. Pensava a grande velocità e parlava ancora più velocemente tenendo
l’uditorio per tutto il tempo al limite dell’impegno mentale. Pur essendole ben
chiaro ciò che voleva dire, non era affatto sicura di quanto avrebbe detto.
Scriveva qualcosa sulla lavagna e la cancellava subito dopo. I pareri sono
molto discordi sulle sue qualità come insegnante. Molti dei suoi studenti divennero
essi stessi professori universitari, alcuni di loro molto eminenti, ma perfino
alcuni tra i più famosi ricordano di aver seguito con molta difficoltà le sue
lezioni, che il più delle volte non erano preparate in anticipo. Chi era già
addentro all’argomento le ricorda invece come un’esperienza indimenticabile. I
risultati non venivano presentati in modo chiaro e definito, ma in compenso era
possibile partecipare al loro processo di derivazione e perfezionamento. Uno
degli allievi preferiti di Emmy Noether, Bertel van der Waerden, racconta che
durante le lezioni di Emmy si assisteva a questa tipica scena: Emmy doveva
dimostrare un certo teorema e aveva in mente una prova diversa da quella
utilizzata correntemente, che tipicamente seguiva un approccio astratto, basato
su concetti e assiomi, senza calcoli e con pochissimi passaggi. Ma Emmy al
solito non aveva definito nei dettagli il procedimento e quando si accorgeva in
aula che le cose non funzionavano come previsto veniva sopraffatta dalla
rabbia. Lanciava via il gesso e calpestandolo urlava: “Ecco, ora non posso
farlo a modo mio!” e proseguiva a malincuore, seppure in modo impeccabile,
seguendo la “via tradizionale”.
Durante le lezioni si appassionava talmente che i suoi abiti
si scomponevano, le forcine cominciavano a sfuggire dai capelli. Alla fine
della lezione non c’era speranza di attrarre l’attenzione di Emmy sullo stato
pietoso della sua capigliatura, tanto continuava a essere assorbita dalle
discussioni con gli studenti. In ogni caso non gliene importava un bel niente
dell’abbigliamento: andava in giro con ombrelli dissestati e scarpe
terribilmente robuste – davano l’impressione di essere calzature maschili – e
così finiva con l’avere un’aria trasandata. La sua sciatteria finiva con
l’essere contagiosa e quando i suoi studenti russi – presso i quali era molto
popolare – cominciarono ad andare in giro per Göttingen in maniche di camicia –
una sorprendente trasgressione rispetto al canonico abbigliamento degli
studenti dell’epoca – lo stile fu ribattezzato “uniforme della guardia
Noether”. Il suo comportamento a tavola era ugualmente
“distratto”, come ricorda Olga Taussky, una studentessa cecoslovacca
che ebbe con lei dei rapporti molto stretti: “All’ora di pranzo io sedevo
vicino a Emmy, alla sua sinistra. Emmy era occupatissima a discutere di
matematica con il suo vicino di destra e con tutti coloro che sedevano nei
dintorni. Mangiava il suo pasto gesticolando violentemente per tutto il tempo.
L’operazione le teneva occupata anche la mano sinistra, con la quale spazzava
via del tutto imperturbata il cibo che faceva continuamente cadere sul
vestito”.
La sua generosità e la sua dedizione verso i propri allievi
erano proverbiali. In effetti Emmy non era portata all’insegnamento elementare
davanti a classi numerose, ma era capace di esercitare un’influenza eccezionale
su allievi particolarmente dotati e già avanti con gli studi o addirittura già
avviati nel lavoro di ricerca. Il significato del suo lavoro non può essere
valutato a pieno soltanto a partire dalle sue pubblicazioni. Emmy aveva una
enorme capacità di stimolare gli altri e molti dei suoi suggerimenti presero
una forma definitiva soltanto nel lavoro dei suoi allievi e collaboratori. Era
sempre pronta a condividere il suo patrimonio di idee con chiunque fosse in
grado di seguirla. Van der Waerden la definì: “Del tutto priva di egoismo
e libera da qualsiasi vanità, non reclamava mai nulla per sé, ma portava avanti
prima di tutto il lavoro dei suoi allievi”. Lei stessa affermava: “I
miei metodi riguardano il lavoro e la capacità di comprensione e quindi il loro
affermarsi avviene in modo anonimo”. Un tipico destino che ha
caratterizzato l’operato delle donne per secoli. Per anni curò la pubblicazione
di articoli per i Matematische Annalen. Pur non figurando ufficialmente svolse
sempre il suo lavoro con coscienza e precisione, riuscendo a essere amica
fedele e critico severo allo stesso tempo.
