MASSONERIA “ROMANTICA”

Massoneria ‘romantica’
A lungo il Romanticismo è stato identificato come la voce ideologica e culturale della Restaurazione, soprattutto per quanto riguarda la GERMANIA. Ma il tentativo di leggere il movimento in chiave politica è fuorviante, perché fra i suoi rappresentanti si contano in uguale misura rivoluzionari e conservatori, progressisti e reazionari. Ciò che in generale li accomunò è l’elaborazione di una visione del mondo al di fuori delle reali forze motrici della storia, nella tensione verso un assoluto che cercò conferme nel passato o determinò fughe nel futuro, nell’utopia, nella più totale estraneità dal presente. Lo stesso Goethe ebbe a dire che questo atteggiamento spirituale incarnava ‘il principio della malattia‘ e sotto certi aspetti la sua diagnosi trova conferma nella psicologia moderna.

Un giudizio analogo, applicato alla storia della Massoneria, venne espresso da R. Le Forestier (La Massoneria templare e occultista, 1: La Stretta Osservanza) facendo espressamente riferimento all’origine del fenomeno del Templarismo (vedi capitolo La ‘vendetta’ massonica): «Nella seconda metà del XVIII secolo i mistici rimpiazzano la filosofia dei Lumi: il sentimento religioso ‘soffocato riaffiora in forme psicopatiche, talvolta demenziali». Nell’Ottocento romantico in effetti il Templarismo non cessò di manifestarsi in forme diverse, a partire da quella che assunse nella Loggia dei cavalieri della Croce, affiliata al Grande Oriente di Francia. Continuò con la fondazione da parte del medico Raymond Fabré-Palaprat di un nuovo Ordine impregnato di fantasioso medievalismo, che peraltro giunse a staccarsi dall’organizzazione massonica e sboccò nel 1828 nella costituzione dell’Alta Iniziazione, altrimenti detta Santa Chiesa di Cristo o Chiesa dei Cristiani Primitivi. Tale ‘Chiesa‘, dopo alterne vicende, si estinse attorno al 1840.

A tentare un rilancio del Templarismo in Francia fu un grande scrittore della seconda generazione romantica, affiliato alla Massoneria, ma anche in stretta relazione con vari occultisti: Gérard de Nerval (1808-1855). Egli individuò l’origine della Massoneria in una sintesi tra la tradizione cristiana e la spiritualità delle popolazioni del vicino Oriente, in particolare i Drusi, accostati dai Templari storici durante la loro permanenza in Libano nell’età delle Crociate. Beatrice parla a Dante, di W. Blake (1757-1827) alla Tate Gallery di Londra. Questo pittore dell’età romantica è a tutt’oggi molto caro alla Massoneria esoterica, che sente fra l’altro come affine alla propria quella spiritualità che lo indusse ad affermare: «Coloro che frenano il desiderio, così fanno perché il loro è abbastanza fiacco per essere frenato». Ciò che accomuna personaggi come Fabré-Palaprat e Nerval fu l’insofferenza per il clericalismo cattolico, che li indusse in qualche modo a tentare una divulgazione dei valori perseguiti dalla Massoneria esoterica, l’uno fondando addirittura una Chiesa, l’altro presentando i Templari e i Drusi, per altro senza alcun fondamento storico, come modelli ideali di quell’opposizione ai persistenti abusi clericali e feudali in cui nel tempo presente confluivano le forze più disparate.
Lo sviluppo della Massoneria cavalleresca negli STATI UNITI, invece, si compì nella discrezione e nella segretezza delle logge. Tale differenza è documentata dalle vicende del Rito Scozzese Antico e Accettato (vedi riquadro), di cui il generale ALBERT PIKE (1809-1891) costituì nell’Ottocento la figura di maggior spicco.
Iniziato alla Massoneria nel 1850 a Little Rock, nell’Arkansas, Pike alternò l’impegno nella professione forense con quello militare (guidò uno squadrone di cavalleria nella guerra contro il Messico e nella guerra civile militò con l’Arkansas fra i Confederati). Ma soprattutto coltivò lo studio delle ‘lingue sacre‘ (ebraico, sanscrito e persiano) e delle religioni indo-iraniche, imprimendo il segno delle conoscenze acquisite nella sistemazione dei gradi scozzesi del Rito, di cui nel 1859 era diventato Sovrano Gran Commendatore. Anche Pike, tuttavia, a dispetto della sua vocazione universalistica, non poté sottrarsi a condizionamenti storici e culturali e, quando si pose la questione se uomini di colore potessero entrare a far parte della Massoneria, per influsso dell’ambiente segregazionista dell’Arkansas in cui si era formato, espresse una posizione contraria. Un ufficio della Banca d’Inghilterra a Londra, realizzata su progetto dell’architetto massone J. Soane (1753-1837). Viva e diffusa fu la presenza di iniziati alla Massoneria in tutti i settori della cultura nell’età romantica, dall’architettura appunto (va ricordato anche J. Hoban, che progettò la Casa Bianca di Washington) alla musica (E. Liszt, N. Paganini, H. Berlioz), dalla letteratura (R. Burns, F.M. Klinger, W. Scott) alla scienza (L.N. Carnot, P.S. Laplace, E. Jenner). La storia della Massoneria nell’età del Romanticismo non corrisponde tuttavia solo ai fatti e ai personaggi aventi a che fare con il Templarismo. Vi hanno infatti un ruolo fondamentale numerosi Massoni di grandissima levatura che, pur esprimendo in materia di politica posizioni tra loro molto diverse, contribuirono ad allargare il dibattito intellettuale e la circolazione delle idee all’intera Europa.
Il savoiardo JOSEPH de MAISTRE (1753-1821), fiero avversario delle idee liberali e democratiche e approdato a rigide posizioni di dogmatismo tanto in ambito politico quanto in ambito confessionale (fu uno strenuo assertore del primato assoluto della religione cattolica), colse la necessità di una più intima adesione alla fede cristiana, non solo perché fosse appagato il ‘bisogno di spirito‘ comune a tutti gli uomini, ma anche perché potesse concretizzarsi l’ideale della fratellanza universale.
Il pensiero del filosofo MAINE de BIRAN (1766-1824), affiliato al Grande Oriente di Francia, rende invece testimonianza del passaggio della Massoneria francese dal deismo o dallo scetticismo religioso dell’Illuminismo e del periodo rivoluzionario verso forme di un più partecipato spiritualismo, sollecitato dal confronto con il dolore, con la morte e con il mistero dell’immortalità dell’anima. Nelle pagine del suo Diario intimo (1792-1824) traspaiono altresì problematiche tipicamente romantiche come il bisogno di scendere alle radici della propria interiorità, di conseguire una libertà in primo luogo rispetto a se stessi, di definire i rapporti tra le passioni dell’animo e la morale. Dalle stesse pagine emergono, dopo le vicende del Terrore, un richiamo a quella ‘saggezza‘ che l’umanità sembra avere dimenticata, una sostanziale diffidenza nei confronti di Napoleone e la necessità, con l’avvento della Restaurazione, che gli spiriti illuminati si adoperino per promuovere una conciliazione tra il bene dei cittadini e la saldezza di un governo legittimo.
Alla nascita del Romanticismo dettero un forte contributo, fra i Massoni tedeschi, J.G. HERDER (1744-1803), che vide nella storia e nella natura due strumenti sostanzialmente analoghi predisposti da Dio per l’educazione dell’umanità, e F. SCHLEGEL (1778-1829), che esaltò la creatività umana, espressa essenzialmente nell’esercizio libero e spontaneo della poesia.
Ma il contributo forse più importante, anche per i successivi sviluppi del pensiero filosofico in Europa, venne da J.G. FICHTE (1762-1814), iniziatore dell’Idealismo, che oppose al fallimento della rivoluzione ideale e, d’altra parte, all’immobilismo politico e sociale di numerosi Stati tedeschi, un’ambiziosa ‘rivoluzione filosofica‘ fondata sul primato dello ‘Spirito‘. Il Rito Scozzese Antico e Accettato La rapida diffusione della Massoneria in America trova in parte spiegazione nel bisogno di trovare solide forme di aggregazione che facessero riferimento a un patrimonio storico-culturale in comune da parte di chi già risiedeva nel Nuovo Mondo e di chi vi emigrava per le ragioni più varie. La tipologia delle logge riprodusse, nella seconda metà del Settecento, la situazione europea, cosicché accanto a logge simboliche (quelle cioè che iniziavano ai tre gradi basilari), ve ne erano anche parecchie che praticavano gli alti gradi o gradi di perfezione, secondo la prassi dello Scozzesismo. In questo secondo caso il punto di riferimento era costituito dal Rito di Heredom, altrimenti detto degli Imperatori d’Oriente e d’Occidente, che come il Capitolo di Clermont presentava addentellati con il Templarismo (vedi capitolo La ‘vendetta’ massonica). Il 31 maggio del 1801 a Charleston, nella Carolina del Sud, venne fondato il primo Supremo Consiglio del 33° e ultimo grado del Rito Scozzese Antico e Accettato, destinato a rinnovare e a soppiantare ogni precedente forma di Scozzesismo anche in Europa, Italia compresa. In proposito va ricordato che «negli anni 1814-1859, quando le vicende politico-militari avevano fatto eclissare, almeno in parte, l’organizzazione permanente dei nuclei massonici italiani, furono per lo più gli altograduati del Rito Scozzese a trasmettere iniziazioni e a garantire la continuità della presenza muratoria; questo spiega come mai, nell’Italia post-unitaria e fino ai primi decenni del nostro secolo, il Rito abbia goduto di tanta fama» (M. Moramarco Nuova Enciclopedia Massonica).

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IL GRANDE ORIENTE – POST FATA

Post fata

 
      Quale, dunque, il bilancio di due lustri di vita del Grande Oriente d’Italia in esilio? Per tracciarlo occorre anzitutto evitare di chiedere alla Massoneria ciò ch’essa non poteva dare, perché le era estraneo: cospirazione armata, identificazione col garbuglio delle correnti partitiche e simili. Esso va invece cercato su altro terreno. Mentre le organizzazioni politiche mutarono più volte programmi, alleanze, orientamenti, la Comunione massonica italiana rimase saldamente ancorata a princìpi tradizionali, che ne ricollegavano l’azione al secolare deposito storico e ideale di educazione alle libertà e alla fratellanza interna e internazionale, fondandola sullo studio dei modi più adatti per elevare a patrimonio universale le conquiste morali individuali. Anche nell’esilio la Massoneria italiana rimase quindi un Ordine, senza mai ridursi a « setta »: perdendo via via per strada quanti vi avessero cercato mezzi e metodi impropri.
      Oltre alle antiche scomuniche ecclesiastiche per prima in Europa la Massoneria italiana s’era veduta rovinare addosso le conseguenze delle nuove condanne ideologiche: quella pronunciata dalla Terza Internazionale, che spinse una vasta area partitica ad assumere un atteggiamento pregiudiziale nei suoi confronti, con grave nocumento per le forze democratiche e grande vantaggio per i nazional-fascisti, che, autori e attori di una seconda “scomunica“, ebbero agio di perpetrare manu militari e con illegalità legislative il terzo rogo della fenice liberomuratoria in Italia. La morte di Domizio Torrigiani nella sorvegliata solitudine di Lamporecchio, esattamente due secoli dopo l’iniziazione di Antonio Cocchi, il compagno d’officina di Tommaso Crudeli, prima vittima italiana della persecuzione antimassonica, risultò quindi non meno emblematica dell’Alleanza tra le massonerie perseguitate, raccolta attorno alla Comunione italiana, che, a quel modo, mostrò di aver maturato un patrimonio d’esperienza storica e morale che non aveva bisogno di certificazione da parte di nessun’altra potenza massonica e che anzi l’avrebbe resa particolarmente lungimirante nei confronti di altre successive persecuzioni antimassoniche, affioranti dalle sponde più disparate, ma con gli obiettivi di sempre: la distruzione dell’Istituzione che da 250 anni era segnacolo del livello delle libertà costituzionali e delle civiltà dei paesi del globo.
      Dietro l’opera svolta da Eugenio Chiesa, Arturo Labriola, Alessandro Tedeschi, Giuseppe Leti, Cipriano Fachinetti, Galasso, Zanellini, Carasso, Di Pietro, Fama… s’intravvedono molte migliaia di Fratelli, in Francia, Inghilterra, nelle due Americhe, in Egitto… 59, richiamati tra le colonne per iniziativa di pochi. L’esempio di tenacia offerto dai massoni dell’esilio fu inoltre determinante per incoraggiare le logge e i nuclei clandestini operanti in Italia a proseguire – anche attraverso nuove iniziazioni – un’impresa architettonica, di cui abbiamo sommariamente descritto la facciata dell’esilio, ma il cui stile peninsulare dovrà a sua volta essere ripercorso nelle sue fondamenta documentarie e col necessario rigore critico.       Se l’antifascismo italiano tenne ferme le ragioni di fondo delle sue scelte civili – libertà (diritti civili), giustizia (riforme sociali), tolleranza (pluralismo autentico, in un’età di settarismo fazioso, non completamente esaurito neppur dalla seconda guerra mondiale) – lo si dovette anche alla esigua schiera dei massoni del Gran Oriente d’Italia in esilio, impegnati a dirozzare una pietra, sulla quale sarebbe poi stata edificata la costituzione repubblicana, garante sia per le organizzazioni partitiche, comprese in uno Stato finalmente laico, sia per la società civile, riscattata dall’eccesso di potere, nel quale tra il 1915 e il 1945, s’era perduto il senso e il gusto della libertà e alla « legittimità » era stato sostituito il feticcio dell’arbitrio, rivestito coi panni di una « legalità » espressa dal dispotismo 60.   59. Un sommario bilancio dei Fratelli all’Obbedienza del G.·.O.·. dell’esilio sin dal 29 novembre 1931 faceva contare 45 massoni a Salonicco, 15 a Tunisi, 23 nella Loggia « Amendola » di Parigi, oltre a 3 Officine in Argentina, 2 in Egitto e Tunisia, 1 all’Oriente di Barcellona e la « Ettore Ferrari » di Londra, per un insieme di oltre 500 affiliati: tutti determinati nelle motivazioni della loro opera.
Sulla consistenza dell’organizzazione massonica all’estero (e, in termini meno attendibili, in Italia) ACS, MI, DGPS, Pol. Pol., 1926-45, bb. 103-105, Corrieri e fiduciari della Massoneria all’estero.
Il 23 settembre 1934, da Parigi, un informatore trascriveva per la DGPS l’elenco degl’italiani iscritti a officine della Gran Loggia di Francia (« Italia » e « Nuova Italia »), ma in gran parte presenti anche nei piedilista delle Logge all’obbedienza del Grande Oriente dell’esilio: Avv. Angeloni Mario – Italia Nuova; Boffoli – 6 Rue de la Victoire, Paris – Italia; Bosco Michele – 24 Rue Amelot, Paris – Italia; Ing. Paolo Bruni – 87 Rue Dunkerque, Paris – Italia Nuova; A. Colalucci – 55 Rue Gravel-Levallois-Perret – Italia; Campolonghi Leonida – Italia; Carasso – Italia Nuova; Cavillani – II Cité Falguiére, Paris (XV) – Italia; Cherubini Mario, pittore – 99 Fbg. Saint-Martin, Paris – Italia; Chiesa Eugenio, pubblicista – 34 Av. de Neully-sur-Seine – Italia (morto); Prof. Chiostergi – Italia Nuova; Colomba Giovanni – 10 Rue de Lorraine-Levallois (Seine) – Italia; Colombo Ernesto, Parigi – radiato dalla Loggia Italia; Cordovado Nino – Italia Nuova; Costa – Italia; Danielli Fausto, commerciante – 70 Av. du Breteuil, Parigi (7) – Italia; Delcotto – Italia; Ing. Della Riccia Angelo – 48 Rue Saint-Saveur, Parigi (2) – Italia; Di Gaeta Carlo, chimico a Maison Laffitte – radiato il 18-3-1928 dalla Loggia Italia; Diozzi Probi 6 bis Rue de Passy, Parigi (XVI) – Italia; Doignas – Italia; Donadio Alberto, commerciante – 17 Av. de Clichy, Parigi (XVII) – Italia; Duegnas – Italia Nuova; [illegg.] Luigi – Italia Nuova (morto); Fiocchi Arturo – 167 Rue de Paris-Pantin (Seine) – Italia; Francischelli – Italia; Giannini Alberto – Italia Nuova; Grechi – Italia Nuova; Ing. Lapagna Mario – Italia; La Puma – Italia; Leonardi – Italia (morto); Avv. Leti Giuseppe – 11 Rue de la Convention, Parigi (XV) – Italia Nuova; L. Lorenzi – 27 Rue de Passy – Italia; Marenpt – Italia Nuova; Mathias Leoni – Italia; Mihaleskul Giorgio – 27 Quai de la Tournelle, Parigi (V) – Italia; Moreno Guido – Parigi – Italia; Nitti Francesco Fausto – Italia Nuova; Paganacci – Italia; Panunzi Paride – 48 Rue Saint-Saveur, Parigi (2) – Italia; Parietti Giovanni – 48 Rue de Flandre, Parigi (XIX) – Italia; Pellegrino Vincenzo – 45 Rue Villemouble-Gargan – Italia; Peroni Umberto, impresario, già redattore del « Popolo d’Italia » di Milano – 131 Rue Grand-Chaville – Italia Nuova e Italia; Pezzi Domenico – 26 Rue des Cordeliers, Paris (XIII) – Italia; Pistocchi Mario, pubblicista – Italia Nuova; Sowars Ottone – 16 Rue de la Tour d’Auvergne, Paris (IX) – Italia; Triaca Ubaldo, ingegnere – 18 Rue de Liége, Paris (IX) – Italia; A. Valente – Italia; Tempesti Italo, da Genova – iscritto alla Loggia Jean-Jaurés, sita all’8 Rue de Puteaux.

