LA SCALA SANTA

LA SCALA SANTA

LA SCALA SANTA

di A.R., Maestro Venerabile

«A chi mi domanda ragione dei miei viaggi, solitamente rispondo che so bene quel che fuggo, ma non quello che cerco», scriveva Montaigne, e queste lucide parole valgono a maggior ragione per gli itinerari turistici che ormai tappezzano il nostro globo e ci fanno sentire sconsolatamente a casa anche nella più sperduta isola del Pacifico – come ci fa notare Elena Loewenthal – o fra affollate dune di deserto, o nel cuore di metropoli diverse che si assomigliano tutte malgrado le distanze. Anche le storie viaggiano e gli oggetti che a volte le raccontano. Soprattutto nel deserto, dove l’aria e il tempo spaziano fra un mulinello di vento e un miraggio di memorie, accendendo le fantasie.

«Il complesso edilizio della Scala Santa a Roma comprende la Scala stessa, altre 4 scale a questa parallele (2 alla sua sinistra e 2 alla sua destra) ed inoltre, alla sommità delle scale anzidette, la Cappella di S. Lorenzo o del Sancta Sanctorum, una volta Cappella privata dei Papi e sul cui architrave, sormontante l’altare, è scritto: “Non vi è luogo più santo di questo, su tutta la terra”; qui, poi, vi è l’immagine acheròpita del Redentore (acheròpita: ossia dipinta non da mano umana, ma da mano d’Angeli), immagine veneratissima dal clero e dal popolo romano, legati ad essa come ad un’ancora di salvezza, nelle calamità pubbliche e negli eventi storici dell’Urbe.

Inizialmente la Scala Santa non era ubicata dov’è ora, ma alcune centinaia di metri più in là, nei palazzi lateranensi, ed era salita dai pellegrini recantisi alla benedizione del Santo Padre; qui poi, verso il 1450, cominciò a prendere consistenza una leggenda che la diceva giunta a Roma nel 326, ad opera di S. Elena Madre di Costantino, che l’avrebbe prelevata in Terra Santa, dalla fortezza Antonia sede di Pilato in Gerusalemme. Tale Scala, dunque, sarebbe stata proprio quella salita e discesa più volte da Gesù nella mattina del Venerdì Santo, allorché stava per compiersi l’atto finale della Sua vita – della Sua ascesi – umana; allorché, cioè, stava per compiersi la grande trasmutazione della fase al Rosso, come già infatti testimoniavano il rosso della veste impostagli, per irrisione, da Erode, ed il rosso del sangue sgorgante dalle ferite provocate dalla corona di spine e dai flagelli.

E fu proprio il diffondersi di questa leggenda che spinse poi, circa un secolo e mezzo dopo, Papa Sisto V a ricercare per la Scala una più confacente sistemazione; sì che per suo ordine, in una notte del 1589, al lume di torce e fra canti di salmi e di preghiere, l’architetto ticinese Domenico Fontana (quello noto per avere innalzato l’obelisco di Piazza S. Pietro) la trasportò nella sua attuale sede.

L’orientamento è esattamente Ovest-Est, sì che chi sale la Scala lascia alle proprie spalle le ombre del tramonto e muove verso la Luce d’Oriente, là dove sorge il Sole. Chi sale la Scala, poi, giunge al fine ad una grata oltre la quale gli è dato di vedere il Sancta Sanctorum (“il più venerato Santuario di Roma”, secondo la definizione di Gregorovius) e la venerabile immagine del Salvatore dipinta dagli Angeli, di cui si è detto.

Infine, vi è il numero dei gradini: 28; e tal numero non può essere a caso poiché trova immediato riscontro nei 28 tabernacoli ogivali del Sancta Sanctorum. Sia ben chiaro, inoltre, che 28 non è un numero qualsiasi, ma sacro, specie alla dottrina pitagorica; ed a conferma di questo, si ricorda la seguente risposta che sarebbe stata data da Pitagora a Policrate che gli chiedeva quanti atleti stesse conducendo verso la saggezza: “Te lo dirò, o Policrate: la metà studia la mirabile scienza delle matematiche; l’eterna Natura è oggetto degli studi di un quarto; la settima parte si esercita alla meditazione ed al silenzio; ed in più vi sono tre donne; risolviamo questa semplice equazione di primo grado e troveremo appunto 28, il numero che Pitagora considerava sommamente perfetto. Un’altra conferma di questo ci giunge dalla vicina Basilica Pitagorica di Porta Maggiore, dove vi sono 28 stucchi funerari nella cella, e dove una volta officiavano i 28 componenti della confraternita sacerdotale.»

Infatti, di 27 lettere era l’alfabeto sacro ebraico, e la ventottesima lettera, a tutti ignota, era ritenuta essere la lettera di Dio. Similmente avveniva con l’alfabeto greco, ove alle sue note 24 lettere si aggiungessero le 3 arcaiche: stigma, coppa e sampi. Di 28 giorni è poi il mese lunare, quel mese che governa le maree ed i raccolti, e la crescita di ogni cosa qui, sulla Terra. Ma v’ha di più: che 7, come noto – noto agli Antichi che stabilirono in 7 i giorni della Creazione; manoto anche ai moderni che ordinarono su settemplice base la materia mediante l’attribuzione, ad ogni atomo, di un massimo di 7 livelli (strati, o gusci) elettronici e diedero quindi un’articolazione settenaria alla tavola degli elementi di Mendelejeff – 7 dunque, come noto, ha questa caratteristica: che se lo sommiamo con i numeri interi e positivi che lo precedono, e che sono quindi in lui contenuti (se lo sommiamo cioè con 1, 2, 3, 4, 5 e 6), 7 allora fornisce, come risultato, 28; e far ciò, in matematica sacra, si dice “fare l’addizione teosofica di 7”; ossia prima scandire il numero nelle sue componenti – 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7, come si è visto – e poi riunire queste fra loro con un procedimento di sintesi.» (Tratto da J. Cohen, Echi alchemici nella Romanità antica, Milano, Kemi, 1980).

Il pellegrino e il pellegrinaggio erano figure sentite con grande intensità nel Medioevo: il distacco, l’alienzaione, la separazione dalla sicurezza del proprio ambiente per avventurarsi sulle infide strade dell’epoca richiedevano una devozione pressoché eroica, foriera di rinnovamento spirituale. Fu facile, quindi, che il pellegrino assurgesse a simbolo: egli è lontano da casa, su suolo straniero, ma la sua volontà tende ad una mèta non mondana; esperimenta fatiche e durezze del viaggio, ma anche la consapevolezza della Via: esprime il significato stesso della situazione terrena. Sul pavimento delle chiese si tracciavano labirinti regolari recanti al centro la Terra Santa: il fedele li percorre in ginocchio, sorta di pellegrinaggio sul luogo, sostituto simbolico del pellegrinaggio reale. Del resto il cattolicesimo è ricco di pratiche penitenzial-ascetiche passibili d’interpretazione simbolica: si pensi al rosario, alla preghiera domenicale o alla Scala Santa, da salire in ginocchio pregando, quasi un parallelo ascensionale dei citati labirinti.

La scala quindi è un simbolo importante, ed è una nota raffigurazione assiale ove in particolare si evidenzia la comunicazione intermondana; mette cioè in comunicazione cielo e terra. Il significato connesso alla scala permise di equipararla alla Croce di Cristo. Scrisse difatti Jacques de Saroug: [il Cristo] stette sulla terra come una scala ricca di pioli e si drizzò affinché tutti gli esseri terrestri si elevassero grazie a Lui. Essa (la Croce) è un cammino largo, come una scala fra gli esseri terrestri e quelli celesti. È così facile da seguire che persino i morti camminano sopra di essa: ha vuotato gli Inferni, ed ecco i mortali che salgono su di lei (cit. da Esdman, in Eranos Jahrbuch, 1950).

Lontanamente ricorderei anche la scala a 7 pioli dei Kadosh massonici, che percorsa in senso ascendente dall’iniziato e in senso discendente dall’avatar divino: tale la scala dai 7 colori (l’arcobaleno, altro simbolo di collegamento) che il Buddha percorre per giungere in terra. Ricorderei anche che la settima lettera dell’alfabeto greco (H: eta) è l’iniziale di Hèlios (sole) e costituisce pure il simbolo ermetico dello spirito: in essa riposa l’archetipo segnico della scala, al punto che i Framassoni medievali modellarono su questa lettera la facciata delle cattedrali gotiche, meravoglioso esempio, queste ultime, della pietra che tutti vedono ma pochi intendono.

Enorme è quindi l’importanza del 7, il numero che chiude il ciclo della creazione, e la faticosa salita sulla Scala Santa. Ed anche l’Alchimia ha la sua scala: così almeno è raffigurata in un bassorilievo di Nôtre-Dame de Paris: una maestosa Donna con i piedi sulla Terra e la testa fra i Cieli – cioè nei supremi regni – ed i cui attributi sono lo scettro – simbolo del potere che Essa conferisce ai suoi fedeli – i due libri – quello dell’esoterismo, chiuso, e quello dell’essoterismo, aperto – ed infine una scala a 9 gradini, che occorre per superare le fatiche delle 9operazioni ermetiche.

E chi voglia sapere di più su questa scala non ha che da leggere le opere di Nicolas Valois, dove è scritto: «La pazienza è la scala dei Filosofi, e l’umiltà è la porta del loro giardino, poiché a chiunque persevererà senza orgoglio e senza invidia, Dio farà misericordia».

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

DODICI COME LE COLONNE DEL TEMPIO

DODICI COME LE COLONNE DEL TEMPIO

di P. P.

La frase d’ Eraclito: “Il Sole è nuovo ogni giorno”, pronunciata ovviamente in senso mitico, trova ragion d’essere nella nostra antica capacità di cogliere impressioni luminose e senso spaziale, le due forme più primitive e, nel contempo, l’espressione più profonda dell’intelligenza umana.

Per noi Massoni, non solo la terra, ma anche noi stessi, il nostro lo spirituale, tutto è alimentato dal Sole e dalla luce. Ogni singola determinazione spaziale, acquista un particolare carattere divino o demonico, positivo o negativo, sacro o profano. E forse per queste ragioni ed intime sensazioni, che i dodici obelischi esistenti a Roma, unica città al mondo a poterli vantare, ci appaiono. come un simbolico riferimento alle dodici Colonne del Tempio, alle stesse dodici fatiche di Ercole, corrispondenti al dodici segni zodiacali. Una realtà che va al di là della curiosità turistica, identificando in essa, oltre ad un ideale legame con l’Egitto, fonte della civiltà occidentale e di una parte stessa della nostra cultura, soprattutto la simbolica rappresentazione del “desiderio di luce”, da intendersi come “luce dello spirito”, “luce della saggezza”. Agli scopi commemorativi di queste steli, così come alle loro funzioni di -gnomoni- di gigantesche meridiane, si aggiungono pertanto aspetti allegorici. Ecco così che quel loro offrirsi al Sole, assume il sapore di desiderio umano di luce. Sole e Luce che non vengono interpretati ben inteso, come divinità, ma come la più prossima ed immediata testimonianza del divino, della divina volontà di redenzione e della potenza salvatica del nostro G.A.D.U.

Sebbene distanti dalla nostra cultura contemporanea del mondo profano, provenienti da un lontano passato, questi dodici obelischi, con la loro nobile semplicità, ci sembrano esaltare la triplice costituzione energetica dell’uomo: fisica, animica e spirituale, assumendo per noi Massoni, con la loro stessa natura granitica o di sienite, come un richiamo alla pietra grezza ed al mito greco di Decaulione e Pirra, che fa nascere gli uomini dalle pietre.

Sarà dunque per questo insieme di sottile esoterismo, che i dodici “raggi di sole” giunti a Roma in epoca imperiale, suscitano in noi delle particolari sensazioni. Dimenticati nel periodo di decadenza e nel Medio Evo, tornarono poi a svettare nelle piazze dell’Urbe, offrendosi agli occhi di tutto il mondo. Questi i nomi ed in breve la loro storia, nell’intenzione un po’ provocatoria, di invitarvi a guardarli con gli occhi dello spirito e del cuore.