Molti concetti di base dell’algebra sono scaturiti dalle sue
lezioni. Nel 1930 lo studente olandese van der Waerden, che nel 1924 passò un
anno a Göttingen, ne tradusse le idee nel volume Moderne Algebra, che contribuì
in maniera essenziale a diffondere le concezioni della Noether e a farle
diventare patrimonio di ogni matematico. Il libro, che ha conosciuto non meno
di otto riedizioni, era da van der Waerden redatto “utilizzando le lezioni
di Emmy Noether e di E. Artin” ed è oggi diventato un classico. Vi si dava
un’esposizione dei concetti fondamentali dell’algebra astratta, dalla teoria
dei gruppi, agli anelli, ai campi, alla teoria degli ideali e delle algebre.
Nel corso degli anni Venti il lavoro di Emmy Noether cambiò il volto
dell’algebra e soprattutto da lei scaturì un nuovo modo di pensare in algebra,
che ha fatto epoca. Insieme ai suoi studenti, pochi e spesso stranieri,
rappresentava la tendenza verso l’astrazione e la generalizzazione che negli
anni successivi sarebbe diventata sempre più dominante. “Ci ha insegnato a
pensare in termini semplici e quindi del tutto generali […] non secondo
complicati procedimenti algebrici”, disse di lei Alexandrov. Molti dei
suoi allievi sono poi diventati matematici di fama mondiale. Intorno al 1930
Emmy Noether continuava a non essere professore, ma contribuiva in modo
decisivo all’ “atmosfera matematica” di Göttingen. Ogni domenica
pomeriggio faceva con i suoi “seguaci” una lunghissima passeggiata –
matematica e passeggiate erano una solida tradizione di Göttingen – che aveva
come meta finale la modesta casa di Emmy dove veniva preparato il delizioso
pudding “à la Noether” senza mai interrompere l'”algebrica”
conversazione. Una gran parte della vita sociale a Göttingen dipendeva dalle
festicciole che i professori davano in varie occasioni durante l’anno. Ciascuno
aveva il suo stile. Le riunioni di Landau avevano un carattere
“intellettuale”, si facevano dei giochi di abilità; Hilbert non vi
partecipava mai, mentre era sempre presente ai famosi “party per
bambini” di Emmy Noether. I coniugi Weyl davano dei tè danzanti la
domenica pomeriggio, molto eleganti e formali, pieni di ragazze carine. I
Courant invece organizzavano di continuo serate musicali, alle quali alcuni
studenti venivano invitati. Una volta emigrata negli Stati Uniti Emmy
conserverà il suo tipico stile, con i suoi immancabili occhiali spessi come
fondi di bottiglia e il suo modo caratteristico di girare la testa da un lato e
di guardare in lontananza nello sforzo di pensare, con il suo modo
anticonformista di vestire che attraeva l’attenzione – un effetto del tutto
fuori dalle sue intenzioni. Continuerà a fare le tradizionali passeggiate della
domenica pomeriggio finendo come al solito con l’essere talmente assorbita
dalla conversazione da rischiare di finire sotto un’auto se i suoi studenti non
l’avessero regolarmente protetta.
Alla fine degli anni Venti Göttingen era ormai il centro
della matematica mondiale. Vi insegnavano matematici di prim’ordine come Edmund
Landau – analista e teorico dei numeri succeduto a Minkowski – Hermann Weyl,
Richard Courant – l’antico assistente di Hilbert, ora direttore del nuovo
Istituto di Matematica -, Costantin Carathéodory e Paul Bernays, solo per
citarne alcuni. Matematici di ogni paese vi passavano periodi di studio.
Göttingen era diventata un centro importante anche per la fisica. Un gruppo di
giovani eccezionalmente dotati si era raccolto intorno a Max Born, che dopo la
guerra era diventato professore di fisica teorica. Fin dall’inizio era stata
sua ferma intenzione di creare un istituto all’altezza di quello di Sommerfeld
a Monaco. Quest’ultimo, per inciso, era stato a sua volta allievo di Klein… I
primi assistenti di Born furono Wolfgang Pauli e Werner Heisenberg,, entrambi
destinati a modificare radicalmente il modo in cui la fisica guarda il mondo.
Emmy Noether giocava ormai un ruolo di primo piano nel gruppo dei matematici.