60. È da auspicare che la raccolta e la selezione delle informazioni abbia luogo sin tanto che può essere utilizzata la testimonianza diretta dei protagonisti, per es. della costituzione di una Loggia clandestina a Catania, annunziata nella riunione del Governo dell’Ordine del 21 maggio 1931, oltre alla Loggia clandestina di Milano – fortemente colpita dagli arresti dei “giellisti” nell’ottobre 1930 – e ai nuclei di Firenze, Torino, Bari, Ravenna e dei centri minori, come Lanciano, ove un Umberto Cipollone (di cui v. L’azione della Massoneria italiana (Palazzo Giustiniani) in difesa della libertà e delle libere istituzioni contro il fascismo e le sue riviviscenze, Roma, 1960) non rimase certo inoperoso.
Non meno interessante riuscirà una ricostruzione esauriente della già in parte documentabile condotta tenuta da militanti comunisti nei confronti della Massoneria, soprattutto in Francia, con rilevanti ripercussioni generali. Sin dal 10 aprile 1933 – con un anno di anticipo rispetto alla svolta dei « fronti popolari » – veniva dato per certo un accordo tra i « fratelli moscoviti » e i massoni francesi (ACS, MI, DGPS, AA GG RR, R/G, b. 429). Più fitte – e controllabíli per raffronti incrociati – le notizie (dalla stessa fonte archivistica) sulla ripresa d’attività massonica di molti Fratelli comunisti francesi dal 1934 in poi.  
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IL GRANDE ORIENTE – L’ALLEANZA DELLE MASSONERIE PERSEGUITATE

L’alleanza delle Massonerie perseguitate

 
      Il giorno successivo all’Assemblea della Massoneria italiana negli stessi locali messi a disposizione dalla Gran Loggia di Francia, in rue Puteaux, nacque l’Alleanza delle Massonerie perseguitate: per iniziativa e con la guida della Comunione italiana, il cui Gran Maestro, Tedeschi, ne venne infatti eletto presidente. Un rapporto sulle condizioni delle Famiglie in Europa (Italia, Polonia, Germania, Portogallo, Ungheria, Turchia, Austria, Finlandia, Russia, Olanda, Svizzera … ) offriva un quadro impressionante di persecuzioni, interdizioni, minacce. Non era quindi più tempo di lamenti, ma d’azione.
      Alla Federazione aderirono anche le Grandi Logge di Paesi dell’America meridionale, ove si presentavano condizioni analoghe a quelle d’Europa. A suggello della fondazione dell’Alleanza, tutti i delegati si recarono a rendere omaggio alle tombe di Ellero, De Caro, Gobetti, Rosselli, Turati, Treves, Chiesa e al monumento a Garibaldi in Place Cambronne, ove Tedeschi inneggiò all’opera di Randolfo Pacciardi, che, alla guida del battaglione internazionale di volontari ne « rinnova(va) le gesta in Ispagna per la Repubblica e la libertà » 55.
      Il successo dell’iniziativa del G.·.0.·.d’I.·. suscitò notevole allarme nel governo di Roma, al quale affluivano copiose notizie su un generale risveglio massonico nelle comunità italiane d’Oltralpe: dall’Egitto (ove si contavano ormai a molte decine gl’italiani che non nascondevano di frequentare ambienti massonici britannici e la loggia « Cincinnato » di Alessandria), all’America meridionale, ai nuclei italofoni della penisola balcanica, a contatto con le legazioni franco-britanniche, che facevano leva sui quadri liberomuratori locali per fronteggiare la penetrazione nazifascista, più aggressiva nel clima ormai arroventato dall’Anschluss e dalla questione dei Sudeti. Né mancavano ripercussioni all’interno della penisola, se veniva segnalato che 8 dei 13 reparti degli Altiforni di Livorno erano sotto diretto controllo di ex massoni, tra i quali Andrea Del Bruno, trovato in possesso di materiali avvolti in stampe massoniche e di una medaglia in morte di Giuseppe Mazzoni. Altre segnalazioni riguardavano Napoli e Savona, centri portuali nei quali era più agevole e frequente il contatto coi fratelli d’altre Comunioni, di passaggio nella penisola, e dai quali era anche facile avere e far giungere notizie ai fratelli in esilio.
      Per essere aggiornati sulla consistenza del risveglio massonico gli uffici investigativi del regime potevano dunque ormai fare anche a meno degl’informatori, via via assoldati, talvolta anche nelle file dell’Istituzione 56. La vastità del movimento si palesava in tali e tante forme, da indurre il regime a fare il deserto dinanzi a una sua possibile avanzata, con l’eliminazione di tutti gli organismi che in qualche modo potessero favorirla. Bastino, tra tutti, gli ostacoli frapposti ai convegni di studi di metapsichica (aprile 1938, a Bologna, per iniziativa di Emilio Servadio) e, infine, il divieto del Rotary Club: atto, codesto particolarmente grave, quando si pensi che sin dal 1926 la presidenza onoraria del più noto e diffuso club service di tradizione laica era stata assunta, in Italia, da Vittorio Emanuele III.
      In tale situazione assume un significato emblematico la rappresaglia attuata dal regime nei confronti delle residue spoglie dell’ingente materiale massonico (arredi, paramenti, fondi archivistici, schede nominative, corrispondenza varia, … ) rinvenuto in locali di Via Gino Capponi, a Roma, sin dal 1931. Con stile barbarico, mentre la maggior parte del materiale cartaceo, irrimediabilmente rovinato per l’umidità, fu distrutta, le medaglie d’oro di Ettore Ferrari – capolavori dell’oreficeria massonica italiana – vennero fuse e ridotte a un lingotto di 68 grammi 57: manifestazione di quella rozzezza culturale che trasformava la persecuzione razziale da genocidio in etnocidio.
      Altrove, però, il Grande Oriente raccoglieva i frutti dei suoi decennali travagli: nel maggio del 1938 la Gran Loggia di New York riconosceva al « fratello Randolfo Pacciardi » il diritto di visitare le Logge di quello Stato: premessa – suggeriva Angelo Princi a Giuseppe Leti 58 – per « risolvere, nel caso eccezionalissimo, la posizione del riconoscimento di tutti i Gr.·.0.·. che per ragione di persecuzione della dittatura si trovassero in esilio », col proposito, in caso di esito negativo, di rialzare le colonne di tutte le officine italofone a suo tempo all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia, costituite da quanti, tra i 13 milioni d’italiani emigrati dalla penisola verso altri lidi s’eran riconosciuti sotto le volte d’Hiram.
      Che la svolta per la penisola sarebbe comunque giunta dall’esterno fu chiaro anche dalla cauta richiesta d’informazioni da Leti rivolta a Tedeschi intorno al « signor Guariglia », trasferito dall’Ambasciata d’Italia di Buenos Aires a quella di Parigi: proprio l’uomo che avrebbe poi avuto una parte fondamentale per “sganciare” l’Italia dall’ineguale alleanza con la Berlino hitleriana.   55. I delegati presenti alla fondazione dell’Alleanza delle Massonerie Perseguitate erano: Alessandro Tedeschi, Giuseppe Leti, Giacomo Carasso, Cesare Lazzari, Urbano Ciacci, Otello Masini, Francesco Cerasola, De Ambrosis e Ferri per il G.·.O.·.d’I.·., José Dominguez Dossantos e Agathaa Lança per la Massoneria portoghese, Wagner, Gembel e Behrendson per quella tedesca. Resoconti della fondazione dell’A.M.P. comparvero anche in « L’Italia del Popolo », 8-VIII-1938, e « La Stampa Libera », New York, 11 luglio 1937. Rapporti informativi in merito in ACS, MI, DGPS, AA GG RR, 1920-45, a. 1937, b. 70 e, ivi, 1938, b. 55.

56. Il caso più clamoroso di “voltafaccia” fu quello di Alberto Giannini, già Gran Segretario del Grande Oriente. Contrariamente alle fosche leggende sulle “vendette” massoniche, il G.·.O.·.d’I.·. in esilio – benché versasse in gravi difficoltà finanziarie e sfidando gli strali di taluni antifascisti – deliberò di continuare a corrispondere le rette mensili al collegio nel quale studiava Marcelle Giannini, abbandonata dal padre, passato in Italia, a scriversi Le memorie di un fesso (parla Gennarino “fuoruscito” con l’amaro in bocca), Paris, 1934, allo stesso modo in cui manteneva il piccolo Bruno Becciolini, figlio del massone massacrato dagli squadristi a Firenze il 3 ottobre 1925, fatto clandestinamente pervenire con la madre a Parigi, ove, nel 1937, egli venne “adottato” come “lupetto” della Loggia « E. Chiesa » nel corso di una solenne cerimonia.

57. In proposito, un minuzioso rapporto, datato 28 febbraio 1938, in ACS, MI, DGPS, AA GG RR, 1938, b. 55.

58. A. Princi a G. Leti, New York, il 14 maggio 1938. Alle pastoie burocratiche di taluni poteri massonici d’oltre Oceano, con la coscienza dell’opera svolta in una trincea avanzata, Giuseppe Leti rispondeva: « Noi non cerchiamo riconoscimenti. Essi non sono costituzionali secondo le leggi massoniche, e molto meno necessari. Di più noi siamo tra le più vecchie e, certo, le più nobili delle massonerie europee. Non cerchiamo patenti, le diamo. Non provochiamo l’onore di relazioni, quando non sono ricercate, siamo felici di accordarle quando riescono gradite a corpi e istituzioni legittime. Per superbia? No, ma per doveroso rispetto delle nostre tradizioni; e poiché dobbiamo non diminuire in polemiche, in piccoli conflitti, malintesi, competizioni di corridoio la grande rispettabilità dei grandi come Garibaldi, Mazzini, Nathan, Lemmi, Ballori, Ferrari, di cui continuiamo l’esempio e la scuola ( … ) ».  
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IL GRANDE ORIENTE – L’ALLEANZA DELLE MASSONERIE PERSEGUITATE