1)Agonale

2) Aureliano

3) Esquilino

4) Lateranense

5) Macuteo

6) Minerveo

7) Matteiano

8) Popolo o Flaminio

9) Quirinale

10) Sallustiano

11) Solare

12) Vaticano.

Fatta la loro globale conoscenza, scopriamoli uno per uno, più da vicino. Il primo: Agonale, e così detto perché posto in Piazza Navona, il cui nome deriva dalla parola greca ‘agon’ e cioè combattimento, riferito al circo di Domiziano, che la occupava. Fu Innocenzo X che lo fece collocare dal Bernini sullo scoglio quadruplice della meravigliosa fontana centrale, detta dei Fiumi. In origine tale obelisco, di granito rosso, con geroglifici, si trovava nel Circo di Romolo, figlio di Massenzio sulla via Appia.

Il secondo è l’Aureliano, dal nome dell’imperatore, fu innalzato sul Colle del Pincio. Collocato in un primo tempo presso il monumento funebre di Antinoo, il favorito di Adriano morto annegato, venne poi eretto ad ornamento della spina dell’anfiteatro Castrense, eretto dal suddetto sovrano. Terzo obelisco l’Esquilino, sul colle omonimo, detto anche Cispio, presso il tempio di Giunone Lucina, dove sorge la Basilica di Santa Maria Maggiore dalla parte absidale. E in granito rosso e senza geroglifici. In origine ornava il Mausoleo di Augusto. Vi è poi quello Lateranense, in Piazza di San Giovanni in Laterano, così chiamato perché vi si trovava la splendida villa di Plauzio Laterano, morto per aver partecipato alla congiura contro Nerone. Questo monumentale monolito è il più alto di tutti (32 metri) ed è anche il più ricco di geroglifici. Innalzato a Karnak per adornare il tempio di Ammon-Rhà, da Tutmosi II. Per quanto riportato sul geroglifici, Tutmosi III e Ramses VI (Sesostri) lo fecero restaurare. Fu Costanzo, dopo il tentativo di Costantino, reso vano dalla morte, a trasferirlo a Roma su di un vascello di trecento remi, ponendolo sulla spina del Circo Massimo. Giacque poi sepolto per secoli, sino a quando Sisto V lo fece dissotterrare, restaurare ed innalzare su un piedistallo di granito rosso.

Quinto “raggio di sole”, il più piccolo: Macuteo, dal nome appunto della piazza (di San Macuteo) in cui si trovava sin dal tempi di Paolo V; fu Gregorio XIII a farlo porre sulla fontana che adorna Piazza della Rotonda.

Copia pressoché perfetta di questo obelisco, vero e proprio gemello, il Minerveo, eretto dal Faraone Psanatico II e dedicato alla Dea Neith. Entrambi servivano in Roma, ad adornare il tempio di Iside e di Serapide. Fu il Bernini a trovargli un inconsueto basamento: la groppa di un meraviglioso elefantino bardato, che ancor oggi adorna Piazza della Minerva. Il nostro viaggio continua, con il Matteiano, sito nella villa Mattei, poi Godoi (ed oggi villa Celimontana). Antico nella parte alta, è rifatto in quella in basso con geroglifici imitati. A questo obelisco è comunque legato un tragico episodio: quando nel 1820 gli fu data l’attuale sistemazione, mentre gli operai provvedevano ad ultimare le operazioni, l’obelisco amputò traumaticamente, ad uno di essi, braccia e mani che, per macabro particolare, sono rimaste imprigionate sotto di esso.

Superbo ed imponente invece, l’obelisco di Piazza del Popolo da cui prende il nome (o Flaminio), in granito rosso, coperto di geroglifici, che si leggono su tre file, dall’alto in basso. Voluto da Ramses III in Eliopoli, città del basso Egitto, fu dedicato al Dio Sole Rhà. Fu Ottaviano, dopo la vittoria di Azio, a trasportarlo a Roma ed a farlo collocare nel Circo Massimo, rimanendo sempre dedicato al Dio Sole. Furono poi Sisto V e Leone XII a farlo rispettivamente, restaurare e porlo dove si trova attualmente (il primo), ed a farlo circondare con gradinata, quattro leoni in stile egizio e vasche sottostanti (il secondo).

Il nono svettante obelisco è invece il Quirinale, sulcolle dove sorgeva l’antico tempio di epoca regia, dedicato al Dio Quirino (Romolo). E in granito rosso e pressoché gemello dell’Esquilino. Sempre in granito rosso, anche il Sallustiano, situato di fronte alla Chiesa di Trinità dei Monti. Deve il suo nome al fatto che adornava il Circo che si trovava negli Orti Sallustiani, circo detto anche Apollinare poichè dedicato ai giochi in onore di Apollo. Rimasto per secoli interrato nella Villa Ludovisi, nel 1789 venne posto, quasi come coronamento, in cima alla gradinata a due rampe, che sale da Piazza di Spagna. Undicesimo “gigante” il Solare, situato in Piazza di Monte Citorio. Portato dall’Egitto da Augusto, venne collocato in Campo Marzio e serviva da gnomone per la meridiana: di qui il nome e dedica al sole. Restaurato al tempi di Pio VI, venne “arricchito” sulla cima da una palla traforata che a mezzodì viene attraversata dal raggi solari.

Ultimo ed unico superbo monolite intatto è il Vaticano. Composto da tre basi in granito, sorgeva a Eliopoli. Caligola lo trasportò a Roma e lo pose nel proprio Circo, alle falde del Colle Vaticano, dedicandolo ai predecessori Augusto e Tiberio. Per la sua attuale collocazione, avvenuta il 10 settembre 1586, vennero spesi 40 mila scudi, impiegati 40 argani, 140 cavalli ed 800 operai. L’obelisco, che è stato dedicato alla Croce, serve anche da gnomone alla esistente meridiana.

Senza intenzioni da “obeliscomani”, abbiamo dunque voluto tracciare un breve profilo di questi obelischi, unici al mondo. Pur lasciando libero ciascuno, di usare le più diverse chiavi di lettura, riteniamo che per la loro rappresentatività, per quel simbolismo e quell’allegoria che noi vi ritroviamo, agli occhi di un Massone, sempre appariranno, aldilà della loro materialità, come espressione di ‘primitiva’ ed inesauribile fonte di ‘religiosità’ e vita morale. Un segno, solo in apparenza profano, pregno di silenziosi messaggi e sottili vibrazioni.

(tratto da Hiram n.9 – settembre 1986 – Ed. Erasmo – Roma)

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

DANTE CAVALIERE TEMPLARE

Dante Alighieri, Cavaliere Templare
Un’accurata rilettura critica della Divina Commedia, fatta da chi disponga di conoscenza profonda della storia templare e del contesto in cui Dante si mosse e non perdendo di vista gli anni in cui il poema venne composto, conduce ad una precisa certezza: l’Alighieri appartenne all’Ordine Templare e visse il dramma della distruzione di quell’Ordine con una intensità ed una passionalità che solo noi, Massoni e Cavalieri Templari, possiamo comprendere e condividere.
La rilettura dell’opera in questa chiave ci rivela la D.C. come perfusa di dottrina prettamente templare, sia per quanto concerne gli eventi e i fatti delle narrazioni, sia per i giudizi che Dante esprime sugli spiriti incontrati nell’al di là, sia per la struttura morale della sua composizione.
Ed è singolare la sbadataggine della maggior parte della critica dantesca, che non ha rilevato, o ha trascurato, il Templarismo di Dante, rinunciando ad una chiave interpretativa dell’opera che ne rende comprensibili anche gli aspetti fin qui considerati più reconditi ed oscuri.
Eppure il Rossetti, il Foscolo, il Valli, e poi il Benini e il Guenon avevano capito questo segreto e avevano cominciato a gettare sprazzi di luce sui tesori del mondo spirituale di Dante, geniale sintesi dell’insieme delle idee che allora occupavano gli intelletti e travagliavano gli animi e che egli seppe fondere nel modo in cui noi oggi possiamo godere, scoprendo cosa si cela “sotto il velame delli versi strani”.
Il pilastro centrale della dottrina dantesca della salvazione consiste nella certezza del poeta che l’Umanità debba tendere a due fini, proposti da Dio, di natura diversa, ma talmente connessi tra di loro che il trascurare l’uno comporta immancabilmente la perdita dell’altro. Essi sono la Felicità Terrena e la Felicità Celeste, e . La meta celeste, suprema ed ultima per Dante teologo, non è altro che la visione beatifica della Teologia, la visione di Dio nella luce gloriosa dell’eternità. Ma il presupposto, la premessa concreta per l’appagamento di questa aspirazione, consiste nella possibilità di raggiungere prima . Cosa si intende per ? Un ordinamento, in terra, delle condizioni di vita che assicuri ad ogni individuo la libertà di conformare e sviluppare la propria esistenza secondo le sue personali capacità e disposizioni, nell’ambito della Ragione e della Rivelazione.
Questa libertà non è però concepibile per Dante senza la Pace, la Pace universale. Va notato che queste due beatitudini sono raggiungibili, l’una mediante la filosofia, l’altra mediante la morale e gli insegnamenti spirituali.
Dante sottopone al simbolismo della Croce e dell’Aquila, che ricorrono continuamente nella D.C., dal principio alla fine, le due forme di vita, la contemplativa e la attiva, le corrispondenti felicità (quella eterna e quella temporale), nonché i due poteri che guidano l’umanità nelle due direzioni: il Potere temporale e il Potere Papale.
Le ricorrenti simmetrie allegoriche della Croce e dell’Aquila figurano nei punti più splendidi del poema.
Orbene, l’Aquila congiunta con la Croce fu l’insegna di molti Gran Maestri Templari, raffigurata nel loro sigillo. Dante riprende il simbolo e gli conferisce un significato di ancor più grandiosa ricchezza, vedendovi compendiato il suo ideale di felicità mutuato dal dettame templare.
Dante, dunque, considera la Chiesa e l’Impero come due poteri-guida dati da Dio all’umanità per condurla alla felicità terrena e a quella celeste.
Anche queste concezioni sono comuni al pensiero templare, come lo sono quelle relative alla teologia del peccato originale (di ispirazione tomistica) e le idee gnostiche di Gioacchino da Fiore, abate cistercense, sulla Chiesa dello Spirito, che ampiamente influenzarono Dante.
Ma più direttamente, vediamo i documenti della D.C. che dimostrano l’adesione di Dante al templarismo.
E’ noto che la condanna magistrale che represse l’Ordine dei Templari fu pronunciata dal Concilio di Vienne del 1312. Questo Concilio dovette però anche occuparsi di questioni teologiche. In esso furono condannate, come eretiche, talune asserzioni dell’Olivi, fatte proprie dagli Spirituali, in materia di voto di povertà, di interpretazione del Vangelo (il momento del colpo di lancia di Longino) e sul quando perviene all’uomo la grazia santificante. Ebbene: Dante nella D.C. fa esporre come loro inoppugnabili concezioni, una prima volta da San Tommaso d’Aquino e un’altra volta da San Bernardo di Chiaravalle proprio quelle tesi, che erano state respinte dal Concilio di Vienne, concernenti la ferita del costato; mette in bocca a Stazio (Purg., C. XXV) un discorso definitivo sul processo della animazione del corpo umano con l’esposizione di una dottrina dell’anima perfettamente corrispondente a quella dell’Olivi; e, nel C. XXV del Paradiso, fa pronunciare San Gragorio Magno in favore delle tesi francescane e oliviane circa il battesimo, la grazia e la virtù.
E’ importante comprendere che non è una spiccata predilezione di Dante per lo Spirituale Francescano Padre Olivi a fargli accettare le tesi di costui sulla trafittura del costato di Cristo, mentre era o non era ancora vivente, o sull’assenza dell’anima razionale nella formazione del corpo umano, o sulla ritardata piena efficacia del battesimo. Quello che al Poeta importava era di negare il proprio riconoscimento a tutte le pronunce di quel Concilio, in modo velato, ma pure riconoscibile dagli iniziati. Proprio questa è la ragione per cui Dante segue il teologo spiritualista solo fin dove giunge la censura operata dal Concilio. Sui punti dei quali il Concilio tace, la teologia dell’Olivi rimane indifferente al Poeta, che ne segue la dottrina solo quanto lo esige il suo settarismo templare: non un passo più oltre!
Se Dante sposava delle dottrine condannate dalla Chiesa, dobbiamo dunque considerarlo un eretico? E lui stesso dove si collocava opponendosi alle decisioni conciliari?
Diciamo subito che il 14 settembre 1921, Papa Benedetto XV, con l’enciclica In Praeclara, riconosceva Dante come “un grande figlio della Chiesa e come una gloria dell’Occidente”. E questo scioglie ogni dubbio: Ma Dante come si considerava?
Per Dante, la Curia di Avignone, scandalosamente nel pugno di Filippo il Bello, non era più la Chiesa di Roma, ma proprio quella che il Gioachimismo Francescano chiamava Ecclesia carnalis. Ed è quella che Dante raffigura come la meretrice dell’apocalisse sul carro trionfale di Beatrice.
Del resto, il Concilio di Vienne fu considerato illegittimo da molti critici storici. Irregolare per forma di convocazione, lo fu ancora di più per il suo svolgimento, perché “il Papa faceva tutto di testa sua, sì che il Concilio non poteva né rispondere, né approvare…” (Hemimburg, 1350). Il Damberger ne negò la ecumenicità. Per quanto concerne il clima, si pensi che Filippo il Bello, durante lo svolgimento di tutto il Concilio, si stabilì col suo esercito a Lione, che distava da Vienne un giorno di marcia. A Vienne, secondo Dante e secondo la delegazione aragonese, il Papa “non agit, sed agitur”.
Non fu dunque il pontificato di Bonifacio VIII per Dante il culmine di ciò che è detestabile, bensì quello di Clemente V. La sua dannazione è pronunciata da Beatrice (Paradiso, C. XXX), è predetta da Nicolò III e ribadita ancora da Beatrice per altre tre volte e infine, confermata da San Pietro.
Il suo pontificato fu dall’inizio sciagurata occasione di nepotismo e simonia, come in precedenza lo era stato il suo cardinalato. Ma, attenzione! In due lettere del 1310 e del 1311, Dante usa verso Clemente parole di benevola attenzione, malgrado che le sue nefandezze dovessero esser già note dovunque.
Era questo il momento in cui Papa Clemente si mostrava benevolo verso il nuovo Imperatore Arrigo VII – forse Templare – che tante speranze aveva acceso anche in Dante. Quando, dal 1311 in poi, questa benevolenza si cambiò in opposizione e contemporaneamente venne soppresso l’Ordine del Tempio, contro Clemente scoppia lo sdegno di Dante: quello non è il Papa, è l’usurpatore della carica; e il verdetto di condanna è pronunciato da San Pietro, che urla (Par., C. XXVII):

Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio,
il luogo mio, il luogo mio che vaca
ne la presenza del Figliuol di Dio,
fatt’ha del cimitero mio cloaca
del sangue e della puzza…

Si può stabilire con maggior precisione quando Dante mutò così radicalmente opinione su questo Papa, sì da passare da osservazioni cortesi nei suoi confronti alle sei volte ripetute condanne? E’ possibile precisare addirittura la data. La data è quella del 18 marzo 1311; quella in cui il Papa ordinò ai re, ai principi, ai prelati e agli inquisitori di ricorrere alla tortura nei processi contro i Templari, che dal 1307 venivano portati avanti in tutta Europa, ora con maggiore, ora con minore convinzione e ferocia. Da quel 18 marzo 1311 fu chiaro a Dante che il Concilio di Vienne avrebbe portato alla soppressione dell’Ordine!
E qui cade opportuno rilevare quante volte Dante abbia mostrato nella D.C. o nella sua vita, volubilità di giudizio, che lo ha portato a modificare valutazioni già date in precedenza: poche, ma sempre per importanti fatti e sempre riguardando la sua militanza templare.
Osserviamo: nei confronti dei Conti Guidi di Romena, Dante aveva dichiarato, in una lettera del 1311, di essere debitore di molta gratitudine, per lunghe ospitalità ricevute e per una non precisata precedente “collaborazione”.
Ebbene, nel XXX canto dell’Inferno, il falsario Mastro Adamo maledice proprio questi Conti Guidi di Romena, guarda caso, dopo che essi avevano compiuto dei passi contro i Templari della loro regione.
Ancora: nel III canto del Purgatorio, Manfredi, uno dei personaggi della D.C. più amati da Dante, appella i due re Giacomo II e Federico II quali “l’onore di Sicilia e d’Aragona”. Parlando per bocca di Manfredi, evidentemente è Dante che qui formula questo favorevole, sentito apprezzamento. Ma l’elogio, ben presto, si trasforma in biasimo, espresso poi ben cinque volte nei confronti di Federico e due nei confronti di Giacomo (Purg., C. VII e Par., C. XIX). Cosa era successo nel frattempo? Era successo che l’iniziale favore dei due Re verso i Templari si era in seguito trasformato in spirito di persecuzione che, in Sicilia (a Messina e Santa Maria) e in Spagna (a Casta-Vega, a Miravet e a Monzon), si era concretizzato con spietati processi a suon di torture per gli sventurati Templari locali. Ce n’è d’avanzo per un Templare sanguigno e settario come Dante per mandare all’inferno i due, senza neanche darsi la pena di correggere i giudizi precedentemente espressi!
Solo un Templare come Dante (o un Dante Templare, il che è lo stesso) poteva accusare di avarizia e crudeltà Federico II di Sicilia; solo un Templare, e non chi fosse soltanto un Gioachimita, poteva condannare Clemente per sei volte all’inferno.
Andiamo avanti. Solo un Templare, per illustrare l’avarizia di Carlo II di Napoli (che aveva diviso con il Papa i beni confiscati ai Templari) poteva enfatizzare la modestia della dote data alla giovanissima figlia Beatrice, sposa al marchese Azzo d’Este, definito compratore della giovane. E’ chiaro che il biasimo di Dante è mosso al persecutore dei templari e non al venditore della figlia.
Altro passo non casuale nell’esplicitare la qualità di Templare in Dante: il Veglio di Creta (inf., C. XIV), la statua che lacrima guardando Roma e volgendo le spalle a Damietta, il luogo fatidico e sciagurato per il templarismo, per la sconfitta attribuita alle milizie dell’Ordine, la prima delle irreversibili catastrofi, che ne determinarono la fine; e per la localizzazione in quelle città degli apocrifi ed equivoci statuti che, sostituendo le antiche, sacre leggi templari, avrebbero trasformato l’Ordine in una setta di eretici.
Quella statua lacrimante è la controfigura dei concetti templari della felicità, propri di Dante. E’ essa stessa un Templare, che respinge la responsabilità della catastrofe e che, con le membra rotte, ma la testa intatta (la purezza e la dignità dei primi Templari), testimonia la speranza nella restaurazione, pur piangendo sulla attuale miseria dell’Ordine.
Ho voluto limitare questa mia esposizione ad una interpretazione di giudizi, di espressioni, di episodi e di fatti riportati dalla D. C. alla luce di un Templarismo di Dante che spiega molti aspetti, altrimenti incomprensibili. Questa chiave di lettura costituisce la miglior prova sull’appartenenza di Dante all’Ordine Templare come militante convinto, profondo, coraggioso ed eloquente testimone dei tragici avvenimenti che portarono alla fine dell’Ordine stesso.

FRANCO VALGATTARRI


Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

IL TEMPIO MASSONICO

Il Tempio

INTRODUZIONE

Un errore molto comune in Massoneria è la confusione fra i termini di Tempio e Loggia, che hanno dei significati filosofici e simbolici molto diversi. Se il Tempio è lo “spazio” dove avviene una ierofania (ritualmente in Nome o alla presenza del G\A\D\U\ ), o discesa di un’influenza spirituale, ed il rituale è il “modo” (o mezzo) con cui questa ierofania avviene, la Loggia ha attinenza con il “tempo” (inteso, naturalmente, nel senso metafisico e metatemporale) nel cui ciclo si compie questa esperienza spirituale.

La Loggia è il primo ed il più importante nucleo massonico. Senza di lei non può esistere la massoneria e da lei deriva ogni gerarchia e regolarità massonica, sia in senso tradizionale sia amministrativo.

La Gran Loggia è il più alto momento rituale delle comunità nazionali massoniche, mentre un Grande Oriente ha un valore esclusivamente amministrativo. La Loggia è per definizione libera, sovrana ed indipendente.

I suoi reali poteri amministrativi sono stati nel tempo sempre più esautorati dall’organizzazione centrale, certamente per motivazioni logiche e giustificate, ma i suoi poteri iniziatici sono oggi in ogni caso integri, dopo l’abolizione dell’illegittimo potere di iniziare sulla spada da parte del Gran Maestro.

Alcuni autori tradizionalisti, come Guénon ed il Reghini ad esempio, hanno visto in questo una deviazione del concetto di gerarchia tradizionale, in cui l’autorità discende dall’alto verso il basso e non viceversa. A riprova di questa tesi è citato lo schema di loggia rituale della massoneria operativa inglese studiata dallo Stretton.

È noto come il passaggio dalla massoneria operativa a quella speculativa risalente al principio del XVIII secolo portò a variazioni, anche importanti, nel rituale e nella disposizione di alcuni simboli che portarono ad incongruenze e lacune fino ad oggi tramandate.

Molte logge inglesi non riconobbero l’autorità della Gran Loggia di Londra e rimasero fedeli alle antiche “Costruzioni Gotiche”, continuando a lavorare sui rituali operativi. Echi e ricordi degli antichi rituali operativi sono stati ritrasmessi nella nostra attuale forma massonica dai rituali Emulation e M\ M\ M \

I rituali operativi della Massoneria della Squadra, come risulta dalla corrispondenza di C. Stretton a J. Yarker, erano svolti contemporaneamente in sette camere rituali corrispondenti ai sette gradi in cui il sistema era composto.

L’apertura dei lavori era competenza del VII° grado e si discendeva da questo a quelli successivi. L’attuale sistema è esattamente l’opposto. Ciò non ha, probabilmente, origine da una degenerazione tradizionale in senso “democratico”, quanto da una confusione effettuata dalla primitiva Gran Loggia di Londra in cui all’inizio, com’è storicamente accettato, non erano conosciuti i rituali superiori a quello d’Apprendista.

Da questo vizio originale deriva la nostra attuale incongruenza di convocare, ad esempio, gli Apprendisti per farli uscire poi dal Tempio poco dopo in caso di elevazione dei lavori al Grado di Compagno etc. Ne risulta evidente come l’ordine dei lavori sarebbe più regolare ed organizzato per convocazioni graduali e successive.

Comunque, di contro al concetto della degenerazione simbolica dell’autorità come gradiente dal basso, si può affermare che una Loggia massonica è un universo iniziatico in sè completo, la cui autorità, libertà e sovranità è incontestabile e che i poteri della Gran Maestranza sono tali per delega amministrativa e non derivano da sua propria ed intrinseca autorità o potere.

I Riti massonici sono un’importante scuola di perfezionamento morale e culturale della Massoneria, ma non sono indispensabili a ciò che è veramente essenziale da un punto di vista iniziatico e cioè l’attrazione di un’influenza spirituale attraverso il rito, che permetta l’iniziazione virtuale dei profani e l’affinarsi progressivo delle qualità del Massone, nel suo avvicinamento ai piani metafisici dell’essere. Questi assiomi, pur necessari all’inquadramento del concetto di Loggia, potranno avere maggiore sviluppo nell’esame delle caratteristiche del Tempio, prima, e del rituale poi.