Le sue idee e i suoi metodi si andavano decisamente affermando anche all’estero
e nel 1928-29 essa fu per qualche mese professore visitatore all’università di
Mosca, dove consolidò l’amicizia con P. S. Alexandrov, suo antico allievo e
influenzò il circolo dei matematici riuniti intorno a lui. Nel 1930 ebbe un
incarico a Francoforte. Tuttavia Hermann Weyl, nel succedere alla cattedra di
Hilbert nel 1930, ricordava con rammarico la penosa situazione accademica della
Noether: “Quando ebbi un incarico stabile a Göttingen nel 1930, cercai in
tutti i modi di ottenere dal Ministero una migliore posizione per lei, perché
mi vergognavo di occupare una posizione tanto privilegiata rispetto a lei, che
ritenevo superiore a me come matematico sotto molti punti di vista. Non ci
riuscii, così come fallì un tentativo di sostenere la sua elezione come membro
dell’Accademia delle Scienze di Göttingen. Tradizione, pregiudizio,
considerazioni esterne, fecero pendere la bilancia contro i suoi meriti
scientifici e la sua statura scientifica, che all’epoca non era negata da
alcuno” . Quando Emmy fu negli Stati Uniti, Weyl fece in modo che
divenisse membro dell’American Mathematical Society.
Nel settembre 1932 Emmy Noether è l’unica donna a
partecipare alle ventuno conferenze plenarie del Congresso internazionale di
matematica tenuto a Zurigo. Era il trionfo della sua linea di lavoro, il pieno
riconoscimento del suo programma di ricerca e il punto più alto della sua fama
scientifica a livello internazionale. Nello stesso anno ricevette l’ambito
premio Alfred Ackermann-Teubner per i suoi meriti scientifici. Ma la tempesta
si sta addensando sulla testa di Emmy Noether, su Göttingen, sulla Germania e
presto coinvolgerà il mondo intero. Nel gennaio dell’anno successivo il presidente
von Hindenburg nomina Adolf Hitler cancelliere del Reich. Immediatamente
vengono prese le prime misure destinate a distruggere il “potere
satanico” che “teneva in pugno tutte le posizioni chiave della vita
scientifica e intellettuale, oltre a quella politica ed economica”. Alle
università viene ordinato di rimuovere da qualsiasi incarico di insegnamento
tutti coloro che hanno sangue ebraico nelle vene. La scuola di Hilbert riceve
il colpo più duro. Nessun pregiudizio – di nazionalità, di sesso o razziale –
vi aveva mai avuto cittadinanza. Weyl prese il posto di Courant, succedendo a
Otto Neugebauer che, essendosi rifiutato di giurare fedeltà al regime, era
sopravvissuto come direttore dell’Istituto un solo giorno. Weyl pensava che si
potesse fare ancora qualcosa. Scrisse innumerevoli lettere, incontrò membri del
governo, ma nulla poté essere cambiato. Sua moglie era in parte ebrea e gli
amici, tra cui Einstein che era già a Princeton, lo scongiurarono di partire
prima che avvenisse il peggio. L’ultimatum si applicava anche a Emmy Noether.
Non si erano mai viste tante firme illustri come quelle poste in calce agli
appelli inviati al Ministero per il caso Noether. Il nome di Hilbert era in
cima alla lista. Hilbert aveva da poco compiuto settant’anni e il giorno del
suo compleanno era stato ben lontano dall’immaginare sorte peggiore per la sua
Göttingen.
Emmy morirà improvvisamente nel 1935, in seguito a
un’operazione. “Il suo cuore non conosceva la malizia, lei non credeva nel
male – in realtà non le passò mai per la mente che potesse avere un ruolo fra
gli uomini”. “Era al culmine dei suoi poteri, la sua immaginazione e
la sua tecnica avevano raggiunto il punto più alto di un perfetto
equilibrio” L’avvento del nazismo segnò anche la fine della straordinaria
stagione matematica di Göttingen. Come Emmy Noether quasi tutti i membri della
scuola di Hilbert e moltissimi altri furono costretti a partire. La maggioranza
emigrò negli Stati Uniti. Altri, pur non essendo ebrei, li seguirono
nell’emigrazione per non sottostare al regime nazista. Gli Stati Uniti
improvvisamente si ritrovarono incredibilmente arricchiti del fior fiore degli
scienziati europei. Durante un banchetto Hilbert fu apostrofato dal nuovo
ministro nazista per l’educazione: “Come va la matematica a Göttingen, ora
che l’abbiamo liberata dall’influenza ebraica?”. “Matematica a
Göttingen?” rispose Hilbert. “Non se ne vede più nemmeno
l’ombra”.