L’alleanza delle Massonerie perseguitate

 
      Il giorno successivo all’Assemblea della Massoneria italiana negli stessi locali messi a disposizione dalla Gran Loggia di Francia, in rue Puteaux, nacque l’Alleanza delle Massonerie perseguitate: per iniziativa e con la guida della Comunione italiana, il cui Gran Maestro, Tedeschi, ne venne infatti eletto presidente. Un rapporto sulle condizioni delle Famiglie in Europa (Italia, Polonia, Germania, Portogallo, Ungheria, Turchia, Austria, Finlandia, Russia, Olanda, Svizzera … ) offriva un quadro impressionante di persecuzioni, interdizioni, minacce. Non era quindi più tempo di lamenti, ma d’azione.
      Alla Federazione aderirono anche le Grandi Logge di Paesi dell’America meridionale, ove si presentavano condizioni analoghe a quelle d’Europa. A suggello della fondazione dell’Alleanza, tutti i delegati si recarono a rendere omaggio alle tombe di Ellero, De Caro, Gobetti, Rosselli, Turati, Treves, Chiesa e al monumento a Garibaldi in Place Cambronne, ove Tedeschi inneggiò all’opera di Randolfo Pacciardi, che, alla guida del battaglione internazionale di volontari ne « rinnova(va) le gesta in Ispagna per la Repubblica e la libertà » 55.
      Il successo dell’iniziativa del G.·.0.·.d’I.·. suscitò notevole allarme nel governo di Roma, al quale affluivano copiose notizie su un generale risveglio massonico nelle comunità italiane d’Oltralpe: dall’Egitto (ove si contavano ormai a molte decine gl’italiani che non nascondevano di frequentare ambienti massonici britannici e la loggia « Cincinnato » di Alessandria), all’America meridionale, ai nuclei italofoni della penisola balcanica, a contatto con le legazioni franco-britanniche, che facevano leva sui quadri liberomuratori locali per fronteggiare la penetrazione nazifascista, più aggressiva nel clima ormai arroventato dall’Anschluss e dalla questione dei Sudeti. Né mancavano ripercussioni all’interno della penisola, se veniva segnalato che 8 dei 13 reparti degli Altiforni di Livorno erano sotto diretto controllo di ex massoni, tra i quali Andrea Del Bruno, trovato in possesso di materiali avvolti in stampe massoniche e di una medaglia in morte di Giuseppe Mazzoni. Altre segnalazioni riguardavano Napoli e Savona, centri portuali nei quali era più agevole e frequente il contatto coi fratelli d’altre Comunioni, di passaggio nella penisola, e dai quali era anche facile avere e far giungere notizie ai fratelli in esilio.
      Per essere aggiornati sulla consistenza del risveglio massonico gli uffici investigativi del regime potevano dunque ormai fare anche a meno degl’informatori, via via assoldati, talvolta anche nelle file dell’Istituzione 56. La vastità del movimento si palesava in tali e tante forme, da indurre il regime a fare il deserto dinanzi a una sua possibile avanzata, con l’eliminazione di tutti gli organismi che in qualche modo potessero favorirla. Bastino, tra tutti, gli ostacoli frapposti ai convegni di studi di metapsichica (aprile 1938, a Bologna, per iniziativa di Emilio Servadio) e, infine, il divieto del Rotary Club: atto, codesto particolarmente grave, quando si pensi che sin dal 1926 la presidenza onoraria del più noto e diffuso club service di tradizione laica era stata assunta, in Italia, da Vittorio Emanuele III.
      In tale situazione assume un significato emblematico la rappresaglia attuata dal regime nei confronti delle residue spoglie dell’ingente materiale massonico (arredi, paramenti, fondi archivistici, schede nominative, corrispondenza varia, … ) rinvenuto in locali di Via Gino Capponi, a Roma, sin dal 1931. Con stile barbarico, mentre la maggior parte del materiale cartaceo, irrimediabilmente rovinato per l’umidità, fu distrutta, le medaglie d’oro di Ettore Ferrari – capolavori dell’oreficeria massonica italiana – vennero fuse e ridotte a un lingotto di 68 grammi 57: manifestazione di quella rozzezza culturale che trasformava la persecuzione razziale da genocidio in etnocidio.
      Altrove, però, il Grande Oriente raccoglieva i frutti dei suoi decennali travagli: nel maggio del 1938 la Gran Loggia di New York riconosceva al « fratello Randolfo Pacciardi » il diritto di visitare le Logge di quello Stato: premessa – suggeriva Angelo Princi a Giuseppe Leti 58 – per « risolvere, nel caso eccezionalissimo, la posizione del riconoscimento di tutti i Gr.·.0.·. che per ragione di persecuzione della dittatura si trovassero in esilio », col proposito, in caso di esito negativo, di rialzare le colonne di tutte le officine italofone a suo tempo all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia, costituite da quanti, tra i 13 milioni d’italiani emigrati dalla penisola verso altri lidi s’eran riconosciuti sotto le volte d’Hiram.
      Che la svolta per la penisola sarebbe comunque giunta dall’esterno fu chiaro anche dalla cauta richiesta d’informazioni da Leti rivolta a Tedeschi intorno al « signor Guariglia », trasferito dall’Ambasciata d’Italia di Buenos Aires a quella di Parigi: proprio l’uomo che avrebbe poi avuto una parte fondamentale per “sganciare” l’Italia dall’ineguale alleanza con la Berlino hitleriana.   55. I delegati presenti alla fondazione dell’Alleanza delle Massonerie Perseguitate erano: Alessandro Tedeschi, Giuseppe Leti, Giacomo Carasso, Cesare Lazzari, Urbano Ciacci, Otello Masini, Francesco Cerasola, De Ambrosis e Ferri per il G.·.O.·.d’I.·., José Dominguez Dossantos e Agathaa Lança per la Massoneria portoghese, Wagner, Gembel e Behrendson per quella tedesca. Resoconti della fondazione dell’A.M.P. comparvero anche in « L’Italia del Popolo », 8-VIII-1938, e « La Stampa Libera », New York, 11 luglio 1937. Rapporti informativi in merito in ACS, MI, DGPS, AA GG RR, 1920-45, a. 1937, b. 70 e, ivi, 1938, b. 55.

56. Il caso più clamoroso di “voltafaccia” fu quello di Alberto Giannini, già Gran Segretario del Grande Oriente. Contrariamente alle fosche leggende sulle “vendette” massoniche, il G.·.O.·.d’I.·. in esilio – benché versasse in gravi difficoltà finanziarie e sfidando gli strali di taluni antifascisti – deliberò di continuare a corrispondere le rette mensili al collegio nel quale studiava Marcelle Giannini, abbandonata dal padre, passato in Italia, a scriversi Le memorie di un fesso (parla Gennarino “fuoruscito” con l’amaro in bocca), Paris, 1934, allo stesso modo in cui manteneva il piccolo Bruno Becciolini, figlio del massone massacrato dagli squadristi a Firenze il 3 ottobre 1925, fatto clandestinamente pervenire con la madre a Parigi, ove, nel 1937, egli venne “adottato” come “lupetto” della Loggia « E. Chiesa » nel corso di una solenne cerimonia.

57. In proposito, un minuzioso rapporto, datato 28 febbraio 1938, in ACS, MI, DGPS, AA GG RR, 1938, b. 55.

58. A. Princi a G. Leti, New York, il 14 maggio 1938. Alle pastoie burocratiche di taluni poteri massonici d’oltre Oceano, con la coscienza dell’opera svolta in una trincea avanzata, Giuseppe Leti rispondeva: « Noi non cerchiamo riconoscimenti. Essi non sono costituzionali secondo le leggi massoniche, e molto meno necessari. Di più noi siamo tra le più vecchie e, certo, le più nobili delle massonerie europee. Non cerchiamo patenti, le diamo. Non provochiamo l’onore di relazioni, quando non sono ricercate, siamo felici di accordarle quando riescono gradite a corpi e istituzioni legittime. Per superbia? No, ma per doveroso rispetto delle nostre tradizioni; e poiché dobbiamo non diminuire in polemiche, in piccoli conflitti, malintesi, competizioni di corridoio la grande rispettabilità dei grandi come Garibaldi, Mazzini, Nathan, Lemmi, Ballori, Ferrari, di cui continuiamo l’esempio e la scuola ( … ) ».  
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IL GRANDE ORIENTE – LA GUERRA D’ETIOPIA

LA GUERRA D’ETIOPIA
      La guerra d’Etiopia pose nuovi e gravi problemi al G.·.O.·.d’Italia in esilio. Passati all’Oriente Eterno altri esponenti di Palazzo Giustiniani (Giuseppe Meoni, Antonio Paternò, Mario Pace … ), perduta ogni speranza di recuperare almeno in parte i proventi della forzata vendita di Palazzo Giustiniani e dei tesori delle logge disciolte in Italia, divorati da disavventure finanziarie dei loro curatori e dal crollo delle imprese nelle quali erano stati investiti, il G.·.O.·.d’I.·. si trovò al bivio: denunciare l’imperialismo fascista, col rischio d’essere annoverato tra le fazioni antinazionali, oppure cogliere l’occasione per reinserirsi (in posizione inevitabilmente subalterna) nel coro di quanti correvano a plaudire al successo del regime. Quest’ultima fu la scelta di alcuni individui, del resto da tempo ai margini dell’Ordine, come lo stesso ex Gran Maestro Aggiunto, Arturo Labriola 46. La denunzia dell’imperialismo fascista, quale negazione dei principi umanitari, non era però tale da assicurare all’Ordine le simpatie delle Istituzioni di Stati, i cui governi si strappavano le vesti dinanzi alla brutalità del colonialismo fascista, dimenticando di possedere essi stessi immensi imperi, conquistati e tenuti insieme con metodi certo non meno convincenti di quelli mussoliniani.
      Il G.·.M.·., Alessandro Tedeschi, non esitò tuttavia a denunziare la « pazza impresa inumana » attuata dal regime 47, contrapponendole la tradizione liberomuratoria di rispetto delle nazionalità. « Dice Mussolini ch’egli vuol foggiare la grandezza e la fortuna d’Italia con un impero coloniale – argomentava il G.·.M.·. -, mentre quello ch’egli fa è esaurire ogni risorsa economica, indebitare il Paese per molti miliardi e ipotecare le future generazioni, mentre porta le attuali al macello, inutilmente e ingiustamente ». Raccomandando di « creare attorno a voi un’atmosfera di pace… », lontano dall’assecondare la « personale ambizione » del duce e la « violazione dei trattati, che lo accomuna a Hitler », Tedeschi riteneva ormai imminente « un nuovo conflitto europeo, che sarebbe il naufragio della civiltà ».
      Dinanzi alla grave crisi, il G.·.M.·. impartì nuove direttive in termini inequivocabili: « Oggi la Massoneria non può limitare l’opera sua alle discussioni filosofiche dei tempi, essa deve compiere nel mondo profano la sua opera di umanità, come sempre ha fatto quando le contingenze l’hanno chiamata a prendere il suo posto per lottare per il bene, per la libertà e per la giustizia ».
      « Siamo i soli fra le Massonerie perseguitate – egli concludeva, non senza una punta di legittimo orgoglio – ad avere conservato la nostra organizzazione, sia nei rispetti dell’Ordine che in quelli del Rito, e, diciamolo senza rancore ma non senza amarezza, contro la volontà delle Famiglie massoniche, le quali, quando noi abbiamo mostrato le nostre miserie e le nostre ferite, ci hanno chiesto la nostra fede di nascita ».
      Perciò – rialzate le colonne della Loggia “Propaganda Massonica“, già note a Mazzoni, Lemmi, Nathan, Torrigiani – a una nuova Officina il G.·.M.·. assegnò l’emblematico distintivo di « Vigilia »: attesa di un rivolgimento che dalla crisi generale d’Europa avrebbe fatto scaturire la soluzione per i casi d’Italia.
      Dal 1933 fu più chiaro che la sorte toccata dieci anni prima alla Massoneria italiana si ripeteva per le Comunioni massoniche di molti altri Paesi: Germania, Ungheria, Romania, Turchia. Nel biennio successivo continuarono, in crescendo, le manifestazioni d’intolleranza da parte di organizzazioni antimassoniche, sorrette dall’estremismo clericale e dai governi nazifascisti. Il 15 settembre 1934, la famigerata « Revue internationale des sociétés secrètes » tracciava un malevolo profilo della risorta massoneria italiana. Accanto a dati inoppugnabili – che rivelano la precisione delle fonti d’informazione alle quali attíngevano i suoi redattori – la rivista di mons. Jouin affermava che le officine italiane raccoglievano esuli politici evasi dal confino di Lipari (con evidente riferimento a Francesco Fausto Nitti) e due ex ministri 48. Organo della Ligue anti-judéo-maçonnique, la rivista riprendeva i motivi da tempo agitati, in Italia, da Giovanni Preziosi e da altri che saldavano l’antimassonismo nazional-fascista a quello clerico-nazionalistico di fine Ottocento.
      Nel 1936, infine, il capo della Federazione Fascista elvetica, Fonjallaz, lanciò in Svizzera la campagna referendaria per la messa al bando della Massoneria e sul foglio « Le Pilori » (= La Gogna) Georges Oltramare prese a pubblicare gli elenchi degli affiliati alle Logge, officina per officina 49, con l’indicazione dell’anno d’iniziazione: vere e proprie “liste di proscrizione“, i cui autori intimavano che i massoni venissero cacciati dai pubblici impieghi, sottoposti a restrizioni nell’esercizio dei diritti civili e privati della cittadinanza, ed esempio di un malcostume poi dilagante ancóra in questo secondo dopoguerra, anche se, nel caso elvetico, l’offensiva (respinta il 27-28 novembre 1937) fu ridicolizzata dal suo abbinamento con un referendum sull’aumento della tassa sui cani.
      Di fronte alla crisi europea, il G.·.O.·.d’I.·. mostrò di aver messo a frutto l’esperienza vissuta. Sin dal 1935 esso si prefisse la costituzione di una lega delle Massonerie perseguitate: progetto che nel marzo 1936 ottenne il consenso dei massoni austro-tedeschi e, nell’aprile, del G.·.M.·. portoghese in esilio, Alphonse Costa.
      L’iniziativa italiana riprendeva e ampliava quella della Loggia « Pionier » di Vienna, che allestì una « colonia massonica in Palestina, come luogo di rifugio per tutti i Fratelli (o simpatizzanti profani) esuli o perseguitati in tutti gli Stati ». Dai massoni austriaci partiva inoltre la proposta di una « organizzazione centrale ( … ) per la difesa morale della filosofia umanitaria, intesa a influire sugli Stati sottoposti a regime dittatoriale e su quelli che ne sono minacciati » 50.
      Un ulteriore impulso all’iniziativa del Grande Oriente d’Italia venne dall’alzamiento in Spagna, nel luglio 1936. Il predominio raggiunto da Francisco Franco – già noto per violenti attacchi alla Massoneria – si tradusse nell’eliminazione fisica dei massoni e dei loro simpatizzanti 51.
      Le ultime incertezze caddero, infine, nel giugno 1937, quando la sorte della repubblica spagnola risultò ormai segnata, in prospettiva, per la sproporzione tra gli aiuti promessi alla Repubblica da parte delle democrazie (che predicavano il “non intervento”) e quelli recati dai regimi di Berlino e di Roma a sostegno di Franco. Nei mesi precedenti i massoni italiani in esilio si erano prodigati a favore delle vittime della reazione in Spagna: una terra particolarmente vicina alla tradizione liberomuratoria italiana, tantoché più volte era stato preso in esame il trasferimento del G.·.0.·. in esilio a Barcellona o in altra città iberica.
      L’assemblea della Comunione Massonica del solstizio d’estate 1937 fu decisiva. Essa si aprì con la solenne commemorazione dei defunti 52: un rito che chiamò a pegno dei travagli massonici la memoria di sei antichi Maestri della parigina loggia « Figli d’Italia », dell’infaticabile Arturo Di Pietro, del coraggioso aviatore, Giordano Viezzoli, della « Eugenio Chiesa », e di Mario Angeloni, comandante della « Colonna Rosselli », caduti in difesa della repubblica di Madrid.
      « A questi scomparsi – dichiarò Tedeschi – deve aggiungere la Massoneria Italiana il nome dei fratelli Nello e Carlo Rosselli, vittime dell’esecrando regime fascista » 53. L’inclusione dei due martiri della cagoule nel novero delle figure da ricordare venne meglio spiegata dall’ampia relazione di Giuseppe Leti sulla Nuova orientazione politica dell’Italia in generale e della Massoneria italiana in particolare di fronte ai nuovi avvenimenti d’indole politica morale e sociale in Italia e nel mondo.
      In ordine ai « problemi eminentemente profani » – osservò Leti – « l’Italia ha perduto la sua libertà, che, del resto (aggiunse ispirandosi alla concezione radicale della storia) non aveva mai interamente goduto ». Per uscire dal tunnel « la politica non [era] più sufficiente alimento »: occorrevano bensì « provvidenze sociali e che tutti, partiti e masse, come i singoli, fossero dominati e guidati da un’alta legge morale ». Di lì la centralità della funzione dell’Ordine per la ricostruzione civile non solo dell’Italia.
      La Massoneria stessa era però chiamata a svolgere il proprio ruolo con maggior fermezza e chiarezza che in passato 54. Proprio mentre anche in Francia non mancavano inviti a privilegiare esclusivamente l’Arte, ovvero i simboli e l’iniziatismo, ma, al tempo stesso, si andava determinando una sorta di « anarchia massonica » per la sostituzione delle singole officine, quali nuclei originari, alla Comunione, anche i più strenui assertori della « apoliticità » della Libera Muratoria, invitavano a un modus vivendi o armistizio tra Chiesa e Massoneria dinanzi al convergente pericolo dell’avanzata di fascismo e bolscevismo. In quale senso dovevano dunque essere intesi i principi andersoniani in una situazione nei quali « i fatti (si mostravano) più potenti delle ideologie? ».
      Tedeschi si rifece, al riguardo, alla massima di Adriano Lemmi: « condurre la Massoneria all’acquisto e al sapiente governo di tanta forza morale, da informare in ogni caso e correggere, se occorra, l’indirizzo politico del Paese »: il che, spiegò, « non è opera, né politica, di partigiani, è assistenza superiore – apolitica e areligiosa – per aiutare partiti, chiese e ordini sociali a ricercare e a fare il Bene di ciascuno e di tutti ». Non diversa era, peraltro, la condotta tenuta tanto dalle Grandi Logge quanto dai Supremi conventi scozzesisti, al di qua e al di là dell’Atlantico, attraverso i tempi. Era del 1929 – ricordò ancora Leti – una Dichiarazione colla quale il S.·.C.·. (giurisdizione Sud) degli Usa, aveva rivendicato l’assoluta laicità dell’educazione, mentre altri poteri massonici avevano ribadito l’insopprimibile principio della libertà della persona quale fulcro della legislazione positiva.
      Per “ringiovanire” – l’altro obiettivo quindici anni prima additato da Domizio Torrigiani alla Famiglia italiana – occorreva dunque attendere « nei limiti delle attuali nostre deboli forze, allo studio di tutti i problemi ( … ) nonché alle provvidenze richieste dagli avvenimenti; e (fare) propaganda nel mondo esterno, a mezzo dei Fratelli, uti singuli, dei risultati e dei rimedi che potranno essere ritenuti utili ». Programma attivo di lotta, dunque. Nel quale la Comunione Italiana non fu lasciata sola.   46. ACS, MI, DGPS, Pol. Pol., 1936, b. 38, Massoneria internazionale.