IL TEMPIO,” SPAZIO” DELLA LOGGIA

D. Quale arte professate?

R. La Massoneria

D. Quali edifici costruite ?

R. Templi e tabernacoli.

D. Dove li costruite ?

R. In mancanza di terreno, noi li costruiamo nei nostri cuori…

(Da Les plus secrets mysterés des Hauts Grades de la Maçonnerie, dévoilès, o le Vraie Rose+Croix, traduit de l’anglais; suivi du Noachite, traduit de l’allemand – a Jerusalem 1768 – pg.127.

L’attuale concezione di spazio (ad esempio i confini di stato) ha un significato politico-economico che, per quanto conosciuto ed applicato anche nel mondo antico, non ne ha più la primitiva connotazione di sacralità ad esso pertinente. Già nell’età storica vediamo come, nel tracciare i confini in senso economico-politico e giuridico, si consideravano anche delle cognizioni e delle prescrizioni di ordine magico-religioso. Bisogna qui notare che la società antica difficilmente contemplava l’attuale divisione fra giurisdizione laica e giurisdizione religiosa.

I confini, per quanto approssimativi, erano comunque conosciuti attraverso dei segni di riconoscimento, una pietra, un palo, una particolarità geografica etc. Un esempio caratteristico di ciò, nel nostro mondo mediterraneo, erano le Erme, dapprima semplici pali o pietre squadrate itifalliche, poi scolpite con i tratti della divinità.

Un altro caratteristico segno di posizione geografica era l’omphalos, una pietra ovoidale, spesso con caratteristiche falliche, che marcava un “Centrum”, un ipotetico centro del proprio mondo, fisico e metafisico assieme. Il simbolismo fallico non aveva caratteristiche di oscena esibizione sessuale, ma dichiarava la maschia potenza del popolo confinario, così come anche oggi nei vari gesti osceni usati ed abusati, si rivela più un atteggiamento aggressivo e marziale che venereo.

Attualmente i confini nazionali sono ben delimitati in quasi tutto il mondo e la “terra di nessuno” o zona neutra consiste in un breve corridoio presso i confini; nel mondo antico – fino al medioevo – fra i vari stati esistevano larghe zone neutre, chiamati marche, divise in sezioni. Ormai scomparse, il termine letterario che le definiva, “marca”, conservò a lungo il significato originario, cioè il passaggio da una zona geografica, sacrale per i suoi abitanti, ad un’altra, sempre sacrale, per chi la abitava. Le marche ebbero un ruolo importante per l’antichità, ed in questi territori si svolgevano mercati, combattimenti, cerimonie religiose. Alcuni territori, pur all’interno di un dato territorio nazionale, avevano carattere di “marca”, per lo svolgersi di attività magico-religiose prima e misteriche dopo.

Un classico esempio è quello di Delfi che godeva di alcuni diritti di extraterritorialità conseguenti al suo essere uno dei più grandi santuari internazionali dei suoi tempi, tanto che molti stati avevano in deposito il tesoro nazionale presso il santuario. Da ciò deriva che il rito di passaggio nella “marca” aveva per i nostri antenati un carattere particolare oggi dimenticato; consisteva nell’essere o nel considerarsi avulsi non solo dai due mondi fisici separati, ma dalla stessa realtà materiale .

Un qualsiasi luogo, politico o sacrale che fosse, non aveva quasi valenza geografica se non era definito nei suoi confini e tale definizione non aveva senso, se non fosse stata compiuta ritualmente. Relativamente alla definizione di uno spazio sacro si può suddividere il rituale in tre momenti fondamentali.

a) purificazione preliminare;

b) tracciamento di uno spazio sacro;

c) aggregazione della comunità a tale spazio attraverso un rito sacrificale

Quando non esistono spazi “stabili”, il rituale comporta il rovesciamento od inversione del rito (chiusura dei lavori), per restituire al mondo profano od alla “marca” uno spazio reso provvisoriamente sacro. Prima di comparare tali parametri con quelli della ritualità massonica può esser utile far notare come, nell’antico significato, “landmark” non significa pietra di termine di per sé. o i principi ideologici qualificanti una data organizzazione, ma la presenza di uno spazio sacrale delimitato.

In Massoneria si definisce ritualmente uno spazio sacro attraverso la cosiddetta marcia rituale. Il Rituale pubblicato nel 1969, cioè quello attualmente in uso, la indica così: in testa il M\ V\ ., preceduto dal 1° Diacono e seguito dal 1° Sorv\ ., 2° Diacono, 2° Sorv\ ., Oratore, Segretario, Tesoriere, Maestro delle Cerimonie, 1° Esperto; tutti gli altri Fratelli. Infine, il Copritore Esterno che chiude la porta restandone a custodia.

La marcia nel Tempio segue il senso antiorario; raggiunti i loro posti, il M\ V\ ed il 1° Diacono, il 2° Diacono precedono il 1° Sorv\ , e conduce la marcia fino allo scanno di quest’ultimo; installati ai loro posti il 1°Sorv\ ed il 2° Diacono, il 2° Sorvegliante che conduce la marcia, raggiunge il suo posto. Successivamente, tutti gli altri Fratelli, i quali restano in piedi fino a che il M\V\dice: “Fratelli sedete”.

Si comprende chiaramente come il deambulare nel Tempio lo “marca”, definendolo come spazio sacro, ed accompiendo quindi la seconda delle universali regole rituali, mentre la prima, purificatoria, è stata attuata definitivamente attraverso il rituale d’edificazione del Tempio.

René Guénon scrive che, nella massoneria operativa, l’ubicazione di un edificio era determinata, prima di intraprenderne la costruzione, da quello che si chiama il metodo dei cinque punti, che consisteva nel fissare innanzi tutto i quattro angoli, ove si dovevano porre le prime quattro pietre, poi il centro che, siccome la sua base era di norma quadrata o rettangolare, rappresentava il punto d’incontro delle sue diagonali; i pioli che segnavano questi cinque punti erano chiamati Landmarks e questo è probabilmente il senso primo ed originario di tale termine massonico. Nel rituale il simbolismo principale è la costruzione del Tempio che avviene nel tempo indefinito ed atemporale della Loggia.

Il Tempio, il cui collocamento spaziale si pone infinitamente nella lunghezza fra Oriente ed Occidente, nella corrispondente larghezza da Settentrione a Mezzodì, e nella profondità della terra e nell’altezza del cielo, è misurato quindi nell’unico modo possibile, nella determinazione, cioè, di un centro od “omphalos” in cui si possa determinare una teofania, quella presenza del G\A\D\U\che rappresenta quella chiave di volta che inserita nel giusto punto porterà a compimento, alla fine dei tempi, la costruzione del Tempio, uno spazio immateriale e perfetto.

Vi è quindi un’inversione del procedimento della determinazione materiale di uno spazio costruttivo, in cui gli angoli determinano il centro, mentre nella costruzione interiore solo il ritrovamento del centro, l’essenza, permette, attraverso la determinazione degli angoli, la realizzazione di una forma superiore, la pietra squadrata.

IL TEMPIO EMULATION

Dal Rituale Emulation, Ed.Stampaleader Srl 1995, Roma.

Note sul rituale e sulle procedure

Disposizione del Tempio

Il tempio del rituale Emulation su fonda sulla forma della disposizione di Loggia presente nei Templi della Freemasons’ Hall, Great Queen Street, Londra. Poiché essi sono sotto il diretto controllo dell’amministrazione della Gran Loggia, si ritiene che questa sia la disposizione ordinaria per la Libera Muratoria inglese, quando le condizioni del luogo di riunione rendono possibile seguirla.

In questi Templi il tappeto a scacchi copre l’intero centro della stampa ed i tre scranni sono posti in modo da essere appena fuori del tappeto, ad E, S, e O, Per avvicinarsi al Venerabile ed ai Sorveglianti, come nel caso delle marce, degli affidamenti e delle prove, è perciò necessario, per seguire correttamente il sistema Emulation, stare fuori del tappeto ed in piedi accanto ai seggi.

Dato però che il tappeto copre tutto il pavimento, di fatto ogni marcia si compie sul tappeto, salvo quando il candidato è ai seggi del MV e dei Sorveglianti.

I riferimenti al candidato condotto sul “pavimento della Loggia”, significano che egli è condotto sul tappeto, in genere per completare una marcia. Analogamente, le porte del Tempio sono al lato ovest della Loggia, per lo più a nord della sedia del Copritore interno, rendendogli facile svolgere i suoi compiti dal suo posto normale, a nord del 1° Sorvegliante.

La sedia del 1° Diacono si trova all’estremità est della colonna del nord, di fronte all’altra parte della Loggia (non di là dall’angolo) – benché, nelle dimostrazioni della Loggia “Emulation”, il 1° Diacono sia nella sua antica posizione alla destra del M\ V\ , di fronte alla Loggia per il lungo, un posto oggi normalmente occupato dal Grande Ufficiale di rango più elevato

.La sedia del 2° Diacono è posta al lato sud del 1° Sorvegliante. La sedia del 2° Diacono è al lato sud del 1ø Sorvegliante, di fronte alla Loggia per il lungo (anche qui non dall’altra parte dell’angolo).

Laddove le caratteristiche del Tempio e le dimensioni del tappeto rendono impossibili alcune di queste condizioni, le Logge che desiderano lavorare nel sistema Emulation non avranno difficoltà nel mantenersi più aderenti possibile alla disposizione, ed usare completamente l’area disponibile fra il M\ V\ ed i Sorveglianti, ecc., per le marce.

IL TEMPIO EMULATION

Dal Rituale del Libero Muratore d’Inghilterra, Riv. Acacia, Roma, 1949.

– (omissis) La pianta della Loggia, la posizione degli Ufficiali, degli Operai e delle decorazioni, differiscono notevolmente da quelle in uso fra di noi. Da una vasta stanza esterna (onter room) si passa nella stanza di preparazione (vedi Tav.I), sulla quale dà la porta d’ingresso del Tempio: d’innanzi alla porta sta il Copritore interno ed il Tegolatore.

Il Tempio, rettangolare, ha l’ingresso sul lato occidentale, non al centro della parete, ma in prossimità della parete settentrionale. Oltrepassata la soglia, a sinistra, sta la colonna J. e vicina a questa, il seggio del Copr\ .Int\ . Di fronte, all’Oriente, è situato il trono del Maestro Venerabile, elevato su tre gradini; dinanzi a lui vi è un’ara (pedestal) alta circa 90 cm., su cui, durante i lavori, è posto il “Volume della Legge Sacra”, aperto, secondo la tradizione, alla pagina propria a ciascun grado; ci sono sovrapposti la Squadra ed il Compasso combinati nel modo previsto.

Vi è anche il Quadro di Loggia, cioè una tela dipinta con i diversi strumenti dei Muratori; ogni grado ha un proprio Quadro. Tanto la posizione del Compasso, quanto il Quadro di Loggia, indica in quale grado la Loggia lavora. Entrambe le punte del Compasso sono sotto la Squadra nel primo grado, una punta sopra e l’altra sotto nel secondo grado; mentre, nel terzo grado, entrambe le punte sono sopra la Squadra. Alla sinistra del Maestro Venerabile siede l’ex-Venerabile che lo ha preceduto nell’ufficio; può avere dinanzi un’ara. Alla sinistra del Primo Ex-Venerabile siede, se c’è, il Cappellano e gli altri Ex-Venerabili della Loggia. La destra del Maestro Venerabile è riservata ai visitatori di riguardo.