Attualmente il teorema di Noether è uno strumento
fondamentale nell’arsenale del fisico teorico e viene insegnato correntemente
in teoria quantistica dei campi e in fisica delle particelle, ma probabilmente
la maggior parte degli algebristi non ha mai sentito parlare del teorema di
Noether, che interessa solamente i fisici i quali, per la maggior parte,
continuano a loro volta a ignorare l’esistenza degli anelli di Noether…
Giuseppe Garibaldi, massone risorgimentale
Autore: Paolo
Agostini and Antonio Maiorana
Negli
oltre 2000 anni di storia che l’Italia ha attraversato dai ad
oggi, ci sono stati numerosi eventi e tantissimi personaggi
che per vari motivi hanno significato e rappresentato momenti
importanti nella vita italiana, qualche volta in positivo e
altre volte in negativo.
Sappiamo
ad esempio che dopo la grandezza e la fastosità di Roma e
dell’Impero Romano, è seguito un periodo di decandenza e di
degrado del nostro paese durato quasi 20 secoli che si è
concluso nel 19esimo secolo, ovvero nel 1800.
Il
merito di questa “liberazione” è da attribuire in massima
parte a Giuseppe Garibaldi che secondo gli storici è stato
senza dubbio il personaggio più importante del Risorgimento
Italiano, o quantomeno uno dei personaggi più importanti e più
determinanti di quel periodo storico e universalmente
riconosciuto come uno degli artefici del processo di
unificazione dell’Italia.
La
maggior parte di Noi che siamo nati in Italia ed abbiamo
frequentato le scuole nel nostro paese, abbiamo sentito
parlare di Lui e delle sue gesta sui banchi di scuola; abbiamo
studiato la sua vita, commemorato le sue battaglie e osannato
le sue vittorie.
Per
tutti gli altri, invece, Garibaldi è solo uno dei tanti eroi
del passato vissuto nel secolo scorso: ma non è
così.
Fiumi
d’inchiostro sono stati versati sui libri di testo per
descriverci le gesta “dell’eroe dei due mondi” a tutti i
livelli, da quello elementare fino a quello universitario.
Del
Garibaldi Generale, Condottiero e Politico quindi sappiamo
tutto o quasi tutto: mentre del Garibaldi Massone e Gran
Maestro della Loggia Massonica Italiana invece, sappiamo poco
o niente.
Debbo
confessarVi che anch’io, fino a poco tempo fa, ignoravo che
Egli avesse fatto parte della Massoneria, così come tanti
altri personaggi importanti di quel particolare periodo
storico; personaggi come Aurelio Saffi, Maroncelli, Manin e
finanche Giuseppe Mazzini, tanto per citarne qualcuno.
Fratelli,
è incredibile a dirsi ma è vero: in tutti i libri e le
pubblicazioni che ho consultato per completare questa mia
ricerca ( e non sono stati certo pochi ) non ho trovato alcun
cenno, alcun riferimento neanche velato, al fatto che
Garibaldi fosse stato Massone e Gran Maestro della Massoneria
in Italia.
Quest’atto
di censura contro la Massoneria messo in atto non solo dagli
storici di quel tempo, ma anche da quelli contemporanei, non
ha nessuna giustificazione logica nessuna ragione politica
nessuna motivazione storica e la dice lunga sulla campagna
diffamatoria e antimassonica in atto in Italia.
Ma
ritornando a questa mia ricerca, con essa cercherò di
evidenziare, specialmente per i Fratelli più giovani nati in
questo paese, chi era Giuseppe Garibaldi e che cosa ha
significato per l’Italia, in modo semplice e comprensibile;
spero di riuscire in questa impresa.
Questa
mia ricerca si divide in due direzioni ben distinte tra loro,
così come fu la vita di questo grande personaggio:
da una
parte il Garibaldi soldato, generale, eroe risorgimentale
universalmente riconosciuto ed osannato;
dall’altra,
il Garibaldi massone, che in questa sua veste è stato ed è
tuttora ignorato dalle masse, avversato dagli storici e dai
politici e snobbato perfino dagli stessi Fratelli
Massoni.
Ma chi
era veramente Giuseppe Garibaldi ?