47. Balaustra di A. Tedeschi. 7-VIII-1935 (originale in ACS, MI, DGPS, Gl, b. 67, Grande Oriente d’Italia; il testo successivo è tratto da circ. n. 46, Parigi, 28 aprile 1936 (originale in ACS, MI, DGPS, AA GG RR, 1903-49, cat. R/G, b. 429, sf. 2).

48. Sull’azione antimassonica della « Revue internationale des Sociétés Secrètes » carteggio in ACS, MI, DGPS, Pol. Pol., b. 77 e, per un suo profilo, A. J. FERRER BENIMELI, El contubernio judeo-masonico-comunista, Madrid, Istmo, 1982, pp. 187 e ss., con ampia bibliografia.

49. In margine alla pubblicazione dei primi elenchi (dal 12 giugno 1936 in poi) un appunto per la DPS di Roma affermava che in realtà essi non contenevano i nomi che gli antimassoni elvetici s’attendevano: anche in quel caso l’odio antimassonico non s’appagava delle liste di proscrizione se non mettevano alla gogna tutte le persone comunque invise ai moralisti d’occasione. Documentazione in ACS, MI, DGPS, 1920-45, a. 1936, b. 39 e ivi, Pol. Pol., b. 138. Tra gl’informatori più eccitati, il 5-XII-1938 un agente segnalava da Berna: « La M. internazionale ha un servizio d’informazioni segrete talmente bene organizzato che le è possibile prendere conoscenza delle segnalazioni che su di essa e sui suoi membri vengono fatte al servizio segreto italiano. In tutti i servizi governativi italiani siederebbero tuttora degli ex massoni, i quali avrebbero il compito di tenere minuziosamente informati i loro capi di tutto ».

50. Slekow ad Alessandro Tedeschi, Den Haag, 4-111-1936, secondo il quale i Fratelli emigrati o perseguitati « n’ayant rien à perdre et plutot tout a gagner, deploient une énergie supérieure et un activisme plus intense qu’ils n’en avaient besoin dans leur patrie ».

51. J. A. FERRER BENIMELI, La Masonería en Aragón, Zaragoza, Libreria General, 1979, vol. 3°: opera ampia e bene informata. Per l’antimassonismo di Francisco Franco Bahamonde v. J. BOOR (id est F. Franco), Masonería, Madrid, Graficas Valera, 1952 (rist. anastatica, Madrid, 1980).

52. Sin dal 29-XII-1931 l’Assemblea del Grande Oriente aveva approvato il calendario rituale: 9 febbraio, proclamazione della Repubblica romana; 10 marzo, anniversario della morte di Mazzini e rievocazione dei defunti; 21 aprile, natale di Roma; 1 maggio, festa alla Gloria del Lavoro; 20 settembre, data dell’unità d’Italia colla caduta del potere temporale; 4 novembre, fine vittoriosa della guerra, da commemorarsi come festa della Pace nel Mondo.

53. Da un appunto manoscritto di G. Leti poi ripreso nella Relazione all’Assemblea dal G.·.M.·., Alessandro Tedeschi: cfr. Appendice, doc. n. XIV.

54. Vivo e argomentato era stato l’appello all’unione europea, ribadito in G. LETI, Il Supremo Consiglio d’Italia, cit., p. 228. Il profondo mutamento del clima dei lavori massonici s’avvertì anche nei temi affrontati dalle relazioni inviate all’Assemblea dalle 10 logge dell’Obbedienza: per es. Educazione fisica e militarismo (dalla « Figli d’Italia » di Buenos Aires), La guerra civile in Spagna e la partecipazione ed il sacrificio dei ff. massoni per la causa della libertà in Spagna (relatore Facchinetti, della « Eugenio Chiesa » di Parigi). Anche i « 100 mattoni » riportati dal tronco di beneficenza fatto circolare al termine dell’Assemblea vennero consegnati al G.·.M.·. « per usarli a beneficio della Spagna come e quando lo crederà più opportuno ».  
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IL GRANDE ORIENTE D’ITALIA – VIGILIA

Vigilia“: La Parola ritrovata

 
      Costretto a procedere da solo sotto la volta celeste, tallonato da presso dalla polizia del regime, senz’alcuna copertura formale da parte degli Stati ospitanti, a cospetto dell’intrico di contrasti partitici che, se non l’Istituzione, ne coinvolgevano gli “operai”, il 10 ottobre, 1932 (venti mesi dopo la sua ricostituzione) il nuovo Grande Oriente d’Italia poteva comunque tracciare un bilancio complessivamente positivo, anche se rimanevano da sciogliere i nodi del riconoscimento da parte di altri corpi massonici, la riorganizzazione disciplinare e finanziaria dell’Ordine, il rapporto con la “politica”.
      Per la navigazione verso la regolarità il Grande Oriente doveva fidare in molte ma divaricanti stelle polari: l’A.M.I., anzitutto, che da un decennio accennava a coordinare le Famiglie dell’Europa continentale in un unico sforzo verso la democrazia; ma anche le Grandi Logge d’Oltreoceano – pur così lontane dal penetrare la complessità della terra delle due Rome -; e, infine, la Gran Loggia Unità d’Inghilterra 40.
      Altrettanto suggestivo era però il disegno di una Federazione Massonica Universale, di cui i Fratelli d’Italia sentivano bisogno dinanzi alla lentezza con la quale le famiglie d’Oltralpe stentavano a capire la situazione, nuova e drammatica, a fronte della quale si trovava l’Europa e di cui si fece interprete il repubblicano Cipriano Facchinetti quando giunse ad affermare che « la Massoneria internazionale dorme e non si accorge o finge di non accorgersi che ci si prepara una nuova guerra, finanziando le organizzazioni fasciste e comuniste ». A conferma, gli bastava constatare che « ormai 10 Stati Europei sono nelle mani dell’Autocrazia, in 10 Stati non vi è più parlamento, libertà di parola, libertà di riunione ». A quel punto, anziché attendere riconoscimenti dall’alto, meglio era mirare a legittimazioni « dal basso », cioè attraverso la relazione reciproca con Logge d’altre Comunioni, che avrebbero poi provveduto a far valere i diritti degl’italiani dinanzi ai rispettivi governi, come propose Alessandro Tedeschi.
      Dinanzi a un Fratello « che viene dall’Italia e vi deve ritornare e ritornando deve portare il programma della nostra azione, e dice e consiglia di tagliare netto all’interno coi vecchi e coi tiepidi », Leti non mancò tuttavia di richiamare i Fratelli tra le colonne del Tempio, sul quadro immutabile dell’Ordine: « ( … ) se si vuole restare Massoneria – egli sentenziò – non si può fare una politica repubblicana o socialista e più che farla non si può dichiararla, in una parola gli Statuti dell’Ordine non si possono cambiare né correggere ». Fermamente convinto che « in Italia anche i più vecchi costituzionali e monarchici che pensano all’abbattimento del fascismo sono diventati repubblicani », il S.·.G.·.C.·. collegava la crisi italiana a quella dell’intera Europa.
      Le forze della reazione ormai prevalevano ben oltre i confine della penisola. Anche se tardi, altre Famiglie non potevano più nascondersene gli effetti. Dal gennaio 1932 la Massoneria tedesca aveva fatto sapere di considerare « l’avvento di Hitler come la più grande calamità che possa abbattersi sulla Germania » 41. Ma se pochi capivano, meno ancora erano quelli disposti a capire. Le tensioni e il disorientamento penetrati anche nell’Ordine venivano percepiti all’esterno, tantoché un informatore registrava le dimissioni di Facchinetti « anche da massone », annunziava che la Massoneria rifiutava di aiutare finanziariamente « Giustizia e Libertà » e, infine, concludeva che l’intero Grande Oriente « non ha vitalità » ed era « senza alcuna probabilità di esistenza » 42.
      La realtà era però di tutt’altra natura. Come riferivano, non senza preoccupazione, altre spie, malgrado gli arresti dell’ottobre 1930, il governo dell’Ordine decise infatti la ricostituzione di logge clandestine in Italia, mentre numerosi fratelli facevano la spola dall’uno all’altro centro della Francia, del Belgio, della Spagna repubblicana per rievocare la figura del Gran Maestro vittima del fascismo e per testimoniare che la Massoneria era tutt’altro che spenta: da Strasburgo, ove parlò Alceste De Ambris, a Parigi, ov’era Luigi Campolonghi a commemorare Torrigiani, a Parigi, ove operava Luigina Nitti (promotrice di un comitato di soccorso per le famiglie dei massoni incarcerati) e Baldacci, Giovanelli e Battaglini parlavano su Vaticano e gioventù fascista. Né, tra quelle circostanziate, mancavano le informazioni infondate: come l’annunzio, per il 14-16 ottobre 1933, di un « congresso del partito massonico italiano », a Bordeaux, con relazioni di Pacciardi, Buozzi e Rosselli e una riunione massonica preparatoria, a Marsiglia, con Rosselli e Chiostergi 43.
      In effetti, il fervore della presenza liberomuratoria – dal cinquantenario della morte del Gran Maestro Giuseppe Garibaldi, il cui massonismo era taciuto nell’Italia concordataria, al bicentenario della nascita di Washington, al centenario della morte di Goethe – non si restringeva a riti estrinseci, ma riaffermava le ragioni del contrasto radicale tra l’Italia delle libertà e quella della reazione 44.
      Insistere sui landmarks dell’Ordine – anche attraverso l’esemplificazione biografica – serviva, inoltre, a mettere in guardia da un certo vezzo di verbalismo rivoluzionario dilagante nelle file dell’antifascismo militante. Se ne fece interprete, nell’Assemblea dell’Ordine del 18 dicembre 1932, il Fratello Cipriano Facchinetti, secondo il quale la “latitudine” nell’ammissione di nuovi fratelli non doveva condurre a cedimenti sotto il profilo programmatico e dottrinale. « Troppi errori di questo carattere – egli notava – hanno provocato la profonda crisi che attraversa l’antifascismo e hanno contribuito a consolidare la situazione dei nemici nostri ». Le vere radici della crisi – spiegava – eran tali da rendere « quasi impossibile la convivenza politica di uomini di scuola diversa, e l’assenza assoluta di un vero programma contingente e una reale visione dei bisogni dell’Italia di domani. Tutti i partiti politici di sinistra o quasi si sono dati ad una gara al sempre più rosso dimenticando l’essenza del Popolo italiano e le condizioni economiche e morali del nostro Paese. Non si è trovato, in questi ultimi tempi, altro di meglio – annotava Facchinetti con sarcasmo – che di enunciare come un programma di domani nazionalizzazioni di proprietà e di istituti, statizzazione di imprese, ecc. ecc., promettendo cioè agli italiani derubati per merito del fascismo del 75% delle loro proprietà che l’Italia di domani li priverà di ciò che resterà. … Non si sistemerà le finanze d’Italia – egli concludeva – statizzando le cambiali protestate giacenti nelle Banche ». Osservazioni alle quali non contrastava neppure Peroni, che pur ricordava ai presenti la sua fede socialista.
      Dopo lungo intervallo, il 2 settembre 1934 ebbe luogo una nuova Assemblea dei massoni italiani presso l’abitazione del Gran Maestro, a Reignac (St. Loubé). Respinta la proposta di Labriola, di trasformare il Grande Oriente in un comitato massonico, Tedeschi comunicò l’avvenuto rilancio dell’iniziativa massonica nella penisola, « senza far cenno di luoghi e persone », perché era ormai chiaro che solo dall’interno della Famiglia eran potute partire le indiscrezioni (arduo stabilire quanto malintenzionate), rivelatesi esiziali per alcuni nuclei operativi.
      L’intero quadro politico internazionale era in fermento per il mutamento di rotta seguito dalla Terza Internazionale, col programma dei “fronti popolari“, tardivamente avviato dopo l’avvento di Hitler in Germania e – con specifico riferimento agli esuli italiani – per l’inasprimento dei contrasti nelle file repubblicane. Nulla dunque consigliava di correlare al contesto dell’antifascismo il senso globale dell’azione liberomuratoria, consegnato da Giuseppe Leti alla Storia del Supremo consiglio d’Italia, stampata a Parigi nel luglio 1932 per la « A.D.P. e C. Publischer di Brooklyn (New York) » e diffusa, tra i massoni delle due sponde dell’Atlantico, quale “manifesto” del risorto Grande Oriente d’Italia.       « Né la solidarietà mondiale, né quella più ristretta internazionale non hanno mai sufficientemente funzionato » – vi osservava Leti a proposito della “solidarietà massonica”, sulla quale era stato relatore nel Congresso internazionale promosso a Roma dal Grande Oriente nel cinquantenario del regno -. « Veramente lacrimae rerum… », era il suo commento. Tuttavia proprio sulla « ardua e spinosa » via dei riconoscimenti gli anni 1933-34 non erano stati senza frutti positivi, se anche dal Supremo Consiglio dell’American Federation of Human Ríghts veniva manifestato il pieno consenso alla legittimità della rinascita della Massoneria italiana 45.   40. Il 4 settembre 1929 la Gran Loggia Unita d’Inghilterra adottò una risoluzione in 10 punti, che riassumevano i principi fondamentali della « regolarità ». Il punto 7 ribadiva: « Ogni discussione di religione o di politica nella Loggia deve essere strettamente proibita ».

41. ACS, MI, DGPS, G/1, b. 67 e Verbali GOIE, 18-XII-1932.

42. ACS, MI, DGPS, Pol. Pol., 1931, b. 27, f. 4, Massoneria italiana.

43. Ivi.

44. Particolari consensi raccolsero anche sempre le rievocazioni di Domizio Torrigiani, entrato nel novero delle illustri vittime della causa massonica.
V. per es. l’invito diramato da Santi Puglisi, Venerabile della Loggia « Archimede », n. 835, all’Oriente di New York, a una solenne commemorazione di Torrigiani per il 20 settembre 1935. Il G.·.M.·. scomparso vi era definito « gloria e vanto della Massoneria universale, Colui per il quale la nostra “Archimede” si sente orgogliosa di averlo annoverato nell’Album d’Oro quale nostro Membro Onorario ( … ) Siate numerosi – incitava Puglisi – mettete ogni altro impegno da parte, che ciò facendo avrete compiuto un Dovere Massonico e confermata la vostra sempre crescente stima per l’Eroe Immortale. Venite tutti ed insieme reciteremo una Prece di Devozione per il Martire che sarà Ammonimento ai Tiranni nemici del nostro Ordine » (GOI, AS).