Il 1° Sorvegliante siede all’Occidente, esattamente di fronte al Maestro Venerabile, su una predella rialzata di due gradini; il 2° Sorvegliante al Mezzodì, su una predella rialzata di un gradino. Davanti ad entrambi c’è un’ara (pedestal) sulla quale è posta una piccola colonna; sul pavimento, a destra dell’ara, c’è una colonna più grande che rappresenta l’Ordine architettonico attribuito a ciascun Sorvegliante e che è usata come candelabro; la colonna del 2° Sorvegliante è dorica, quella del 2° Sorvegliante è corinzia.

Anche il M.V. ha una colonna, d’ordine jonico ed una candela. Quando la Loggia lavora, nel 1° e 2° grado le tre luci sono sempre accese; quando i lavori si tengono nel 3° grado è accesa soltanto la candela del Maestro Venerabile per dare la “mezza luce”.

La stella del Maestro Venerabile deve essere sempre accesa, durante i lavori, in qualunque grado. Le due colonnine dei Due Sorveglianti hanno un uso peculiare nelle cerimonie britanniche: quella del 1° Sorvegliante è alzata quando la Loggia lavora, mentre quella del 2° Sorv\ è abbassata: viceversa, mentre la Loggia è in ricreazione, od è chiusa, si abbassa la colonnina del 1ø Sorvegliante e si alza quella del 2°.

Il Maestro Venerabile ed i due Sorv\ .hanno un mazzuolo ciascuno, con il quale richiamano all’Ordine i Fratelli. I colpi sono dati col mazzuolo sopra le are che stanno di fronte a questi tre ufficiali; però, in certi momenti, il 2° Sorv dà i colpi sul suo guanto, affinché‚ non si sentano fuori della porta della Loggia.

Il Primo Diacono siede allineato con l’angolo destro della predella del Maestro Venerabile.: il 2° Diacono con l’angolo destro della predella del Primo Sorvegliante; il Tesoriere ed il Segretario siedono a Mezzodì, prossimi all’Oriente. La Loggia è decorata col pavimento a scacchi; al centro del quale vi Š la Stella Fiammeggiante. La pietra grezza è posta presso l’orlo del pavimento a mosaico, vicino al 2° Sorv\ ., al mezzodì; la Pietra cubica è sospesa ad un piccolo argano, con un’Ulivella ,verso l’Occidente.

Ogni Loggia è distinta da un nome e da un numero, riceve la Bolla di Fondazione, (warrant) dalla Gran Loggia, Bolla che deve essere esposta, durante i Lavori. La Loggia si deve aprire e chiudere in 1° grado: anche se poi si apre nel 2°, o nel 3° grado, deve alla fine, chiudersi in 1°. Prima dell’apertura e dopo la chiusura è uso cantare un inno.

IL TEMPIO DEGLI OPERATIVI

Diamo qui lo schema (Tav. III) di un’Officina operativa appartenente alla Massoneria della Squadra.

E’ importante notare che tutte le sette camere lavorano contemporaneamente (in linea di principio) anche se poi, de facto, la mancanza del numero sufficiente di liberi muratori di un certo grado comportava ovviamente l’impossibilità di aprire ritualmente la corrispondente loggia.

In un’Officina operativa o “assemblage”, la cui orientazione è basata su quella del Tempio di Salomone, i tre G\ M\ , se presenti, siedono ad Ovest, in modo di da poter “segnare” (mark) il Sole nascente, il Primo Sorv. ad Est. per” indicare” il Sole al suo tramonto ed il Secondo Sorv. a Nord, per “indicare” il sole al suo “meridiano” (Rituale Emulation).

Si può poi rilevare in proposito che la consuetudine Emulation di porre gli Apprendisti nell’angolo nord-est del Tempio, presso la pedana del Venerabile, si spiega perfettamente se si pensa che questa è, in effetti, la loro posizione in una loggia operativa, vicino alla colonna B. e l’ingresso, nonché l’angolo di posa della prima pietra nella costruzione di un edificio.

Altro punto notevole connesso con quello dell’orientazione è la questione del senso della “circuambulazione” rituale che è, normalmente, solare – segue cioè il movimento apparente del Sole intorno alla terra, mentre è polare – marcia della stella attorno al Polo – nel rituale operativo.

Un interessante simbolismo polare, più primordiale, com’è noto, di quello solare, presente in quest’ultimo è il seguente: una lettera G è raffigurata al centro della volta della Camera del VII° grado, nel punto stesso corrispondente alla stella polare; un filo a piombo, sospeso a questa lettera G, cade direttamente al centro di uno swastica tracciato nell’impiantito e rappresentante così il polo terrestre: è il filo a piombo del Grande Architetto dell’Universo che, sospeso al punto geometrico della Grande Unità, discende dal polo celeste al polo terrestre, ed è in tal modo la figura dell’Asse del Mondo . Volendo ora confrontare i sette gradi degli operativi con quelli degli speculativi, avremo grosso modo le seguenti corrispondenze:

1° grado: Apprendista – molto simile a quello speculativo, ma con rituale più tecnico; vedi, ad esempio, l’uso del “cable-tow” che evoca l’impegno iniziatico ed il legame dell’iniziando con la madre loggia.

Una “antient charge” afferma che ogni massone deve essere presente ai lavori se distante meno di un “cable-tow”

2° grado: Compagno (d’Arte) – molto simile a quello speculativo, ma con rituale più tecnico.

3° grado: Marcatore – molto simile alla prima parte (Mark Man) del grado di Mark Master Mason (Rito inglese)

4° grado: Costruttore – molto simile alla seconda parte del grado di Mark Master M.A.S.C.I. In effetti i rituali della moderna Mark Masonry attestano chiaramente che i lavori si svolgono nelle cave e cantieri di Re Salomone e che il grado è conferito al fine di poter presiedere una loggia di massoni operativi.

                                5° grado: Sovrintendente dei lavori – corrispondente ai Dignitari di Loggia.

6° grado: Maestro – corrispondente all’Ex-Venerabile ed al Maestro Eletto, se non ancora insediato.

7° grado: (Gran) Maestro Massone – corrisponde al Collegio dei Venerabili , all’installazione rituale dei Venerabili ed alla apertura e chiusura di un Capitolo dell’HFL (tenuto in privato fino al 1902) da parte dei tre Gran Maestri Massoni.

Il terzo grado della massoneria simbolica, che non ha rapporti con alcuno dell’operativa in particolare, si rifà invece al Dramma Sacro della consacrazione della Morte di H. che si svolge il 2 ottobre di ogni anno.

Mentre la massoneria speculativa sviluppò il tema della morte e resurrezione e della perdita della parola sacra, nell’operativa il sacrificio di H. preserva il segreto che i quindici massoni infedeli volevano ingiustamente carpire. Inoltre nella cerimonia speculativa è il candidato che alquanto illogicamente impersona H. ed è ucciso per non aver rivelato un segreto che non ancora conosce, e che non è svelato veramente neppure in seguito; mentre in quella operativa è proprio il terzo G\M\M\ che in quanto H. è ucciso; ritrovata la salma gli sarà accordato un solenne funerale e la sua carica sarà assunta da A.

Non bisogna poi dimenticare che il mito di H. è trattato come un vero dramma teatrale o – meglio – come un mistero medioevale (costumi, dialoghi ecc.) particolarità che si ritrova, fra gli speculativi, solo in certi rituali irlandesi ed in quello Bristol. Alcuni importanti drammi sacri sono quelli connessi alla Fondazione del Tempio (Maggio) e della Dedica del Tempio (30 Ottobre) e che sono stati in parte ripresi da i rituali della Massoneria della Marca e dell’Arco Reale.

Nel primo, che è più pertinente al 4° grado, vediamo l’applicazione tecnica del “sistema dei cinque punti” che permette di tracciare la base di un edificio di forma quadrata o rettangolare andando dal centro alle quattro estremità, utilizzando la proprietà del triangolo rettangolo 3,4,5, come descritto da Vitruvio: “Se prendiamo tre stecche, la prima lunga tre piedi, la seconda quattro piedi e la terza cinque piedi e le uniamo in modo che le loro estremità si tocchino così da formare una figura triangolare, avremo un angolo retto…”

[1] Il Rituale Bristol, probabilmente il più arcaica fra quelli attualmente ed ininterrottamente in uso nella massoneria speculativa ha, fra l’altro, le seguenti caratteristiche: la trasmissione del rito e l’istruzione è strettamente orale, cone nella massoneria operativa.

                Il Venerabile, allorché entra il Loggia e se ne ritira porta un copricapo a tesa rialzata e tutti coprono il capo in occasione di una cerimonia per la posa di fondazione di un edificio (nel quarto grado operativo sta a testa alta coperta e senza calzature). Prima di ottenere il grado di Compagno dell’Arto Reale il M\V\ passa attraverso una serie di ambienti (nei quali gli vengono conferiti gradi intermedi, simili a quelli del Rito di York americano) separati l’uno dall’altro da cortinaggi. La somiglianza con la serie di Camere della Massoneria operativa (che pure sono divise da tende anziché porte) è evidente.

Può essere utilizzato solo a Bristol (ove sembra venne portato direttamente da Londra nel 1717) e nella sua Contea che uno degli otto “distretti massonici” dell’Inghilterra.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

I DIALOGHI MASSONICI


Gotthold Ephraim LESSING Dialoghi Massonici

Commento

di Renato Lavarini

Introduzione.

Lessing rappresenta la più geniale figura dell’Illuminismo, a detta dei maggiori storici della filosofia.

Due sono i grandi temi che rappresentano la ricerca filosofica del Lessing massone.

Anzitutto, la concezione deista della divinità.

Infatti, dopo passaggi attraverso la religione rivelata e attraverso il puro razionalismo illuminista, Lessing arrivò alla sua estrema convinzione dell’Uno-tutto (in greco: En kai Pan), dell’immanenza di Dio nel mondo come lo spirito della sua armonia, della sua unità.

Questa convinzione si estese al secondo grande tema: quello della storia e del ruolo dell’uomo nella storia.

L’obiettivo dell’uomo è certamente raggiungere la verità ma, per Lessing, il valore dell’uomo non sta tanto nella verità raggiunta, quanto nel costante sforzo per raggiungerla, sforzo che mette in moto tutte le sue forze e che rivela tutta la perfezione di cui è capace.

È interessante ricordare una frase di Lessing: “Se Dio tenesse nella sua destra tutta la verità e nella sua sinistra il solo tendere verso la verità con la condizione di errare eternamente smarrito e mi dicesse: Scegli -, io mi precipiterei con umiltà nella sua sinistra e direi: Padre, ho scelto; la pura verità è soltanto per te”.

L’idea che Lessing ha della storia è quella di un ordine progressivo. Lo strumento per questo progresso è l’educazione; un’educazione che avviene per successive rivelazioni.

Nell’educazione, infatti, l’uomo impara da latri uomini ciò che la sua ragione non è ancora in grado di comprendere. Ciò che impara, tuttavia, non è contrario alla ragione, ma solo non può essere ancora afferrato e inteso pienamente dalla sua ragione ancora debole e puerile.

Il percorso massonico di Lessing inizia in età ormai matura: viene infatti iniziato nel 1771, all’età di 42 anni e dieci anni prima di morire.

Un anno prima di morire, nel 1780, pubblica i Dialoghi Massonici.

Tali dialoghi tra due personaggi, uno massone e l’altro no, contengono tutti gli elementi della filosofia di Lessing vicini al pensiero massonico. Primo fra tutti il concetto, sopra accennato, di sforzo continuo verso la verità.

PRIMO DIALOGO

Ernst, il profano, sapendo che Falk è massone, cerca di sapere quali sono i principi fondamentali della massoneria. Falk, nel dubbio che deve comunque sempre contraddistinguere l’uomo razionale, poiché se non ci fosse dubbio non ci sarebbe ricerca, cerca di dare le prime risposte.

La massoneria è una necessità umana e sociale, un sistema di vita difficilmente spiegabile semplicemente a parole ma assolutamente testimoniabile con le azioni.

Questo non è un fatto esclusivo della massoneria, ma la massoneria fornisce all’uomo un motivo in più: la consapevolezza del percorso infinito verso la perfezione e a favore dell’umanità.