Cercherò
di rispondere a questo interrogativo senza dilungarmi oltre il
consentito in pesanti ricognizioni e riferimenti storici sul
passato nel quale Garibaldi operò. Riferimenti, che
appesentirebbero questo mio scritto con tutto un elenco di
date, di località e di nomi di personaggi, in gran parte
sconosciuti ai più.
Tuttavia,
per inquadrare il personaggio e per capire meglio le
motivazioni che portarono Garibaldi a diventare il paladino di
un popolo, è però necessario illustrare il contesto sociale e
politico del periodo storico in cui tutto ciò
accadde.
Ci
troviamo nella prima metà del 1800 in pieno Risorgimento e con
il termine Risorgimento si è soliti denominare quel
particolare periodo di storia italiana nel quale si crearono
le condizioni nazionali ed internazionali per la nascita, lo
sviluppo e l’affermazione di un movimento politico-popolare
finalizzato alla realizzazione di uno stato indipendente ed
unitario.
Importanti
trasformazioni nel resto dell’Europa, ma specialmente in
Francia, con l’avvento al potere della borghesia dopo la
rivoluzione francese e la radicale trasformazione dei rapporti
di produzione in Inghilterra, modificarono il quadro di tutta
la storia del tempo e influirono in maniera determinante
sull’arretrata realtà italiana di quegli anni.
Tanto
per fare un quadro riassuntivo di come era configurata
l’Italia in quel periodo storico possiamo dire che essa era
così suddivisa:
al nord,
il Piemonte sotto la supremazia francese; il Friuli e parte
della Lombardia sotto l’Austria; il Granducato di Milano e le
repubbliche di Genova e Venezia autonome; al centro, lo stato
Pontificio, il Granducato di Toscana e il Granducato di
Modena; mentre al sud, il regno di Napoli, il Regno delle due
Sicilie, e il Regno di Sardegna.
I
momenti più significativi del Risorgimento Italiano si possono
identificare con le 3 Guerre d’Indipendenza contro l’Austria:
la prima avviene negli anni 1848 -1849; la seconda nel 1859 e
la terza e definitiva guerra nel 1866, che vede l’Italia in
parte vittoriosa e l’Austria in parte sconfitta, ma
decisamente ridimensionata nelle sue ambizioni
territoriali.
Questo
il quadro poltico economico e sociale dell’Italia nel secolo
19esimo e in questo contesto nasce cresce e si fa largo un
personaggio nuovo:
Giuseppe
Garibaldi
Le sue
origini sono abbastanza umili. Egli nacque a Nizza, nel
territorio della Savoia, ora francese, ma all’epoca territorio
italiano, il 4 Luglio del 1807.
Il padre
Domenico possedeva una piccola barca con la quale praticava il
cabotaggio, ovvero il trasporto di merci lungo le coste
dell’Italia e nel bacino del Mediterraneo.
Egli
avrebbe voluto che Giuseppe, il secondo dei suoi due figli,
facesse un mestiere diverso dal suo; magari quello di
avvocato, oppure di medico o finanche prete, tutto purchè
svolgesse un lavoro meno duro e massacrante di quello
marinaro.
Sfortunatamente
per lui, Giuseppe amava poco gli studi mentre amava il mare e
l’avventura e le ambizioni del padre svanirono di fronte
all’accanimento del figlio per la vita all’aria aperta, il
mare e l’avventura.
Tant’era
la sua determinazione che vedendosi contrastato dal padre in
questa sua vocazione, solo 13enne tentò di fuggire per mare
verso Genova ma venne fermato e ricondotto a casa.
A 25
anni divenne capitano di una piccola nave mercantile e durante
uno dei suoi tanti viaggi verso l’oriente incontrò casualmente
un genovese, un certo GianBattista Cuneo, che pare lo iniziò
alla Giovane Italia, un movimento clandestino che tentava di
liberare l’Italia dagli oppressori.
Decisivo
per Garibaldi fu l’incontro con Giuseppe Mazzini nel luglio
del 1833.
Rimase
colpito dagli ideali di libertà e di ribellione di quel
piccolo gruppo di uomini che all’epoca era considerato
“sovversivo” e quindi fuorilegge, ideali che Garibaldi in cuor
suo condivideva pienamente.
Dopo
aver aderito alla carboneria e militato in essa al fianco di
Mazzini per qualche tempo, Garibaldi venne condannato a morte
come rivoluzionario nel 1834 e per sfuggire alla forca fuggì
in America Latina dove rimase per 12 anni.
Quei 12
anni di vita americana furono il suo tirocinio come uomo
d’azione e quì si distinse per valore e capacità di
condottiero.