45. Docc. in Carte Leti (GOI, AS), cfr. Appendice, doc. n. XI.  
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IL GRANDE ORIENTE D’ITALIA – LE SPIE DEL REGIME

Le spie del regime

      La notte fra il 30 e il 31 ottobre 1930 l’antifascismo democratico subì un grave infortunio, destinato a pesare a lungo anche sulla Massoneria italiana: l’arresto, a Milano, di « quasi tutti gli amici che facevano il lavoro di “G. e L.” e della “C.” e parecchi dei membri di una Loggia clandestina ». « È così spezzato il lavoro di 4 anni – confidava amareggiato Leti a Di Pietro, il 5 novembre -, e un notevole numero di amici hanno la famiglia sul lastrico, oltre a essere essi oramai destinati a varii anni di carcere e di confino » 35. L’immediata identíficazione del denunciatore – « un giovane avvocato, che da varii mesi lavorava per la causa con fedeltà e con disinteresse », evidentemente nell’attesa di « avere in mano le fila del complesso movimento » – apriva un problema sino a quel momento non trascurato, né ignorato, ma certo non ancora valutato in tutta la sua importanza: lo spionaggio attuato dal regime ai danni della Massoneria, come delle organizzazioni antifasciste in esilio già ripetutamente colpite tramite provocatori.
      Nei confronti della Massoneria il regime si mosse secondo tre linee, distinte ma complementari. Anzitutto, pur controllandoli da vicino, tramite infiltrazioni e informatori, il regime lasciava che alcuni pretesi ordini iniziatici tornassero a far capolino, in Italia, diffondendo sigle e diplomi, così da seminare confusione tra le file degli antichi autentici massoni, fra i quali Ulisse Bacci doveva rassicurare i suoi corrispondenti italo-americani, a cominciare da Frank Bellini
36, sull’assoluta infondatezza di un’effettiva rinascita della Massoneria italiana. Al regime, del resto, faceva comodo che all’estero si ritenesse possibile la ricostituzione, in Italia, di una massoneria pur ligia al potere.
      In secondo luogo, la polizia era alle prese con una ridda di voci, che ricorrentemente attribuivano a massoni i complotti più audaci – ora motu proprio ora di concerto con servizi segreti stranieri – per attentare alla vita di Mussolini o preordinare, comunque, un ricambio al vertice del governo
37.       In un rapporto informativo del 1° gennaio 1932, datato da Parigi, per esempio, oltre a dar notizia della formazione, a Milano, di un « comitato segreto fidatissimo con elementi giustinianei », si riferivano pretese confidenze di Arturo Labriola a Emilio Lussu – tramite il quale la notizia era filtrata sino a Nitti e, infine, all’informatore -, secondo le quali « nel corso dell’estate 1931 in una località della Baviera (erano) state gettate le basi di un’intesa segreta tra alcune alte personalità militari e politiche italiane allo scopo di esaminare e approntare i mezzi atti ad assicurare la successione del fascismo nella eventualità che quest’ultimo (dovesse) presto o tardi lasciare il posto ad un’altra forma di governo ». « Onde evitare che nel corso degli avvenimenti (potessero) insorgere tragiche conseguenze – veniva assicurato – una altissima personalità militare, che gode il prestigio di un nome caro agli italiani, avrebbe accettato di assumere la responsabilità di una dittatura militare che (evitasse) all’Italia e agli italiani lo scempio della guerra civile » 38.
      Anche le organizzazioni paramassoniche pullulanti in Italia – dal Movimento Nazionalista Massonico, all’Aquila Massonica, alla Carboneria e ad altre ancora
39 – benché non costituissero di per sé stesse un grave pericolo, erano altrettanti segni della diffusa attesa di un mutamento di regime e spingevano ad aumentare la vigilanza, nel timore che il superamento dei contrasti tra le diverse componenti dell’antifascismo – sui quali la polizia era assai bene informata – potesse produrre maggiori rischi.
      Un mezzo sicuro per seminare discordia tra i nemici era proprio quello – già di per se stesso utile – d’infiltrare spie e informatori nelle file avversarie e di trovare il modo di corrompere qualche elemento di punta del fronte antifascista: se fosse risultato che l’una o l’altra organizzazione antifascista era permeabile alle spie del regime o alla corruzione, ciascuna di esse si sarebbe inevitabilmente chiusa in sé stessa, nel timore di pagare lo scotto d’imprudenze altrui.
      L’azione spionistica a danno dell’Ordine non dette frutti proporzionalmente maggiori rispetto a quelli conseguiti ai danni delle altre organizzazioni; di gran lunga più clamorose furono invece le “conversioni” di Fratelli, già assurti a posizioni elevate nel risorto Grande Oriente d’Italia: ma si trattò di scelte dettate da valutazioni politiche generali, più che di corruzione spicciola, e vanno quindi valutate nel più generale processo di assestamento dell’antifascismo – seguito all’avvento di Hitler in Germania (1933) e al consenso di massa raccolto dal regime con la vittoriosa impresa d’Etiopia (1935-36) -, in un contesto internazionale in movimento.
  35. G. Leti ad Arturo Di Pietro, Parigi, 5 novembre 1930. In un appunto manoscritto, a destinatario non identificato, Leti aggiungeva: « I casi d’Italia – de’ quali vi ho sopra informato – esauriscono pel momento tutta l’attività di tutti in congressi, corrispondenza, comunicazioni telefoniche, relazioni coi giornali locali, gite un po’ qua e là. È vero che quando succedono di tali guai, la divisa è, come insegnava Mazzini, “cominciare da capo”, ma qualche giorno di stordimento, dopo una mazzata del genere, lo provava anche Mazzini ( … ) ».
L’indomani (6 novembre) Leti informava Di Pietro che qualche massone era comunque sfuggito all’arresto (« ma i migliori, i più sperimentati ci sono stati tolti e immobilizzati ») e raccomandava di non rivelare ad alcuno (tranne « i fidatissimi come Fama ») che gli arrestati appartenevano alla Massoneria o a organizzazioni antifasciste.
Leti informava inoltre Di Pietro che era all’esame delle organizzazioni antifasciste dell’esilio la proposta dei massoni italo-americani di ripartizione dei fondi raccolti negli Usa in parti uguali tra « G.L. », Concentrazione e Grande Oriente. Sull’inoltro di fondi dai Fratelli italo-americani a Parigi Pietro Montasini, Vicesegretario generale della Concentrazione Antifascista, a Gabriele Bellini, Parigi, 27 agosto 1931: « ( … ) Vi prego di continuare a sostenere il nostro movimento e di incitare tutti gli amici a fare altrettanto… Come sapete, il loro importo viene destinato all’azione concentrazionista in Italia ».

36. A Roma rimbalzava tuttavia una diceria (da Parigi, 26 dicembre 1931) secondo la quale candidato a nuovo G.·.M.·., in successione a Labriola, fosse il leader socialista Modigliani, che « non sarebbe alieno dall’accettare » (ACS, MI, DGPS, Pol. Pol., b. 27, f. 4). Un altro rapporto, in pari data, affermava che Labriola si sarebbe dimesso per facilitare la riorganizzazione della Massoneria che contava alcune officine in Francia e « molte logge clandestine » in Italia. « Nelle altre opere antifasciste – vi si legge – dopo la sistemazione della Concentrazione, si sentiva il bisogno di assestare anche la Massoneria ». In un’informazione del 26-XII-1931 (ACS, MI, DGPS, Pol. Pol., 1931, b. 27, f. 4) si dava per certa la candidatura di Emanuele Modigliani alla Gran Maestranza del G.·.O.·.d’It.·. in esilio e si precisava: « ( … ) la massa crede o ritiene ancora incompatibile la qualità di massone con quella di socialista. Modigliani non sarebbe alieno dall’accettare (…) ». Altro rapporto dell’11 luglio 1931 aveva asserito che lo stesso Modigliani era affiliato alla Massoneria francese, « ove è realmente molto ascoltato », e operava in collegamento con Alberto Tarchiani (poi ambasciatore d’Italia negli Usa), « il quale rimane il capo riconosciuto del nuovo raggruppamento » (ACS, MI, DGPS, G/1, b. 67, Grande Oriente d’Italia).
Da Berna il 27 febbraio 1932 veniva segnalato che « su proposta Salvemini la Massoneria intensifica l’opposizione antifascista », chiedendo « il diritto di voto per le donne »: “allarme” al quale l’alto funzionario di polizia osservava da Roma: « Le suffragette italiane sono così sparute di numero che la massoneria non farebbe una grande conquista. La stragrande maggioranza delle donne italiane è cattolica e certamente non farà lega col diavolo (massoneria) per combattere il fascismo, tanto piú che tra Italia e Santa Sede corrono rapporti amichevoli » (ACS, loc. cit.).

37. Nella maggior parte dei casi, erano gli stessi funzionari centrali della PS a ritenere infondate le informazioni su pretesi complotti massonici d’intesa con servizi segreti stranieri (v. per es. ACS, MI, DGPS, Pol. Pol., b. 77, Complotto massonico a Parigi per attentare alla vita del duce, e ivi, b. 86, Complotto organizzato dall’Intelligence Service in combutta con massoni). Secondo un’informazione da Parigi (febbraio 1932) un gerarca fascista s’era recato a Parigi, per partecipare a una tenuta massonica, proprio in relazione a un attentato a Mussolini. Veniva altresì asserita l’esistenza di contratti tra nuclei “operativi” e il massone Sante Garibaldi, rimasto in Francia, a differenza di Ezio.
Altre informazioni in ACS, loc. cit., bb. 103-105, Corrieri e fiduciari della Massoneria all’estero.
La vera linea di condotta dell’Ordine fu definita dal G.·.M.·. nella riunione del Governo dell’Ordine del 5 giugno 1932, nella quale Tedeschi affermò di non credere « che l’assassinio politico riesca a distruggere la tirannia ma ( … ) la rivoluzione renderà al nostro Popolo libertà e dignità », ove per rivoluzione s’intendeva una rigenerazione morale, fondata sull’educazione.

38. Informativa da Parigi, 1-I-1932 (ACS, DGPS, Poi. Poi., b. 27, f. 4). Vi si dava anche per certo il riconoscimento del G.·.O.·.d’It.·. da parte della Gran Loggia di Londra, a patto che il primo attenuasse la militanza antifascista.

39. Copiosa documentazione in ACS, MI, DGPS, AA GG RR, 1930, b. 27, f. 531 e 1936, b. 39, fasc. Torino.
Notizie sulla Lega mondiale della gioventù, « composta da elementi massonici pacifisti », in ACS, MI, DGPS, G1, 1920-45, f. 462. La messe di note informative rastrellate dall’Ovra e “girate” alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, a Roma, non andò però molto al di là di quanto lo stesso Grande Oriente faceva sapere attraverso i giornali, le circolari e comunicati diffusi anche nel “mondo profano”. Semmai, talune informazioni servivano a ingigantire l’immagine dell’Ordine: come l’asserita appartenenza di Francesco Saverio Nitti a una loggia britannica e il preteso « pieno appoggio » della Gran Loggia di Francia all’« azione antifascista dei massoni italiani in esilio » (ACS, DGPS, Pol. Pol., 1931, b. 27, f. 4).
Sulla Carboneria durante il fascismo documenti in ACS, MI, DGPS, Pol. Pol., b. 103. Alcuni carbonari romani risultavano in contatto con Ezio Garibaldi. Di uno di tali nuclei latomici si affermava facessero parte Giuseppe Canti, figlio di un alto dignitario dell’Ordine, e persino il notaio Mencarelli, che ebbe una parte di rilievo nella transazione di vendita di Palazzo Giustiniani.
Trecento erano i membri che alcuni rapporti informativi assegnavano a « Vendite » romane, organizzate dall’ex deputato repubblicano, Giovanni Conti, da Armando Sollazzo e altri. Una nota da Parigi (18 settembre 1928) asseriva che anche il quadrurnviro Michele Bianchi aveva fatto parte della Carboneria.
Secondo alcune note informative nel 1928 Conti e altri avevano fondato un Partito d’Azione, i cui “quadri” erano formati da “popolo minuto” (loc. cit., b. 103).
Sulla scorta delle informazioni di polizia risulta infondata l’attribuzione al repubblicano Mario Pistocchi di un qualsiasi ruolo d’informatore dell’Ovra. Sull’argomento v. E. MERENDI, L’esilio del repubblicano Marzo Pistocchi visto attraverso le sue carte e i documenti dell’Archivio Centrale dello Stato, in « Archivio Trimestrale », Roma, VII (1981), f. 1, pp. 137-66, ove però non risultano utilizzate le carte da noi consultate.
Consta, invece, che nel 1938 Pistocchi fosse tallonato da presso da un informatore della polizia, « Franco » in codice (Parigi, 1-VIII-1938), che, fattosene amico, mirava a farsi introdurre in una loggia in fase di creazione da parte di Augusto Mione, Arturo Buleghin e Randolfo Pacciardi, nel quadro di una forte ripresa dell’attività massonica, « ( … ) anche se non può essere una costituzione regolare né regolarmente riconosciuta » (21 dicembre 1937, in ACS, DGPS, Pol. Pol., Massoneria italiana, b. 27). Risulta inoltre che un “Antonio” – operante in posizione eminente nei quadri del G.·.O.·.d’It.·. – giungeva a trasmettere alla Direzione di P.S. le lettere sue e di Leti; un altro infiltrato – “Togo”, in codice – era in grado di ragguagliare, per esservi stato presente, sulla conferenza svolta a Parigi il 25 marzo 1933 dal massone socialista Umberto Peroni, con 80 fratelli, 50 dei quali francesi, e, più oltre, intorno all’importante assemblea massonica italo-francese svoltasi in Parigi il 27 aprile 1935, al termine della quale, dopo Leti, Pistocchi e Antonio Cohen, Venturi « espose l’odissea di cui sono oggetto le famiglie degli antifascisti » (cfr. ACS, MI, DGPS, Pol. Pol., b. 27, f. 4).
 