SECONDO DIALOGO

I massoni operano nella storia stando all’interno della società. Una società composta di uomini che difficilmente sapranno mai governarsi da soli.

Qui si inserisce il concetto di Stato proprio dell’illuminismo e di una visione non totalitaria dello Stato stesso: gli Stati sono i luoghi dove gli uomini possono operare per arrivare ad ottenere quella parte di felicità a cui tendono; lo Stato che sopprime la felicità dell’uomo a favore della propria prosperità ha perso la sua ragion d’essere e si trasforma in tirannide.

Ma anche se tutti gli Stati, che non sono naturali bensì umani, tendessero ugualmente alla felicità e per far ciò si dessero tutti la stessa costituzione, non ci sarebbe uno Stato unico, ma sempre una serie di Stati che caratterizzeranno diversamente gli uomini che ci vivono e che, quindi, per condizione e origine, continueranno ad essere diversi gli uni dagli altri (gli inglesi dai tedeschi, dai francesi, ecc.).

Ed ecco la grande differenza tra l’uomo comune e l’uomo saggio che, per Lessing-Falk, è il Massone: l’uomo comune estremizza le differenze mentre l’uomo saggio è capace di innalzarsi al di sopra dei pregiudizi di gruppo per bloccare ciò che rischia umanamente di trasformarsi da virtù (patriottismo) in vizio (sciovinismo).

Siamo (quando scrive Lessing) in epoca di grandi divisioni e di guerre crudeli che sfoceranno nella rivoluzione borghese del 1789. Il Massone ha un compito epocale.

TERZO DIALOGO

Prosegue l’istruzione di Falk ad Ernst, mettendo in chiaro che non tanto i Massoni si danno il compito di operare per armonizzare le divisioni, quanto i Massoni non potranno occuparsi di questi mali in quanto Massoni.

Quindi, secondo Lessing-Falk, l’essere Massone porta naturalmente a non concepire mali e divisioni e, quindi, attraverso l’esempio, a diffondere tale armonia tra gli uomini.

Il lavoro che il Massone fa per il bene e il progresso dell’Umanità è infinito e, probabilmente, mai si potrà dire che il Massone ha raggiunto la sua meta.

QUARTO DIALOGO

Anche Ernst è diventato Massone.

Ma Falk capisce che lo ha fatto solo per poter fare ciò che per i Massoni è naturale.

Falk allora porta nel discorso l’argomento più difficile per chi è Massone e per chi vuole esserlo.

Ciò che il Massone fa, non lo fa perché Massone. L’uomo è galantuomo prima ancora di essere Massone. Non diventa Massone per essere galantuomo.

Il Massone supera le divisioni profane lavorando massonicamente senza divisioni di religione (a parte l’ateismo), di classe, di istruzione, ecc.

L’uso dei beni materiali, inoltre, deve essere finalizzato agli obiettivi massonici e non a quelli profani.

QUINTO DIALOGO

Le origini della Libera Muratoria.

Essa, secondo Lessing-Falk, è sempre stata.

Laddove c’è società civile, c’è Libera Muratoria.

Laddove c’è uno Stato forte – non in senso di forza dittatoriale ma di coesione dei cittadini con la struttura statale, di libertà, di armonia – la Massoneria prospera. Dove c’è uno Stato debole, che deve opprimere per resistere, la Massoneria è combattuta.

Il seguito del dialogo segue alcune discussioni sull’origine del termine Massone e sull’uso distorto che di esso è stato fatto nella storia.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