Incontrò
Anita, una bella e avvenente brasiliana che per amore suo
lasciò il marito seguendolo nelle sue imprese militari,
diventando successivamente sua moglie e regalandogli 2
figli.
Mentre
Garibaldi si trovava ancora in America, giungevano intanto
dall’Italia notizie di tumulti e agitazioni patriottiche
cominciate a Roma dopo l’ascensione di Pio 9 al trono
papale.
Per un
cumulo di sventure che durava da secoli, l’Italia era la
nazione più avvilita e disprezzata che vi fosse in Europa; il
destino le invia Garibaldi non soltanto il suo liberatore, ma
la prima ideale figura di uomo e di eroe.
E nessun
eroe fu più moderno di lui poichè egli sapeva obbedire quanto
comandare.
Garibaldi
servì Re e repubbliche comandando eserciti in battaglie
cruente e sanguinose; eppure questo campione di tutte le cause
giuste fu più ammirato che compreso, più acclamato e
festeggiato, che aiutato nel compimento dei suoi grandi
disegni sociali e ideali di riforma.
Partecipò
con successo alla battaglia per la difesa di Roma dalle truppe
francesi nel 1848 e per la prima volta si ritirò nell’isola di
Caprera nel 1857.
Pur
relegato volontariamente nella piccola isola, Garibaldi non
perse mai l’interesse per la politica nazionale.
Successivamente
si avvicinò alla monarchia sabauda incontrando Vittorio
Emanuele e Cavour prendendo sempre più le distanza da
Mazzini.
Il
concetto dell’unità Italiana, fino a quel momento era stato
una dolce e poetica astrazione di menti elette come Dante
Alighieri, Francesco Petrarca e Niccolò Macchiavelli, senza
mai divenire però coscienza di popolo.
In quel
tempo, oltre a Garibaldi ci furono anche altri uomini, egregi
nel pensiero e nell’azione, che si stavano impegnando nella
stessa battaglia; tuttavia essi agivano localmente e
separatamente l’uno dall’altro, senza interessarsi minimamente
di quanto accadeva in altre zone d’Italia.
Fuochi
sparsi, quindi, fuochi di paglia, destinati a esaurirsi in
breve tempo senza lasciare traccia se non nella cronaca del
tempo
Poi ci
fu la svolta determinante: lo sbarco in Sicilia dei Mille
capitanati da Giuseppe Garibaldi.
Partiti
con due navi dallo scoglio di Quarto, una località vicino a
Genova nel 1860, fu questo manipolo di volontari, appunto
1000, ad aprire la strada verso l’unità nazionale
dell’Italia.
Al grido
di: «quì si fa l’Italia o si muore», Garibaldi guidò le sue
camice rosse di battaglia in battaglia fino alla vittoria e
alla conquista prima della Sicilia, e poi alla liberazione
dell’intera Italia del sud.
Il 26
ottobre del 1861 avvenne lo storico incontro a Teano tra
Garibaldi e Vittorio Emanuele:
«Saluto
in Vittorio Emanuele il primo Re d’Italia» con queste parole
Garibaldi di fatto consegnò al Re piemontese tutta l’Italia
meridionale.
Visto
l’entusiamo e la popolarità che la sua persona scatenava nelle
folle deliranti per le sue imprese, Garibaldi avrebbe potuto
approfittare di questa sua posizione per ottenere privilegi
personali, onori e denaro per se e per i suoi figli.
Ma egli
non volle alcun favoritismo nè alcun
riconoscimento.
Si
ritirò invece con un sacco di sementi e pochi soldi nella sua
amata Caprera dove rimase per la vecchiaia e dove morì il 2
giugno del 1882.
Una
delle caratteristiche del pensiero e della propaganda di
Garibaldi fu la sua ostilità verso il clero, che indicò come
il principale fattore di corruzione del popolo italiano ed il
papato la rovina dell’Italia.
Anche su
questo terreno, però, egli era incapace di qualsiasi azione
violenta per la fondamentale bontà d’animo; riconosceva che
non tutti i preti erano uguali ed esaltava quelli attenti al
bene comune.
Vagheggiava
una religione senza dogmi e senza culto, con Dio al di sopra
di tutto e una legge morale con l’amore per l’uomo e la natura
quali concetti fondamentali per una vita felice.
Fu Gran
Maestro della Massoneria Italiana nel 1864 anche se la sua
reggenza durò pochissimo a seguito di disaccordi con gli altri
Fratelli, che gli fecero rassegnare le dimissioni dalla
carica, e Gran Maestro Onorario “ad vitam”.