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IL GRANDE ORIENTE D’ITALIA – L’ipotenusa dei Fratelli d’Oltrappe, …

L’ipotenusa dei Fratelli d’Oltreoceano, dalla Concentrazione a “Giustizia e Libertà

 
      Anche le relazioni tra il nuovo G.·.O.·.d’It.·. e i Fratelli d’oltre Oceano avevano per precedente l’azione di Torrigiani, che nel 1923 aveva compiuto un viaggio negli Usa, per attuare lo scambio dei garanti d’amicizia con la Gran Loggia di New York: traguardo prossimo alla realizzazione sin dal 1922, quando Ulisse Bacci scriveva a Franck Bellini: « La notizia che la Gran Loggia di New York nella sua ultima riunione aveva dichiarato Potere,massonico legale e sovrano in Italia il Grande Oriente d’Italia, mi era già nota » 18.
      Il “garante” e storico della G.·.L.·. di New York, Ossian Lang, era poi stato in Italia, ricevuto con grande solennità a Palazzo Giustiniani. L’anno seguente egli non aveva mancato di ringraziare Bellini per l’inoltro della « Rivista Massonica » di Ulisse Bacci 19. In quelle occasioni, Torrigiani aveva però fornito anche ai Fratelli d’oltre Oceano notizie rassicuranti sul corso della crisi italiana, affermando che i massoni avrebbero provveduto da soli a superare le difficoltà nelle quali versavano a causa della crescente persecuzione. Palazzo Giustiniani voleva infatti evitare che un qualsiasi passo formale di Potenze massoniche straniere avvalorasse la tesi del governo Mussolini, secondo il quale il Grande Oriente d’Italia tramava ai danni del Paese con la connivenza di organizzazioni internazionali: massima, codesta, non potuta poi correggere per l’arresto e la condanna al confino di Capello, Torrigiani, Meoni, Ferrari, che pure provavano in modo inoppugnabile a qual punto fosse precipitata la situazione della Massoneria in Italia. La crisi in corso non poteva essere agevolmente decifrata dai massoni americani, la cui concezione dell’Ordine e del suo impegno nella militanza civile rispondeva ai canoni propri di un Paese nel quale, a differenza di quanto accadeva nella penisola, il laicismo dello Stato non doveva essere riconquistato di giorno in giorno, ma era realtà originaria e indiscussa. I massoni statunitensi eran pertanto corrivi a ritenere “politica” – e, in quanto tale, contrastante con l’Ordine – l’opera dei Fratelli italiani che, invece, potevano praticare effettivamente i predicati liberomuratori solo attraverso un’azione umanitaria, educativa, civile, fatalmente conflittuale con un governo che ormai spingeva la pretesa di dominio sulle coscienze sino a imporre i simboli della « religione di Stato » nelle scuole e in ogni edíficio pubblico.
      Il 6 gennaio 1926, il Gran Commander John H. Cowles diramò la risoluzione adottata dal Supreme Council 33.·. della Giurisdizione Sud del Rito Scozzese Antico e Accettato (Washington) sui “casi” italiani, accompagnandola con una dichiarazione dal tono fermo ed inequivoco 20 circa le « deplorevoli difficoltà » cui erano sottoposti i Fratelli della penisola: « perseguitati, discriminati, privati dei loro originari diritti di libertà e di pensiero, di parola e di azione, falsamente accusati, sottoposti a ingiurie fisiche e persino a omicidi ».
      Una raccolta di fondi a favore dei massoni italiani versanti in condizioni di particolare bisogno era però stata causa di malintesi tra Roma e Ossian Lang. Mentre dall’Italia si proponeva, infatti, che i Fratelli d’oltre Oceano sottoscrivessero individualmente – e in forma riservata -, inviando le somme raccolte al Comitato Ordinatore di Palazzo Giustiniani (unico potere in grado di decidere a chi dovessero essere destinati i soccorsi più urgenti), Lang aveva inviato in Italia un emissario di sua fiducia per distribuire direttamente una parte delle quote raccolte, trattenendone però la parte più cospicua, allarmato dalla voce, infondata, che la somma sarebbe stata destinata all’acquisto di un nuovo tempio 21.
      Le difficoltà d’intelligenza tra i poteri istituzionali erano però largamente compensate dal fitto e confortante intreccio di relazioni tra i singoli e, soprattutto, tra i massoni in esilio e taluni Fratelli italofoni, di schietto atteggiamento antifascista, fatti personalmente esperti delle vessazioni alle quali il regime sottoponeva, in Italia, quanti fossero sospetti di attività latomica. Un ruolo particolarmente attivo venne svolto da Franck Bellini, Charles Fama e da Arturo Di Pietro, fratello “sotto la volta celeste“. Dopo fitti scambi epistolari con Giuseppe Leti – giunto a Parigi dalla Polonia, ove nel 1926 aveva avuto inizio il suo pellegrinaggio di esule – Charles Fama e altri dettero vita alla Società Nazionale « Fides », fulcro di altri sodalizi, impegnati nella raccolta di fondi e, soprattutto, nell’informazione dell’opinione americana sulle reali condizioni dell’Italia di Mussolini 22. Tra le realizzazioni più efficaci – oltre a trasmissioni radiofoniche settimanali e a conferenze in numerose città statunitensi – la « Fides » curava altresì la pubblicazione del Bollettino, « Italia », formalmente diretto da Filippo Turati e redatto in gran parte da Arturo Di Pietro, lanciato d’intesa con Francesco Saverio Nitti ed Eugenio Chiesa, a sua volta destinatarío di aiuti da utilizzare « secondo la sua coscienza » 23.
      L’azione della « Fides », « diretta principalmente agli elementi liberali, protestanti e massoni, non associati ad alcun partito », era considerata soddisfacente anche per i legami stabiliti tra i suoi promotori e la sezione di Washington della Lega dei diritti dell’uomo e per la diffusione da essa assicurata presso il pubblico americano di opere – quali Escape di Francesco Nitti -, il cui straordinario successo si traduceva in una maggior penetrazione delle ragioni dell’antifascismo democratico e in una pacata e ferma confutazione, negli Stati Uniti, degli agenti del regime, certo non inoperosi.
      Per i Fratelli d’oltre Oceano “liberali” erano, s’intende, tutti i fautori di un programma di rinnovamento civile, senza riferimenti all’uno più che all’altro partito. Tra i componenti del Comitato generale della « Fides » si contavano, infatti, i rappresentanti di 3 organizzazioni operaie, 4 repubblicani, 11 socialisti, 5 ministri evangelici, 2 senza partito alcuno e 23 “massoni“: un’insegna, questa, che accomunava, come sempre, al di sopra di qualsiasi altra distinzione 24.
      L’unità d’azione era il criterio al quale s’attenevano Fama, Di Pietro e gl’italo-americani, allarmati non tanto per l’azione di disturbo di agenti del regime quanto per le talora ingenerose intemperanze di alcuni esuli che proponevano i motivi di antichi e recenti contrasti tra le correnti dell’antifascismo, determinando disagio e disorientamento 25. Di tale pericolo si fece interprete Arturo Di Pietro in una lettera a Giuseppe Leti dell’11 agosto 1930. Ricevuto da Nitti l’opuscolo « G. e L. », – il cui contenuto era stato divulgato in vari modi -, Di Pietro confermava la decisione di inviare a Leti i fondi, da ripartire in Francia secondo i bisogni locali, a cura di un comitato di tre membri, rappresentanti di Massoneria, « Giustizia e Libertà » e Concentrazione antifascista. « Il prof. Salvemini è già informato in linea di massima di quello che intendiamo fare », assicurava di Pietro. « Il modo come potere fornire tali aiuti finanziari ai detti organismi – aggiungeva lo stesso in una successiva lettera del 2 ottobre – fu già tempo fa discusso e studiato tra il compianto amico Eugenio Chiesa e la Segreteria Generale della “Fides ».       Sarebbe tuttavia errato ritenere che il concorso finanziario d’Oltreoceano sia stato l’elemento determinante per la ricostituzione del G.·.0.·.d’It.·.. Il 22 dicembre 1930, infatti, Giuseppe Leti sgombrò il campo da qualsiasi equivoco, a tal riguardo, precisando a Franck Bellini: « Sommariamente e in linea generale, Vi dirò questo solo. Io per me non chieggo e non accetto nulla, sebbene i bisogni miei siano ragguardevoli. Per la massoneria italiana ricostituita io non chieggo nulla da alcuno; accetto solo da fratelli italiani; se fratelli americani (mai profani) vogliano spontaneamente fare qualche cosa, riservatamente, senza romore, senza collettazioni e pubblicità, sarà da vedere, caso per caso, come regolarsi » 26.
      Nel corso del 1930 Eugenio Chiesa (passato all’Oriente Eterno il 12 giugno), Arturo Labriola, suo successore come Gran Maestro Aggiunto, Cipriano Facchinetti, gli altri più noti esponenti dell’Ordine – in molta parte raccolti nella combattiva Loggia « Giovanni Amendola » all’Oriente di Parigi 27 – e, soprattutto, Giuseppe Leti erano andati svolgendo un’opera di grande rilievo per ricondurre all’unità le molte correnti dell’antifascismo dell’esilio, scosso dalla fondazione di « Giustizia e Libertà », “movimento” che proponeva di « archiviare per ora le tessere », di rilanciare l’iniziativa in Italia e chiedeva il privilegio di farsene carico esso solo 28.
      Questo era anche il senso degli appelli rivolti da Arturo Labriola dentro e fuori la Famiglia. Con la circolare n. 1 (datata da Londra, 31 gennaio 1931), il G.·. Maestro Aggiunto affermò infatti: « Oramai è fatale che la rinascita italiana potrà avvenire soltanto ad un patto: la distruzione totale, contemporanea e perpetua, di tutte le vecchie impalcature politiche, culturali, religiose, il cui tradimento e fallimento è stato completo; e la sostituzione di una democrazia pura, che nella forma, negli istituti e nel contenuto sostanziale costituisca in atto l’applicazione intenzionale e pratica dei principi di governo e di vita insegnati da Giuseppe Mazzini, che, se non fu iniziato, appartenne però come onorario a varie Loggie, e fu veramente eletto e maestro. La vita italiana – proseguiva Labriola – ora che tutto vi è stato lacerato e imputridito, deve essere resurrectio ab imis: solo allora si potrà riprodurre in Italia un clima respirabile per le nuove generazioni » 29.
      Due mesi dopo, rivolgendosi ai supremi dignitari delle Comunioni sorelle, il Gran Maestro Aggiunto delineò l’obiettivo della « reconstitution du Gr.·. Orient.·., nécessaire non seulement pour reprendre la tradition maçonnique italienne, mais, en outre, pour ne point la laisser se perdre au profit de la réaction ».
      Alle Potenze liberomuratorie straniere era lasciata la responsabilità di scegliere tra ignorare o aiutare gli sforzi dei Fratelli italiani in esilio, le cui decisioni « en tout cas son légitimées, renforcées par des variés et précedents congénères relatifs à d’autres Maçonneries tombées sous le joug de la dictature ». « L’Italia – aggiunse Labriola nell’appello “ai Fratelli Italiani in Patria e fuori di Patria!“, datato da Londra il 20 settembre 1931 – è alla breccia di Porta Pia, non negli accordi del Laterano… Il XX settembre di ieri fu un programma ed un’allegoria; il XX settembre di domani vorrà essere un adempimento e una realtà. All’Italia di domani laica, repubblicana, amministrata dal popolo, sommessa alle sue rischiarate e consapevoli volontà, la nostra Istituzione manda gli auspici e prepara le vie… ».
      Il Gran Maestro si muoveva dunque sulla linea tracciata dall’o.d.g. approvato dalla prima riunione del Governo dell’Ordine i cui atti risultino verbalizzati (10 ottobre 1930): « Il Grande Oriente – vi si diceva – esaminata la situazione italiana, indipendentemente da ogni pregiudiziale di partito, afferma che la crisi italiana è ormai nettamente caratterizzata dalla necessità della conquista rivoluzionaria di istituti repubblicani che garantiscano al popolo l’esercizio dei diritti consacrati dal trinomio massonico » 30.       Nel corso del 1931 i massoni italiani unirono ai travagli dell’Arte Reale un serrato impegno per restituire unità al fronte democratico antifascista. Proprio Giuseppe Leti funse da presidente della commissione (composta da Nenni per il Psi, Ferdinando Bosso per la Lidu e Felice Quaglino per la Cgil) incaricata, nell’ottobre 1931, di esaminare il problema dell’azione antifascista in Italia e di « prendere contatto con le organizzazioni che, sul programma della Concentrazione, a questa azione si dedicano » 31.
      In tale veste Leti fu il destinatario delle condizioni alle quali Cianca e Rosselli, a nome di « Giustizia e Libertà » accettavano il patto d’unità d’azione con la Concentrazione antifascista 32 e, il 30 ottobre, era ancora il Sovrano Gran Commendatore degli scozzesisti italiani a redigere un lungo memoriale « Al comitato Centrale ed al Consiglio Generale della Concentrazione », con i sei punti che avrebbero dovuto sciogliere qualsiasi contrasto e remora, anche se, in pari data, accompagnando tale risoluzione, Leti precisava: « Il risultato del nostro lavoro non costituisce affatto né una soluzione ideale, né il tocca-sana della situazione; è il meno peggio che siasi potuto trovare con una serie di sforzi e di rinunzie ( … ) » 33.       Negli stessi anni Giuseppe Leti fu al centro di una fittissima corrispondenza “politica” con un gran numero di antifascisti (e non solo dell’esilio) – quali Francesco Saverio Nitti, già presidente del consiglio, Carlo Sforza, ex ministro degli esteri, l’irredentista Salvatore Barzilai, Alberto Tarchiani, Alberto Cianca, Pietro Nenni, Filippo Turati, Emilio Lussu, Emanuele Modigliani, Silvio Trentin, Oddino Morgari, Achille Loria … : nessuno dei quali ignorava ch’egli fosse (come gli scriveva Turati) « intinto di pece massonica » e che anzi bene sapevano che proprio la qualità massonica animava l’azione sua e dei suoi collaboratori. Per un numero crescente di esuli, del resto, si stabilì un rapporto di « fratellanza » non solo nei comitati interpartitici, ma anche in sedi più idonee.
      Dunque, il Grande Oriente era divenuto un’abside della composita architettura dell’antifascismo? Tutt’altro. Esso conservava infatti uno stile inconfondibile: i lavori delle sue Officine, consolidate, ampliate, chiamate a più assidua disciplina rituale, e il programma globale, più volte ribadito nelle Assemblee e nelle sedute di Governo dell’Ordine, come nei pubblici annunzi dei suoi programmi, immediati e generali.
      Già il 31 gennaio 1931 Arturo Labriola aveva precisato che l’azione civile « non significa, per noi, fare della politica, o combattere una religione. La nostra Istituzione è insieme spirituale, di cultura, di incitamento, e operativa. Prepara al migliore avvenire le genti, ma le aiuta anche cogli atti positivi a riscattarsi da ogni abbiezione e da ogni servitù sì materiale che morale. Questo fu sempre il suo compito, oggi non lo muta, lo continua ». Nel citato appello del 20 settembre – di poco precedente le definitive dimissioni, rese irrevocabili dal 29-XI-1931 – egli aveva aggiunto: « ( … ) lungi dal voler fare opera politica, non vogliamo che ristabilire, fratelli miei, l’impero della verità e della giustizia; il clima della civiltà; il terreno e i modi propizi alla Libertà, alla Eguaglianza, alla Fratellanza; e preparare e consolidare loro per sempre l’avvenire. È la nostra tradizione e il nostro destino, che non mutano e non si arrestano ».
      Su quella stessa linea, con significativa lungimiranza, salutando l’avvento della repubblica in Spagna, il Governo dell’Ordine metteva in guardia dal razzismo ormai dilagante nell’Europa centrale 34.   18. U. Bacci a Frank Bellini, Roma, 23 maggio 1922. La notizia era stata anticipata al Gran Segretario di Palazzo Giustiniani dal massone italo-americano Diana.

NORE
19. 0. Lang a Frank Bellini, New York, 28 gennaio 1923. Lang scriveva di aver letto la « Rivista Massonica » « with much interest » e domandava donde fossero state tratte le puntuali notizie pubblicate da Bacci intorno alla sua attività liberomuratoria.