IL GREMBIULE MASSONICO SIMBOLO E SEGNO DISTINTIVO DEL LIBERO MURATORE

Il Grembiulino Massonico Simbolo e Segno distintivo del Libero Muratore Autore: Athos A. Altomonte   Certamente il particolare dei nostri costumi che più ha colpito da sempre la fantasia dei profani  è il grambiulino che i confratelli massoni indossano come segno distintivo dell’ appartenenza all’Ordine nei Suoi tre gradi di capacità e qualità. Volendosi riallaciare alla tradizione di questo “ vestimento “ nasce spontaneo il suo collegamento tra il Tempio di Salomone e con quanti per esso operavano ed il Tempio Massonico con i fratelli costruttori che lo abitano.  Hiram, Maestro dei maestri, Architetto del Tempio e figura centrale della mitologia massonica, aveva suddiviso le legioni dei suoi operai in tre categorie, in ordine di capacità  le prime due e d’esperienza l’ultima, e le aveva chiamate degli Apprendisti Introdotti (ai Misteri), dei Compagni d’Arte e dei Maestri. Al disopra di queste tre classi aveva posto gli Archittetti sovraintendenti e gli Architetti revisori, che erano alle sue dirette dipendenze e garantivano i ritmi, i tempi e la qualità delle Opere e la disciplina degli uomini nei tre gradi. Tutti costoro, è importante rilevare, usavano strumenti ed avevano elevato a Regola abitudini e costumi che tutt’oggi possiamo ritrovare nella loro integrità nel Tempio Massonico. Come non ricordare, oltre gli strumenti naturalmente, i Segni, i Toccamenti misteriosi e le Parole di Passo, con le quali si riconoscevano nei tre gradi, che sono i Simboli dei Misteri Minori del Massone ? E come dimenticare che la Fratellanza dei Costruttori, costituitasi per l’occidente attorno alle grandi Piramidi, ma le cui origini si perdono molto più ad oriente nella notte dei tempi, aveva costume e regola d’iniziare i suoi aspiranti, i suoi novizi  come i suoi adepti, attraverso il superamento di prove di cui la prima era il silenzio su quanto appreso ed il silenzio sul lavoro compiuto, esattamente come la regola attuale richiede ai massoni alla chiusura dei lavori della loro Loggia?   Le similitudini nelle Regole delle iniziazioni ai Misteri Minori del Tempio per coloro che ne dovevano creare la Forma manifesta e le Iniziazioni ai Misteri Maggiori, attraverso la Casta Sacerdotale, per coloro che per quello stesso Tempio dovevano poi creare un adeguato progetto che restasse  ad indicare quei fini – compreso il fine metafisico legato a Dio – alle generazioni future, sono quelle che troviamo velate nelle parole degli attuali cerimoniali affidati ai moderni massoni. Sempre che si sappiano leggere nelle allusioni e soprattutto nei sottintesi. Sino d’allora un grembiulino cingeva i fianchi dei costruttori operativi, anche se in realtà era una pelle d’agnello posta di traverso sul grembo per difenderlo dai colpi degli arnesi o dalle schegge ch’essi procuravano. Possiamo dunque considerare il grembiule come un’elemento davvero storico, perchè presente dalla “massoneria operativa” (fisica) sino a quella speculativa (mentale) e certamente lo sarà, per Tradizione, anche in quella prossima futura, l’ Universale (spirituale ed iniziatica) e per la quale tutti stiamo operando nei tanti Templi presenti in tutte le Nazioni dell’uomo con i suoi molti linguaggi.   Se focalizzassimo la nostra attenzione sul particolare cordolo che permette di cingerlo in vita, scopriremmo con il grembiule massonico una serie d’importanti similitudini con i cordoni di “castità“ degli Ordini Cavallereschi, mistici e Templari ed anche con tutti i vestimenti religiosi che, rituali e non, sempre prevedono la presenza del cordolo alla vita dei propri aderenti. Questo simbolo di “cercata” purezza è stato abbandonato solo nell’abito profano dei moderni preti d’area protestante e cattolica, prontamente imitati da tutti coloro che non cogliendone l’aspetto simbolico e mistico, lo considerano scomodo e sopratutto non adeguato ai tempi .   Trascorsi millenni, ritroviamo la Confraternita dei Costruttori in Europa, attiva nella costruzione delle Cattedrali gotiche, con le stesse strutture gerarchiche e con le medesime caratteristiche trasmessesi dall’origine tramite una immensa Catena Fraterna che ha superato i limiti dei tempi e delle distanze  attraverso ogni differente linguaggio.  Scritti, quadri e miniatura ci mostrano in ogni angolo d’Europa i Fratelli Costruttori nell’uso dei medesimi strumenti e nell’erigere le medesime Opere di sempre: Templi alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo.  E cinto al loro grembo, sempre il Grembiule d’Arte. Nella Francia dei Costruttori fu istituito un percorso “professionale” denominato “Tour de France”, che con il suo periplo permetteva ai Compagnoni di raggiungere la “ maestranza nell’Arte dei costruttori “.   Il significato della parola “compagnonaggio” va oltre quello letterale della sua duplice derivazione di “colui che condivide il pane” (dal latino “cum panis” e dal francese “compain”), perchè essere compagnon significa accettare e seguire le stesse regole di vita comunitaria e condividere lo stesso concetto del mestiere, principi che ritroviamo negli ordini cavallereschi nell’apparente semplicità dell’ obbligo di mangiare in due nella stessa ciotola e di usare lo stesso cavallo. Il viaggiare fisicamente formava l’uomo e l’artefice attraverso le esperienze e le conoscenze, ed i tre giri del “Compagnonnage”, o “Tour de France”, erano vere e proprie tappe iniziatiche, scandite dai passaggi: aspirante, compagnon, compagnon finito.   Negli sconvolgimenti politici della società d’allora e con la caduta di Ordini fondamentali come quello Templare, vi fu un iserimento negli Ordini Minori, meno perseguibili dall’avidità dei poteri temporali ed ecclesiastici profani, degli appartenenti alle fascie degli Architetti e Revisori del Tempio. Costoro, presenti nell’Ordine Templare per quanto riguardava la costruzione architettonica, e nei Rosacroce per quello che era la scienza esoterica ( in futuro verrà definita Alchemica ) del tempio, dettero la spinta a quel fenomeno culturale che conosciamo con il nome di Massoneria Speculativa.    La creazione del 3° grado, quello di Maestro Massone, è da attribuire all’inglese Elia Ashmole,  nel XVII° secolo. Poi vivacemente contestata, ma comunque siano andate le cose il nostro vestimento crebbe in significati e simbologia per la conoscenza che seppero trasportare nei gradi subalterni gli Iniziati ai Misteri Maggiori delle Cattedrali.     Il Grembiulino del Fr:. Libero Muratore nella Massoneria Speculativa   Qualsiasi origine venga attribuita alla tradizione d’indossare il grembiule, Faraoni,  Esseni, Druidi, o alla rappresentazione fisica del simbolo alchemico dell’Athanor, resta l’importanza simbolica che ne fa, a tutt’oggi, il pezzo fondamentale dell’abbigliamento massonico e l’insegna distintiva senza la quale il Libero Muratore non può partecipare ai Lavori. Venuta meno la sua funzione di proteggere l’operaio a livello fisico, le dimensioni del grembiule vennero portate, tra la fine del XVIII° e l’inizio del XIX° secolo, ai 35-40 cm. di altezza per 35-40 di lunghezza, dimensioni che richiamano l’ “età giusta” per entrare in Tempio. E’ composta da tre parti: un quadrato, una bavetta triangolare, una cintura. I grembiuli di Apprendista e Compagno sono in pelle o raso bianchi e sono senza decori; quello di Maestro è in pelle o raso, bordato di rosso (o colore diverso in altre Obbedienze) ed è ornato dalle lettere “M” e “B”, sempre in rosso, che vogliono ricordare la Parola Perduta. I significati di “riconoscimento ed accettazione” in un Ordine e di “lavoro”,che assumono per l’Apprendista nella sua cerimonia d’iniziazione al ricevimento del grembiule,  sono rimasti essenzialmente gli stessi, morali, anche se l’impegno sarà rivolto su di sé, “pietra grezza” della moderna Massoneria di costruttori. E tuttavia questo primo livello d’interpretazione non resta l’unico, dal momento che  un simbolo ne contiene più d’uno e che le sole buone intenzioni non bastano che a creare progetti abortiti, ma che tuttavia restano la necessaria base di partenza. Il grembiule come forma non cambia nei tre Gradi, ma riveste significati più profondi, in ragione della continuità e qualità nell’apprendimento ed applicazione dell’Arte: “voler fare”, “saper fare”,  “poter fare”, o i tre Giri dell’apprendista medievale.   L’uomo giunge alla porta del Tempio cercando  risposte alle sue domande: chi sono, da dove vengo, dove vado, perchè. Come Apprendista esce dal caos ed entra in una struttura geometricamente ordinata in base a cicli, ritmi e cadenze, dove troverà la risposta ai suoi interrogativi mediante l’orientamento del sapere  nell’Ars Muratoria, cioè mediante l’istruzione.   I sette lati del grembiule rappresentano i sette livelli delle sette arti Liberali con: grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, musica, astronomia, geometria. La grammatica (che insieme a retorica e dialettica componeva nel Medioevo il cosiddetto Trivio) è il primo gradino da salire, la base su cui porre le fondamenta del sapere;  senza la conoscenza degli strumenti e delle regole che disciplinano l’impiego esotrico del linguaggio, non c’è comprensione, non potrà esserci comunicazione, retorica, e neppure quella padronanza che porta all’abile uso di essi. Perciò l’Apprendista deve tacere, ascoltare ed imparare.   La cintura del grembiule divide nettamente il pentagono, la figura geometrica che risulta con la bavetta alzata, in due: un triangolo ed un quadrato. Questa divisione simbolica dovrebbe avere la funzione reale, entrando in Tempio, di distogliere l’attenzione dell’Apprendista da ciò che costituisce la propria vita profana di tutti i giorni creando, la ripetitività di un’azione o di un gesto, l’abitudine ad una nuova “forma mentis” che finirà per sostituire qualla vecchia.   I due elementi del quaternario, terra e acqua che trovano corrispondenza nella personalità in corpo fisico ed emotivo, ancora da disciplinare e controllare, devono restere al disotto della cintura affinchè l’attenzione cosciente sia rivolta verso l’alto e richiami verso il basso l’attenzione della Triade, simbolicamente rappresentata dal triangolo. Ma non ci potrà essere contatto finchè non si sia raggiunto un certo grado di trasmutazione, l’elemento acqua salendo all’elemento fuoco crea l’effeto chiamato dagli Alchimisti vapore astrale. Da quel momento inizia quella fase dell’Opera chiamata “solve et coagula“ ed appare per l’uomo la Via secca che imboccherà lasciando alle sue spalle quella umida.   Anche i colori rafforzano questo concetto indicando con il nero, posto all’interno del grembiule, l’assorbimento di ogni altro colore, o per meglio dire, il tacitarsi di ogni elemento che non sia necessario all’Opera. Il bianco, all’esterno, è solo simbolico, come colore, volendosi rappresentare la rifrazione della qualità (colorazione) emessa dall’officiante, il Maestro Venerabile -l’istruttore- che dà l’orientamento. La cintura divide in due il grembiule che rappresenta la fisicità dell’uomo, così ne sottolinea la divisione tra Triade e personalità, finchè la coscienza dell’apprendista non inizii a focalizzarsi dal piano dell’istinto ai piani mentali concreti con un’inversione di polarità e la bavetta abbassata in grado di Compagno indica per l’appunto la discesa della mente ragionevole nell’emotività istintuale del quaternario. Dei significati attribuiti alla cintura negli ordini religiosi e cavallereschi abbiamo accennato in precedenza; resta il fatto che la divisione del corpo umano così ottenuta resta puramente simbolica pur volendo mettere l’accento su di un ordine di sviluppo, richiamato dalla disciplina del retto pensare -basato sull’amore intelligente-, retto parlare -governato dall’auto dominio-, retto agire -fondato sulla comprensione della legge-, regole antichissime ma sempre riproposte, magari sotto nomi diversi come tolleranza, silenzio, uniformità.   Il triangolo nel quadrato indica un primo contatto (cosciente) fra le due parti, o poli opposti, la costruzione di un primo segmento di ponte che unirà l’Alto ed il “basso”.  In effetti  la parola grembiule in francese ”tablier” significa anche ‘tavolato di ponte’ e, come sappiamo, l’immagine del ponte viene usata in molte culture per indicare il passaggio verso l’iniziazione. In grado di Compagno i due colori bianco e nero del grambiulino indicano ancora dualità, ma è già presente la facoltà di discriminare tra opposti più elevati. I cinque sensi non sono più ora mezzo di contatto ed indagine rivolto solamente verso il mondo esterno ed oggettivo, ma, polarizzati sul livello mentale, consentono l’evoluzione della mente come quinto principio.   L’ acquisizione della – luce – nella mente è rappresentata dal Pentagramma, o Stella, fiammeggiante.   Non più soggetto alle sensazioni ed alle emozioni, ma supportato dalla ragione, il Compagno può proseguire nella fase di ulteriore conoscenza – matematica e musica, i due gradini del Compagno-  che gli permetterà di combinare attraverso il pensiero ed il linguaggio, forme e suoni in base a regole -Ars Regia-. Sa fare, ma la direzione sarà data ancora dalla volontà dell’istruttore, finchè creatività e discernimento non gli daranno la sicurezza di vedere una forma e realizzarla, con una visuale non più limitata, ma che abbraccia lo spazio stesso. Il bordo del grembiule che si “accende”  di rosso indica questa acquisizione di Maestria e l’uomo può ora  costruire “Templi alla Virtù”, costruire per sé e per gli altri.   I numeri,  forniscono una chiave di lettura che facilita l’evidenziare il  rapporto esistente tra più concetti, differenti in apparenza ma legati da un senso più profondo. Inoltre il modo in cui sono posti ne  cambia il significato ultimo.Inteso in questo senso il grembiule dà delle indicazioni differenti nei tre gradi. Nel 1° grado il grembiule d’Apprendista con la bavetta alzata è diviso dalla cintura in due figure geometriche, quadrato e triangolo che numericamente danno il 4 ed il 3. Il 4 è il numero della forma manifesta ed i quattro elementi che la compongono, possono rappresentare i quattro stadi, infanzia, giovinezza, maturità e vecchiaia, del ciclo di vita dell’uomo in rapporto alle quattro stagioni di un ciclo annuale, con l’alternarsi delle varie fasi, ciò che ci porta al concetto più ampio della ciclicità dello sviluppo evolutivo dell’umanità (corsi e ricorsi storici), già presente nelle antiche concezioni filosofiche con la divisione nelle quattro Età, dell’Oro, dell’Argento, del Bronzo e del Ferro, il ciclo di discesa dell’umanità nella materializzazione (prima della risalita verso la spiritualità.) 4 e 3 affiancati = 43. I quattro punti Cardinali richiamano alla mente l’immagine del ri-orientamento dell’uomo (orientamento del Tempio di Salomone) nel suo “cammino alla ricerca della Luce” entro il ciclo minore  di una vita. Il quattro, dunque, è il numero del 4° Regno, l’umano, punto di mezzo tra l’evoluzione superiore ed inferiore, tra cielo e terra; il numero dell’uomo che è già alla ricerca del suo vero Sé. Il 3 in ogni religione è il simbolo del Ternario Divino; per l’uomo rappresenta i suoi tre aspetti superiori, la Triade Spirituale, il cui primo “tocco” si ha con l’abbassarsi della bavetta, (nel grembiule del Compagno) e nella Forma equilibrata fluisce,  attraverso la Mente, il primo aspetto della Triade, (contando dal basso) formato dal  triangolo -Tradizione, Esoterismo, Simbologia. Abbiamo il numero 5 = 4 + 1, già anticamente rappresentato dall’etere che si aggiunge ai quattro elementi, il solido a cinque vertici, la piramide. La discesa nel 4 del secondo aspetto della Triade nel -grembiule- di Maestro, simboleggia la comparsa dell’intelletto intuitivo nella ragione fisica dell’adepto. Il sette è il numero della perfezione relativa dell’uomo divenuto Maestro. Il simbolo è il doppio triangolo con al centro il suo vertice invisibile che indica l’unione di “Spirito e Materia”,cioè, la rinascita in lui del M. Hiram. Le tre tappe del Giro dei Misteri minori sono concluse ed il Maestro può aspirare a divenire “Apprendista” dei Misteri Maggiori,  lavorare non più per il suo piccolo sé, ma per attuare il Disegno del G:. A:. D:.U:. nel proprio Tempio Spirituale.     Conclusione Simboli come il grembiule, possono cambiare di foggia e dimensioni in relazione alle epoche ed alle circostanze, ma non mutano mai nell’essenza. Aspettano solo di essere riscoperti da chi, sollevato un poco il velo dell’illusione, sappia vedere i collegamenti e le analogie con  l’idea che vogliono esprimere, ed il proposito che li anima e li rende vivi ieri come oggi. Athos A. Altomonte    
Informazioni sull’Autore: Athos A. Altomonte | Email Vota questo articolo
Tutte le critiche sono ben accette purchè costruttive e ben motivate, al fine di instaurare un dialogo proficuo per tutti.Solo per i giudizi negativi è obbligatorio spiegarne i motivi ed inserire il proprio email. Pessimo Insufficiente Sufficiente Buono Ottimo Contenuti Forma Completezza Vuoi inserire un tuo commento? Inserisci il tuo email:
Mailing lists Esonet Gli argomenti trattati in questi articoli vengono approfonditi nelle mailing lists di ESONET, tramite le quali è possibile contattare gli autori e chiedere chiarimenti o contribuire allo sviluppo dei temi trattati. L’iscrizione alle mailing list è gratuita e da diritto a partecipare agli incontri ed alle attività che verranno di volta in volta annunciate.

Sezioni disponibili:

[Agni Yoga] [Alchimia] [Antroposofia] [Celtismo] [Cerchi nel grano] [Cucina Vegetariana] [Egitto] [Ermetismo] [Filosofia] [Helena Roerich] [La Via del Lambda] [Ma