Non sono
ben chiari i motivi che portarono Garibaldi a rassegnare le
dimissioni da Gran Maestro della Massoneria Italiana, nè
possiamo in questa sede azzardare ipotesi che potrebbero non
corrispondere alla realtà dei fatti.
Sta di
fatto che qualunque siano stati i motivi del dissidio tra
l’Eroe e gli appartenenti al “parlamento” massonico del tempo,
essi divennero insanabili.
Negli
anni che seguirono la morte di Garibaldi, ci furono tante
occasioni per ricordare la figura dell’eroe; ma tracciare il
suo profilo storico avrebbe comportato inevitabilmente di
definire e chiarire la parte avuta nella vita dell’Ordine
dalla sua tormentata ricostituzione fino al momento delle
dimissioni volontarie di Garibaldi da Gran Maestro.
I vari
Gran Maestri che si susseguirono nel tempo cercarono in tutti
i modi di evitare pericolose prese di posizione utilizzando il
solo rimedio possibile: l’oblio.
Garibaldi
non è mai stato visto di buon occhio dai Fratelli Massoni del
suo tempo: i motivi di questa diffidenza vanno ricercati nelle
motivazioni storiche di quel tempo.
Infatti,
all’epoca in cui Garibaldi venne eletto Gran Maestro nel 1864,
Massoneria e Politica camminavano di pari passo. Il presidente
del Consiglio Francesco Crispi si vociferava fosse Massone,
così come numerosi altri politici e parlamentari dello stesso
periodo.
Tutti
noi sappiamo che politica e Massoneria non possono nè
convivere nè conciliarsi tra loro nè tantomeno percorrere
strade parallele se non in difesa di diritti etici e morali
dell’uomo, come avvenne con l’Illuminismo che condusse alla
rivoluzione francese.
Giuseppe
Garibaldi fa eccezione in questo: eletto la prima volta al
parlamento piemontese nel 1848 rimase parlamentare fino al
1876 per ritirarsi definitivamente a Caprera dove
morì.
Egli
utilizzò il parlamento della nuova e giovane Italia non per
soddisfare ambizioni personali o per illeciti arricchimenti
come fu per altri parlamentari, ma come cassa di risonanza per
la divulgazione delle proprie idee.
Egli si
impegnò con generosità in battaglie sociali a favore delle
classi povere e di quella parte della società meno
previlegiata, soprattutto per le popolazioni del Sud
dell’Italia a lui tanto care.
Avversava
sia i preti che la chiesa romana (e con ragione: non dobbiamo
dimenticare che fino al 1870 il potere temporale dei Papi
aveva influenzato in negativo la storia e lo sviluppo
dell’Italia e del popolo italiano), mentre certe sue
affermazioni ce lo dipingono come credente:
«Semplice
bella e sublime è la religione del vero; essa è la religione
di Cristo poichè tutta la religione di Cristo si poggia
sull’eterna verità. L’uomo nasce uguale all’uomo.
Quindi
non fate ad altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi e
solo chi non ha mai fallito può gettare la prima pietra
»
Questo
brano tratto dal suo testamento autografo è un chiaro simbolo
di fratellanza e di perdono; dottrine che se praticate dagli
uomini costituirebbero a suo modo di vedere, quel grado di
perfezione e di prosperità al quale l’uomo dovrebbe
arrivare.
Garibaldi
fu un vero Massone, interprete cioè della coscienza
dell’umanità.
“I
benefattori dell’umanità non nascono in tempi felici, nè la
loro infazia è cullata sulle ginocchia dei grandi e dei
potenti.
Cristo,
il Redentore, nasce fra un popolo schiavo sulle tracce della
Roma imperiale dei Cesari, oppresso da falsi sacerdoti, scribi
e farisei e la sua parola diventa promessa di redenzione per
tutte le genti”.
Nelle
sue memorie autografe, cioè scritte di suo pugno, abbondano le
prove di privazioni e fatiche da Lui sopportate che avrebbero
ucciso qualunque altro uomo non dotato di altrettanta
eccezionale vigoria fisica e morale.
Quando
si trattò di giudicare un suo persecutore, invece di rivalersi
sul rivale e accanirsi contro di Lui per i tormenti subiti,
egli lo mandò libero.
«Non
voglio neppure vederlo – disse – avrei paura che la sua
presenza, ricordandomi tutto il peso delle sofferenze subite a
causa sua, mi facesse commettere un’azione indegna di me e del
mio nome italiano»
L’intima
costituzione psicologica di un uomo è come un brillante
sfaccettato, che non si può ben conoscere se non lo si osserva
prima da ogni lato singolarmente, per raccogliere poi nella
mente la sua immagine complessiva.
Un’altro
dei fattori importanti della figura di Garibaldi, fu una
specie di misticismo naturale, una tendenza alla meditazione
continua, che pur senza le manifestazioni esteriori di questo
o quel culto religioso, si espande libera per tutta la natura
vivente e circonda gli uomini e le cose di una dolce aureola
di poesia e di idealismo, fecondo di energie
morali.
Afferma
l’eroe: «Adottai la formula religiosa e Dio, perchè è la più
comprensibile per le masse. Ma i veri sacerdoti, per me sono i
Copernico, i Newton, i Franklin ed i Galileo, poichè sono sono
gli uomini di genio e di intelligenza i veri preti
dell’umanità ».
Garibaldi
fu un guerriero vero che non amava la guerra e ricorreva alle
armi come estrema risorsa, come il chirurgo che incide le
membra per salvare la vita del malato.
Non era
entrato in nessuna scuola e non si chiuse mai in una sola
politica: sapeva che la guerra è necessità della morte, quindi
vi serviva per gli altri e ne usciva senza aver odiato il
nemico, non chiedendo al vincitore che la libertà del
vinto.
«Venite
– egli diceva ai suoi volontari – o generosi cui da ribrezzo
l’oppressione del giogo della servitù. Venite, io non posso
offrirvi nè caserme nè munizioni: vi offro fame, freddo, sole,
battaglie e morte. Chi ama la Patria mi segua» e migliaia di
giovani e meno giovani lo seguivano.
E se
queste parole squillavano formidabili ai nemici, se
sconvolgevano l’Italia come una tempesta, se mettevano fiamme
nelle vene dei prodi, ciò accadeva perchè brillava in esse la
più santa luce del sincero altruismo, perchè l’uomo che così
parlava era l’incarnazione di un’epoca, di un intero popolo,
che si ribellava ai ceppi dell’oppressore straniero e voleva
risorgere nella sublime Pasqua della Libertà.
Garibaldi
era notoriamente povero: visse tutta la sua vita rifuggendo il
denaro e gli onori per morire umilmente e dignitosamente
povero.
Questa è
stata la sua grande forza, il suo carisma e questo è stato
“anche” il suo peggior difetto.
Eh si,
perchè i politici, i potenti, i suoi avversari e finanche i
suoi Fratelli massoni avevano paura di Lui.
Temevano
la sua lealtà, temevano la sua intransigenza di uomo giusto,
temevano la sua incorruttibilità di uomo onesto e non gli
perdonavano queste doti che lo ponevano al di sopra della
mediocrità degli altri individui.
Diceva
Cavour: “Come ci si può fidare di un potente che ama mangiare
con la truppa o come accettare come capo supremo un uomo che
invece di raccogliere onori e consensi, ama ritirarsi in
un’isoletta come Caprera per coltivare la terra?”
Inconcepibile
certo per la personalità ambiziosa di Camillo Benso Conte di
Cavour. Eppure sono proprio questi tratti che rendono Giuseppe
Garbaldi un mito che oltrepassa la leggenda del guerriero, che
marca tutto il periodo del Risorgimento e in generale tutto il
secolo scorso.
Ma in
fondo questo è il destino riservato ai grandi: per diventare
un mito, una leggenda, un sogno, un richiamo, un eco, un
riflesso, un ricordo, ogni grand’uomo, in ogni epoca, ha
sempre dovuto fare i conti con l’invidia e la gelosia degli
altri. E in questo Garibaldi non fa eccezione.
Faceva
paura e soggezione quel gigante di virtù: meglio quindi
scordarsi di Lui, o meglio, conveniva lasciarlo cadere
nell’oblio o addirittura tacere la sua esistenza .
Ecco il
perchè di questo imbarazzante e fastidioso silenzio che
circonda la figura mistica di questo nostro grande e
indimenticato Fratello Massone.
Con
questa mia ricerca, anche se limitata, spero di avergli reso
almeno in parte giustizia.
Grazie
Paolo
Agostini and Antonio Maiorana
Informazioni sull’Autore: Paolo Agostini
and Antonio Maiorana | R.L.
«Trinity» all’Or. di Sidney
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