20. Cfr. Appendice, doc. n. I.

21. Sull’ormai annosa questione U. Bacci inviò una lunga lettera a Franck Bellini (Roma, 25 marzo 1927) puntualizzando la posizione del Gran Maestro Aggiunto, Meoni, e del Comitato di Ordinamento: « Certo il G.M.A., in nome di tutti noi, si presterà mai a mandar liste di bisognosi ai quali elargire elemosine; e tu, allora dovrai riprendere in mano, sia pure con altri amici, l’opera che ti venne commessa, e fare così come hai fatto a Cleveland, presso i Fratelli italiani delle altre più importanti città degli Stati Uniti, senza bisogno di chiedere autorizzazioni o controlli, perché, evidentemente, i singoli massoni italiani, come persone, possono accogliere liberamente le nostre richieste, senza doverne rendere conto a nessuno. Qua si vive in angustie indicibili ( … ) ».

22. In proposito un ampio « resoconto » su carta intestata della « Società Nazionale Fides » (Charles Fama, presidente; Arturo Di Pietro, segretario generale). Per i soli mesi di marzo e aprile 1930 esso dava conto, tra l’altro, delle commemorazioni di Giuseppe Mazzini e della Repubblica romana e forniva minute indicazioni sul movimento di cassa, che, tra quote associative, contributi e incassi per vendite e abbonamenti, raccoglieva 394 dollari contro 372 di spese postali, rimborsi, e 16 dollari di contributo alla Concentrazione Antifascista di Parigi per la pubblicazione del Bollettino « Italia ».

23. Copiose notizie al riguardo nelle lettere di A. Di Pietro a Giuseppe Leti, da New York (1929-31) (GOI, AS). Su Charles Fama v. JOHN P. DIGGINS, L’America, Mussolini e il fascismo, Bari, Laterza, 1972, che però non fa cenno all’attivismo propriamente massonico suo e degli altri Fratelli d’oltre Oceano.

24. A. Di Pietro il 2 agosto 1930 informava Leti: « Fin dallo scorso febbraio io ho cercato di mettere insieme nella “Fides” i massoni sicuri di Chicago, associandoli ad elementi liberali di cui possiamo fidarci ». Il 2 ottobre 1930 egli annunziava la formazione di « un Comitato di generosi (di cui sono esponenti principali l’avv. Francesco Di Bartolo, i fratelli Romeo e Giacomo Battistoni e Domenico Pieri) sorto in Buffalo per tentare l’esperimento di una collettazione di fondi, esperimento che è stato coronato da successo essendo già stati raccolti 25 mila franchi (di cui 15 mila già spediti a Parigi) e con la prospettiva di poter presto superare i 30 mila franchi ».
Ecco, di seguito, l’elenco del Comitato generale per il soccorso ai massoni italiani in esilio e a Concentrazione antifascista. Di ciascun componente veniva anche indicato l’orientamento politico, sia per evitare malevoli insinuazioni, sia per dimostrare la piena concordia, nello spirito superiore della fratellanza, tra i pur diversi orientamenti ideologici (GOI, AS): Michele Armato, Chicago Ill. (Massone); Luigi Antonini, New York City (Organizzazioni Operaie); Gioacchino Artoni, Paterson N.J. (Organizzazioni Operaie); Giacomo Battistoni, Buffalo N.Y. (Socialista); Romeo Battistoni, Buffalo N.Y. (Massone); G. Bellini, New York City (Massone); Ing.re G. Bolaffio, Brooklyn N.Y.; Prof. Mario Bottasini, Rochester N.Y. (Massone); Nino Carminati, Portsmouth N.H. (Repubblicano); Prof. Gaetano Cavicchia, Providence R.I. (Massone); Dott. Domenico Crachi, Brooklyn N.Y. (Massone); Dott. Alfredo D’Aliberti, Steubenville Ohio (Ministro Evangelico); Prof. Teodoro De Luca, Wakefield N.J. (Massone); Avv. Francesco Di Bartolo, Buffalo N.Y. (Massone); Dott. Angelo Di Domenica, Philadelphia Pa. (Massone, Ministro Ev.); Arturo Di Pietro, Brooklyn N.Y. (Repubblicano); G. E. Fabiani, Pittsburgh Pa. (Massone); Dott. Carlo Fama, New York Cíty (Massone); Dott. Nino Firenze, Brooklyn N.Y. (Repubblicano); Avv. Attilio Fusco, New York City (Massone, Socialista); Prof. Salvatore Giambarresi, Boston Mass. (Ministro Evangelico); Santo Giunta, Wakefield Mass. (Massone); Michele Iacocca, Troy N.Y.; Vitantonio La Sorte, Endicott N.Y. (Massone, Socialista); G. Manfredini, Chicago Ill. (Massone); M. C. Marsiglia, Washington D.C. (Massone, Ministro Evangelico); Avv. Gaspare Nicotri, New York City (Massone, Socialista); Gennaro Onorato, Providence R.I. (Socialista); Salvatore Ninfo, New York City (Massone, Organizzazioni Operaie); Prof. Giovanni Pompeo, Boston Mass. (Massone); Serafino Rornualdi, New York City (Socialista); Domenico Ruggieri, New York City (Socialista); Carmelo Sanfilippo, Uniontown Pa. (Massone, Repubblicano); Dott. Amedeo Santini, Detroit Mich. (Massone, Ministro Evangelico); Dott. Nicola Scarito, Lawrence Mass. (Massone); Armando Sichi, Washington D.C. (Socialista); Dott. Matteo Siragusa, Brooklyn N.Y. (Socialista); On. Vincenzo Vacirca, New York City (Socialista); Giuseppe Zegarelli, Utica N.Y. (Massone, Socialista).
Consiglio direttivo: Dott. Carlo Fama, Presidente; Avv. Gaspare Nicotri, V. Presidente; M. C. Marsiglia, V. Presidente; Romeo Battistoni, Tesoriere; Arturo Di Pietro, Segretario; Giacomo Battistoni, Prof. Gaetano Cavicchia, Avv. Francesco Di Bartolo, Avv. Attilio Fusco, Revisori.
Commissione esecutiva: Avv. Gaspare Nicotri, Presidente; Avv. Attilio Fusco, Segretario Finanziario; Arturo Di Pietro, Segretario.
Massoni 23, Organizzazioni operaie 3, Socialisti 11, Repubblicani 4, Ministri Evangelici 5, Senza partito 2.

25. Particolare disagio suscitarono talune sortite di Gaetano Salvemini contro la condotta di Palazzo Giustiniani durante la crisi culminata con l’avvento del regime. Nelle conferenze spesso organizzategli negli Usa da massoni italo-americani (come risulta dai resoconti di Di Pietro a Leti), l’antico interventista e antigiolittiano andava ripetendo che la generazione antefascista aveva compiuto errori gravissimi e doveva quindi essere definitivamente accantonata. Tra i massoni d’oltre Oceano taluno osservò che anche Salvemini era pertanto « un vecchio di quella generazione che ha commesso “errori” gravissimi » e che, quindi, a sua volta avrebbe dovuto trarsi da parte. Era quindi Giuseppe Leti, da Parigi, a rassicurare i massoni italo-americani sulla sicura buona fede del pur irruente storico pugliese: « ( … ) gli amici ed io diamo a lui – e bisognerebbe che Voialtri deste in America – una importanza più che relativa. Egli è un’anima sincera, un gran galantuomo, un quasi dotto. Il suo nome ci serve. Ma – come tutti gli uomini – il S.(alvemini) ha pure difetti gravi: è unilaterale, impulsivo, dominato da certe pregiudiziali politiche e anti-massoniche divenute il suo abito. E allora non gli si chiedono consigli, e non è detto che vengano eseguiti quando egli ne dà spontaneamente. Gli vogliamo bene, siamo felici che stia con noi; ma non discutiamo mai con Lui, e facciamo il meglio che possiamo anche se Egli non approvi ( … ) ». 26. G. Leti a Franck Bellini, Parigi, 22 dicembre 1930.

27. Il nucleo fondamentale del nuovo Grande Oriente coincideva in larga misura con la loggia « Italia », all’Oriente di Parigi. Un “piedilista” annotava anche il “colore politico” dei membri del Governo dell’Ordine: Giuseppe Leti, repubblicano; Eugenio Chiesa, repubblicano; Cipriano Facchinetti, repubblicano; Ettore Zanellini, radicalsocialista; Giacomo Carasso, repubblicano; Alberto Giannini, socialista; Nino Cordovado, repubblicano; Cesare Lazzari, repubblicano; Arturo Labriola, socialista; Aurelio Natoli, repubblicano; Luigi Campolonghi “repubblicano-socialista“.

28. Dalla vastissima letteratura su « Giustizia e Libertà » e gli esuli politici ci limitiamo a segnalare, tra le opere più ricche di indicazioni bibliografiche, N. TRANFAGLIA, Carlo Rosselli dall’interventismo a « Giustizia e Libertà », Bari, Laterza, 1968; AA.VV., Giustizia e Libertà nella lotta antifascista e nella storia d’Italia: attualità dei fratelli Rosselli a quaranta anni dal loro sacrificio, Firenze, La Nuova Italia, 1978; Nello Rosselli: uno storico sotto il fascismo, a cura di Zeffiro Ciuffoletti, Firenze, La Nuova Italia, 1979; Epistolario familiare di Carlo, Nello Rosselli e la madre (1914-1937), a cura di Zeffiro Ciuffoletti, Milano, SugarCo, 1979; AA.VV., L’emigrazione socialista nella lotta contro il fascismo (1926-1939), Firenze, Sansoni, 1982.

29. Il Gran Maestro Aggiunto, Arturo Labriola, 33.·., A tutte le Loggie della Comunione Italiana, Londra, 31 gennaio 1931, su carta intestata « Grande Oriente d’Italia (già palazzo Giustiniani, a Roma) », indirizzo: M. F. Galasso M.D., 2, Sheriff Road, West Hampstead, London, D.W. 6, pp. 2 (stampato Paris, Impr. Nouvelle, 11 rue Cadet, J. Amicar dir.).

30. Cfr. Appendice, doc. n. III. Sarebbe però errato identificare tale scelta con l’opzione esclusiva per un partito. Proprio Leti, che fungeva da rappresentante del partito repubblicano nella Concentrazione antifascista, scrisse: « Noi siamo organismo di élite, non abbiamo contatto colle masse, ma nutriamo i partiti della nostra linfa, e dobbiamo aiutarli ad avviarsi là dove è la vita » (Il Supremo Consiglio d’Italia, New York – in realtà Parigi -, 1932, p. 216).

31. Cfr. Appendice, doc. n. V.

32. Cfr. Appendice, doc. n. VI.

33. « Però non sappiamo – proseguiva Leti – se le nostre proposte saranno integralmente accettate da “Giustizia e Libertà“. Il collega relatore Nenni si è incaricato di riprendere contatto con tale organizzazione. Se con essa egli potrà raggiungere l’accordo, il Nenni presenterà alla “Concentrazione” la nostra relazione e le nostre proposte concrete ieri sera definite e ridotte in scritto. Se “Giustizia e Libertà” rifiuterà, allora vuol dire che (essendosi da nostra parte fatto il massimo delle concessioni, su cui parecchi di noi non credono di potere tornare), allora il compito della Commissione sarebbe esaurito con risultato del tutto negativo. Siccome ciò non è ancora risaputo, io, come Presidente della Commissione, sento il dovere di avvertire di quanto sopra gli organi della “Concentrazione” perché il nostro silenzio non sembri Loro che la Commissione abbia mancato all’assuntosi dovere ».
L’accordo prevedeva sei punti, tra i quali l’ingresso nel Comitato della Concentrazione antifascista di rappresentanti del « movimento rivoluzionario “G.” e “L.” », riconosciuto quale « movimento unitario dell’azione in Italia », ma che a sua volta accettava il programma e la disciplina della Concentrazione. In « G. e L. », come movimento unitario, entravano altresì gli aderenti ai « partiti e movimenti » della Concentrazione, « salvo i diritti di attività autonoma loro riconosciuti dal patto costitutivo della Concentrazione ». L’accordo avrebbe anche dovuto risolvere il contrasto con la « Giovane Italia », sorta dalla scissione del partito repubblicano.
Per i contatti Leti-Nenni cfr. Appendice, doc. n. VIII.

34. Verbali GOIE, Governo dell’Ordine, 21 maggio 1931: « L’entrata dei popoli mediterranei nelle vie della nuova civiltà democratica ed umana arricchisce tutta la nostra specie di un nuovo tesoro di pensieri, di sentimenti e di fatti (…) L’aurora dei popoli coincide col sorgere della libertà ».  

NOTE

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IL GRANDE ORIENTE D’ITALIA – . . . all’esilio

…all’esilio

 
      Nei mesi seguenti le leggi eccezionali ebbe luogo una terza ondata di espatri dall’Italia, per ragioni politiche, molti dei quali clandestini. Fu questo il caso del deputato repubblicano Eugenio Chiesa, schietto alfiere delle libertà parlamentari dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti e di Giovanni Amendola 12. Della schiera di esuli fecero parte anche molti massoni, che avevano protratto sino all’estremo la loro resistenza civile in Italia e ora raggiungevano, in Francia, quanti – come Ubaldo Triaca, già garante d’amicizia presso il Grande Oriente di Francia – sin dal 1922 avevano messo in guardia dalle mire dittatoriali di Benito Mussolini.
      La situazione determinatasi in Italia suonava conferma di tesi circolanti nella Massoneria italiana sin dagli albori del Risorgimento: quando era stato denunziato il significato emblematico dell’art. 1 dello Statuto, che Giovanni Bovio aveva detto di voler conservare quale gufo impagliato sulla porta di un castello fatiscente, a comprova del declino delle istituzioni che avessero voluto appoggiarsi a un patto teocratico di potere.
      I massoni in esilio – in linea con la storiografia “radicale“, da Giustino Fortunato a Piero Gobetti – consideravano il regime la “rivelazione” della minorità nella quale eran sempre rimasti nella penisola sia una formula politica (la democrazia) che il presupposto di qualsiasi costituzione, cioè il postulato (propriamente liberomuratorío) della libertà e della tolleranza.
      La fedeltà al principio andersoniano della lealtà nei confronti del capo dello Stato – perseguito attraverso la mediazione del fratello Giovanni Amendola – aveva dato i frutti possibili sino al cedimento di Vittorio Emanuele III. L’epilogo della crisi italiana aveva anche confermato l’altro concetto cardine della tradizione liberomuratoria: se non fossero riuscite a ritrovare unità d’intenti, al di sopra delle pur legittime distinzioni tra scuole e memorie, le forze della libertà non sarebbero giunte a riscattarsi dal regime. Il Grande Oriente aveva infatti perduto d’efficacia proprio quando, tra i molti, erano prevalsi uomini che perseguivano l’obiettivo di eliminare qualsiasi concorrenza e di costringere i fiancheggiatori a irreggimentarsi o a scomparire.
      Molti tra i massoni trasmigrati in esilio avevano del resto vissuto dall’interno il precoce autunno dell’Aventinismo: troppo chiuso nel quadro statutario per riuscir efficace, giacché, anche in quel periodo, la rappresentatività dello Stato era rimasta nelle mani del governo, che aveva quindi ulteriormente ridotta di dimensioni la già assediata autonomia anche delle Istituzioni autocefaliche, quali il G.·.O.·.d’I.·.  

12. Sul pugnace militante repubblicano (per il cui pensiero vedasi Le mani nel sacco, Milano, Tarantola, 1946) un succoso e informato profilo di ARTURO COLOMBO, La lezione di Eugenio Chiesa, in « Archivio trimestrale », Roma, VI, 1980, f. 2, pp. 219-25 con l’Appendice, Chiesa nel ricordo della Massoneria, testo della « plaquette » edita dalla Loggia parigina « Italia Nuova » l’8-X-1930.
Sull’espatrio clandestino di Chiesa – che venne aiutato da Gigino Battisti – A. GAROSCI, Storia dei fuorusciti, Bari, Laterza, 1953; ID., La vita di Carlo Rosselli, Roma, Edizioni U, 1946.  
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IL GRANDE ORIENTE D’ITELIA – Un Ordine contro gli “ordini”: dal pogrom

Un Ordine contro gli “ordini”: dal pogrom

 
      L’antifascismo del Grande Oriente d’Italia in esilio era alimentato da tre fondamentali componenti: la formazione ideologica e le personali vicende dei suoi dignitari e, in genere, dei suoi affiliati; il retroterra storico dal quale esso – come istituzione – proveniva e l’incoraggiamento che in tal senso giungeva da quanti, sin dal 1925-26, avevano fiancheggiato l’azione dei massoni italiani, in numero crescente costretti all’esilio, in Francia, Belgio, Inghilterra e Americhe.
      Benché sian note, per maggior chiarezza vanno rievocate le fasi essenziali della determinazione dell’incompatibilità tra il regime dittatoriale instaurato in Italia e la Libera Muratoria: un contrasto che dal livello della dottrina morale si tradusse presto in norme statuali, lesive delle libertà civili, e in azione amministrativa e penale degli organi dello Stato, in spregio dell’ormai secolare evoluzione liberale del diritto 6 bis.
      Il 20 novembre 1925 il Senato del regno approvò la legge che vietava ai pubblici impiegati l’iscrizione ad associazioni segrete. Benché il testo non ne facesse menzione, presentandola alle Camere come « la più fascista » delle sue proposte, lo stesso presidente del Consiglio, Benito Mussolini, aveva dichiarato l’intenzione di estirpare la Massoneria dal corpo della nazione 7.         Su quella traccia s’erano poi mosse le relazioni che accompagnarono in Aula il disegno di legge e, di conseguenza, tanto alla Camera che al Senato, il dibattito era stato occasione per una pubblica riflessione – anche in chiave storica – sul ruolo trascorso e presente della Massoneria nella Terza Italia. Esso aveva anzi offerto modo a taluni autorevoli esponenti della vita intellettuale italiana – quali B. Croce e G. Mosca – di formulare sull’Ordine giudizi sostanzialmente diversi rispetto a quelli pronunziati all’inizio del Novecento, in tutt’altro clima politico.
      Alla vigilia della pubblicazione della legge sulla « Gazzetta Ufficiale » del Regno, il Gran Maestro, Domizio Torrigiani, emanò un decreto di sospensione dei lavori di tutte le logge del regno e delle colonie: misura cautelativa, atta a porre le officine al riparo dalla prevedibile rappresaglia di uno squadrismo che imperversava coperto dalla polizia del regime, orchestrata da un ministro degl’interni sempre pronto ad avallare le violenze antimassoniche con ordinanze, circolari e disposizioni particolari costruite sulle situazioni di fatto 8. L’obbligo per i pubblici impiegati di dichiarare su appositi moduli se, quando e per quanto tempo avessero fatto parte dell’Istituzione e altre misure gravemente persecutorie fugarono gli ultimi dubbi sulla possibilità di ritagliare qualche margine di sopravvivenza per la Massoneria in Italia, come associazione riconosciuta: prassi che, date le circostanze, si sarebbe tradotta in una petizione vassallatica del tutto inconciliabile con la tradizione liberomuratoria.
      Sospensione dei lavori e scioglimento delle Officine non significarono però dissoluzione del Governo della Massoneria, rimasto al suo posto per « continuare la vita dell’Ordine ». Nel maggio-giugno 1926 esso rientrò del resto in pieno possesso di sedi, arredi e archivi, temporaneamente sottoposti a sequestro inquisitorio. Di più: il Gran Segretario, Ulisse Bacci, per sottolineare che la Libera Muratoria italiana non si riteneva vulnerata dalla legge sull’appartenenza dei pubblici impiegati ad associazioni riprese anzi a pubblicare la « Rivista Massonica » pur tra sequestri e vessazioni 9.       La condotta del Grande Oriente si ispirò a due criteri, distinti e tuttavia convergenti. La persecuzione antimassonica rendeva pericolosa la convocazione di una Gran Loggia, che avrebbe esposto troppi Fratelli alle aggressioni delle squadracce. L’Ordine rifiutava tuttavia di subire l’illegalità, uscendo semplicemente di scena e risparmiando al governo l’impiego di mezzi straordinari. Se il regime voleva vietare la Massoneria doveva dirlo a tutte lettere, non con leggi ancìpiti o l’esercizio della violenza fisica: atta, certo, a sgomentare i singoli, ma dinanzi alla quale le Istituzioni non eran certo disposte a far getto di un patrimonio di storia secolare. Al tempo stesso, proprio perché impedito di radunare il popolo massonico, il Gran Maestro non poteva né restituire i poteri che ripeteva dalla Gran Loggia, né sciogliere alcuno dai vincoli contratti, con l’iniziazione, nei confronti non della sua persona, bensì dell’Ordine. Dal punto di vista giuridico la situazione non mutò quando Torrigiani, nel settembre 1926, incaricò un Comitato Ordinatore di curare gl’interessi materiali delle Officine e delle sedi centrali della Comunione, in via di liquidazione. Per aver ragione dell’Ordine il regime dovette quindi imboccare la via della manifesta violazione dello Statuto, mostrando in tal modo – proprio come la Massoneria voleva – che il fascismo non solo non era garante del ripristino dell’ordine, bensì esso stesso si fondava sulla pratica dell’illegalità, sia pure ammantata coi dubbi panni dei decreti legge e, peggio, di ordinanze ministeriali, circolari prefettizie, o, semplicemente, dei dispacci riparatori diramati dall’esecutivo, ai vari livelli, in spregio delle garanzie statutarie.
      Per tale via si giunse alle leggi speciali del 1926-27, proclamate all’indomani dell’oscuro attentato attribuito ad Anteo Zamboni, seguito da rumorose manifestazioni di piazza, orchestrate per far credere che il paese assecondasse l’estremismo governativo, culminante nel ripristino della pena di morte e nell’arbitrario scioglimento di tutte le organizzazioni politiche, sindacali, culturali non obbedienti al governo. Nei confronti della Massoneria le leggi speciali non aggiunsero però nulla alle norme in vigore: infatti le misure vessatorie assunte nei confronti di Palazzo Giustiniani (e, ormai, anche di Piazza del Gesù) non furono che applicazioni discrezionali ed estensive di provvedimenti che, nel loro enunciato originario, non menzionavano affatto i templi di Hiram. Per quanto intenzionato ad abbattere l’Ordine, il regime non riusciva dunque a percorrere se non le « vie di fatto »: proprio quelle, però, destinate ad avere le ripercussioni più irrilevanti nella continuità giuridica della Comunione italiana, il cui Gran Maestro, Torrigiani, nell’aprile del 1927 rientrò dalla Provenza, posponendo le cure della sua già malferma salute a quelle per il Fratello Luigi Capello, artificiosamente coinvolto nel processo per l’attentato Zaniboni. Condannato a cinque anni di confino – con una generica accusa di attività antigovernativa, tendente a identificare il governo con lo Stato, secondo la logica   del regime – e deportato nell’isola di Lipari 10, Torrigiani perdette l’ultima possibilità di una regolare restituzione all’Ordine del Supremo Maglietto, di cui, pertanto, rimase depositario.       L’interruzione dei lavori e l’impedimento del Potentissimo non comportarono né la perdita della qualità iniziatica da parte di quanti l’avessero regolarmente ottenuta, né il divieto, per i Fratelli d’Italia, di praticare le volte d’Hiram presso le numerose logge italofone tuttavia esistenti in altri Paesi (frutto di antiche vicende), né, tantomeno, di farsi ricevere presso Officine di altri Orienti, in nome della fratellanza universale della Famiglia.
      Al termine di un quinquennio di persecuzione, la Libera Muratoria italiana risultò dunque non sciolta, bensì congelata – come altre volte era accaduto nella storia della penisola -, tantoché il Supremo Consiglio scozzesista continuò i suoi lavori, pur nelle forme dettate dall’impossibilità di qualsiasi riunione, fosse pure riservata.
      Esso teneva acceso il pegno dell’Ordine, dal quale i professi dell’Alta Massoneria traevano iniziazione e legittimità, come già altre volte era accaduto nella storia d’Italia: segnatamente nella lunga vigilia dall’età napoleonica all’unificazione, quando, appunto, gli alti gradi scozzesisti eran rientrati tra le Colonne per riconoscersi nell’Ordine, non certo per seminare il disordine in poteri che nascono dalla Gran Loggia, né mai potrebbero surrogarla.
      L’offensiva antimassonica scatenata in Italia dal 1923 non aveva suscitato all’estero reazioni proporzionali alla gravità degli eventi, in molti casi ritenuti l’inevitabile scotto per la diffusa presenza nella contesa politica se non dell’Ordine in quanto tale di molti suoi affiliati. Il regime, del resto, almeno in primo tempo, non solo insisté nell’accusare il Grande Oriente d’Italia di indebito attivismo in campo profano, ma, oculatamente, lasciò che la tesi di una catarsi liberomuratoria attraverso un forzato bagno latomico venisse avanzata da volumi editi da case fiancheggiatrici del partito al governo 11.   6 bis. Cfr. Circolare antimassonica del P.F.N. (1925) (La Melagrana).

7. La Relazione Mussolini venne pubblicata da A. Luzio, in Appendice al vol. II di La Massoneria e il Risorgimento, Bologna, Zanichelli, 1925, pp. 281-86: uscita in coincidenza con l’approvazione della legge sull’appartenenza dei pubblici impiegati ad associazioni segrete. Manca un’opera esauriente sull’antimassonismo mussoliniano, da taluni ricondotto a un’asserito diniego di accoglierne l’iniziazione all’Ordine: spiegazione, codesta, riduttiva e niente affatto convincente, visto che a Mussolini non mancò certo l’appoggio della Serenissima Gran Loggia di Piazza del Gesù nella fase, cruciale, dell’assalto al potere (ottobre 1922). Quel contrasto, in realtà, era insanabile per il totalitarismo del regime, in antitesi col pluralismo tollerante della Massoneria: per la quale lo Stato è strumento al servizio degli uomini, non tiranno teso a strumentalizzarli a sua volta. V. altresì C. SCHWARZENBERG, Diritto e giustizia nell’Italia fascista, Milano, Mursia, 1977.

8. La legge sull’appartenenza degl’impiegati alle associazioni, approvata il 20 novembre, venne pubblicata sulla « Gazzetta Ufficiale » il 26. Il decreto di Torrigiani è datato 22. Un esempio vistoso della copertura accordata dal ministro degl’Interni, Luigi Federzoni, alle imprese squadristiche antimassoniche con misure d’emergenza è dato dalle disposizioni impartite all’indomani del criminoso pogrom fiorentino del settembre-ottobre 1925, quando il leader nazionalista intimò la cessazione delle violenze contro le logge e i Fratelli perché ormai – egli scrisse – il governo stesso stava per prendere adeguate misure repressive contro il Grande Oriente (in proposito vedasi la nostra Storia della Massoneria dall’Unità alla repubblica, pref. di Paolo Alatri, Milano, Bompiani, 1976, p. 505). Federzoni non faceva che imitare l’esempio già dato dal Ministero degl’interni nel 1923-24, come documenta MARCELLO SAIJA, Un soldino contro il fascismo, Istituzioni ed élites politiche nella Sicilia del 1923, Catania, Celuc, 1981. V. altresì il nostro Gaetano Mosca e la Massoneria, in La dottrina di G. Mosca ed i suoi sviluppi internazionali, a cura di E. A. Albertoni, Milano, Giuffrè, 1982.

9. Sin dal 10 gennaio 1925 Ulisse Bacci s’era rivolto a Franck Bellini, a New York, chiedendogli « se la Massoneria negli Stati Uniti di America si considera ed è considerata come una Associazione segreta, ovvero se lo Stato non se ne occupa e la ignora » (GOI, AS). La « Rivista Massonica » subì ripetuti sequestri nel corso del 1925. L’anno successivo – l’ultimo di quella serie – Bacci evitò di diramare i pochi fascicoli pubblicati nel timore di rivelare gl’indirizzi dei massoni, in molte città fatti segno a sanguinosi assalti, che meriterebbero di essere analiticamente ricostruiti.
Subito dopo l’attentato di V. Gibson, Bacci fece in tempo a pubblicare un ultimo fascicolo, nel quale veniva deprecato l’attentato al presidente del consiglio – una soluzione sbrigativa ma inadeguata alla profondità della crisi civile in corso in Italia -. Sin dal 2 novembre 1926 comparvero però in talune città (per es. Padova) dei « Bandi », nei quali si intimava agli avversari del regime (nominativamente citati) di dare le dimissioni « da qualsiasi impiego o carica entro 48 ore dalla affissione (…) », lasciando la città, la provincia e « possibilmente l’Italia ». « Passato tale termine – concludevano i loro autori – lo squadrismo, fedele alla rivoluzione fascista, non garantisce l’incolumità dei predetti ». Nel caso di Padova, su 38 “proscritti“, 17 erano massoni delle Officine « La Pace », « Galileo », « Pitagora ». Il « bando » padovano è pubblicato nel catalogo La Massoneria nella storia d’Italia, Torino, Assessorato per la Cultura, 1980, p. 140.

10. Sulla condanna di Torrigiani ACS, MI, DGPS, AA GG RR, Ufficio Confino Politico, fasc. pers. TORRIGIANI Domizio (ma v. anche i ff . di MEONI Giuseppe e FERRARI Ettore), utilizzato nella sez. VII (Un Gran Maestro a confino) nella nostra Storia della M., cit., pp. 731 e ss. e La “linea del Piave” della libertà, « Hiram », Grande Oriente d’Italia, Roma, 1982, n. 4, pp. 103-106. Tra le testimonianze più interessanti sulla permanenza di Torrigiani a Lipari v. LEOPOLDO ZAGAMI, Confinati politici e relegati comuni a Lipari, Messina, 1970 e GAETANO FIORENTINO, La mattanza, in Diavoli e Frammassoni, Longo, Ravenna, 1981.
Sul “clima” politico-giuridico nel quale vennero pronunziate le condanne nei confronti dei massimi dignitari dell’Ordine v. Ministero della Difesa, Ufficio Storico SME, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, Decisioni emesse nel 1927, Roma, 1980.

11. È il caso di X.Y. 33, Espiazione Massonica, Milano, Alpes, 1927. « X.Y. » non è mai stato identificato con esattezza, malgrado non manchi di fornire particolari autobiografici che non conducono lontano dall’esatta individuazione (ex socialista e sindacalista, attivo in Loggia e in missione in paesi di lingua spagnola…). Esattamente individuata è invece l’Editrice « Alpes », controllata da Arnaldo Mussolini e dalla quale non sarebbe quindi mai stato pubblicato un libro non gradito a Mussolini stesso. Questi, intervistato da giornalisti stranieri, dichiarò che il governo combatteva il Grande Oriente d’Italia perché esso svolgeva attività politica e antinazionale. In realtà vennero impediti anche i tentativi – abbozzati da Raoul Palermi, di Piazza del Gesù – di trasformare quella organizzazione in un’Associazione culturale intitolata a San Giovanni di Scozia (ACS, Segreteria del duce, carteggio riservato, fascicolo Palermi Raoul).  
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