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

I FINI E IL FINE DELL’ORDINE

I fini e il fine dell’Ordine La Massoneria presenta nel mondo tante e tali sfaccettature e ha alle spalle una storia così complessa e ricca di contraddizioni che riesce difficile attribuirle finalità uniche e costanti.
Si possono pertanto prendere in considerazione solo le finalità dichiarate, attingendo a quella pubblicistica che, soprattutto in tempi recenti, si sforza di dissipare gli equivoci che circondano l’Ordine, in gran parte dovuti a disinformazione.
La Massoneria condivide con buona parte delle formulazioni religiose ed etiche della storia la certezza della perfettibilità dell’uomo, di cui persegue l’estrinsecazione proponendo il cammino dell’evoluzione spirituale dell’individuo. Si tratta, per ciascuno, di un percorso del tutto autonomo e soggettivo, anche se la consapevolezza di appartenere al ‘corpo’ della loggia e l’ambiente ‘sacro’ del Tempio costituiscono strumenti fondamentali di orientamento. D’altra parte proprio la dimensione ‘corporativa’ permette di condividere i risultati raggiunti da ogni ‘fratello’ e quindi di ottenere anche un elevamento collettivo, che si dovrebbe riflettere sul mondo esterno non solo mediante iniziative filantropiche, ma anche mediante l’impegno per una «giustizia vera, sana e non settaria» (U. Gorel Porciatti) a beneficio dell’umanità intera.
Il fine ultimo, infatti, è la Fratellanza Universale, che nello statuto etico massonico regolare non può prescindere dalla convinzione di avere una comune discendenza da una Sorgente Unica, il Grande Architetto dell’Universo. Da ciò derivano anche la tensione alla Verità e quindi la natura ‘costruttiva’ dell’impegno spirituale del Massone, che non delega univocamente a un Dio il progetto della salvezza, ma vi coopera percorrendo «la via maestra del Dovere» (M. Moramarco).
La letteratura massonica, ribadendo la necessità di mantenere vivo il legame con la tradizione operativa, mette continuamente l’accento sulla necessità del lavoro costruttivo come fondamento della disciplina spirituale. Ciò permette di precisare meglio anche il fine ultimo dell’elevazione del singolo. Nell’etica massonica, che non trascura i risvolti psicologici di questa problematica, il lavoro consente di superare i limiti dell’Io e di integrarsi in un insieme organico non sottoposto, come l’individuo, alla morte: resta l’opera compiuta, sopravvivono i compagni con cui la si è realizzata, ne fruiscono le nuove generazioni… In questo senso il lavoro è una prefigurazione dell’immortalità, appagando quello che, se per l’uomo comune è un bisogno psicologico, per il Massone è uno dei ‘confini’ (vedi il capitolo L’orizzonte massonico ‘regolare’) della sua stessa identità. I rituali funebri, che mirano a mettere in primo piano la necessaria riflessione sulla morte in funzione del suo superamento nella dimensione della rinascita interiore, possono sembrare macabri ed essere stati in questo senso responsabili di alcuni fraintendimenti fra i profani, ma è indubbio che nell’affrontare questa problematica la Massoneria ha saputo cogliere con anticipo tutti i danni che possono derivare alla psiche, e alla stessa società, dalla rimozione del pensiero della morte.
Se questo è il quadro, non si possono che sottoscrivere le parole di un ‘fratello’ che si è appassionatamente dedicato ad approfondire i temi della spiritualità massonica: «Magnifico è il fine che l’Ordine si propone e, se non sono travisati, pacifici e sereni sono i mezzi che impiega; uno lo scopo diretto: elevare l’Uomo, il singolo, colui che vuole elevarsi, farlo pensare, meditare, comprendere che Egli è un messaggero del Supremo, che del Tutto è un’infinitesima parte e che queste parti, nel Tutto, sono legate da un solo cemento: Amore» (U. Gorel Porciatti). Il retro della banconota statunitense da un dollaro, che reca nel tondo di sinistra l’immagine massonica di una piramide tronca, sovrastata dall’occhio onniveggente del Grande Architetto dell’Universo. La piramide è un simbolo ascensionale, e, più espressamente, raffigura il compimento dell’Opera. Ma l’evidenziazione dei mattoni indica anche, unita al motto in latino (Annuit Coeptis Novus Ordo Saeclorum: ‘Arride agli iniziati un’era nuova’), che la meta del cammino iniziatico è il risultato di una progressiva ‘costruzione’. Lo stesso simbolo è presente anche nella Sala della Meditazione del Palazzo dell’ONU a New York.

NOTA: Cliccare sull’immagine posta superiormente per ottenerne l’ingrandimento.

Codice HTML © Copyright 2000-2001 La Melagrana. Tutti i diritti riservati.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

MASSONERIA STATO UNITARIO IN ITALIA

Massoneria e Stato unitario in Italia

Fino alla seconda guerra d’Indipendenza molti Massoni italiani, costretti alla clandestinità, espressero individualmente la loro carica ideale all’interno delle correnti di pensiero e d’azione che cooperarono al cosiddetto ‘Risorgimento‘ nazionale.
Nel 1859, a partire dalla Loggia ‘Ausonia di TORINO, l’Ordine puntò a recuperare una propria identità istituzionale con la costituzione di un Grande Oriente Italiano. Gli artefici di questa iniziativa, in un momento storico in cui non era possibile non avere una posizione politica, erano per la maggior parte di orientamento cavouriano, differenziandosi anche da questo punto di vista dalla Massoneria di Rito Scozzese vivacemente attiva a PALERMO, affollata da patrioti garibaldini. Solo nel 1874 si giunse a una costituzione massonica unitaria, promulgata a Roma, da tre anni diventata la capitale d’Italia. Il monumento a Giordano Bruno in Campo dei Fiori a Roma, realizzato da Ettore Ferrari. In effetti l’uno e l’altro filone si erano trovati d’accordo nel giudizio sulla ‘questione romana‘ e continuavano a condividere un vivace anticlericalismo, anche in risposta ai ripetuti pronunciamenti papali antimassonici: dal 1821 al 1894 ve ne furono ben otto, di cui il più pesante, nel 1884, fu l’enciclica Humanarum genus di Leone XIII. Tale papa non intendeva rinunciare al potere temporale della Chiesa, nella convinzione che fosse necessario al pontefice per proteggere e conservare la libertà di quello spirituale. Tra il 1886 e il 1890 ci fu un tentativo di conciliazione con lo Stato italiano, ma le trattative condotte con Francesco Crispi, uno dei tanti uomini politici dell’epoca affiliati alla Massoneria, non approdarono ad alcun risultato. Probabilmente a compromettere i rapporti con il Quirinale giocò un ruolo importante l’inaugurazione del monumento a Giordano Bruno in Campo dei Fiori, nel 1889. In quell’occasione oltre tremila Massoni, raggruppati sotto i labari delle logge di appartenenza, parteciparono alla cerimonia inneggiando al ‘martire del libero pensiero‘ (il monumento a Giordano Bruno era stato eseguito da Ettore Ferrari, che avrebbe poi ricoperto la carica di Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia).

In generale negli anni dell’assestamento dello Stato unitario la Massoneria diede un forte contributo alla creazione della classe dirigente, corrispondente con quella borghesia che si sentiva in qualche modo erede dei valori espressi dalle lotte risorgimentali e contemporaneamente mirava a dare all’Italia un respiro europeo.
Da un punto di vista ideologico le parole d’ordine erano più ispirate a princìpi astratti che calate in concreti programmi: progresso, fratellanza, solidarietà, esaltazione del lavoro, interclassismo… Il conflitto con il mondo cattolico e le profonde differenze nell’assetto economico e sociale delle varie regioni d’Italia non contribuivano certo a creare un fronte unito per la realizzazione dei suddetti princìpi. Riproduzione del sigillo del Rito Simbolico Italiano, definitivamente costituitosi a Milano nel 1876. Tuttora attivo, è fra tutti i Corpi nazionali quello che in passato si è mostrato più sensibile al problema della formazione morale della classe dirigente italiana. Emblematico di questo periodo storico, come personaggio nazionale carismatico, come intellettuale e come radical-massone, fu il poeta GIOSUÈ CARDUCCI (1835-1907), che ascese ai massimi gradi dell’Ordine nel periodo della fortuna politica di Francesco Crispi.

Pubblicato in Varie | Lascia un commento

CURIOSITA’

Curiosità

Un giorno cercavo argomenti massonici sulla rete e mi sono imbattuto in questa spiegazione del videogame Tomb Rider.

Io che non amo questo genere di utilizzo del PC, mi sono soffermato a rileggere le istruzioni, almeno per sapere qual’era il suo contenuto … massonico

Lara Croft – Star di Tomb Rider

Raccogli i caricatori Uzi. Aggrappati e scendi alla sporgenza seguente, poi arrampicati su dalla parte di sinistra ai punti. Vacci sopra. Arrampicati a sinistra, poi vai a destra attraverso la porta, con le pistole estratte. Spara ai ratti come vai a sinistra per trovare il fucile da caccia nell’angolo di sinistra. Ora aggrappati e scendi attraverso il foro nella grata per ritornare alla zona sotto la scala mobile di destra. Cadi giù nel fosso, gira intorno e segui la pista alla stanza rossa di nuovo. Arrampicati e salta in su, come prima, per raggiungere l’entrata alla stanza dei trivelli. Cadi sulla parte superiore della macchina ed arrampicati in su nel passaggio per raccogliere la chiave di Salomone. Arrampicati in su e segui il …………………

………………

Prendi il medikit e i caricatori MP5 dalle porte aperte. Continua nel passaggio fino alla stanza della massoneria con due blocchi a destra. Usa le chiavi di Salomone nei lucchetti per aprire le porte delle mani alla fine. Vai attraverso le porte e sopra ai blocchi frananti per prendere il martello della massoneria. Salta sui blocchi indietro fino alla stanza, spara al cane, poi esci attraverso la porta aperta in fondo a sinistra.

Prendi i bengala, poi scendi nella piscina e nuota per il lungo passaggio per emergere nella piscina di prima. Prendi il tunnel passando per la crepa e sulle barre, come prima, e strisciaci attraverso. Vai su dopo la barriera dei biglietti, poi vai giù per l’elevatore e usa il martello per aprire la porta.

Entra ed aziona l’interruttore, poi esci e gettati nel passaggio blu, e scendi nel buco. Striscia attraverso l’apertura in fondo, poi arrampicati su attraverso il portello aperto nel treno. Aziona l’interruttore di sinistra per muovere il treno, poi scendi attraverso il portello aperto. Striscia lungo il tunnel, vai lungo il passaggio illuminato a fuoco.

Scivola giù lungo lo scivolo per completare il livello.

Che si tratti della Sala dei Passi Perduti? 

———————————————–

ATTENZIONE! Questo sito non costituisce fonte ufficiale di informazioni per le attività del G.O.I.

Ogni richiesta di informazioni di carattere particolare sarà rigirata alla Gran Segreteria del Grande Oriente d’Italia

Pubblicato in Varie | Lascia un commento

MASSONERIA MADE IN USA

Massoneria made in USA

Ciò che differenzia nettamente la storia della Massoneria nei Paesi di lingua inglese e soprattutto negli USA da quella della Massoneria latina è in primo luogo il fattore numerico. Data la capillare diffusione dell’istituzione, a partire dagli anni Trenta del 1700 (oggi si contano negli Stati Uniti quarantanove Grandi logge, con più di tre milioni di affiliati), non la si è potuta in linea di massima gravare di tutte le diffidenze che nella percezione collettiva si associano al termine ‘setta’, compreso il ricorrente sospetto di cospirazione contro l’ordine costituito. Inoltre la pluralità delle confessioni religiose ha evitato che un lungo contrasto con la Chiesa di Roma producesse gli effetti dannosi verificatisi nei Paesi cattolici.

Theodore Roosevelt (1858-1919), uno dei presidenti massoni degli USA. Nel corso del suo mandato (1901-1908) ne allargò l’influenza nell’America Latina, appoggiando di fatto la tendenza del capitale statunitense a imporre nel continente il cosiddetto ‘imperialismo del dollaro’. Tale tendenza, dai tempi di J. Monroe (presidente dal 1816 al 1824 e a sua volta affiliato alla Massoneria), nascondeva reali interessi economici monopolistici dietro l’immagine di un Paese che difendeva la libertà dei popoli dal colonialismo europeo.

Ciò ha comportato un più stretto e più trasparente intreccio tra la storia massonica e quella collettiva e la frequente identità dei vertici della gerarchia massonica con quelli del potere politico, civile ed economico. Basti ricordare che, vera e propria officina naturale della leadership del Paese, la Massoneria statunitense ha annoverato tra i suoi affiliati ben quattordici presidenti.

Ma anche negli USA la Massoneria non ha potuto sottrarsi al confronto con la storia e non affrontarne le contraddizioni. Se ne può per esempio ricordare il pronunciamento contro il Comunismo, nel 1948, che contrasta con il principio secondo il quale l’istituzione in quanto tale non può e non deve politicamente schierarsi. Perplessità ancora maggiori suscita la questione dei rapporti con la popolazione di colore. Per quanto giunta a dissociarsi da organizzazioni come il Ku Klux Klan, non si può dimenticare che, almeno dell’ala moderata, di esso fece parte quell’Albert Pike (vedi il capitolo Massoneria ‘romantica’) cui si deve la sistemazione dei gradi scozzesi ancora adottata negli USA. La tradizione razzista di alcuni Stati pesa ancora nella composizione delle relative logge, composte esclusivamente da bianchi anche se non vi sono preclusioni formali all’ingresso dei neri. Questi ultimi, d’altra parte, preferiscono confluire nelle Grandi Logge per sola gente di colore tutte denominate ‘Prince Hall’, dal nome di chi, alla fine del Settecento, fondò la prima (oggi sono trentanove).

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento