IL GRANDE ORIENTE D’ITALIA

Il Grande Oriente d’Italia dell’esilio (1930-1938)        

PREFAZIONE

      A mezzo secolo dalla loro scomparsa, la Massoneria italiana ricorda il Gran Maestro, Domizio Torrigiani, e il Gran Maestro Aggiunto, Giuseppe Meoni, arrestati e condannati al confino dal regime mussoliniano. I loro nomi – con quelli del S.·.Gr.·.C.·., Ettore Ferrari, e di molti altri Fratelli – bastano a provare l’intimo e immarcescibile legame fra la tradizione liberomuratòria, le lotte per le libertà e il « principio democratico nell’ordine politico e sociale », iscritto dalla Massoneria italiana, sin dal 1906, nell’art. 2 della sua Costituzione. In quali modi e attraverso quali azioni – generose sino al sacrificio della vita – tali intenti siano stati perseguiti dai massoni italiani rimane in massima parte da narrare; al riguardo la documentazione non è però affatto carente e da tempo il Grande Oriente ha aperto il suo archivio storico a studiosi qualificati e di onesto intendimento. Non si tratta, ben inteso, di inseguire traguardi di vana erudizione, né solo di rivendicare – con pur legittimo orgoglio – la memoria della nostra opera, bensì di soccorrere a quanti, disinformati, dimentichi o volutamente distratti, non cercano le radici dell’Italia contemporanea là dov’esse furono più profonde e consapevoli: nella lunga schiera di Fratelli, aperta da Tommaso Crudeli, Francesco Mario Pagano, Giandomenico Romagnosi, Melchiorre Delfico…
      Il saggio di Aldo Alessandro Mola sul Grande Oriente d’Italia dell’esilio – rigorosamente documentato, com’è costume dello storico apprezzato dentro e fuori la nostra Famiglia – prova in modo inoppugnabile la reciprocità tra la risorta Comunione dei Liberi Muratori d’Italia e il risorgimento della democrazia: i partiti della Concentrazione Antifascista e « Giustizia e Libertà », la cui organizzazione, in Italia, in larga misura coincise proprio con le logge clandestine. Non solo: ma i Grandi Maestri dell’esilio e il S.·.Gr.·.C.·., Giuseppe Leti, furono il punto di riferimento dei più animosi esponenti dell’antifascismo – Sforza, Turati, Treves, Nenni, Carlo Rosselli, Tarchiani, Salvemini… -, cioè anche di quanti, pur senza far parte della Famiglia, intesero che proprio tra le colonne delle Officine massoniche eran cresciuti all’amore per la libertà e per la giustizia i nostri Facchinetti, Chiostergi, Francesco Fausto Nitti, Raffaele Cantoni… e quanti, come Giordano Viezzoli e Mario Angeloni, combattendo in Ispagna contro i nazifascisti, iscrissero il loro nome nel martirologio della nuova Italia.
      Quando la storia della nostra Istituzione sia meglio conosciuta nella sua vera essenza, dovrà esser riscritta anche quella dell’Italia contemporanea, secondo l’auspicio espresso nel 1980 dal Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini, che invitava a constatare la presenza dei simboli massonici anche nelle insegne del movimento operaio sorgente nell’Italia dei nostri Lemmi, Nathan, Andrea Costa, Giovanni Bovio, Antonio Labriola e dell’insuperato Giuseppe Garibaldi, cui quella contemporanea idealmente si congiunge, nel segno di una collaborazione sovrannazionale che, tra i precedenti più validi, pone l’« Alleanza delle Massonerie perseguitate », promossa dal Grande Oriente d’Italia 45 anni orsono, quando il virulento antimassonismo nazifascista (sorretto o non tempestivamente né debitamente stigmatizzato da forze che poi ebbero amaramente a dolersene e già corrivo a pubblicare elenchi di Fratelli quali vere e proprie “liste di proscrizione“) rivelava i suoi estremi obiettivi: dopo i pogrom antisemiti la « soluzione finale » e la catastrofe di una nuova guerra mondiale.
      Quei precedenti – rievocati e documentati in questo denso saggio di Aldo Alessandro Mola – siano motivo di meditazione per tutti, così come sono norma d’azione per la nostra Famiglia: su tali pietre bene squadrate è fondata la nostra antica, attuale, perenne legittimità. ARMANDO CORONA
Gran Maestro della Massoneria Italiana

Dal Tamigi alla Senna: alla ricerca della Vera Luce

 

      Il 18 dicembre 1932, in una sala riservata di rue St. Martin, a Parigi, si svolse la terza Assemblea della Massoneria italiana in esilio. Con la presidenza di Giuseppe Leti, Sovrano Gran Commendatore della Giurisdizione italiana del Rito Scozzese Antico e Accettato, verificati i poteri dei presenti, il Gran Maestro dell’Ordine Alessandro Tedeschi – 36 anni di luce massonica -, sintetizzò due lustri di travagli della Famiglia  . Dal 1922 il governo di Roma era nelle mani di Benito Mussolini e da sei la Massoneria era stata messa fuori legge nel Regno e nelle sue colonie. « Da quando ci siamo lasciati l’ultima volta – riferì il Potentissimo – un triste avvenimento ha portato il lutto nella nostra Famiglia: è morto in Italia, prigioniero nella sua stessa tenuta di Lamporecchio, il nostro amato e venerato Fr.·.G.·.M.·., Domizio Torrigiani » 1.
      La scomparsa dell’ultimo Gran Maestro regolarmente eletto da una Gran Loggia d’Italia era stata solennemente celebrata da molte comunioni massoniche d’Oltralpe, finalmente comprese dal dramma che aveva travolto la Libera Muratoria della penisola. Anche il direttivo dell’A.M.I. 2, riunito a Istanbul, s’era fatto interprete della solidarietà della Massoneria universale nei confronti dei superstiti fratelli della Comunione italiana e Groussier, della Gran Loggia di Francia, in visita alle logge di Tunisi, s’era rivolto con inaspettata cordialità ai Fratelli della locale officina italiana, « Mazzini e Garibaldi », destinando anzi alle loro crescenti necessità i proventi del tronco di beneficenza, fatto circolare tra massoni francofoni allarmati per il bellicismo sbandierato dal governo di Roma e quindi più consci delle sofferenze di cui eran vittime gl’italiani da tanto tempo in esilio. Negli Stati Uniti, infine, in linea con la raccomandazione del Gran Maestro, Tedeschi, le commemorazioni di Domizio Torrigiani – celebrate da Arturo Di Pietro e da altri « bravi Fratelli », come Franck Bellini e G. Battistoni – avevano avuto una netta « impronta antifascista ».       La scomparsa di Torrigiani cadde mentre tra i massoni italiani era vivo il dibattito sull’assetto del nuovo Grande Oriente e sull’impronta delle iniziative dell’Ordine nel « mondo profano ». Ma qual era l’effettiva consistenza della Comunione italiana alla vigilia dell’ascesa di Hitler alla Cancelleria di Berlino? Su quali aiuti essa poteva contare nella sua ormai lunga e tormentata testimonianza di fiducia negl’ideali liberomuratorí? In quali direzioni la sua azione sarebbe potuta riuscir più efficace?
      Al termine di un’accorata perorazione, subito dopo la conferma a Gran Maestro, Alessandro Tedeschi annunziò la determinazione di « conservare la face che ci è stata commessa, sperando di portarla accesa a Palazzo Giustiniani, cooperare con tutte le iniziative serie che si propongono di propagare l’antifascismo e di abbattere il fascismo ». Quali riflessi ebbe dunque quel Grande Oriente sulla rinascita della Massoneria italiana dopo il 1943?       Sulla fine del 1932 la consistenza della Famiglia rimaneva modesta, ma di gran lunga superiore alle tre officine richieste per la costituzione di una Gran Loggia nazionale: all’obbedienza del G.·.O.·.d’I.·. si riconoscevano infatti otto logge, quattro delle quali in Argentina, una a Parigi, una a Tunisi, una a Salonicco, una ad Alessandria d’Egitto 3, oltre ad alcuni nuclei e a una loggia clandestina in Italia, con un numero segreto d’affiliati, taciuto – per comprensibili motivi di riserbo – anche ai partecipanti all’Assemblea parigina e nelle stesse sedute del Governo dell’Ordine. Decisamente penose erano invece le condizioni finanziarie dell’Ordine, comunicate all’Assemblea dal Gran Tesoriere, Ettore Zanellini: le entrate erano infatti scese da 24 a 6.000 franchi, mentre le uscite erano aumentate da 8 a 12.000 franchi. Il divario – accentuato dall’eccezionalità dei tributi riscossi l’anno precedente, pel versamento al Tesoro centrale dei fondi di alcune logge italofone, disciolte negli Usa per disposizione di Tedeschi – solo in parte era riconducibile al deperimento della situazione economica generale. Due sole officine, infatti, risultavano in regola con le quote annuali e dall’aprile al novembre 1932 nelle casse dell’Ordine erano entrati solo 146 franchi: sicché per il futuro le previsioni dovevano farsi via via più fosche.
      All’amarezza per la morte inulta di Domizio Torrigiani e alle preoccupazioni per la povertà dei mezzi disponibili – che d’altra parte investiva tutte le organizzazioni politiche e culturali degl’italiani in esilio, come due anni prima aveva fatto sapere Filippo Turati all’attivissimo organizzatore finanziario della Massoneria, Arturo Di Pietro 4 – il G.·.O.·. in esilio poteva però contrapporre molti e validi motivi di crescente soddisfazione.
      Proprio la scomparsa di Torrigiani, infatti, scioglieva il riserbo che sino a quel momento aveva suggerito di indicare « vacanti » i seggi di Gran Maestro Effettivo e di Gran Maestro Aggiunto    Grande Oriente. Esso poteva ora assumere pienezza di titoli e di poteri nei confronti della Comunione italiana e nei riguardi di quelle degli altri Stati: chiarificazione, questa, che – a giudizio di alcuni Fratelli stranieri 5 – avrebbe potuto favorire il riconoscimento della nuova struttura quale unica e autentica espressione della Massoneria italiana, senza più soluzione di continuità con la tradizione dei Lemmi, Nathan, Ferrari, menzionati in epigrafe degli atti ufficiali del G.·.O.·. in esilio.
      Anziché sul novero degli affiliati e sul difficile pareggio del bilancio, la forza del nuovo Grande Ordine riposava dunque su una solida base storica e morale, ch’era compito del suo gruppo dirigente far valere e fruttificare. La corale risposta delle Massonerie regolari europee – con due sole eccezioni – all’invito rivolto dalla Gran Segreteria a riannodare relazioni fraterne col G.·.O.·.d’I.·. provava inoltre che le vicissitudini dei massoni italiani erano ormai considerate paradigmatiche anche da molti che, in passato, avevan creduto di doverle imputare a un eccesso di militanza nel mondo profano. L’involuzione della situazione europea ormai non chiedeva molte dimostrazioni per esser compresa in tutta la sua gravità. Il recente pogrom di Salonicco, ove anche alcuni Fratelli dell’italiana « Labor et Lux » erano stati vittime di un’ennesima ondata di antisemitismo, non rimandava l’eco delle persecuzioni di fine Ottocento, bensì preludeva alla sistematica offensiva antiebraica e antimassonica, più volte minacciata dai nazisti, prossimi a conquistare il potere, in Germania, e determinati ad attuare il loro programma liberticida e razzistico.
      Erano dunque molte le ragioni che spingevano il Grande Oriente ad assumere un atteggiamento di pronunciata e pubblica condanna del fascismo, nella certezza che tale scelta non potesse più venir fraintesa quale ulteriore previcace « voie substituée », bensì dovesse venire accolta come estrema fedeltà ai princìpi costitutivi di un Ordine sorto per le libertà e per quei valori – aveva scritto Torrigiani sin dal 19 ottobre 1922 – per i quali i Liberi Muratori italiani vivevano e per la cui difesa, all’occorrenza, erano pronti a dare anche la vita 6.
NOTE
  1. Il 5 giugno 1932, nel corso di una seduta del Governo dell’Ordine il Gran Maestro, Tedeschi, rievocati i massoni italiani passati all’Oriente Eterno, aveva menzionato Filippo Turati, « non fratello, ma soldato valoroso della nostra comune battaglia » (Verbali GOIE). Sui contatti tra Turati e il G.·.O.·.d’I.·. dell’esilio cfr. Appendice, doc. n. IV.

2. Associazione Massonica Internazionale. A. Groussier faceva parte della Giunta Esecutiva dell’Ami, presieduta da A. Mossaz, insieme con Carpentier, Erculisse, Mueller per il Belgio, C. Gonzales per la Spagna, Estebe per la Francia, H. Glivic per la Polonia, C. Pierre per la Cecoslovacchia, M. Rachid per la Turchia, Militchevich per la Jugoslavia. La freddezza iniziale dell’Ami nei confronti del risorto G.·.O.·.d’I.·. era attribuita all’influenza che su di essa esercitava l’André Lebey, col quale erano sorti gravi malintesi a proposito dei confini postbellici: tema del Convento delle « Massonerie alleate e dei paesi neutrali », svoltosi a Parigi nel giugno 1917 e che avevano condotto alle dimissioni di Ettore Ferrari (documentazione al riguardo in GOI, AS, in parte utilizzata per la Mostra I massoni nella storia d’Italia, Roma, Grande Oriente, marzo-aprile 1981 e in ACS, MI, DGPS, AA GG RR (1920-45), G/1, b. 67, Grande Oriente d’Italia).

3. Le Logge rappresentate all’Assemblea del 18-XII-1932 erano: « Italia Nuova » di Parigi, « Mazzini e Garibaldi » di Tunisi, « Cincinnato » di Alessandria d’Egitto, « Labor et Lux » di Salonicco, « Figli d’Italia » di Buenos Aires, « Unione italiana » di Buenos Aires, « Ettore Ferrari » di Londra. La loggia clandestina italiana non recava denominazione.

4. Un suo ampio profilo autobiografico in una “divagazione” indirizzata a Giuseppe Leti il 6-IX-1930. Figlio di massone, Di Pietro era stato più volte sul punto di essere iniziato prima di emigrare, ma gli spostamenti da Palermo ad altre città ne avevano sempre rinviato l’ingresso nell’Istituzione. Negli Usa Di Pietro collaborava con il dott. Charles Fama, medico di straordinario attivismo, sia professionale, che in numerose istituzioni filantropiche e nella propaganda contro il regime fascista.

5. Seduta del Governo dell’Ordine, 10-X-1931 (Verbali GOIE) e, in tal senso, A. Di Pietro a Giuseppe Leti, New York, 24 maggio 1930, ove sono ricostruite le difficoltà incontrate dalle iniziative democratiche per il disorientamento di molti massoni italoamericani dinanzi al regime che sembrava aver « rivalutato » l’immagine dell’Italia all’estero. « In queste settimane – scriveva Di Pietro – io sono venuto nel convincimento che a Parigi in tutti gli ambienti (anti)fascisti di qualsiasi colore e gradazione, non ci sia una idea esatta della vera situazione in America ( … ) ».
L’ipotesi di scindere il nuovo G.·.O.·. da quello, storico, di Palazzo Giustiniani – il cui epilogo rimaneva giuridicamente indecifrabile alla luce delle Costituzioni massoniche vigenti – venne più volte affacciata (ma sempre respinta) anche tra le file dei massoni italiani in esilio.

6. La dichiarazione, contenuta nella circolare di Torrigiani alle logge del 19 ottobre 1922, spiega l’atteggiamento di attesa nei confronti del governo insediato il 31 ottobre 1922 con la partecipazione, oltre a fascisti e nazionalisti, di rappresentanti del variegato fronte liberalcostituzionale, democratici sociali e dei popolari. Sul contrasto tra Massoneria e fascismo rinviamo ai nostri saggi Massoneria e fascismo sulla « questione nazionale », in Storia della Società italiana, vol. 21, La disgregazione dello Stato liberale, Teti, Milano, 1982, pp. 355-74 e La Massoneria italiana nella crisi dello Stato liberale (1914-1926), in AA.VV., La M. nella storia d’Italia, Roma, Atanòr, 1980, pp. 115-41.  
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LE PAROLE

 LE PAROLE

C’è chi ha detto che “le parole sono come le frecce, una volta scagliate non tornano indietro”. È un invito a non sottovalutare il peso, in positivo e in negativo, che hanno le parole. Secondo il filosofo Gorgia sono come un farmaco, possono curare o avvelenare, dipendono molto dall’uso che se ne fa.

“Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo fino a quando non comincia a splendere scrisse la grande poetessa americana Emily Dickinson.

Noi massoni sappiamo bene quanto sia importante l’uso misurato, ponderato, tollerante e saggio della parola. Nei nostri templi si parla uno per volta dopo aver chiesto la parola al maestro venerabile e si ascolta in silenzio il fratello che in quel momento sta esternando il suo pensiero. Silenzio e ascolto sono per noi basilari quanto l’uso della parola che è e dev’essere sempre responsabile e volta al bene, all’elevazione spirituale del singolo e al miglioramento dell’Umanità. Tutto il contrario di quello che avviene nel mondo profano dove parlarsi addosso, prevaricare ed aggredire l’interlocutore ed imporre persino con la violenza il proprio punto di vista è ormai una prassi all’ordine del giorno.

Le parole feriscono e uccidono più della spada recita un antico e molto utilizzato proverbio. Sì, le parole sono pallottole che colpiscono l’anima, ed ogni sparo può essere brutale e mortale. Per capire il peso, la portata e le conseguenze di quello che le parole possono causare credo che sia opportuno leggere e riflettere su questo racconto molto bello che circola sul Web:

C’era una volta un ragazzo con un carattere irascibile. Un giorno decise di recarsi dal saggio del villaggio per chiedere il suo aiuto. “Saggio, aiutami. Non riesco ad avere degli amici. La gente non ama stare in mia compagnia perché sono spesso irascibile”.

Il saggio gli disse subito: “Prendi questa scatola di chiodi. Pianta un chiodo nella palizzata ogni volta che ti renderai conto di aver criticato qualcuno ingiustamente. Quando riuscirai a non piantare nemmeno un chiodo torna da me”. Il giovane annuì e se ne andò. I primi   giorni furono un disastro: arrivò a piantare fino a 37 chiodi. Poi gradualmente il numero diminuì sensibilmente. Era diventato sempre più consapevole delle sue reazioni e riusciva a controllarle. Scoprì anche che era più facile mantenere la calma che piantare chiodi nella palizzata! Finalmente arrivò quindi il giorno in cui il giovane non piantò alcun chiodo.

A quel punto ritorno dal saggio fiero del risultato ottenuto. “E’ stato difficile ma ci sono riuscito. Eccoti i chiodi che restano” gli dissi. Il saggio gli sorrise. “Bravo” gli disse. Ora sei pronto per la seconda parte. Torna dalle persone che hai accusato e chiedi scusa in modo sincero per il tuo comportamento. Togli un chiodo dallo steccato per

ognuna delle volte che lo farai. Quando avrai tolto tutti i chiodi torna da me”. Il giovane annuì e se ne andò soddisfatto. Questo gli sembrava un compito  davvero difficile ma decise di andare fino in fondo.

Dopo diverse settimane il giovane tolse anche l’ultimo chiodo dalla palizzata, ritornò dal saggio e gli porse la scatola dei chiodi con fierezza affermando: “Ecco, questi sono tutti i chiodi che ho tolto dalla palizzata, non ne è rimasto nemmeno uno”. “Bravo” replicò il saggio. “Ora vieni con me”. E lo portò davanti alla palizzata e il giovane fu contento di dimostrare che effettivamente non ci fossero chiodi rimasti.

Il saggio gli disse: “Che cosa vedi ora?”. “Uno steccato con i buchi dei chiodi che ho tolto”. “Ecco, questo è il punto. La palizzata non tornerà mai come prima. Quando dici delle cose preso dalla rabbia, esse lasciano una ferita, proprio come questi buchi.

Non puoi piantare un coltello nella carne di un uomo e poi estrarlo. Non ha importanza quante volte dirai “mi dispiace”, la ferita sarà ancora lì.

Anche se hai chiesto scusa ad una persona che hai ferito, il buco rimane. Le nostre parole restano nel tempo. E’ molto meglio comunicare con parole d’amore e di comprensione per poter vedere i frutti nel tempo. Ecco, prendi questi semi. Ogni volta che dirai parole d’amore e di comprensione pianta un seme nel tuo giardino. Non dovrai più tornare da me ma ricordati di ringraziare Dio quando potrai godere della compagnia dei tuoi amici all’ombra delle piante che saranno cresciute”.

Questo racconto sembra molto azzeccato per richiamare tutti ad una maggiore attenzione e coscienza nell’uso della parola e nella sua circolazione a tutti i livelli, da quello familiare, al posto di lavoro, alla vita politica, religiosa, ma anche nei rapporti fra Stati onde privilegiare la via del dialogo e del confronto delle posizioni e delle idee. Bisogna anche educare tutti ad una comunicazione misurata e rispettosa sui Social dove si registrano fenomeni divisivi e d’intolleranza sempre più allarmanti. Qui spesso si registrano scambi verbali che sovente raggiungono persino l’odio e l’ingiuria personale. Un occhio particolare andrebbe rivolto al mondo della scuola con un’educazione civica più incisiva indirizzata ai più giovani sul tema della sensibilità e del corretto utilizzo della parola in un mondo sempre più a digiuno di valori e vittima del bullismo. Formare gli uomini del domani significa anche educarli e guidarli all’uso ragionato della parola.

Non dobbiamo dimenticare che le nostre parole continuano a vivere nel tempo della nostra vita e anche dopo di noi al pari delle azioni che da esse sono scaturite. Espressioni, verbi, aggettivi, frasi che possono far sbocciare sorrisi, fiori, grandi idee oppure possono essere dispensatori e diffusori di veleno, razzismo e persino guerre come stiamo drammaticamente vivendo il conflitto russo-ucraino con continue dichiarazioni che allontanano, al di là delle precise responsabilità russe sullo scoppio

delle ostilità, ogni necessario e sperato tentativo di pace.

Siamo noi a decidere le parole e pronunciarle. Noi stessi siamo la somma di tante parole che abbiamo sentito, registrato e ascoltato da diverse persone. I nostri valori, le nostre credenze derivano da altre persone che ce li hanno trasferiti.

I massoni sanno la potenza della parola creatrice e quella della parola distruttrice. Sanno che essa come la pietra può costruire cattedrali e ponti e al tempo stesso può essere portatrice d’oscurità e caos. E per questo bisogna usarla con Saggezza, Forza e Bellezza perché possa splendere sempre il luminando i cuori di tutti.

grandeoriente.it2 – Hiram n.3/2022

Stefano Bisi

Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia

Palazzo Giustiniani

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IL TRATTATO DI MARCO AURELIO LIBRO XII

LIBRO XII

1              Tutto quello a cui preghi di arrivare attraverso un lungo giro, puoi già averlo ora, se non decidi di negartelo. Vale a dire: se accantoni il passato, se affidi il futuro alla provvidenza e ti occupi solo del presente, con lo sguardo rivolto alla devozione e alla giustizia. Alla devozione, per amare ciò che ti a assegnato: perché la natura ha assegnato quello a te e te a quello. Alla giustizia, per dire la verità liberamente e senza perifrasi, e per agire in conformità alla legge e ai singoli valori in questione; non lasciarti impedire dalla malvagità, dall’opinione, dalla voce degli altri, e neppure dalla sensazione della carne che ti a cresciuta intorno: se la dovrà vedere la parte soggetta a patire. Ora, in qualunque momento tu debba uscire dalla vita, se, abbandonato tutto il resto onorerai soltanto il tuo principio dirigente e il divino che a dentro di te, se avrai paura non di dover da ultimo smettere di vivere, ma piuttosto di non aver mai cominciato a vivere secondo natura, sarai un uomo degno del cosmo che ti ha generato e cesserai di essere straniero in patria e di meravigliarti degli avvenimenti quotidiani come di fatti inattesi, e di restare sospeso a questo e a quest’altro.

2              Dio vede tutti i principî dirigenti spogli dei loro recipienti materiali, delle loro cortecce e impurità; infatti giunge a toccare, e con la sola sua parte intellettiva, solo quanto da lui a defluito e derivato a questi principî dirigenti. Se anche tu ti abituerai a farlo, sopprimerai i numerosi fattori che ti distraggono da te stesso. E infatti colui che neppure vede le misere carni che lo racchiudono dedicherà forse il suo tempo al vestiario, alla casa, alla fama, a questo vario apparato e a tutta una consimile scenografia?

3              Tre sono gli elementi di cui sei composto: il corpo, il soffio vitale, l’intelletto. Di questi i primi due sono tuoi nei limiti in cui te ne devi curare; solo il terzo a propriamente tuo. Perciò se separi da te stesso, cioè dalla tua mente, quanto gli altri fanno o dicono, o quanto tu hai fatto o detto, quanto ti turba per il futuro, quanto del corpo in cui sei racchiuso o del soffio vitale a te congenito ti a connesso indipendentemente dalla tua scelta etica, quanto il vortice esterno ci mulina tutto attorno, in modo che la facoltà intellettiva, liberata dalle conseguenze esterne del suo destino, pura, possa vivere senza vincoli, in assoluta autonomia, compiendo il giusto, accettando volontariamente gli avvenimenti e dicendo il vero; se, dico, separi da questo principio dirigente ciò che vi si a depositato per effetto delle passioni, nonché ogni cura del tempo di là da venire o già passato, se ti rendi come l’empedoclea sfera perfettamente tonda, che esulta nella sua circolata solitudine, se ti impegni a vivere soltanto ciò che stai vivendo, ossia il presente, potrai trascorrere senza turbamenti, serenamente e in dolce pace con il tuo demone, quel che ti resta fino alla morte.

4              Mi sono già chiesto tante volte con stupore come mai ciascuno ami se stesso più di tutti gli altri, eppure nel giudicare se stesso dia meno peso alla propria opinione che a quella degli altri. In effetti, se a uno comparisse un dio o un saggio maestro per ordinargli di non considerare e pensare dentro di sé nulla che non possa anche esprimere ad alta voce, non resisterebbe neppure un giorno. A tal punto rispettiamo quello che potrà pensare di noi il prossimo più di noi stessi.

5              Come mai gli dai, che pure hanno disposto ogni cosa in modo saggio e favorevole all’uomo, hanno trascurato solo questo punto, che alcuni uomini – fior di persone, che hanno saputo instaurare, per così dire, moltissime relazioni con la divinità, e con essa sono stati, tramite opere devote e azioni sante, nella familiarità più stretta – una volta morti, non rinascono, ma sono definitivamente estinti? Posto che le cose stiano davvero così, sappi bene che gli dai, se fossero dovute andare diversamente, avrebbero provveduto. Se infatti fosse giusto, sarebbe anche possibile, e se fosse secondo natura, la natura lo avrebbe prodotto. Proprio dal fatto che non sia così – visto che così non a – convinciti che non doveva essere così. Anche tu vedi, infatti, che con questo tipo di indagine finisci per mettere dio sul banco degli avversari; d’altra parte, però, non potremmo discutere in questo modo con gli dai, se essi non fossero davvero infinitamente buoni e giusti. Ora, se a così, non possono per negligenza aver lasciato nulla di ingiusto e di irrazionale nell’ordinamento del cosmo.

6              Esercitati anche nelle cose in cui sei convinto di non riuscire: la mano sinistra, inetta nel resto per mancanza di esercizio, tiene le briglie con più forza della destra, perché vi a esercitata.

7              … quale debba essere la disposizione del corpo e dell’anima nel momento in cui si a colti dalla morte; la brevità della vita, il baratro del tempo che si apre alle nostre spalle e di fronte a noi, la fragilità di ogni materia.

8              Osserva gli elementi causali spogli della loro corteccia; il fine delle azioni; cos’a il dolore; cos’a il piacere; cos’a la morte; cos’a la gloria; chi a il responsabile della propria inquietudine; come nessuno possa essere impedito da altri; che tutto a opinione.

9              Nell’uso dei principî bisogna assomigliare al pancraziaste, non al gladiatore: questi, infatti, depone e riprende la spada che usa, mentre il primo la sua mano l’ha sempre e non deve far altro che serrarla.

10           Guarda cose di questo genere analizzandole secondo materia, causa, scopo.

11           … quale facoltà abbia l’uomo di non fare altro se non quello che il dio loderà, e di accettare tutto ciò che il dio gli assegna come conseguente alla natura.

12           Non si devono criticare gli dai: non commettono alcun errore, né volontario né involontario; e neppure gli uomini: errano solo involontariamente. Sicché non bisogna criticare nessuno.

13           Com’è ridicolo e straniero chi si meraviglia di qualunque cosa succeda nella vita!

14           O la morsa del destino e un ordinamento inviolabile, o una provvidenza misericordiosa, o la confusione di una casualità senza governo. Ora, se vi a una necessità inviolabile, perché ti opponi? Se invece vi a una provvidenza che accoglie le suppliche, renditi degno dell’aiuto che viene dalla divinità. Se, infine, vi a una confusione anarchica, rallégrati che in un simile vortice tu possa avere in te un intelletto che ti dirige. E se il vortice ti travolge, travolga pure la carne, il soffio vitale, il resto: non travolgerà l’intelletto. (15) Oppure la luce della lucerna, finché non si spegne, risplende e non perde chiarore, mentre la verità, la giustizia, la temperanza che sono in te si spegneranno prima del tempo?

16           Se qualcuno ti da motivo di rappresentarti una sua colpa, ragiona: «E che ne so, se questa a una colpa?»; e, se a effettivamente colpevole, pensa che si a condannato da sé, e questo suo comportamento somiglia al gesto di chi si graffia il viso con le proprie mani. Chi pretende che il malvagio non sbagli a come chi pretende che il fico non produca lattice nei suoi frutti, che i neonati non piangano, che il cavallo non nitrisca, e così via, per tutti questi fenomeni necessari. In effetti, che cosa dovrebbe fare chi ha una simile disposizione? Se sei tanto irritato, curala.

17           Se non a conveniente, non farlo; se non a vero, non dirlo. Il tuo impulso sia […].

18           Vedi sempre cosa effettivamente sia quello che produce la tua rappresentazione, e spiegalo suddividendolo in elemento causale, elemento materiale, fine, tempo entro cui dovrà aver cessato di essere.

19           Renditi conto una buona volta di avere in te stesso qualcosa di superiore e più divino di ciò che produce le tue passioni e che, in conclusione, ti muove come una marionetta. Cos’a ora la mia mente? Non a forse paura? Non a sospetto? Non desiderio? Non qualcos’altro di questo genere?

20           Punto primo: non agire casualmente né senza uno scopo. Punto secondo: non riferirsi ad altro se non al fine della comunità.

21           … tra non molto non sarai nessuno, in nessun luogo, né sarà alcuna delle cose che ora vedi, né alcuno di coloro che vivono ora. È nella natura di tutte le cose, infatti, trasformarsi, mutare e perire, perché, senza soluzione di continuità, ne nascano altre.

22           … tutto a opinione, e questa dipende da te. Quando vuoi, quindi, sopprimi l’opinione e, come chi ha doppiato il promontorio, troverai bonaccia, calma degli elementi e un golfo al riparo dei flutti.

23           Una singola attività, qualunque sia, se finisce al momento giusto, non subisce nulla di male per il fatto di esser finita; e chi ha compiuto quest’azione non ha subito nulla di male per il fatto che essa sia finita. Allo stesso modo, quindi, il sistema complessivo delle azioni, che a la vita, se finisce al momento opportuno, non subisce alcun male per il fatto di essere finito, e chi ha posto fine a tempo debito a questa catena di azioni non ne ha ricavato danno. Il momento opportuno e il limite sono dati dalla natura, talvolta anche dalla natura individuale (così nella vecchiaia), ma in ogni caso sempre dalla natura universale: attraverso la trasformazione delle sue parti il cosmo intero rimane sempre giovane e rigoglioso. Ora, bello e tempestivo a sempre tutto ciò che a utile all’universo. Per l’individuo, quindi, la fine della vita non a un male, poiché non a neppure cosa turpe, dato che non dipende dalla scelta etica e non a contrario all’interesse della collettività; anzi, a un bene, dato che a opportuno all’universo, gli arreca e ne trae vantaggio. Così risulta mosso anche da dio chi muove nella stessa direzione di dio e col pensiero muove verso il suo stesso fine.

24           Bisogna tenere a portata di mano queste tre considerazioni. La prima: a proposito di quello che fai, valutare se non sia fatto a caso o diversamente da come avrebbe agito la giustizia in persona; a proposito degli avvenimenti esterni, ricordare che alla loro origine o c’a il caso o c’a la provvidenza: e non bisogna lamentarsi del caso né accusare la provvidenza. La seconda considerazione: esaminare quale sia ogni singolo essere da quando viene concepito a quando in lui si anima la vita, e dal momento in cui riceve la vita fino al momento in cui la restituisce, e da quali elementi tragga origine il composto e quali elementi liberi il suo dissolvimento. Terza considerazione: se tu, improvvisamente librato in cielo, osservassi dall’alto la realtà umana e la sua varietà, la disprezzeresti scorgendo nello stesso tempo quanto sia vasto lo spazio che la avvolge, popolato di esseri aerei ed eterei; e ogniqualvolta ti librassi in alto, vedresti sempre le medesime cose, il loro aspetto sempre uguale, la brevità della loro esistenza. E sono queste cose l’oggetto della vanità umana!

25           Getta via l’opinione che hai in te, e sei salvo. Ebbene, chi ti impedisce di gettarla?

26           Quando ti inquieti per qualcosa, ti sei dimenticato che tutto avviene secondo la natura dell’universo, che l’errore a altrui e, inoltre, che ogni avvenimento a sempre avvenuto così, così avverrà e così ora avviene ovunque; ti sei dimenticato quanto sia stretta la parentela dell’uomo con l’intero genere umano: non a, infatti, comunanza di sangue o di seme, ma di intelletto. E ti sei anche dimenticato che l’intelletto di ciascuno a un dio ed a derivato di là; che nulla appartiene a nessuno, ma anche il figlioletto, il suo povero corpo e la sua stessa povera anima sono venuti di là; che tutto a opinione; che ciascuno vive solo il presente e perde solo questo.

27           Richiama in continuazione alla mente chi arse di sdegno per una qualche ragione, chi visse al colmo degli onori o delle sventure o delle inimicizie o di qualsiasi sorte; poi considera dove sia adesso tutto quanto: fumo, cenere, leggenda – o neppure leggenda! Ti si presentino alla mente anche tutti i casi analoghi – per esempio Fabio Catullino nella sua tenuta di campagna, Lusio Lupo nei suoi giardini, Stertinio a Baia, Tiberio a Capri, Velio Rufo – e, insomma, tutte le situazioni in cui si accende un conflitto di interessi, qualunque sia la posta, combattuto con tanta presunzione; e considera quanto poco valga sempre l’obiettivo di questi sforzi e quanto più conforme ai dettami della filosofia sia, nella materia che ci a stata data, mostrarsi giusto, temperante, pronto a obbedire agli dai, e con semplicità, perché la vanità che cova sotto un’apparente modestia a la peggiore di tutte.

28           A chi chiede: «Dove hai visto gli dai, e da dove hai desunto che esistono, per venerarli in questo modo?» rispondi: «Prima di tutto sono anche visibili ai nostri occhi; poi, nemmeno la mia anima ho visto, eppure la venero. Lo stesso vale per gli dai: desumo che esistono dal fatto che ogni volta sperimento la loro potenza, e dunque li venero».

29           La salvezza della nostra vita: esaminare a fondo in che consista, in sé, ciascuna cosa, quale sia il suo elemento materiale, quale il suo elemento causale; fare il giusto e dire il vero con tutta l’anima; che altro, infine, se non godere di vivere legando ad ogni azione virtuosa un’altra azione virtuosa, così da non lasciare neppure il minimo intervallo?

30           Una sola a la luce del sole, anche se viene divisa da muri, montagne, da innumerevoli altri ostacoli. Una sola la sostanza comune, anche se viene divisa tra innumerevoli corpi individuati da specifiche qualità. Una sola a l’anima, anche se viene divisa tra innumerevoli nature e circoscritte individualità. Una sola l’anima razionale, anche se pare frammentata. Ora, le altre parti degli esseri menzionati, quali i singoli soffi vitali e i singoli corpi materiali, sono insensibili ed estranee l’una all’altra; eppure anch’esse sono tenute insieme dal fattore unitario e dal peso che le spinge nella stessa direzione. La mente, invece, ha la caratteristica di tendere a ciò che a della sua specie e di unirsi ad esso, e questo intimo senso di comunanza non conosce ostacoli.

31           Cosa cerchi? Di protrarre la tua esistenza? Di avere sensazioni, provare impulsi, crescere, poi declinare, usare la voce, pensare? Quale di queste cose ti sembra degna di essere desiderata? E se ciascuna di queste cose a facilmente disprezzabile, spingiti fino all’ultima che rimane: seguire la ragione e il dio. Ma con questa scelta si scontra l’onore che riserviamo alle cose sopra elencate, il cruccio di esserne privati con la morte.

32           Quale minuscola parte dell’infinito abisso del tempo a stata assegnata a ciascuno? In men che si dica svanisce nell’eternità. Quale minuscola parte dell’intera sostanza? Quale dell’intera anima? In quale minuscola zolla della terra intera cammini? Considerando tutto ciò non immaginare che esista nulla di grande all’infuori dell’agire come ti induce la tua natura e del subire quello che reca la natura comune.

33           Quale uso fa di sé il principio dirigente? Il problema a tutto qui. Il resto o a frutto della scelta di fondo, o estraneo a questa – cadavere, fumo.

34           Il maggior incentivo al disprezzo della morte a che anche chi giudica il piacere un bene e il dolore un male l’ha disprezzata.

35           Se per un uomo a bene solo quel che cade al momento opportuno, se per lui ha lo stesso valore compiere un numero maggiore o minore di azioni conformi alla retta ragione, se per lui a indifferente osservare l’universo per più o meno tempo, a costui neppure la morte fa paura.

36           Uomo, sei stato cittadino in questa grande città: che ti importa, se per cinque anni o per cento? Quel che a secondo le leggi ha per ognuno pari valore. Che c’a di grave, allora, se dalla città ti espelle non un tiranno o un giudice ingiusto, ma la natura che ti ci aveva introdotto? È come quando il pretore che aveva assunto un attore lo congeda dalla scena, «Ma non ho recitato i cinque atti, ne ho recitato solo tre». Giusto! Ma nella vita tre atti sono un dramma intero. A stabilire che il dramma a completo, infatti, a chi allora fu responsabile della composizione, ora del dissolvimento; tu invece non sei responsabile né dell’una né dell’altro. Quindi parti sereno: chi ti congeda a sereno.

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IL TRATTATO DI MARCO AURELIO LIBRO XI

LIBRO XI

1              Le proprietà dell’anima razionale: vede se stessa, articola se stessa, rende se stessa quale vuole, raccoglie essa stessa il frutto che produce (i frutti delle piante e i prodotti degli animali, infatti, li raccolgono altri), raggiunge il proprio fine, ovunque cada il termine della vita. Diversamente da quanto avviene nella danza, nelle rappresentazioni teatrali e in analoghe situazioni – dove l’intera azione rimane incompiuta se qualcosa la interrompe -, in qualunque parte, in qualunque circostanza l’anima venga colta, realizza pienamente e senza lacune il suo proposito, sì da poter dire: «Ho avuto ciò che a mio». Ancora: spazia per il cosmo intero, per il vuoto che lo circonda e per la struttura che conforma il cosmo, si protende verso l’infinito dell’eternità, abbraccia e comprende col pensiero la periodica rigenerazione dell’universo, e osserva che chi verrà dopo di noi non vedrà nulla di nuovo, e che nulla di più ha visto chi a venuto prima di noi, ma in certo qual modo chi ha superato la soglia dei quarant’anni, se ha un minimo di intelligenza, ha visto, in virtù dell’analogia che li lega, tutto il passato e tutto il futuro. Proprio dell’anima razionale a, inoltre, amare il prossimo, coltivare la verità e il pudore, non onorare nulla più di se stessa – il che a proprio anche della legge. Così, appunto, non c’a nessuna differenza tra ragione retta e ragione della giustizia.

2              Riuscirai a disprezzare un canto dolcissimo, e ancora la danza e il pancrazio. Potrai disprezzare la voce melodiosa se la suddividerai nei singoli suoni e, prendendone uno alla volta, ti domanderai se ne sei sopraffatto: ti vergognerai, infatti, di doverlo ammettere. Quanto alla danza, giungerai a disprezzarla attraverso un analogo comportamento, suddividendola in singoli movimenti e posizioni, e lo stesso dicasi per il pancrazio. Insomma, eccezion fatta per la virtù e i suoi effetti, ricorda di puntare sùbito alle singole parti, e, attraverso quest’analisi, di arrivare a disprezzarle, e applica la stessa operazione alla vita nel suo complesso.

3              Quale spettacolo a l’anima che si mostra pronta, quando deve ormai staccarsi dal corpo ed estinguersi, o disperdersi, o persistere! Ma questa prontezza deve venire da un proprio giudizio individuale, e non basarsi su una pura e semplice opposizione, come avviene tra i cristiani: deve risultare meditata, seria, in grado di persuadere anche altri, lontana da ogni teatralità.

4              Ho fatto qualcosa nell’interesse della comunità: quindi ho raggiunto un utile. Che questa considerazione ti sia sempre a portata di mano, e non smettere mai di agire in questo senso.

5              Qual a la tua arte? Essere virtuoso. E questo in che altro modo può realizzarsi se non sulla base di principî relativi, da un lato, alla natura universale, dall’altro, alla particolare costituzione dell’uomo?

6              Dapprima furono introdotte le tragedie, con la funzione di ricordare gli avvenimenti, e di rammentare che per natura questo a lo svolgimento dei fatti, e che quanto affascina sulla scena del teatro non deve poi crucciare su una scena più grande. Si constata, infatti, che questo deve essere l’esito degli avvenimenti e che li sopporta anche chi grida: «Ah, Citerone!». E gli autori di tragedie hanno anche espressioni utili; per esempio: se io e i miei due figli siamo stati trascurati dagli dai, anche questo ha una sua ragione; e ancora: non adirarsi con la realtà, e: mietere la vita come una spiga matura; e le altre analoghe. Dopo la tragedia fu introdotta la commedia antica, che aveva una educativa liberts di parola e che proprio attraverso il suo linguaggio diretto richiamava, non inutilmente, alla semplicits dei modi; a questi mezzi attinse anche Diogene, con uno scopo analogo. E considera attentamente cosa sia stata, poi, la commedia di mezzo, e, infine, con quale obiettivo sia stata introdotta la commedia nuova, che poco a poco scivolò verso il virtuosismo imitativo; che, infatti, anche i poeti della media e della nuova dicano qualcosa di utile, a ben noto; ma l’intento complessivo di questa produzione poetica e drammatica a quale scopo mirava?

7              Come balza evidente il fatto che non vi a altra condizione di vita altrettanto adatta all’esercizio della filosofia quanto questa in cui ora ti trovi.

8              Un ramo reciso dal ramo cui era unito non può non restare reciso anche dall’intera pianta; così pure un essere umano staccato da uno solo dei suoi simili rimane avulso dall’intera comunità. Ora, un ramo lo recide un altro, mentre a l’uomo, quando prova odio e avversione per il prossimo, che divide se stesso da lui: senza sapere, però, che nel contempo si a reciso da tutto l’organismo sociale. Ma qui a il privilegio di cui ci ha fatto dono Zeus, che instaurò il vincolo sociale: abbiamo la possibilità di tornare in coesione con il prossimo e di concorrere, ancora, a realizzare il tutto. Una simile separazione, tuttavia, se si ripete troppe volte, rende l’elemento che si distacca difficilmente riconducibile all’unità e alla condizione precedente. Insomma, il ramo che dal primo germoglio a cresciuto insieme con l’albero e con esso ha sempre respirato non a uguale al ramo reinnestato dopo essere stato reciso, checché ne dicano i giardinieri. Condividere la stessa pianta, non gli stessi principî.

9              Chi ti si oppone mentre procedi secondo la retta ragione, come non potrà sviarti dall’agire bene, così non deve neppure allontanarti dalla benevolenza nei suoi confronti; al contrario, devi attenerti in modo eguale a entrambe le cose: non solo a saldezza di giudizio e di azione, ma anche a comprensione verso coloro che tentano di ostacolarti o ti creano qualche altra difficolts. Anche questo, infatti – adirarsi con loro -, a una forma di debolezza, come abbandonare quel che si sta facendo e cedere per paura; perché sono entrambi, in pari misura, disertori: colui che si a fatto prendere dalla paura e colui che si a estraniato da chi, per natura, a suo parente e amico.

10           Non vi a nessuna natura che sia inferiore all’arte: le arti, infatti, imitano le nature. Se questo a vero, la natura tra tutte più compiuta e più inclusiva non può essere inferiore all’abilità dell’arte. Ogni arte, però, realizza i prodotti inferiori per quelli superiori: anche la natura comune, quindi. E proprio di qui ha origine la giustizia, e dalla giustizia sorgono le altre virtù. Infatti la giustizia non potrà essere salvaguardata se avremo interesse per le cose intermedie o saremo troppo facilmente ingannabili, troppo precipitosi nel formarci un giudizio e troppo pronti a cambiarlo.

11           Le cose che insegui o fuggi, e che così provocano il tuo turbamento, non si muovono verso di te: semmai, in un certo senso, sei tu che ti muovi verso di loro; si acquieti, quindi, il tuo giudizio su di esse, ed esse resteranno immobili, e non ti si vedrà né inseguirle né fuggirle.

12           La sfera dell’anima conserva inalterata la sua forma quando non si protende verso qualcosa, né si ripiega al suo interno, né si disperde, né si adagia, ma risplende della luce con cui vede la verità di ogni cosa e la verità che ha in sé.

13           Qualcuno mi disprezzerà? Se la vedrà lui. Quanto a me, vedrò di non farmi cogliere a fare o dire nulla che meriti disprezzo. Mi odierà? Se la vedrà lui; io, invece, resterò benevolo e ben disposto verso chiunque, e a lui in particolare mostrerò prontamente la sua mancanza, senza atteggiamento di biasimo, e neppure per ostentare la mia tolleranza, ma con genuina bontà, come il famoso Focione (posto che non fingesse). Tale deve essere, infatti, la nostra intima disposizione, e gli dai devono guardare un uomo che non reagisce con sdegno o insofferenza davanti a nulla. Che male te ne può venire, infatti, se ora fai quello che a proprio della tua natura e accetti quanto ora a opportuno alla natura universale, da uomo proteso a realizzare per ogni via possibile ciò che a utile alla comunità?

14           Si disprezzano l’un l’altro, eppure cercano di compiacersi l’un l’altro, e mentre tentano di sovrastarsi si inchinano l’uno all’altro.

15           Com’a marcio e falso chi dice: «Mi sono proposto di essere franco con te». Che fai, amico? Non c’a bisogno di una simile premessa. Questo risulterà da sé: deve star scritto in fronte, deve risuonare sùbito nella voce, deve affiorare sùbito nello sguardo, come nello sguardo degli amanti tutto a immediatamente chiaro per l’amato. L’uomo franco e onesto, insomma, dev’essere come la persona che puzza di capra, perché chi gli a vicino se ne accorga, lo voglia o no, appena gli si accosta. La franchezza affettata a un pugnale. Nulla a più turpe dell’amicizia del lupo: rifuggila più di ogni altra cosa. L’uomo onesto, franco e benevolo ha queste qualità negli occhi, e non passano inosservate.

16           Trascorrere la vita nel modo migliore: questa a una facoltà insita nell’anima, quando si resti indifferenti alle cose indifferenti. E resterà indifferente chi osserverà ciascuna di esse nelle singole componenti e nell’insieme, senza dimenticare che nessuna produce in noi un’opinione al suo riguardo e nessuna muove verso di noi, ma rimangono immobili, e siamo invece noi a produrre giudizi su di esse e, in certo modo, a scrivere questi giudizi in noi stessi, benché sia possibile tanto non scriverli, quanto, se inavvertitamente a già successo, cancellarli sùbito; e senza dimenticare che tale attenzione durerà poco, e poi la vita sarà finita. Che difficoltà fa che queste cose non stiano come vorresti? Se sono secondo natura, sii felice di esse, e ti saranno facili; se sono contrarie a natura, cerca cosa sia per te conforme alla tua natura, e impégnati in questa direzione, anche se non te ne viene gloria; a chiunque spetta comprensione, quando cerca il proprio vero bene.

17           … da dove a venuta ogni singola cosa, di quali elementi a costituita, in che cosa si trasforma, quale sarà una volta trasformata, e che non subirà nulla di male.

18           Punto primo: quale rapporto esiste tra me e loro? Bisogna tener presente che siamo nati l’uno per l’altro, e che,sotto un altro aspetto, io sono nato per guidarli, come l’ariete guida il gregge o il toro la mandria. Risali però a monte, partendo da questa constatazione: se non vi sono gli atomi, a la natura che governa l’universo; se a così, gli esseri inferiori esistono per i superiori, e gli esseri superiori esistono gli uni per gli altri. Punto secondo: quale genere di persone sono a tavola, a letto, in tutto il resto; e, soprattutto, a quali necessità soggiacciono in conseguenza dei loro principî, e con quale vanità le assolvono. Terzo: se in questo agiscono rettamente, non bisogna esser maldisposti verso di loro, mentre se non agiscono rettamente, a chiaro che lo fanno senza volerlo e senza saperlo. È contro il proprio volere, infatti, che ogni anima si priva tanto della verità, quanto della facoltà di comportarsi con ciascuno secondo il suo merito. Di qui il loro sdegno, quando si sentono chiamare ingiusti, ingrati, avidi e, in una parola, colpevoli di qualche mancanza verso il prossimo. Quarto: anche tu commetti molte colpe e non sei che un altro individuo di questa specie; e se ti astieni da certe colpe, hai comunque la tendenza a commetterle, benché appunto – per vilty o sete di prestigio personale o per un analogo ignobile motivo – tu ti astenga da colpe come quelle. Quinto: non hai neppure raggiunto la certezza che sbaglino; sono molte, infatti, le cose che avvengono in conseguenza di una determinata linea di condotta e, in generale, bisognerebbe prima assumere molte informazioni per esprimersi con piena cognizione su quello che fanno gli altri. Sesto (per quando proprio non reggi all’ira o all’amarezza): la vita umana dura meno di un istante, dopo di che siamo tutti stesi nella tomba. Settimo: non sono le loro azioni a infastidirci, in quanto esse stanno nei loro principî dirigenti, ma le nostre opinioni in merito. Sopprimi, quindi, e abbandona decisamente il giudizio che il loro comportamento sia qualcosa di terribile, e l’ira a svanita. Come potrai sopprimerlo? Considerando che quel comportamento non a turpe. Infatti, se non fosse male solo ciò che a turpe, inevitabilmente anche tu commetteresti molte colpe e diventeresti un brigante, un uomo capace di tutto. Ottavo: quanto l’ira e il dolore che proviamo di fronte a simili cose ci infliggano un danno più grave dei fatti stessi per cui ci adiriamo e addoloriamo. Nono: la benevolenza a invincibile, se a benevolenza autentica, senza sarcasmo, senza recita. Cosa potrà mai farti, infatti, l’uomo più prepotente, se rimani benevolo verso di lui e, presentandosi l’eventualità, lo ammonisci con indulgenza e lo correggi pacatamente proprio nel momento in cui cerca di farti del male: «No, figliolo: la nostra natura ha un altro fine. Dal tuo comportamento io non posso subire danno, ma tu, figliolo, lo subisci». E mostragli, con tatto e riferendoti al problema generale, che le cose stanno così, che né le api tengono il suo comportamento, né alcun animale destinato dalla natura a vivere in gruppo. Non devi farlo, però, con atteggiamento ironico o di riprovazione: semmai con affetto, senza rancore nell’animo; e non come a scuola, né per destare ammirazione in chi assiste: al contrario, con la discrezione di un discorso in privato, anche se ci sono altri intorno. Ricorda queste nove regole capitali come se le avessi avute in dono dalle Muse, e comincia una buona volta a essere uomo, finché sei vivo. Ma, come va evitata l’ira nei loro confronti, così, con pari impegno, ci si deve guardare dall’adularli: sono due atteggiamenti che vanno contro il vincolo sociale e conducono al danno. Negli accessi d’ira tieni a portata di mano la considerazione che montare in collera non a virile, mentre un atteggiamento di mite pazienza come a più umano, così pure a più degno di un maschio, e chi lo pratica possiede vigore, nervi saldi e virilità, al contrario di chi si indigna ed a insofferente. Infatti quanto più un atteggiamento paziente a prossimo all’impassibilità, tanto più lo a alla forza. E come il dolore a segno di debolezza, così lo a l’ira: in entrambi i casi la persona a ferita e ha ceduto. E, se vuoi, ricevi anche un decimo dono dal Musagete: ritenere che i meschini possano non sbagliare a da folli, perché significa postulare l’impossibile. Mentre concedere ad altri di essere così, ma pretendere che non sbaglino nei tuoi confronti a un’idea assurda e da vero tiranno.

19           Devi continuamente guardarti da quattro turbamenti del principio dirigente, e, quando li cogli in atto, devi cancellarli e, ogni volta, aggiungere: «Quest’immagine non a necessaria. Questo dissolve il vincolo sociale. Questo che stai per dire non viene dal profondo del tuo cuore» – e dire cose che non vengano dal fondo del cuore devi considerarla tra le peggiori assurdità. Il quarto rimprovero che dovrai muovere a te stesso a il seguente: «Questo a segno che la parte più divina in te a sopraffatta e si sta inchinando alla parte più vile e mortale, al corpo e ai suoi crassi piaceri».

20           Tutto l’elemento aeriforme e l’elemento igneo che sono mescolati in te, benché per natura si muovano verso l’alto, tuttavia obbedendo all’ordinamento dell’universo si trattengono a forza qui, entro il loro composto. E tutto l’elemento terroso e l’elemento liquido che stanno in te, sebbene inclini a muovere verso il basso, restano nondimeno sollevati e conservano una posizione eretta che non a la loro posizione naturale. Così appunto anche gli elementi obbediscono al tutto e, quando sono stati assegnati a una determinata posizione, vi rimangono finché di la non giunge di nuovo il segnale del dissolvimento. Non a grave, allora, che solo la tua parte intellettiva disobbedisca e protesti per il posto che deve occupare? Eppure non le viene davvero ordinato nulla di coercitivo, ma solo quanto a conforme alla sua natura: e tuttavia non lo accetta, e va in direzione opposta. Infatti il movimento che conduce all’ingiustizia, alla sfrenatezza, all’ira, al dolore e alla paura altro non a che il movimento di chi diserta dalla natura. E quando il principio dirigente a insoddisfatto degli eventi, anche allora abbandona il suo posto: perché la sua costituzione lo dispone alla devozione e al culto degli dai non meno che alla giustizia. E questa religiosità rientra nelle forme di una buona integrazione sociale, anzi, a valore ancora più alto del semplice agire secondo giustizia.

21           «Chi non ha un unico e sempre uguale scopo di vita non può essere unico e uguale a se stesso lungo tutta la vita». Questa frase non basta, se non aggiungi anche quale deve essere questo scopo. Infatti, come non c’a identità di opinione su tutti quelli che, per un verso o per l’altro, ai più sembrano beni, ma solo su taluni determinati beni, cioè su quelli comuni, così pure lo scopo da proporsi deve rispondere all’interesse comune e al bene della società. Perché chi indirizza a questo tutti i propri impulsi renderà simili tutte le proprie azioni e in questo senso sarà sempre il medesimo.

22           … il topo di campagna e il topo di citty, lo spavento di quest’ultimo e la sua fuga precipitosa.

23           Socrate chiamava Lamie, spauracchi per i bambini, anche i principî della gente comune.

24           Gli Spartani in occasione delle feste ponevano all’ombra i sedili per gli stranieri, mentre essi si sedevano dove capitava.

25           A Perdicca Socrate, spiegando perché non si recava da lui, disse: «Per non fare la fine peggiore», vale a dire: «Per evitare di ricevere un beneficio e non poter ricambiare».

26           Negli scritti degli epicurei si trovava il monito a ricordare continuamente un personaggio antico che avesse agito secondo virtù.

27           I pitagorici prescrivevano di levare all’alba lo sguardo verso il cielo, per ricordarsi di coloro che compiono sempre la propria opera secondo le stesse leggi e nello stesso modo, del loro ordinamento, della loro purezza e della loro nudità: gli astri non hanno alcun velo.

28           … come si presentò Socrate cinto di pelle di pecora, la volta che Santippe era uscita con il suo mantello; e cosa disse Socrate ai discepoli che per pudore, quando lo videro conciato così, si ritirarono.

29           Nello scrivere e nel leggere non potrai esser maestro prima di esser stato allievo: a maggior ragione nella vita.

30           Sei nato schiavo, non hai diritto di parola.

31           E il mio cuore rise.

32           Biasimeranno la virtù, mormorando dure parole.

33           Cercare un fico in inverno a da folli; folle a chi cerca il figlioletto, quando non gli a più concesso.

34           Diceva Epitteto che baciando il figlioletto bisogna aggiungere tra sé: «Domani forse morirai». «Ma sono parole di cattivo augurio». «Nessun cattivo augurio – diceva Epitteto -: indicano invece un fatto naturale; altrimenti anche la mietitura delle spighe diventa un cattivo augurio».

35           Uva acerba, uva matura, uva passa, tutto a trasformazione, non verso ciò che non a, ma verso ciò che ora non a.

36           «Non c’a ladro della scelta etica fondamentale»: sono parole di Epitteto.

37           «Si deve trovare un’arte che regoli l’assenso – diceva – e, nel campo degli impulsi, prestare sempre attenzione a che siano impulsi con riserva, rispondenti al bene collettivo, commisurati al valore dell’oggetto; e ci si deve assolutamente astenere sia dal desiderio sia dall’uso dell’avversione per tutto ciò che non dipende da noi».

38           «Non a per un premio qualunque che lottiamo – diceva -, ma per essere folli o savî».

39           Diceva Socrate: «Cosa volete? Avere l’anima di esseri razionali o irrazionali?». «Di esseri razionali». «Quali esseri razionali: sani o perversi?». «Sani». «Perché, allora, non cercate di averla?». «Perché già l’abbiamo». «Perché, allora, state a combattere e a questionare?».

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IL TRATTATO DI MARCO AURELIO LIBRO X

1              Sarai un giorno, anima mia, buona, semplice, una, nuda, più manifesta del corpo che ti avvolge? Conoscerai, un giorno, quale sapore abbia la disposizione ad amare e accontentarsi? Sarai, un giorno, compiutamente soddisfatta e priva di bisogni, capace di non rimpiangere nulla, di non desiderare nulla di animato o inanimato per trarne piacere, di non desiderare tempo per godere più a lungo, né un luogo o una regione o un clima favorevole, né gente con cui andare d’accordo? Ti accontenterai della disposizione del momento, godrai di tutto ciò che avrai al momento, ti convincerai che hai tutto da parte degli dai e che a e sarà bene per te tutto ciò che a loro piace e che intendono dare per la salvezza dell’essere perfetto, dell’essere buono, giusto, bello, che genera tutte le cose, le tiene insieme, le circonda e le abbraccia quando si dissolvono per generare altre cose simili? Sarai, un giorno, capace di vivere nello Stato degli dai e degli uomini, senza muovere loro alcuna critica e senza riceverne accuse?

2              Osserva attentamente che cosa richiede la tua natura, in quanto essere governato soltanto da una natura fisica; poi fallo e accettalo, sempre che non vada a discapito della tua natura di essere animato. Successivamente devi osservare che cosa richieda la tua natura di essere animato, e accettarlo completamente, sempre che non vada a discapito della tua natura di essere razionale. Ma l’essere razionale a immediatamente anche sociale. Usa queste regole e non perderti in ragionamenti inutili.

3              Ogni avvenimento o a avvenuto in modo tale che sei per natura in grado di sopportarlo, oppure a tale che non sei in grado di sopportarlo. Ora, se l’avvenimento a per te sopportabile, non crucciartene, ma sopportalo come a nelle tue possibilità; se invece non a sopportabile, non crucciartene, perché in quel momento ti avrà già annientato. Ricorda d’altra parte che per natura sei in grado di sopportare tutto: dipende dalla tua opinione renderlo sopportabile e tollerabile attraverso una rappresentazione del carattere vantaggioso o doveroso che quest’azione riveste per te.

4              Se sbaglia, insegnagli con benevolenza e indicagli la mancanza. Se non sei capace di farlo, accusa te stesso, o neppure te stesso.

5              Qualunque cosa ti succeda, era predisposto per te dall’eternità; e dall’eternità l’intreccio delle cause aveva tessuto insieme la tua sostanza e questo evento.

6              Valga la dottrina degli atomi o quella della natura, il punto primo dev’essere che io sono parte dell’universo governato dalla natura; il secondo, che sono in un qualche rapporto di parentela con le parti della mia stessa specie. Ricordando questi punti, non sarò in dissidio – in quanto sono una parte – con nulla di ciò che mi viene assegnato entro l’ordine universale: nulla che rechi vantaggio al tutto a dannoso per la parte. Il tutto, infatti, non contiene nulla che non gli rechi vantaggio. E poiché tutte le nature hanno in comune questa proprietà, ma la natura dell’universo ha in più la caratteristica di non essere costretta da alcuna causa esterna a generare qualcosa che le rechi danno, ricordandomi di essere una parte di un tutto così connaturato accoglierò con favore ogni evento; e, in quanto sono in un qualche rapporto di parentela con le parti della mia stessa specie, non farò nulla di contrario all’interesse sociale, anzi avrò come obiettivo gli esseri della mia specie e guiderò ogni mio impulso verso l’utile comune e lo allontanerò dalla direzione contraria. Se si verificano pienamente queste condizioni, la vita non può che scorrere felice, così come puoi immaginare che scorra felice la vita di un cittadino sempre impegnato in azioni vantaggiose per i concittadini e pronto ad abbracciare qualunque cosa gli sia assegnata dalla città.

7              Il destino delle parti del tutto – quante, dico, sono contenute dal cosmo – a di perire: quest’ultimo termine va preso nel significato di «trasformarsi». Se però, dico, questo a un male per loro, ed a un male inevitabile, non può essere che l’universo proceda bene, visto che le sue parti sono avviate a trasformazione e costituite allo scopo di finire, in modi differenti, distrutte. La natura stessa, allora, si sarebbe adoperata a danneggiare le proprie parti, a renderle esposte al male e inevitabilmente destinate al male? Oppure le a sfuggito che andava creandosi una situazione di questo genere? Entrambe le supposizioni sono inverosimili. E se qualcuno, prescindendo dall’intervento della natura, spiegasse la situazione come un semplice fenomeno fisico, anche così sarebbe ridicolo da un lato dire che le parti del tutto si trasformano per un processo fisico, dall’altro stupirsene come di un evento contro natura oppure non accettarlo, tanto più considerato che l’esito del dissolvimento a la liberazione dei componenti di cui a costituito ogni singolo essere. Infatti, o a dispersione degli elementi che formavano il composto, o a mutamento del solido in terra, dell’aeriforme in aria, onde tali elementi vengono riassunti nella ragione dell’universo, sia che esso proceda per periodiche conflagrazioni sia che si rinnovi mediante perenni scambi interni. E il solido e l’aeriforme non immaginare siano ancora quelli del primo momento di vita: tutto questo a affluito ieri o l’altro ieri, attraverso il cibo e l’aria inspirata. Si trasforma questo che a stato preso successivamente, non quello che la madre ha generato. Ammetti pure, invece, che quello ti leghi strettamente alla tua qualità individuale: essa non ha niente a che vedere, mi pare, con ciò di cui stiamo parlando adesso.

8              Se questi sono i termini con cui indichi te stesso – buono, discreto, sincero, d’animo prudente, concorde, nobile – stai attento a non cambiarli e a non perderli, e, se dovessi perderli, torna presto ad essi. Ricorda che «d’animo prudente» intendeva significare per te la valutazione analitica e attenta di ciascuna cosa; «d’animo concorde» significava la spontanea accettazione di ciò che viene assegnato dalla natura comune; «d’animo nobile» significava la capacità di elevare la parte razionale al di sopra del movimento dolce o aspro della carne, al di sopra della fama, della morte e di tutte le altre cose di questo genere. Se ti conserverai all’altezza di questi termini senza spasimare perché altri li usino per definirti, sarai un altro uomo e entrerai in un’altra vita. Perché essere ancora così come sei stato fino ad ora, e dibatterti e insudiciarti in una simile vita va proprio bene per uno stordito, per uno attaccato alla vita come quei bestiarii che, mezzi divorati, pieni di ferite, lordi di sangue e polvere, chiedono egualmente di essere risparmiati per l’indomani, per finire preda, in quelle condizioni, degli stessi artigli e delle stesse fauci. Perciò occupa questi pochi termini e, se puoi restare su di essi, restaci come fossi emigrato in qualche isola dei beati; se però ti accorgi che stai cadendo e non riesci a tenerli stretti, va’ fiducioso a cercare un cantuccio, dove tu possa conservarne il possesso, oppure esci addirittura dalla vita, non adirato, ma con semplicità, libertà e discrezione, realizzando almeno questo risultato nella vita: di uscirtene così. Ma a non dimenticare questi termini contribuirà grandemente ricordarsi degli dai, rammentare che essi non vogliono essere adulati, vogliono invece che tutti gli esseri razionali si rendano eguali a loro, e che sia il fico a svolgere la parte del fico, il cane quella del cane, l’ape quella dell’ape, l’uomo quella dell’uomo.

9              Mimo, guerra, eccitazione, torpore, schiavitù giorno dopo giorno cancelleranno tutti quei tuoi sacri principî che ti rappresenti al di fuori della scienza della natura, e che poi abbandoni. Ma bisogna guardare e fare ogni cosa in modo che, su un versante, sia realizzato quel che a richiesto dalle circostanze, e, sull’altro, sia esplicata l’osservazione teorica e sia salvaguardata quella sicurezza di sé che deriva dalla conoscenza rigorosa delle singole cose – salvaguardata nella discrezione più assoluta, ma senza arrivare a nasconderla. Quando potrai godere della semplicità? Quando della serietà? Quando della conoscenza di ogni singola cosa – quale sia cioè la sua sostanza, quale posto occupi nel cosmo, quanto tempo la natura assegni alla sua esistenza, di quali elementi sia composta, a chi possa appartenere, chi possa darla e toglierla?

10           Un ragno a orgoglioso di aver catturato una mosca; qualcuno a orgoglioso di aver catturato un leprotto, altri di aver preso un’acciuga nella rete, chi di aver preso dei cinghiali, chi degli orsi, chi dei Sarmati. Del resto non sono forse briganti, se esamini i loro principî?

11           … come ogni cosa si trasforma in un’altra: acquisisci un metodo di osservazione del fenomeno, applicalo continuamente ed esercitati in quest’àmbito, perché nulla contribuisce in tale misura alla nobiltà d’animo. Si a spogliato del corpo e, pensando che tra un attimo dovrà abbandonare tutto questo congedandosi dal mondo degli uomini, ha consacrato tutto se stesso alla giustizia – per ciò che rientra nel suo operato -, e alla natura universale – per gli eventi che non ne dipendono. E non prende neppure in considerazione che cosa si dirà o si penserà di lui, o che cosa si farà contro di lui, pago di queste due attività: compiere secondo giustizia ciò che al momento va compiendo e amare quanto al momento gli viene assegnato; ha accantonato ogni altra occupazione e impegno, e non vuole nient’altro se non percorrere fino in fondo, attraverso la legge, la retta via, e seguire dio che percorre la retta via fino in fondo.

12           Che bisogno c’a di ipotesi, quando a possibile osservare che cosa si deve fare, e, se lo scorgi, procedere serenamente in quella direzione, senza voltarti indietro, se non lo scorgi, sospendere il giudizio e ricorrere ai consiglieri migliori; e, se sul tuo cammino ci sono altri ostacoli, avanzare secondo le possibilità del momento, attenendoti, dopo rigoroso esame, a ciò che pare giusto? La cosa migliore, infatti, a cogliere questo obiettivo, poiché mancarlo significa il fallimento. Chi segue in tutto la ragione a un essere quieto e, nel contempo, pronto ad agire; ha nel volto la gioia e, nel contempo, la serietà.

13           Appena sveglio chiediti: «Farà forse differenza per te, che un altro biasimi ciò che a giusto e ben disposto?». No. Ti sei forse dimenticato che questi individui, che si impancano a elogiare e biasimare gli altri, hanno quella certa condotta a letto, a tavola? Hai dimenticato quali cose fanno, quali rifuggono, quali inseguono, quali rubano, quali razziano, non con mani e piedi, ma con la loro parte più preziosa, che può nutrire, quando lo voglia, lealtà, pudore, amore della verità, rispetto per legge, un demone buono?

14           Alla natura che dà e riprende ogni cosa l’uomo istruito e rispettoso dice: «dammi ciò che vuoi, riprenditi ciò che vuoi». E non lo dice con aria di sfida, ma soltanto perché a docile e ben disposto verso la natura.

15           È poco il tempo che ti resta da vivere. Vivi come sulla cima di una montagna: perché non c’a nessuna differenza tra vivere là o qua, se si vive ovunque nell’universo come in una città. Gli uomini vedano, osservino a fondo un uomo vero che vive secondo natura. Se non lo sopportano, lo uccidano: a meglio morire che vivere come loro.

16           Insomma: non devi più discutere su come debba essere un uomo virtuoso, ma esserlo.

17           Ricorri continuamente alla rappresentazione dell’intera eternità e dell’intera sostanza, e del fatto che ogni singola parte a, di fronte alla sostanza, un granello di fico, di fronte al tempo, un giro di trapano.

18           Nel valutare ciascun oggetto consideralo come già in via di dissolvimento, in atto di trasformarsi e quasi di marcire o disperdersi, ovvero considera che ciascuna cosa a nata quasi per morire.

19           … come sono quando mangiano, dormono, si accoppiano, evacuano, e in tutto il resto. Poi, come sono quando impersonano la legge, spandono orgoglio o cedono alla collera e rimproverano dall’alto della loro superiorità. Poco prima, invece, a quanti facevano da schiavi e per quali motivi! E tra poco saranno di nuovo in tale condizione.

20           A ciascuno reca vantaggio quel che a ciascuno la natura universale arreca, e reca vantaggio nel preciso momento in cui la natura lo arreca.

21           «La terra ama la pioggia, e la ama anche il venerabile etere»; e il cosmo ama fare tutto ciò che deve accadere. Ora, al cosmo dico: «Amo con te». Non si dice anche, comunemente, che una data cosa «ama accadere»?

22           O vivi qui – e ormai ci sei abituato -, o te ne tiri fuori – e sarebbe quello che volevi -, o muori – e hai compiuto il tuo servizio -: al di là di queste possibilità non ce ne sono altre. Nessun malumore, quindi!

23           Sia sempre ben chiaro che laggiù, in campagna, a all’incirca come qui, e come tutto, qui, sia lo stesso che in cima a un monte o in riva al mare o dove credi. Troverai proprio quello che dice Platone: «chiudendosi – dice – nel suo stabbio in montagna», e ancora: «mungere pecore belanti».

24           Cos’a per me il mio principio dirigente e quale lo sto rendendo, ora, e per che cosa, ora, me ne servo? È forse privo di intelletto, sciolto e staccato dalla società, infuso e mescolato nella carne al punto da restar coinvolto nei suoi movimenti?

25           Chi fugge dal suo padrone a uno schiavo fuggitivo; il nostro padrone a la legge, e chi la trasgredisce a un fuggitivo. Analogamente: chi soffre o si adira o teme, non vuole che sia avvenuto, che stia avvenendo o che debba avvenire qualcosa di quanto a stato disposto da colui che governa il tutto, cioè la legge che legifera quanto tocca a ciascuno. Chi teme, quindi, o soffre o si adira, a uno schiavo fuggitivo.

26           Dopo aver gettato il seme nell’utero, l’uomo si ritira e da quel momento il seme passa sotto un’altra causa, che lo elabora e realizza un bimbo compiuto: quale esito, da quale inizio! Ancora: l’uomo lascia il cibo nella bocca del bambino, e da quel momento il cibo passa sotto un’altra causa, che ne produce sensazione, impulso, insomma vita e forza, e quanti e quali altri risultati. Osserva, quindi, questi processi che avvengono in un così profondo mistero, e guarda la forza che li produce così come guardiamo anche la forza che trascina i corpi verso il basso e quella che li spinge verso l’alto: non con gli occhi, ma non per questo meno perspicuamente.

27           Considera continuamente come anche prima tutto avvenisse tale quale avviene ora; e considera che avverrà anche in futuro. E poniti dinanzi agli occhi interi drammi e scene del medesimo tenore, quanti ne conosci per tua esperienza personale o dalla storia precedente, ad esempio tutta la corte di Adriano, tutta la corte di Antonino, di Filippo, di Alessandro, di Creso: era tutto come adesso, solo con altri personaggi.

28           Rappresentati ogni uomo che soffra o si lamenti per qualsivoglia motivo simile a un porcellino sacrificato che recalcitra e strilla; simile a anche chi, steso sul suo lettuccio, da solo e in silenzio piange la catena che ci vincola all’universo. Considera che solo all’essere razionale a concesso di seguire volontariamente gli eventi, mentre il semplice seguirli a inevitabile per tutti.

29           Punto per punto, ad ogni singola cosa che fai, sofférmati a riflettere e domandati se la morte sia temibile perché ti priva di quella cosa.

30           Quando urti nella colpa di qualcuno, passa sùbito a considerare quale colpa simile stai commettendo; ad esempio, giudicando un bene il piacere oppure la fama e cose di questa specie. Riflettendo su questo punto, infatti, dimenticherai presto la tua ira, tanto più se ti verrà in mente il fatto che quel tale agisce per costrizione: cosa dovrebbe fare? Oppure, se sei in grado, liberalo dal suo stato di costrizione.

31           Vedendo Satirone, immàginati un Socratico o Eutiche o Imene; vedendo Eufrate immàginati Eutichione o Silvano, vedendo Alcifrone immàginati Tropeoforo; vedendo Senofonte immàginati Critone o Severo; e volgendoti a guardare te stesso immàginati uno dei Cesari e così, analogamente, fai per ciascuno degli altri. Poi la tua mente si chieda: dove sono costoro? In nessun luogo o chissà dove. Così, infatti, vedrai continuamente che la realtà umana a fumo ed a niente, soprattutto se ricorderai che qualunque cosa, una volta trasformata, non sarà più per l’infinità del tempo. Allora perché ti dài tanta pena? Perché non ti accontenti di portare a compimento come si conviene questo breve tragitto? Da quale materia e da quale proposito tenti di fuggire? Cos’altro sono tutte queste cose, se non esercizi per la ragione che abbia scorto nitidamente e nei termini della scienza della natura i fatti della vita? Insisti, quindi, finché non avrai assimilato anche questi concetti, come lo stomaco robusto assimila ogni cibo, come il fuoco vivo trasforma in fiamma e luce qualunque cosa vi getti.

32           Nessuno deve poter dire di te, parlando sinceramente, che non sei semplice o che non sei virtuoso: chi avrà un’opinione del genere a tuo riguardo dovrà mentire. Il che dipende completamente da te: chi, infatti, ti impedisce di essere virtuoso e semplice? Hai soltanto da decidere di non vivere più, se non sarai così. Neppure la ragione, infatti, sceglie che tu viva, se non sei così.

33           In questa materia cosa si può fare o dire nel modo più valido? Di qualunque cosa si tratti, a lecito farla o dirla; e non accampare la scusa di un impedimento. Non potrai smettere di lamentarti prima di aver provato nella tua persona che per te fare quanto a proprio alla costituzione dell’uomo in ogni materia che ti si sottoponga e ti si presenti equivale alla voluttà che gli uomini sensibili ai piaceri trovano nelle mollezze; bisogna infatti concepire come godimento ogni azione che sia lecito compiere secondo la propria natura; e agire in questo modo a lecito dovunque. Certo, al cilindro non a dato di poter compiere dovunque il proprio particolare movimento, e neppure all’acqua, né al fuoco, né a tutto quanto a governato da una natura o da un’anima irrazionale, perché vi sono molte barriere e ostacoli. Invece l’intelletto e la ragione possono procedere attraverso qualunque ostacolo, come a nella loro natura e come vogliono. Ponendoti davanti agli occhi questa facoltà, in virtù della quale la ragione muoverà attraverso ogni cosa, come il fuoco verso l’alto, la pietra verso il basso, il cilindro lungo un piano inclinato, non cercar più nient’altro: gli altri impedimenti, infatti, o riguardano questo misero corpo, che a solo un cadavere, oppure, senza la concomitanza di un’opinione che li riconosca tali e di un cedimento della ragione stessa, non incidono e non producono il benché minimo male, poiché altrimenti anche chi li subisce diverrebbe sùbito peggiore. Per quanto riguarda, quindi, tutti gli altri esseri, qualunque cosa di male avvenga a uno di essi, a lo stesso essere colpito che ne esce peggiore; qui invece l’uomo, se così si può dire, ne esce addirittura migliore e più encomiabile, se sa fare il giusto uso di ciò che gli accade. Insomma, ricorda che a chi per natura a cittadino non può recare danno ciò che non reca danno alla città, e non può recare danno alla città ciò che non reca danno alla legge. Ora, nessuna di queste cosiddette sventure danneggia la legge; quindi, ciò che non danneggia la legge, non danneggia né la città né il cittadino.

34           Se uno ha sentito il morso dei veri principî gli basta anche il minimo cenno, la frase che tutti conoscono, per ricordare di essere estraneo al dolore e alla paura. Per esempio

foglie, alcune il vento ne sparge per terra … così la stirpe degli uomini … E foglioline sono anche i tuoi figli, foglioline anche questi che con un’espressione tanto convinta acclamano e glorificano o, al contrario, maledicono, o nell’intimo criticano e dileggiano; e foglioline, ugualmente, quelli a cui sarà affidata la nostra fama postuma. Tutti questi esseri, infatti, nascono nella stagione di primavera … poi il vento li abbatte; e poi al loro posto la selva ne genera altri. Un’esistenza breve a la comune condizione di ogni cosa; tu invece eviti e insegui ogni cosa come fosse destinata a durare in eterno. Ancora un poco, e chiuderai gli occhi; e sùbito un altro piangerà colui che ti ha seppellito.

35           L’occhio sano deve vedere tutto ciò che si può vedere, e non dire: «voglio vedere il verde»: così fa chi ha gli occhi malati; e l’udito e l’olfatto sani devono essere pronti a tutto ciò che si può udire o odorare; e lo stomaco sano deve avere la stessa reazione verso ogni cibo, come la macina deve macinare tutto ciò per cui e stata costruita. E quindi la mente sana deve essere pronta verso ogni evento; mentre quella che dice: «i miei figli si salvino!» e «tutti lodino qualunque cosa io faccia!», a un occhio che cerca il verde oppure denti che cercano il tenero.

36           Non c’a nessuno così fortunato da non aver accanto, al momento della sua morte, chi saluti con piacere l’evento luttuoso. Era un uomo serio e saggio? Quando verrà la sua ultima ora ci sarà qualcuno che tra sé dirà: «Finalmente avremo respiro da questo pedante; non che fosse duro con nessuno di noi, ma sentivo che nel suo intimo ci condannava». Questo per l’uomo serio: ma nel nostro caso quante altre ragioni vi sono perché molti non aspettino che di liberarsi di noi! A questo, quindi, penserai morendo, e te ne andrai più serenamente, ragionando così: «esco da una simile vita, in cui proprio i miei compagni, per i quali ho tanto lottato, ho tanto pregato, ho avuto tante preoccupazioni, proprio loro vogliono che io me ne vada, sperando forse di averne qualche altro vantaggio». Perché, allora, tenere tanto a un soggiorno più lungo quaggiù? Tuttavia non andartene nutrendo, per questo, sentimenti meno benevoli verso di loro, ma conservando il tuo carattere di sempre, restando amico, affettuoso e ben disposto verso di loro; e non andartene neppure come se ti si strappasse a loro: devi invece allontanarti da essi nel modo sereno in cui l’anima di chi ha una buona morte si svincola dal corpo. La natura, infatti, ti ha unito e mescolato con essi: ora, però, te ne separa. Me ne separo come da parenti, senza tuttavia far resistenza, anzi senza neppure sentirmi costretto: anche questo a un comportamento secondo natura.

37           Ad ogni cosa che qualcuno fa abìtuati, per quanto possibile, a indagare dentro di te: «A cosa mira costui con quest’azione?». Ma comincia da te e esamina per primo te stesso.

38           Ricorda che a muovere i fili della marionetta a quello che sta nascosto all’interno: quello a […], quello a vita, quello, se dobbiamo dire, a l’uomo. Non associargli mai, nella tua rappresentazione, il recipiente che lo contiene e questi organi che gli si sono formati intorno: sono come un’ascia, con l’unica differenza che sono uniti al nostro organismo. Perché senza la causa che le muove e le arresta queste membra non hanno maggiore utilità della spola per la tessitrice, della penna per chi scrive e della sferza per l’auriga.

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IL TRATTATO DI MARCO AURELIO LIBRO IX

LIBRO IX

1              Chi commette ingiustizia commette empietà: infatti, poiché la natura universale ha prodotto gli esseri razionali  gli uni per gli altri, così che si aiutino reciprocamente secondo il merito di ciascuno, e non si danneggino in modo alcuno, chi trasgredisce il suo volere a, evidentemente, empio verso la più venerabile delle divinità. Anche chi mentisce commette empietà verso la stessa dea: perché la natura universale a la natura degli esseri, e gli esseri sono intimamente legati con le cose che esistono. Per di più, essa viene anche chiamata verità ed a la causa prima di ogni verità: quindi chi mentisce volontariamente commette empietà in quanto ingannando commette ingiustizia; chi invece lo fa involontariamente, commette ingiustizia in quanto entra in dissidio con la natura universale e ne turba l’ordine combattendo contro la natura del cosmo. Impugna le armi, infatti, chi di propria iniziativa muove verso il contrario della verità: dalla natura aveva inizialmente ricevuto i fondamenti necessari, ma li ha abbandonati e non a più in grado di discernere il falso dal vero. E ancora: commette empietà anche chi insegue il piacere come bene e fugge il dolore come male; a inevitabile che una persona del genere critichi spesso la natura comune, convinto che essa agisca contro il giusto merito nell’assegnare qualcosa alle persone dappoco e agli uomini di valore, dato che sovente i primi vivono nei piaceri e conseguono ciò che produce piacere, mentre i secondi incorrono nel dolore e in quello che lo causa. Inoltre: chi teme i dolori prima o poi avrà timore anche di ciò che avverrà nel cosmo, e già questo a un’empietà. E chi insegue i piaceri non si asterrà dal commettere ingiustizia: e questo a palesemente empio. Mentre chi vuole seguire la natura deve essere parimenti concorde verso ciò che la natura comune include in pari misura – non avrebbe prodotto entrambe le cose, infatti, se non avesse pari rapporto con entrambe -: pertanto chi non ha pari rapporto con il dolore e il piacere, o la morte e la vita, o la fama e l’oscurità, di cui la natura universale fa pari uso, commette evidentemente empietà. Dico che la natura universale fa uso indifferente di queste cose nel senso che accadono indifferentemente, in conformità agli eventi e alle loro conseguenze, per un impulso originario della provvidenza, in virtù del quale la provvidenza procedendo da un’origine ha dato impulso a questo ordinamento cosmico, avendo concepito determinate ragioni delle cose future e definito forze atte a generare sostanze, trasformazioni e consimili successioni.

2              Una persona di animo elevato dovrebbe uscire dalla vita senza conoscere il sapore della queste cose a, in mancanza di altro, la seconda navigazione da scegliere. Oppure la tua scelta era proprio di restare ancorato al male, e neppure l’esperienza ti persuade ancora a fuggire dalla peste? Perché a veramente peste la corruttela della mente, molto più di quella perniciosa alterazione dell’aria che ci circonda: questa, infatti, a la peste degli esseri viventi in quanto tali, mentre quella a la peste degli uomini in quanto uomini.

3              Non disprezzare la morte, ma accettala di buon grado, in quanto anche questa a una delle cose volute dalla natura. Come il compimento della giovinezza e della vecchiaia, lo sviluppo e il pieno rigoglio, la dentizione, lo spuntare della barba, l’incanutire, e l’ingravidare, la gravidanza, il parto e tutte le altre attività naturali che giungono con le stagioni della vita, così a anche il dissolvimento stesso. Questa, quindi, a la condotta dell’uomo che ragiona: non porsi, di fronte alla morte in termini troppo generici, oppure di rifiuto o sdegno, ma attenderla come una delle operazioni naturali. E come ora attendi il momento in cui dal ventre di tua moglie uscirà un bimbo, così aspetta il momento in cui la tua anima si sfilerà da questo involucro. E – se vuoi anche una regola che non a filosofica, ma sa arrivare al cuore – ti renderà ben disposto alla morte soprattutto considerare gli oggetti da cui stai per staccarti, e con quali caratteri la tua anima non dovrà più essere mescolata. Perché, anche se non bisogna assolutamente porsi in urto con essi, ed anzi bisogna prendersene cura e sopportarli con pazienza, non devi tuttavia dimenticare che il tuo non sary un distacco da uomini che condividano i tuoi stessi principî. Questa sarebbe, se mai, l’unica ragione a far da contrappeso e a tenerti attaccato alla vita: la possibilità, cioè, di convivere con persone che si sono dotate dei tuoi stessi principî. E invece tu vedi bene, adesso, quanto sia logorante il dissenso con chi ci vive accanto, al punto che uno dice: «Vieni presto, morte, perché anch’io non debba arrivare a dimenticare me stesso».

4              Chi sbaglia, sbaglia contro di sé; chi commette ingiustizia fa del male a se stesso perché si rende malvagio.

5              Molte volte commette ingiustizia non solo chi fa, ma anche chi non fa qualcosa.

6              Bastano: l’opinione capace di afferrare la realtà nel momento attuale; l’azione utile alla comunità nel momento attuale; la disposizione pronta ad accettare tutto ciò che, nel momento attuale, proviene dalla causa esterna.

7              Cancella la rappresentazione; arresta l’impulso; spegni l’appetito; mantieni in tuo potere il principio dirigente.

8              Una sola a l’anima suddivisa tra gli esseri privi di ragione, e una sola a l’anima razionale ripartita tra gli esseri provvisti di ragione. Come anche unica a la terra che costituisce tutto ciò che a terroso, una sola la luce con cui vediamo, una sola l’aria che respiriamo noi tutti esseri dotati di vista e di vita.

9              Tutto ciò che partecipa di un elemento comune tende a quello che ha eguale natura. Tutto ciò che a terroso inclina alla terra, ogni liquido tende a confluire con gli altri, e così pure l’aeriforme, tanto che per impedirlo si deve ricorrere a uno sbarramento forzato. Il fuoco, per via dell’elemento igneo, tende verso l’alto, e quaggiù a così pronto ad unirsi con ogni fuoco, che qualunque materiale solo un po’ più secco a facilmente infiammabile per la minor presenza, in ciò che lo compone, di fattori che ostacolino la combustione. E quindi ogni essere partecipe della comune natura razionale tende, allo stesso modo o anche più, a ciò che ha la stessa natura; infatti quanto più emerge sul resto, tanto più a pronto a mescolarsi e fondersi con ciò che appartiene alla sua specie. Tra gli esseri irrazionali si giunse sùbito a sciami, mandrie, nidiate, a forme d’amore: infatti qui già vi erano delle anime e già si trovava la spinta – intensa perché attiva in un essere superiore – all’aggregazione, quale non si ritrova in piante, pietre o legna. Tra gli esseri razionali si giunse ad organismi politici, amicizie, famiglie, riunioni, e, in guerra, a trattati e tregue. E tra gli esseri ancora superiori, benché distanti tra loro, venne in certo modo a formarsi un’unione, quale vi a tra gli astri. Così la spinta a elevarsi verso ciò che a superiore può produrre una simpatia anche tra esseri separati. Osserva, dunque, ciò che accade ora: solo gli esseri razionali, ora, hanno dimenticato l’inclinazione e la convergenza reciproca, e solo qui non si vede più il confluire in un unico corso. E tuttavia, sebbene fuggano l’uno dall’altro, vengono presi e accerchiati: la natura a più forte. E se presti attenzione capirai quello che intendo dire: si farebbe prima a trovare qualcosa di terroso senza collegamento con nulla di terroso piuttosto che un uomo del tutto avulso da un altro uomo.

10           Danno frutto anche l’uomo, dio, il cosmo: nelle stagioni appropriate ogni singola cosa dy frutto: E se l’uso applica il termine «frutto» in senso proprio soltanto alla vite e alle altre piante, non significa niente. La ragione ha un frutto che a sia comune sia individuale, e da essa nascono altri frutti di natura analoga alla sua.

11           Se puoi, correggili con il tuo insegnamento; altrimenti, ricorda che proprio per queste situazioni ti a stata data la benevolenza. Anche gli dai sono benevoli verso questo genere di persone; e per certe cose – per la salute, per la ricchezza, per la fama – addirittura li aiutano, tanto sono buoni! Puoi farlo anche tu: in caso contrario, di’ chi te lo impedisce.

12           Lavora: ma non con l’aria della vittima né per farti compatire o ammirare; desidera, invece, una cosa soltanto: muoverti e trattenerti come richiede la ragione della socialità.

13           Oggi mi sono allontanato da ogni fastidio; o meglio, ho gettato via ogni fastidio: perché non era fuori, ma dentro, nelle mie opinioni.

14           Tutto questo a consueto per l’esperienza, effimero per il tempo, sudicio per la materia. Tutto, ora, a come al tempo di coloro che abbiamo sepolto.

15           Le cose stanno fuori della porta, isolate in se stesse, e di se stesse non sanno e non esprimono nulla. Cos’a, quindi, che si esprime su di esse? Il principio dirigente.

16           Il bene e il male dell’essere razionale e sociale non sono nella passività, ma nell’attività, come pure la sua virtù o il suo vizio non sono nella passività, ma nell’attività.

17           Per la pietra scagliata verso l’alto non c’a nulla di male nel ricadere come non c’a nulla di bene nel salire.

18           Penetra all’interno dei loro principî dirigenti e vedrai quali giudici tu temi e quali giudici sono di se stessi.

19           Tutto a trasformazione. Tu stesso sei soggetto a un processo continuo di alterazione e, in certo modo, distruzione, e così il cosmo intero.

20           L’errore di un altro bisogna lasciarlo dov’a.

21           Cessazione di un’attività, di un impulso; pausa e, diciamo, morte di un’opinione: nulla di male. Passa ora alle varie età della vita: l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza, la vecchiaia; anche per esse, infatti, ogni trasformazione a una morte. C’a forse qualcosa da temere? Passa ora alla vita che hai trascorso sotto tuo nonno, poi alla vita trascorsa sotto tua madre, poi alla vita trascorsa sotto tuo padre; e di fronte a tante altre distruzioni, trasformazioni, cessazioni, chiedi a te stesso: «c’a qualcosa da temere?». Così non a da temere neppure la cessazione, la fine, la trasformazione della tua intera vita.

22           Corri al tuo principio dirigente, a quello dell’universo e a quello di quest’uomo. Al tuo, per farne un intelletto giusto; a quello dell’universo, per ricordare di cosa sei parte; a quello di costui, per renderti conto se dietro la sua azione vi sia ignoranza o consapevolezza, e, insieme, per considerare che quel principio dirigente a parente del tuo.

23           Come tu stesso sei parte nel realizzare una compagine sociale, così pure ogni tua azione sia parte nel realizzare la vita sociale. Qualunque tua azione non sia in riferimento diretto o lontano con il fine collettivo, lacera la vita comune, ne impedisce l’intrinseca unità ed a fonte di dissidî, come lo a chi, in democrazia, si allontana per parte sua da un tale regime di concordia.

24           Collere e giochi di bambini e «povere anime che reggono cadaveri»: diventa più evidente lo scenario della Nékuia!

25           Rivolgiti ora alla qualità della causa e osservala in sé, dopo averla isolata dalla materia; poi definisci anche il tempo massimo per il quale questa particolare qualità può sussistere.

26           Hai già sofferto mille volte per non volerti accontentare che il tuo principio dirigente facesse quel genere di cose che rientrano nella sua costituzione: ora basta, però!

27           Quando un altro ti biasima o ti odia, o quando la gente si esprime sul tuo conto in questi termini, volgiti alle loro anime, penetra all’interno di esse e guarda che genere di uomini sono. Vedrai che non devi darti pena perché abbiano di te una determinata opinione. Tuttavia bisogna essere benevoli con loro: per natura sono amici. Anche gli dai li aiutano nei modi più diversi, attraverso sogni, attraverso oracoli, e proprio nelle cose che interessano a loro.

28           Questi sono i cicli del cosmo: su e giù, di eterno in eterno. O la mente universale esercita il suo impulso per ogni singola cosa – e se a così, accogli il suo impulso -, oppure lo ha esercitato una volta per tutte, e il resto avviene per conseguenza. E perché ti affanni? In un certo senso, infatti, o vi sono gli atomi o il destino. Insomma: se c’a dio, va tutto bene; se domina il caso, non agire anche tu a caso. Presto la terra ci coprirà tutti, poi anch’essa si trasformerà e quel nuovo assetto si trasformerà all’infinito e quell’altro a sua volta all’infinito. Se uno pensa alle ondate delle trasformazioni e delle alterazioni, e alla loro rapidità, disprezzerà tutto ciò che a mortale.

29           La causa dell’universo a un torrente: trascina tutto con sé. Quanto poco valgono questi omuncoli dediti alla politica e – sono convinti – alla pratica della filosofia: mocciosi! E tu, uomo, che fai? Fa’ quello che la natura ora esige. Esercita l’impulso, se ti a dato, e non voltarti intorno a guardare che ci sia chi lo venga a sapere. Non sperare nella repubblica di Platone, ma accontentati del minimo passo avanti e non considerare un’inezia anche questo modesto risultato. Chi riuscirà, infatti, a trasformare i loro principî? E senza la trasformazione dei principî che cosa rimane se non la schiavitù di chi geme e finge di obbedire? Avanti, ora, citami Alessandro, Filippo, Demetrio Falereo. Guarderò se abbiano visto cosa vuole la natura comune, e se abbiano educato se stessi; ma se hanno recitato come personaggi di tragedia, nessuno mi ha condannato a imitarli. Il cómpito della filosofia a semplice e modesto: non spingermi a pose altere e solenni.

30           Osserva, dall’alto: mandrie innumerevoli, innumerevoli cerimonie, varia navigazione tra tempeste e bonacce, molteplice diversità di esseri che nascono, convivono, scompaiono. Considera anche la vita vissuta in passato da altri, quella che verrà vissuta dopo di te e quella che ora si vive tra i popoli barbari; considera quanti non conoscono neppure il tuo nome, quanti ben presto lo dimenticheranno, quanti che forse ora ti lodano ben presto ti biasimeranno; considera come il ricordo che lasciamo ai posteri non abbia valore, e non lo abbiano né la gloria né, in assoluto, altro.

31           Imperturbabilità circa le cose che provengono dalla causa esterna, giustizia nelle cose che si producono per la causa che deriva da te; ossia impulso e azione che si esauriscono proprio nell’agire in vista del bene comune, poiché questo a per te secondo natura.

32           Puoi eliminare molte cose superflue tra quelle che ti disturbano, in quanto risiedono completamente nella tua opinione: e ti ricaverai sùbito un ampio spazio. Abbraccia col pensiero l’intero universo, comprendi nella mente l’eternità infinita e considera la rapida trasformazione delle parti di ciascuna cosa: come sia breve il tempo che scorre dalla nascita fino al dissolvimento, immenso quello che precede la nascita, e, ugualmente, infinito quello che segue al dissolvimento.

33           Tutto quanto vedi ben presto perirà, e ben presto periranno anche quegli stessi che l’hanno visto perire. E chi muore nella vecchiaia estrema passerà alla medesima condizione di chi a morto prima del tempo.

34           Chiediti quali siano i principî dirigenti di costoro, in quale genere di cose si siano impegnati, per quali ragioni provino amore e rispetto verso gli altri. Immagina di vedere nuda la loro povera anima. Pensa a quanta presunzione dimostrino, quando credono di danneggiare con le loro critiche o di giovare con le loro glorificazioni.

35           La perdita altro non a che trasformazione. Ne gode la natura universale: in conformità al suo volere a tutto bene ciò che accade, dall’eternità a sempre avvenuto nello stesso modo e sarà ancora così, all’infinito. E allora? Tu dici che tutto quanto a avvenuto a male e che tutto sarà sempre male, e che tra tanti dai non si a mai trovata una forza che potesse raddrizzare questa situazione, ma il cosmo a condannato a restare in una morsa di mali senza tregua?

36           Il marcio della materia che sta alla base di ciascun essere a acqua, polvere, ossa, fetore; o ancora: i marmi sono placche della terra e l’oro, l’argento sono sedimenti, le vesti sono peli, la porpora a sangue, e così via tutto il resto. E il soffio vitale a qualcos’altro del genere e passa in continuazione da un essere all’altro.

37           Basta con la vita infelice, con questo mormorare, con questo comportamento scimmiesco! Perché ti turbi? Cosa c’a di nuovo in tutto questo? Cos’a che ti fa uscire da te stesso? La causa? Osservala bene. O invece la materia? Osservala bene. Al di fuori di queste due cose non c’a nulla. Ma diventa infine più semplice e più buono anche verso gli dai! Indagare queste cose per cento o per tre anni a lo stesso.

38           Se ha sbagliato, il male a lì; ma forse non ha sbagliato.

39           O tutto confluisce da una sola fonte razionale come in un solo corpo, e allora la parte non deve lamentarsi di ciò che avviene nell’interesse del tutto; oppure ci sono gli atomi e nient’altro che miscuglio e dispersione. Perché ti lasci turbare, allora? Tu dici al principio dirigente: «sei morto, corrotto, imbestiato; fingi, vivi nel gregge, pascoli».

40           O gli dai o non hanno alcun potere o lo hanno. Ora, se non hanno potere, perché preghi? Se invece lo hanno, perché non preghi che ti concedano di non temere nessuna di queste cose, di non desiderarne nessuna, di non soffrire per nessuna di esse, invece di pregarli perché ti evitino oppure ti concedano una di queste cose? Certamente gli dai, se possono aiutare gli uomini, possono aiutarli anche in questo. Ma forse dirai: «Gli dai hanno posto queste cose in mio potere». Allora non a meglio usare, in liberty, ciò che a in tuo potere piuttosto che lasciarti coinvolgere, tra schiavitù e umiliazione, dall’interesse per ciò che non lo a? Chi ti ha detto, poi, che gli dai non ci aiutano in quello che dipende da noi? Comincia dunque a pregare per questo, e poi vedrai. Uno prega: «che io possa andare a letto con la tale!»; tu: «che io non desideri di andare a letto con la tale!». Un altro: «che io possa esser liberato da questo!»; tu: «che io non senta il bisogno di esserne liberato!». Un altro ancora: «che io non debba perdere mio figlio!»; tu: «che io non tema di perderlo!». Insomma, modifica così le tue preghiere e osserva che cosa succede.

41           Dice Epicuro: «durante la malattia la mia conversazione non toccava le sofferenze del corpo, né – aggiunge – parlavo di questi argomenti con chi veniva a trovarmi; ma continuavo a discutere dei valori più alti nei termini della scienza della natura, applicandomi in particolare a questo problema: come la mente, pur partecipando di tali moti della carne, rimanga imperturbata conservando il proprio bene; e ai medici – continua – non consentivo di inorgoglirsi come se riuscissero a concludere qualcosa, ma la mia vita procedeva bene e felicemente». Abbi il suo stesso atteggiamento nella malattia, se ti ammali, e in altre circostanze! Perché non staccarsi dalla filosofia, qualunque cosa ti accada, e non chiacchierare con chi a profano e digiuno di scienza della natura a regola comune a ogni scuola di pensiero. Dedicati esclusivamente a ciò che stai facendo nel momento presente e allo strumento con cui lo fai.

42           Quando urti nell’impudenza di qualcuno domandati sùbito: nell’universo potrebbero non esserci impudenti? No. E allora non pretendere l’impossibile: anche costui, infatti, a uno di quegli impudenti che a inevitabile esistano nell’universo. Lo stesso ragionamento tieni a portata di mano per il furfante, per l’infido e per chiunque commetta una qualsivoglia colpa: appena richiamerai alla mente che a impossibile non esista una simile categoria di individui, sarai più indulgente con i singoli. È anche utile pensare sùbito a quale virtù la natura abbia dato all’uomo per affrontare questo difetto. Come antidoto, infatti, essa ha dato, contro l’insensibile la dolcezza, e contro ogni altro singolo vizio una particolare facoltà. Insomma, hai la possibilità di correggere la persona che si a smarrita: e chiunque sbaglia fallisce il suo proposito e si trova smarrito. E in cosa, poi, sei stato danneggiato? Non troverai nessuno, tra coloro contro cui ti adiri, che abbia fatto qualcosa di tale che la tua mente dovesse uscirne peggiore: e solo in questo può consistere ogni tuo male e ogni danno. Cosa ci sarà poi di male o di strano, se l’ignorante agisce da ignorante? Vedi, piuttosto, di non dover accusare te stesso per non aver previsto che la persona avrebbe commesso questa mancanza: perché dalla ragione avevi anche i mezzi per pensare che la persona verosimilmente avrebbe commesso questa mancanza, eppure te ne sei dimenticato e ti sorprende che l’abbia commessa. E soprattutto, quando ti lamenti del comportamento infido o ingrato di qualcuno, rivolgiti a te stesso: perché, evidentemente, a colpa tua se ti sei fidato di chi ha una simile disposizione d’animo, convinto che avrebbe mantenuto la parola, o se, concedendogli un favore, non hai voluto farlo con un gesto fine a se stesso o in modo da ricavare sùbito il frutto della tua azione dal solo fatto di compierla. Quando hai fatto del bene a un uomo, infatti, cosa vuoi di più? Non ti basta aver compiuto un’azione conforme alla tua natura? Vuoi un compenso? Come se l’occhio pretendesse un compenso perché vede, o i piedi perché camminano! Come questi organi, infatti, esistono per questo dato fine e, attuandolo secondo la propria costituzione, hanno già quanto spetta loro, così pure l’uomo, che per natura a portato a fare il bene, quando compie un beneficio o anche aiuta a raggiungere cose intermedie, ha realizzato l’obiettivo della sua costituzione e ha ciò che gli spetta.

menzogna, di qualsiasi forma di ipocrisia, mollezza e vanità. Spirare, per lo meno, provando nausea per

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IL TRATTATO DI MARCO AURELIO LIBRO VIII

LIBRO VIII

1              Anche questa constatazione porta a sopprimere ogni vanità: non puoi più cogliere l’obiettivo di un’intera esistenza – o almeno dell’età seguita alla giovinezza -, vissuta da filosofo; anzi, a ormai chiaro a molti, e anche a te stesso, che resti lontano dalla filosofia. La confusione in cui sei caduto a tale che non ti a più facile acquisire la fama di filosofo; e vi si oppongono i presupposti della tua vita. Allora, se hai veramente visto dove sta il punto fondamentale, lascia perdere cosa si penserà di te: e accontentati se potrai vivere il resto della vita, quanto mai possa essere, come vuole la tua natura. Rifletti, quindi, su cosa essa vuole, e non lasciarti distrarre da nient’altro, perché hai già sperimentato per quante vie hai dovuto vagare senza trovare in nessun luogo la vita felice – non nei sillogismi, non nella ricchezza, non nella fama, non nel godimento: in nessun luogo. Dov’a, allora? Nel fare ciò che esige la natura dell’uomo. E l’uomo come potrà farlo? Se avrà dei principî all’origine dei suoi impulsi e delle sue azioni. Quali principî? Quelli intorno al bene e al male: cioa che nulla a bene per l’uomo se non lo rende giusto, temperante, forte, liberale, e nulla a male, se non produce in lui i vizi opposti.

2              Ad ogni singola azione interroga te stesso: «Cosa significa quest’azione per me? Non dovrò poi pentirmene?». Tra un attimo sono morto e tutto a sparito. Se l’azione presente a quella di un essere dotato di intelletto, incline al vivere sociale, che ha le stesse leggi di dio, che cosa cerco di più?

3              Alessandro, Caio e Pompeo che cosa sono di fronte a Diogene ed Eraclito e Socrate? Questi ultimi, infatti, videro la realtà, le cause e le materie, e i loro principî dirigenti erano autonomi: là, invece, di quante cose preoccuparsi, e di quante essere schiavi!

4              Faranno non di meno le medesime cose, anche se crepi.

5              Per prima cosa non turbarti: tutto, infatti, a secondo la natura dell’universo e tra breve non sarai più nessuno, in nessun luogo, come Adriano, come Augusto. Poi concentra il tuo sguardo sulla cosa in sé e, ricordando che devi essere un uomo virtuoso e che cosa esige la natura dell’uomo, fallo senza voltarti indietro e parla nel modo che ti sembra più giusto: ma con benevolenza, con discrezione, e senza ipocrisia.

6              La natura dell’universo si occupa di questo: trasportare là le cose che sono qui, trasformarle, prenderle da una parte e portarle dall’altra. Tutto a mutamento, senza che con ciò si debba temere qualcosa di nuovo: tutto a consueto. E, analogamente, le attribuzioni della sorte sono sempre uguali.

7              Ogni natura a paga di procedere felicemente per la propria via; e una natura razionale procede felicemente se, tra le rappresentazioni, non dà l’assenso a una che sia falsa o oscura; se indirizza gli impulsi esclusivamente alle azioni utili alla comunità; quanto agli appetiti e alle avversioni, se ne limita il regime alle cose che dipendono da noi, e abbraccia di cuore tutto ciò che le viene attribuito dalla natura comune. Infatti a parte di essa, come la natura della foglia a parte della natura della pianta; tranne che, in questo caso, la natura della foglia a parte di una natura insensibile, irrazionale e assoggettabile a impedimento, mentre la natura dell’uomo a parte di una natura non assoggettabile a impedimento, dotata di intelletto e giusta, considerato che a ciascuno assegna porzioni di tempo, sostanza, causa, attività, ed evento che sono equivalenti e rispondono al merito. Non verificare, però, l’equivalenza del singolo fattore con il singolo fattore in ogni essere, ma l’equivalenza complessiva tra tutti i fattori di una cosa e tutti i fattori dell’altra.

8              Non a possibile leggere. Ma a possibile respingere la prepotenza; a possibile dominare piaceri e dolori; a possibile sollevarsi al di sopra della fama; a possibile non adirarsi con gli insensibili e gli ingrati, e, in più, prendersi cura di loro.

9              Che nessuno, neppure tu stesso, debba più sentirti criticare la vita di corte.

10           Il pentimento a una sorta di rimprovero che uno fa a se stesso per aver tralasciato qualcosa di utile; ma a il bene che deve costituire qualcosa di utile, e l’uomo moralmente superiore deve praticarlo; nessun uomo moralmente superiore, però, potrebbe mai pentirsi di aver tralasciato qualche piacere: pertanto il piacere non a una cosa utile né un bene.

11           Cos’a, questo, in sé e per sé, nella propria particolare costituzione? Qual a la sua componente sostanziale e materiale? Quale la sua componente causale? Cosa fa nel cosmo? Per quanto tempo sussiste?

12           Quando ti pesa svegliarti, ricorda che produrre azioni rivolte al bene comune a conforme alla tua costituzione e alla natura umana, mentre dormire a comune anche agli esseri irrazionali; e ciò che per ciascuno a conforme a natura gli a più appropriato e congeniale, e anche più gradito.

13           Continuamente e, se possibile, ad ogni rappresentazione, applica la scienza della natura, la scienza delle passioni, la dialettica.

14           Chiunque tu incontri, comincia sùbito col dire a te stesso: «Quest’uomo quali principî ha sul bene e sul male?». Perché se ha principî di un certo genere sul piacere e sul dolore e sui fattori dell’uno e dell’altro, sulla notorietà e l’oscurità, sulla morte e la vita, non mi risulterà affatto strano o sorprendente che possa agire in un certo modo, e ricorderò che a inevitabile che agisca così.

15           Ricorda che, come non fa onore stupirsi che un fico produca dei fichi, così non fa onore stupirsi che il cosmo produca questo genere di cose, di cui a produttore; ed al medico e al timoniere non fa onore stupirsi, il primo, che il tale abbia preso la febbre, il secondo, che si sia levato un vento contrario.

16           Ricorda che mutare opinione e seguire chi ti corregge a egualmente segno di libertà. Infatti a attività tua, che si compie secondo il tuo impulso e giudizio e, in particolare, secondo il tuo intelletto.

17           Se dipende da te, perché lo fai? Se dipende da altri, con chi te la prendi? Con gli atomi o con gli dai? In entrambi i casi a da folli. Non bisogna prendersela con nessuno. Infatti: se puoi, correggi la persona; se non puoi, correggi almeno quello che ha fatto; se non puoi fare neppure questo, a che ti giova prendertela? Non bisogna fare nulla che non abbia senso.

18           Ciò che a morto non cade fuori del cosmo. Se rimane qui, qui anche si trasforma e si dissolve nei propri elementi, che sono gli elementi del cosmo e i tuoi. Anch’essi si trasformano, e non mormorano.

19           Ogni singolo essere esiste per uno scopo: il cavallo, la vite … Perché ti stupisci? Anche il sole dirà: «Esisto per un determinato cómpito», e così pure gli altri dai. E tu, allora, per quale scopo esisti? Per godere? Vedi tu se il concetto sia ammissibile.

20           Per ciascun essere la natura ha avuto di mira la fine dell’esistenza, non meno che il suo inizio e il suo corso, proprio come chi lancia la palla: ora, quale bene ha mai la palla nel salire, quale male nello scendere o nell’essere giy caduta a terra? E quale bene ha la bolla intatta, quale male la bolla scoppiata? Lo stesso dicasi anche per una lucerna …

21           Rivoltalo e guarda com’a, come diventa nella vecchiaia, nella malattia, nella lussuria.

Ha vita breve chi loda e chi a lodato, chi ricorda e chi a ricordato, per di più nel cantuccio di questa zona del mondo, dove non sono neppure tutti d’accordo tra loro: anzi, neppure ciascuno con se stesso. E la terra intera a un punto.

22           Fai attenzione all’oggetto o all’attività o al principio o al significato. È quello che ti meriti! Tu preferisci diventare virtuoso domani invece che esserlo oggi.

23           Faccio qualcosa? Lo faccio riferendolo a un beneficio per gli uomini. Mi succede qualcosa? Lo accetto riferendolo agli dai e alla fonte di tutto, da cui provengono, in stretta connessione, tutti gli eventi.

24           Come ti si presenta il bagno – olio, sudore, sporco, acqua unta, tutte cose ripugnanti -, così a ogni parte della vita e ogni oggetto.

25           Lucilla ha seppellito Vero, poi a morta Lucilla; Seconda ha seppellito Massimo, poi Seconda a morta; Epitincano ha seppellito Diotimo, poi a morto Epitincano; Antonino ha seppellito Faustina, poi a morto Antonino. È sempre così: Celere ha seppellito Adriano, poi a morto Celere. E quegli uomini d’ingegno, o preveggenti, o boriosi, dove sono? Ad esempio, tra gli uomini d’ingegno, Carace, Demetrio il Platonico e Eudemone e tutti gli altri come loro? Tutto effimero, morto da tempo: alcuni non sono stati ricordati neppure per poco, altri si sono trasformati in personaggi leggendari, altri ancora, ormai, sono cancellati anche dalla leggenda. Ricorda questo, dunque: necessariamente il tuo aggregato verry disperso ovvero il tuo soffio vitale si estinguerà o trasmigrerà e sarà disposto altrove.

26           La gioia per l’uomo a fare ciò che a proprio dell’uomo. E proprio dell’uomo a la benevolenza verso i propri simili, il disprezzo dei movimenti dei sensi, il vaglio delle rappresentazioni verosimili, la contemplazione della natura universale e di ciò che avviene in conformità ad essa.

27           Tre rapporti: uno con il recipiente che ci contiene, un altro con la causa divina dalla quale deriva tutto ciò che
accade a tutti, il terzo con chi ci vive accanto.

28           O il dolore a male per il corpo – e allora sia il corpo a dichiararlo -, o per l’anima; ma all’anima a consentito mantenere la propria serenità e la propria calma e non formarsi l’opinione che si tratti di un male. Infatti ogni giudizio, ogni impulso, ogni appetito e avversione a dentro di noi, e nessun male penetra fino a qui.

29           Cancella le rappresentazioni dicendo continuamente a te stesso: «Ora dipende da me che in quest’anima non vi sia alcuna malvagità, alcun desiderio, in breve: alcun turbamento; invece, osservando ogni cosa quale davvero a, mi servo di ciascuna secondo il suo valore». Ricorda questa facoltà.

30           Parla conforme a natura, in senato e con chiunque: con decoro, senza affettazione; usa un linguaggio sincero.

31           La corte di Augusto: moglie, figlia, nipoti, figliastri, sorella, Agrippa, parenti, familiari, amici, Ario, Mecenate, medici, sacrificanti: tutti morti, la corte intera. Poi passa alle altre […] non la morte di un solo uomo, per esempio dei Pompei. E considera anche l’espressione che si incide sulle lapidi tombali: «ultimo della propria gente», pensa quanta pena si sono dati i suoi avi per lasciare un successore, mentre poi, inevitabilmente, arriva uno che a l’ultimo. Nuovamente tutti morti: anche qui, un’intera famiglia.

32           Bisogna comporre la vita un’azione per volta, e accontentarsi che ogni singola azione ottenga il suo risultato nei limiti del possibile: nessuno può impedirti che lo ottenga. «Ma sorgerà qualche ostacolo esterno». Non sarà, comunque, nulla che possa impedire una condotta giusta, temperante e razionale; forse ne verrà ostacolata qualche altra attività, ma accettando serenamente l’impedimento stesso e accingendosi di buon grado a compiere ciò che a consentito subentra immediatamente un’altra azione che si accorderà con la costruzione di cui stiamo parlando.

33           Prendi senza ostentare, lascia senza fare resistenza.

34           Se ti a mai capitato di vedere una mano troncata via, o un piede, oppure una testa spiccata che giace da qualche parte, lontano dal resto del corpo – ebbene, tale si rende, per quanto dipende da lui, chi non vuole ciò che accade e si recide dall’universo, o chi compie un’azione contraria al bene comune. Ti sei sbalzato via, in un qualche angolo, isolandoti da quell’unione che a conforme a natura: eri nato come parte, e ora ti sei scisso. Ma a qui che sta il fatto grandioso: puoi di nuovo tornare a quell’unione. Il dio non ha consentito a nessun’altra parte, una volta che si sia separata e recisa, di tornare ad unirsi. Ma osserva la bontà con cui ha voluto onorare l’uomo: gli ha dato il potere, all’inizio, di non separarsi dal tutto, e, quando proprio se ne sia separato, di ritornarvi, di aderire un’altra volta allo stesso organismo e di riprendere il suo posto di parte.

35           Come la natura degli esseri razionali […] le altre facoltà a ciascuno degli esseri razionali, così abbiamo preso da essa anche questa: nello stesso modo in cui essa ribalta tutto ciò che la ostacola e la contrasta, e lo dispone nell’ordine del destino e ne fa una parte di se stessa, così anche l’essere razionale può fare di ogni impedimento materia di se stesso, e può usarlo per il fine – qualunque esso sia – a cui lo dirigeva l’impulso.

36           Non ti deve confondere la rappresentazione della vita intera. Non abbracciare col pensiero quali e quante sofferenze, alla fine, a probabile che avrai dovuto sopportare, ma, nel momento in cui ciascuna si presenta, chiedi a te stesso cosa vi sia in questo fatto di insopportabile, di insostenibile. Avrai vergogna di ammettere che possa esservi qualcosa di simile. E poi ricorda a te stesso che non a il futuro né il passato ad opprimerti, ma sempre il presente. Questo, però, si riduce di molto, se lo isoli nei suoi confini, e se metti sotto accusa la tua mente quando essa non sia capace di resistere a un presente così inerme.

37           Pantea o Pergamo siedono forse ancora presso la tomba di Vero? E Cabria o Diotimo presso quella di Adriano? Che ridicolaggine! E se fossero seduti lì, Vero e Adriano potrebbero mai accorgersene? E se se ne accorgessero, potrebbero mai gioirne? E se ne gioissero, i loro liberti diventerebbero immortali? Non era forse destino che anche costoro prima invecchiassero, poi morissero? E poi, quando costoro fossero morti, cosa avrebbero dovuto fare i loro signori?

38           Tutto questo a fetore e sangue corrotto in un sacco: se hai la vista acuta, usala.

39           «Giudicando – come dice – con i più sapienti …», non vedo nella costituzione dell’essere razionale una virtù che insorga contro la giustizia: contro il piacere, invece, vedo insorgere la continenza.

40           Se sopprimi la tua opinione circa quello che pare affliggerti, ti sei collocato tu stesso nella posizione più sicura. «Tu stesso: chi?». La ragione. «Ma io non sono la ragione». D’accordo: allora a la ragione che non deve affliggere se stessa. E se a un’altra parte di te che patisce, sta a questa formulare un’opinione su di sé.

41           L’impedimento della sensazione a un male della natura animale; l’impedimento dell’impulso a, ancora, un male, della natura animale. Analogamente, c’a qualcos’altro che impedisce e danneggia la costituzione vegetale. Così, dunque, l’impedimento dell’intelletto a un male della natura intellettiva. Trasferisci tutto ciò a te stesso. Il dolore, il piacere ti toccano? Se la vedrà la sensazione. È sorto un ostacolo al tuo impulso? Se il tuo impulso a senza riserva, a questo punto si tratta già di un male che ti colpisce in quanto essere razionale; ma se afferri il concetto generale non sei ancora stato danneggiato né impedito. Nessun altro, però, suole impedire le attività proprie dell’intelletto, poiché questo non può essere sfiorato dal fuoco, dal ferro, dal tiranno, dalla calunnia, da qualsivoglia cosa: quando diviene «una sfera perfettamente tonda», tale rimane.

42           Non a giusto che io affligga me stesso: infatti non ho mai afflitto, volontariamente, nessun altro.

43           Chi si rallegra di questo, chi di quello: io mi rallegro se il mio principio dirigente a sano, se non prova avversione per nessun essere umano e per nulla di ciò che avviene agli esseri umani, ma guarda tutto con occhi benevoli, accetta tutto, e di ogni singola cosa fa uso secondo il suo valore.

44           Questo tempo presente concedilo a te stesso. Chi preferisce inseguire una fama presso i posteri non calcola che i posteri saranno altri uomini dello stesso stampo di quelli attuali, che egli non regge; e anche i posteri saranno mortali. Insomma, che ti importa che un domani quelli accompagnino il tuo nome con determinate espressioni o abbiano una determinata opinione su di te?

45           Prendimi e gettami dove vuoi. Là, infatti, manterrò il mio demone sereno, cioè pago di avere una disposizione e un’attività conformi a ciò che risponde alla sua costituzione. Il valore di questa cosa a forse tale che per essa la mia anima debba subire un turbamento e divenire peggiore, avvilendosi, bramando, facendosi anch’essa sommergere, spaventandosi? E cosa troverai che abbia tanto valore?

46           A nessun uomo può accadere qualcosa che non sia un’evenienza connessa con la condizione dell’uomo, né al bue qualcosa che non sia connesso con la condizione del bue, né alla vite ciò che non sia connesso con quella della vite, né alla pietra ciò che non sia proprio della pietra. Se dunque a ciascun essere accade ciò che a abituale e naturale, perché dovresti irritarti? La natura comune, infatti, non ti ha portato nulla di insopportabile.

47           Se soffri per una cosa esterna, non a quella che ti disturba, ma il tuo giudizio su di essa. Ma a in tuo potere cancellare sùbito questo giudizio. Se invece soffri per qualcosa che rientra nella tua disposizione interiore, chi potrà impedirti di correggere il tuo parere? E così pure, se soffri a non fare questa determinata cosa che ti pare valida, perché non la fai, invece di soffrire? «Ma c’a un ostacolo più forte di me». Allora non soffrire: non a in te la causa del tuo mancato agire. «Ma non vale la pena di vivere se non posso compiere questa azione». Esci dalla vita, allora, con animo ben disposto, così come muore chi quest’azione può compierla, e insieme sereno verso ciò che ti ostacola.

48           Ricorda che il principio dirigente diviene invincibile quando, raccoltosi in sé, a pago di non fare ciò che non vuole, anche se non ha ragione di opporsi. Che dire poi, quando giudica di qualcosa con scrupoloso raziocinio? Per questo la mente libera da passioni e un’acropoli: l’uomo, infatti, non ha nulla di più saldo in cui possa rifugiarsi per divenire per sempre imprendibile. Ora, chi non ha visto questo baluardo a un ignorante; chi lo ha visto e non vi si rifugia a uno sventurato.

49           Non dire a te stesso niente di più di quello che ti annunciano le rappresentazioni immediate. Ti a stato riferito che il tale parla male di te. Ti a stato riferito questo, non che ne hai subito un danno. Vedo che il bambino a malato. Vedo questo, non vedo che il bambino a in pericolo. Così rimani sempre alle prime rappresentazioni, senza aggiungere nulla di tuo dall’interno, e non ti succederà niente; meglio: aggiungi pure, ma come chi sa riconoscere ogni singolo evento nel cosmo.

50           Un cetriolo amaro? Gettalo via. Rovi sulla strada? Scòstati. Basta questo, non aggiungere: «Ma perché nel cosmo esistono queste cose?», altrimenti ti farai deridere da chi a esperto nella scienza della natura, come riderebbero di te un falegname e un calzolaio se tu avessi da ridire perché nel loro laboratorio vedi trucioli e ritagli di quello che stanno fabbricando. Eppure essi hanno almeno dove gettarli: mentre la natura dell’universo non ha nulla all’esterno, e il fatto prodigioso della sua arte a che, dopo essersi circoscritta trasforma in sé tutto ciò che al suo interno appare corrompersi, invecchiare e divenire inutile, e da questo stesso materiale ricava nuovi prodotti, in modo da non aver bisogno di sostanza da prelevare dall’esterno e da non richiedere un luogo dove espellere la materia deperita. Le basta, quindi, il suo spazio, la sua materia e l’arte che le a propria.

51           Non essere trascurato nelle tue azioni né confuso nel parlare, non vagare tra le rappresentazioni; con l’anima non ritrarti completamente, o, all’estremo opposto, non sbalzarti fuori; nella vita non privarti di ogni tempo libero. Uccidono, squartano, inveiscono con maledizioni: ma tutto questo in che cosa impedisce alla mente di restare pura, lucida, saggia, giusta? Sarebbe come se uno si fermasse ad una fonte d’acqua limpida e dolce e la insultasse: la fonte, naturalmente, non smette di far sgorgare la sua acqua pura; e anche se quello vi getta dentro del fango o dello sterco, la sorgente in un momento lo disperderà e lo porterà via, e non ne resterà minimamente inquinata. Come potrai, dunque, avere in te una sorgente perenne? Se in ogni istante ti manterrai libero, con benevolenza, semplicità e discrezione.

52           Chi non sa che c’a un cosmo, non sa dove egli stesso si trovi. E chi non sa per quale scopo il cosmo esista, non sa chi sia egli stesso, né cosa sia il cosmo. Chi ha tralasciato uno solo di questi punti non può neppure dire per quale scopo egli stesso esista. Chi ti sembra, dunque, colui che […] la lode di quelli che applaudono, i quali non sanno né dove siano, né chi siano?

53           Vuoi essere lodato da un uomo che maledice se stesso tre volte all’ora? Vuoi piacere a un uomo che non piace a se stesso? Piace a se stesso chi si pente di quasi tutto quello che fa?

54           Non limitarti più a respirare insieme con l’aria che ci circonda: ormai devi anche pensare insieme con l’intelletto che comprende e circonda ogni cosa. La facoltà razionale, infatti, a diffusa ovunque e permea chi a capace di attingere da essa, non meno di quanto l’aria permei chi può respirarla.

55           Parlando in generale, la malvagità non danneggia affatto il cosmo, e la malvagità individuale non danneggia assolutamente gli altri, ma a dannosa soltanto per colui che ha anche il potere di liberarsene, non appena lo voglia.

56           Per la mia facoltà di esprimere la scelta etica primaria l’analoga facoltà del prossimo a altrettanto indifferente quanto il suo povero soffio vitale e la sua povera carne. Infatti, anche se esistiamo, quanto più a possibile, gli uni per gli altri, tuttavia i nostri principî dirigenti hanno ciascuno la propria sovranità: poiché altrimenti la malvagità del prossimo finirebbe per essere il mio male, ciò che dio non ha voluto, per evitare che altri avessero il potere di rendermi infelice.

57           La luce del sole sembra essere diffusa – e in effetti a diffusa ovunque -, e tuttavia non a effusa: questo diffondersi, infatti, a un estendersi. I suoi fulgori, pertanto, ricevono il nome di raggi per il fatto che si irradiano. E puoi vedere di che natura sia un raggio se osservi la luce del sole penetrare in una camera buia attraverso una stretta fessura: si estende dritta avanti a sé e in certo modo si appoggia su qualunque oggetto solido le si opponga precludendole l’aria che si trova al di là dell’oggetto stesso; qui il raggio si ferma e non scivola né cade. Ebbene, così deve scorrere e diffondersi il pensiero: non effondersi, ma distendersi, e non giungere a un impatto violento e dirompente con gli ostacoli che incontra, e neppure cadere, ma arrestarsi e illuminare l’oggetto che lo riceve. Sarà l’oggetto che non riflette la sua luce a privarsene.

58           Chi teme la morte, teme o l’insensibilità o una diversa sensibilità. Ma se non avrai più sensibilità, non sentirai neppure alcun male; se avrai una sensibilità diversa, sarai un essere diverso e non cesserai di vivere.

59           Gli uomini esistono gli uni per gli altri: quindi insegna loro o sopportali.

60           Altro a il moto della freccia, altro il moto dell’intelletto; eppure l’intelletto, quando procede con cautela e quando si concentra nel suo esame, si muove diritto e verso l’obiettivo non meno della freccia.

61           Penetra nel principio dirigente di ciascuno, ma permetti anche a chiunque altro di penetrare nel tuo.

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IL TRATTATO DI MARCO AURELIO LIBRO VII

LIBRO VII

1          Cos’a la malvagità? È quello che hai visto tante volte. E per ogni avvenimento tieni sottomano la considerazione: «È quello che hai visto tante volte». Insomma, troverai il perenne andirivieni delle stesse cose, di cui sono piene le storie delle epoche antiche, delle età di mezzo, dei tempi recenti, di cui sono piene le città e le case. Nulla di nuovo: tutto a consueto e dura poco.

2              In che altro modo possono morire i principî, se non per l’estinguersi delle rappresentazioni ad essi corrispondenti, che sta a te ravvivare continuamente? Su questo punto posso nutrire l’opinione dovuta: e se posso, perché turbarmi? Ciò che a fuori della mia mente non a assolutamente nulla per la mia mente: imparalo, e sei un uomo retto. Puoi rivivere; torna a vedere le cose come le vedevi: questo significa rivivere.

3              Futilità di un corteo trionfale, drammi in scena, greggi, mandrie, combattimenti con la lancia, un osso gettato a dei botoli, un boccone di pane nelle vasche dei pesci, affannarsi di formiche sotto il carico, topolini impauriti che corrono qua e là, marionette mosse con i fili. In queste situazioni bisogna mantenere un atteggiamento benevolo, senza ombra di alterigia, pur osservando che ciascuno vale tanto quanto valgono le cose cui ha rivolto il suo impegno.

4              Bisogna seguire con attenzione, parola per parola, quello che si dice e, impulso per impulso, quello che avviene, e, in quest’ultimo caso, vedere sùbito con quale scopo a in relazione l’impulso, nel primo, osservare bene qual a il significato.

5              La mia mente arriva a questo oppure no? Se vi arriva, me ne servo come di uno strumento fornitomi per questo cómpito dalla natura universale; altrimenti, o cedo il cómpito a chi può svolgerlo meglio, oppure, se tale cómpito non può toccare ad altri, lo svolgo come posso, prendendo al mio fianco chi sia in grado, collaborando con il mio principio dirigente, di fare quel che ora a opportuno e utile alla comunità. Qualunque cosa, infatti, io faccia, con le mie forze o con l’aiuto di altri, occorre tendere a questa sola meta, a ciò che a utile e appropriato alla comunità.

6              … quanti, già celebratissimi, sono ormai consegnati all’oblio; e quanti, che li avevano celebrati, da tempo sono scomparsi.

7              Non vergognarti di ricevere aiuto: il cómpito che ti attende, infatti, a di fare il tuo dovere come un soldato che combatte sulle mura. E allora? E se tu, azzoppato, non fossi in grado di salire da solo sugli spalti, e ci riuscissi invece con l’aiuto di un altro?

8              Non lasciarti turbare dal futuro: ci arriverai, se dovrai arrivarci, con la stessa ragione che ora usi per il presente.

9              Tutte le cose si intrecciano tra loro e il loro legame a sacro, e si può dire che non ci sia cosa estranea alle altre, perché tutte sono coordinate e concorrono all’ordine del medesimo cosmo. Unico, infatti, a il cosmo formato da tutte le cose, unico il dio che pervade ogni cosa, unica la sostanza, unica la legge, comune la ragione di tutti gli esseri provvisti di intelligenza, unica la verità, poiché unica a pure la compiutezza degli esseri che hanno la stessa origine e partecipano della stessa ragione.

10           Ogni cosa materiale in un istante scompare nella sostanza dell’universo, ogni causa in un istante viene riassunta nella ragione universale, e in un istante il ricordo di ogni cosa sprofonda sepolto nell’eternità.

11           Per l’essere razionale la medesima azione che a conforme a natura a anche conforme a ragione.

12           Diritto o raddrizzato.

13           Lo stesso rapporto che in un singolo organismo intercorre tra le membra del corpo, collega, in esseri distinti, le capacità razionali, che sono state costituite per collaborare tra loro ad un’unica attività. Il concetto ti diverrà più evidente se ripeterai più volte a te stesso: «Sono un membro [mélos] del sistema formato dagli esseri razionali». Se invece dirai, con la lettera rho, di esserne solo una parte [méros], significa che non ami ancora gli uomini dal profondo del cuore, che il far del bene non ti allieta ancora con la piena consapevolezza della tua condotta, che continui a farlo come un semplice dovere, non ancora persuaso di fare del bene, così, anche a te stesso.

14           Ciò che vuole colpire, colpisca pure dall’esterno le cose che possono soffrirne. Queste, infatti, se vorranno, potranno lamentarsi delle proprie sofferenze, mentre io, se non ritengo che l’accaduto sia male, non ho ancora ricevuto danno. E ho la possibilità di non ritenere che si tratti di un male.

15           Qualunque cosa uno faccia o dica, devo essere un uomo virtuoso; come se l’oro o lo smeraldo o la porpora ripetessero sempre: «Qualunque cosa uno faccia o dica, devo essere uno smeraldo e mantenere il mio colore».

16           Il principio dirigente non provoca turbamenti a se stesso: intendo dire, per esempio, che non spaventa, non fa soffrire se stesso, non si induce a desiderare. Se un altro a in grado di spaventarlo o farlo soffrire, lo faccia: perché il principio dirigente, per la facoltà che ha di formarsi un’opinione, non si piegherà a simili alterazioni. Il corpo pensi, dal canto suo, a non patire nulla, se ne a capace, e, se patisce qualcosa, lo dica; ma l’anima, in quanto può formarsi un’opinione di ciò che prova paura, di ciò che sente dolore, insomma di tutta la situazione, non c’a rischio che patisca nulla: perché non ha cedimenti verso un simile giudizio. Il principio dirigente, per quanto da esso dipende, non ha bisogno di nulla, a meno di crearsi da sé una necessità, e analogamente a anche immune da turbamenti e ostacoli, a meno che non turbi o ostacoli se stesso.

17           Felicità a un demone buono o […] buono. Allora che fai qui, rappresentazione? Vattene, in nome degli dai, come sei venuta: non ho bisogno di te. Sei qui secondo la tua vecchia abitudine; non mi adiro con te: solo, vattene!

18           C’a qualcuno che teme la trasformazione? E cosa può avvenire senza trasformazione? E che cosa vi a di più caro o familiare alla natura dell’universo? Tu stesso puoi forse prendere un bagno caldo se la legna non si trasforma in calore? Puoi nutrirti, se il cibo non si trasforma? E che altro, tra le cose utili, può realizzarsi senza trasformazione? Non vedi, quindi, che anche la tua trasformazione a uguale a queste e ugualmente necessaria alla natura dell’universo?

19           Attraverso la sostanza universale passano, come attraverso un torrente, tutti i corpi, i quali condividono la natura dell’universo e con essa collaborano, come le nostre membra fanno tra loro. … quanti Crisippi, quanti Socrati, quanti Epitteti ha già ingoiato l’eternità. La stessa considerazione ti si presenti a proposito di qualsiasi uomo e qualsiasi cosa.

20           Di un’unica cosa mi preoccupo: di non trovarmi a fare ciò che la costituzione dell’uomo non vuole, o ad agire come non vuole o a compiere ciò che al momento non vuole.

21           È prossimo, per te, l’oblio di tutto; prossimo, per tutti, l’oblio di te.

22           Prerogativa propria dell’uomo a amare anche chi sbaglia. E questo si verifica, se ti si presenta il pensiero che si tratta di parenti e che sbagliano per ignoranza e senza volerlo, e che tra poco entrambi, tu e chi ha sbagliato, sarete morti, e, soprattutto, che costui non ti ha danneggiato, perché non ha reso il tuo principio dirigente peggiore di prima.

23           La natura universale dalla sostanza universale, come dalla cera, ora ha plasmato un cavallo, poi lo ha fuso e ha usato la sua materia per un albero, poi per un uomo, poi per qualcos’altro; e ciascuno di questi esseri a sorto per durare brevissimo tempo. Ma per un cofanetto non c’a nulla di terribile nell’essere distrutto come neppure nell’essere costruito.

24           Un volto oscurato dall’ira a decisamente contrario a natura: quando più volte […] alla fine si estingue, così da non poter più, in alcun modo, essere acceso. Cerca di afferrare bene almeno questo principio, cioè che si tratta di cosa contraria alla ragione. Perché se svaniry anche la percezione dell’errore, quale ragione di vivere resterà più?

25           La natura che governa l’universo tra un istante trasformerà tutte le cose che vedi, e dalla loro sostanza ne produrrà altre e dalla sostanza di queste altre ancora, perché il cosmo resti sempre giovane.

26           Quando uno sbaglia nei tuoi confronti, considera sùbito quale opinione sul bene o sul male lo ha spinto all’errore: se riuscirai a capirlo proverai compassione per lui e non sarai più sorpreso né adirato. Infatti, se hai ancora, anche tu, la sua stessa opinione del bene, o ne hai una simile, devi scusarlo; se invece la tua opinione del bene e del male non a più di questo genere, ti sary più facile essere indulgente con chi sbaglia.

27           Non pensare alle cose assenti come se fossero presenti, ma, tra quelle presenti, valuta le più favorevoli e ricorda, in proposito, come le cercheresti, se non le avessi a disposizione. Ma contemporaneamente bada di non abituarti, essendone così soddisfatto, ad apprezzarle al punto da turbarti se un giorno non ci fossero più.

28           Raccogliti in te stesso. Il principio razionale che ti dirige a per natura autosufficiente, quando agisce secondo giustizia, e proprio nell’agire così trova pace.

29           Cancella la rappresentazione. Ferma i fili che muovono la marionetta. Circoscrivi l’istante presente del tempo. Prendi cognizione di ciò che avviene a te o ad altri. Separa e suddividi l’oggetto in fattore causale e fattore materiale. Pensa all’ora estrema. Lascia l’errore di quell’uomo ly dove l’errore a sorto.

30           Applica il pensiero a quanto si dice. Penetra con la mente negli avvenimenti e nei loro fattori.

31           Illumina te stesso con la semplicità, il pudore e l’indifferenza per ciò che sta a metà tra la virtù e il vizio. Ama il genere umano. Segui dio. Quello dice: «Tutto a per convenzione, solo gli elementi esistono realmente». È sufficiente ricordare che tutto a per convenzione: a questo punto da ricordare c’a davvero poco.

32           [Sulla morte] O dispersione (nel caso la realtà sia costituita da atomi), o altrimenti (nel caso sia un’unità compatta) estinzione o trasmigrazione.

33           [Sul dolore] Ciò che a insopportabile uccide, ciò che invece perdura a sopportabile; la mente, ritirandosi in se stessa, mantiene la propria quiete, e il principio dirigente non riceve danno. Quanto alle parti danneggiate dal dolore, dichiarino, se sono in grado, la loro sofferenza.

34           [Sulla fama] Osserva la loro mente, quale natura abbia, quali cose eviti, quali insegua. E osserva che, come gli strati di sabbia depositandosi gli uni sugli altri nascondono quel che precede, così nella vita i fatti precedenti in un attimo sono nascosti dai fatti che vi si depositano sopra.

35           «A chi dunque ha una mente magnanima e l’attitudine ad abbracciare col pensiero la totalità del tempo e dell’essere, davvero tu credi che la vita umana possa sembrare una cosa molto importante? – Impossibile – disse quello. – E quindi un uomo di questo genere giudicherà forse la morte qualcosa di terribile? – No, affatto».

36           «È condizione di un re agire bene ed esser criticato».

37           È vergognoso che il volto si lasci docilmente atteggiare e comporre come ordina la mente, e la mente invece non sappia atteggiare e comporre se stessa.

38           «Non ci si deve adirare con le cose: a queste, infatti, non importa nulla».

39           «Agli dai immortali e a noi concedi motivi di gioia».

40           «… mietere la vita come una spiga matura, e che uno viva, l’altro no».

41           «E se dagli dai siamo stati trascurati io e i miei due figli, anche questo ha la sua ragione».

42           «Il bene e il giusto sono con me».

43           Non unirsi alle lamentazioni, non sussultare.

44           «A questo potrei giustamente ribattere: hai torto, amico mio, se credi che un uomo di un qualche minimo valore debba calcolare il rischio di vita e di morte e invece non considerare soltanto se, quando agisce, agisce giustamente o ingiustamente, e da uomo virtuoso o da malvagio».

45           «Perché, Ateniesi, la verità a questa: nel posto dove uno si schiera, perché lo ha giudicato il migliore o perché gli a stato assegnato dal comandante, in quel posto, a mio parere, deve rimanere e sfidare il pericolo senza dar peso alla morte e a nient’altro più che al disonore».

46           «Mio caro, guarda se la nobiltà d’animo e il bene non siano qualcosa di diverso dal salvare gli altri e se stessi; se chi a davvero un uomo non debba trascurare la durata della vita e, invece di attaccarvisi tanto, non debba piuttosto rimettere la questione al dio e, credendo a quello che dicono le donne – cioè che nessuno può sfuggire al suo destino -, pensare a vivere nel modo migliore per il tempo che deve vivere».

47           Osserva il corso degli astri, come ruotando insieme con essi, e considera continuamente il reciproco trasformarsi di un elemento nell’altro: la rappresentazione di queste cose purifica dalla lordura della vita su questa terra.

48           [Bello il pensiero di Platone!] E parlando degli uomini occorre anche osservare le cose terrene come da un luogo elevato si guarda verso il basso: mandrie, eserciti, campi coltivati, matrimoni, divorzi, nascite, morti, clamore di tribunali, terre deserte, popolazioni barbariche varie, feste, lamentazioni, mercati, tutto questo gran miscuglio e l’armonioso ordine che nasce dagli opposti.

49           Ripercorri nella mente il passato, tanti mutamenti di imperi e dominazioni; si può anche prevedere il futuro: sarà del tutto simile; e non a possibile uscire dal ritmo degli eventi attuali, per cui indagare la vita umana per quaranta anni o per diecimila a esattamente la stessa cosa. Infatti, cosa potrai vedere di più?

50           E:ciò che a nato dalla terra torna alla terra, e le stirpi germogliate dall’etere tornano alla volta eterea; in altri termini: dissolvimento dei reciproci legami degli atomi e una consimile dispersione degli elementi non passibili.

51           E: cercando con cibi, bevande e incantesimi di deviare il corso del destino, per non dover morire. Il vento che spira dagli dai a necessario sopportare, soffrendo senza lamenti.

52           Più abile nella lotta, non però più incline al bene comune, né più pudico, né più disciplinato verso gli avvenimenti, né più indulgente verso gli errori del prossimo.

53           Là dove un’azione può essere compiuta secondo la ragione comune agli dai e agli uomini, non vi a nulla da temere: perché là dove si può conseguire un vantaggio tramite un’attività che avanzi per la retta via e proceda conforme alla costituzione del soggetto, non si deve temere nessun danno.

54           Ovunque e continuamente a in tuo potere, esprimendo devozione agli dai, sentirti appagato dalla situazione presente, comportarti secondo giustizia con gli uomini presenti e applicarti scrupolosamente alla rappresentazione presente, perché non vi si insinui nulla che non sia stato compreso a fondo.

55           Non volgerti intorno a guardare i principî dirigenti degli altri, ma guarda dritto a quale meta ti guidi la natura – sia la natura universale, per mezzo degli avvenimenti che ti toccano, sia la tua, per mezzo dei doveri che ti attendono. Il dovere di ciascuno, d’altronde, a di fare quel che consegue alla sua costituzione; ora, mentre gli altri esseri sono stati costituiti per gli esseri razionali – e, del resto, in ogni altra situazione gli esseri inferiori sono costituiti per quelli superiori -, gli esseri razionali sono stati costituiti gli uni per gli altri. Quindi il valore eminente nella costituzione dell’uomo a l’inclinazione a vivere in società; al secondo posto viene la facoltà di non cedere alle passioni del corpo; infatti a proprio del movimento della ragione e dell’intelletto circoscrivere se stesso e non risultare mai inferiore al movimento dei sensi e a quello degli impulsi, poiché questi ultimi sono entrambi movimenti animali, mentre il movimento dell’intelletto vuole avere il primato e non essere dominato da quelli. Giustamente, senza dubbio, perché a nella sua natura disporre e servirsi di tutti quelli. La terza caratteristica, nella costituzione dell’essere razionale, a non esser precipitoso nei giudizi e non lasciarsi ingannare. Attenendosi a queste peculiarità, quindi, il principio dirigente percorra la retta via: e avrà ciò che a suo.

56           Fa conto di esser morto, di aver concluso ora la tua esistenza: devi vivere il resto dei tuoi giorni come un di più, secondo natura.

57           Ama unicamente quello che ti accade e viene intrecciato nella tua vita. Che può esservi di più appropriato?

58           Ad ogni singolo accadimento tieni davanti agli occhi coloro cui accadevano le stesse cose, dopodiché soffrivano, si stupivano, si lamentavano: e adesso quelli dove sono? In nessun luogo. E allora? Vuoi comportarti anche tu allo stesso modo? Non preferisci invece lasciare i turbamenti a te estranei a chi turba e a chi si lascia turbare, e dedicarti per intero a capire quale uso fare degli eventi? Infatti potrai farne buon uso e ne avrai materia per agire, purché tu presti attenzione e desideri essere virtuoso in tutto ciò che fai; e purché ti ricordi di ambedue le cose, che […] e importante ciò su cui verte l’azione.

59           Scava dentro di te. Dentro a la fonte del bene, e può sgorgare perenne, se perenne a il tuo scavo.

60           Bisogna anche che il corpo sia saldo e non venga agitato, né in movimento né in quiete. Bisogna esigere anche per l’intero corpo un risultato analogo a quello che la mente ottiene nel caso del volto, che essa sa conservare composto e decoroso. Ma a tutto questo si deve provvedere senza affettazione.

61           L’arte di vivere a più simile all’arte della lotta che a quella della danza, in quanto ci si deve sempre tener pronti e ben saldi contro gli accidenti imprevisti.

62           Esamina continuamente chi siano costoro che tu vuoi ti facciano da testimoni, e quali principî dirigenti abbiano. Guardando alle fonti della loro opinione e del loro impulso, infatti, non dovrai lamentarti di chi sbaglia involontariamente e non avrai bisogno della loro testimonianza.

63           «Ogni anima – dice – viene privata della verità contro il suo volere»; e così pure a privata della giustizia, della temperanza, della benevolenza e di ogni consimile virtù. Ricordarsi continuamente di questo a quanto di più necessario: così sarai più indulgente con tutti.

64           Ad ogni dolore, sia a portata di mano la considerazione: «Non si tratta di cosa turpe e non rende peggiore la mente che sta al timone: infatti non la danneggia né in quanto essa a razionale, né in quanto a disposta alla vita sociale». Ma nella maggior parte dei dolori ti soccorra anche la massima di Epicuro, cioè che il dolore non a insopportabile né eterno, se ricordi i suoi limiti e nel giudicarlo non aggiungi fantasie. E ricorda anche questo: molte sensazioni fastidiose sono uguali, benché non ce ne accorgiamo, al dolore: il torpore della sonnolenza, per esempio, il caldo soffocante, l’inappetenza. Perciò, ogni volta che ti senti afflitto da una di queste sensazioni, di’ a te stesso: «Stai cedendo al dolore».

65           Vedi di non provare mai per le persone disumane quello che gli uomini provano per gli uomini.

66           Da dove possiamo sapere se Telauge non avesse una disposizione morale superiore a quella di Socrate? Non basta, infatti, che Socrate abbia avuto una morte più gloriosa, che disputasse più abilmente con i sofisti, che abbia rivelato la sua straordinaria resistenza fisica nel passare la notte al gelo, che, ricevuto l’ordine di arrestare quell’uomo di Salamina, abbia così nobilmente ritenuto di trasgredirlo, e che per la strada camminasse con aria spavalda – fatto, questo, su cui bisognerebbe soffermarsi con molta attenzione, se fosse vero. Occorre invece esaminare questo: quale anima avesse Socrate, se sapesse accontentarsi di essere giusto nei rapporti con gli uomini e pio nei rapporti con gli dai, senza irritarsi gratuitamente contro la malvagità, senza esser schiavo dell’ignoranza di alcuno, senza ricevere come estraneo e subire come intollerabile nulla di ciò che, entro l’ordine universale, gli veniva assegnato, e senza permettere all’intelletto di partecipare alle passioni della carne.

67           La natura non ti ha mescolato nel composto universale in modo tale da non permetterti di circoscrivere te stesso e sottoporre al tuo dominio le cose che sono davvero tue; a più che possibile, infatti, diventare un uomo divino e non essere riconosciuto come tale da alcuno. Ricordatene sempre, e ricorda anche che la vita felice si basa su pochissime cose; e, se hai perso la speranza di poter diventare un dialettico o un fisico, non disperare per questo di poter diventare libero, pudico, atto alla vita sociale e obbediente a dio.

68           Trascorri la vita senza costrizione, nella più profonda gioia dell’anima, anche se tutti ti ingiuriano gridandoti tutto quello che vogliono, anche se le belve lacerano le misere membra di questo impasto che ti a cresciuto intorno. Cosa impedisce, infatti, che in mezzo a tutto questo la mente conservi la propria calma, il giudizio veritiero sulle circostanze e il pronto uso degli oggetti ad essa sottoposti? In maniera tale che il giudizio dica a ciò che gli si presenta; «Nella sostanza sei questo, anche se all’opinione sembri diverso», e l’uso dica a ciò che ricade nel suo àmbito: «Sei proprio tu quello che cercavo: perché per me quanto di volta in volta a presente a sempre materia per la virtù razionale e sociale e, in breve, per l’arte dell’uomo o del dio». Infatti ogni evento diviene familiare a dio o all’uomo e non a nuovo né difficile da maneggiare; anzi, a ben noto e facile all’impiego.

69           La completa realizzazione etica include questo: trascorrere ogni giorno come l’ultimo, senza sussulti, senza torpore, senza recite.

70           Gli dai pur essendo immortali non si indignano di esser destinati a sopportare perennemente, in una così vasta eternità, tanti e tali esseri meschini: anzi, si prendono cura di essi in ogni modo possibile. E tu, che tra un istante finirai, ti arrendi? Tu che oltre tutto sei uno di quegli esseri meschini?

71           È ridicolo non cercare di sottrarsi alla propria malvagità, come sarebbe possibile, e cercare di sottrarsi a quella degli altri, cosa impossibile.

72           La facoltà razionale e sociale giudica legittimamente inferiore a sé tutto ciò che le risulti sprovvisto di intelletto e di inclinazione alla società.

73           Quando tu hai fatto del bene e un altro lo ha ricevuto, qual a il terzo risultato che insegui, come gli sciocchi, oltre a questi due? La fama di benefattore? O il contraccambio?

74           Nessuno si stanca di ricevere benefici. I benefici sono azioni secondo natura: quindi non stancarti di riceverne, nel momento in cui ne fai.

75           La natura dell’universo seguì l’impulso di costruire il cosmo. Ora, o tutto ciò che avviene avviene in conseguenza di quell’atto, oppure sono irrazionali anche le cose più importanti, verso le quali il principio dirigente del cosmo orienta un particolare impulso. Questo principio, richiamato alla memoria, ti renderà più sereno verso molte cose.

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IL TRATTATO DI MARCO AURELIO LIBRO VI

I

LIBRO VI

1              La sostanza dell’universo a docile e duttile; e la ragione che la governa non ha in sé nessuna causa per cui debba produrre il male: perché in sé non ha male, a nulla fa del male e non c’a nulla che ne venga danneggiato. Tutto, invece, avviene e si compie secondo la ragione dell’universo.

2              Non far differenza se per svolgere il tuo cómpito tu debba soffrire il freddo o il caldo, ciondolare per il sonno o esser ben riposato, ricevere critiche o elogi, morire o fare qualcos’altro. Anche questa, che compiamo nel morire, a una delle azioni della vita: a sufficiente quindi, anche in questa occasione, provvedere bene al fatto presente.

3              Guarda dentro: di nessuna cosa ti sfugga la qualità che le a propria e il valore.

4              Tutti gli oggetti molto presto si trasformeranno e dilegueranno in vapore, se davvero la sostanza a una; altrimenti si disperderanno.

5              La ragione che governa sa con quale disposizione e che cosa compie, e nell’àmbito di quale materia.

6              Il modo migliore di difendersi a non assimilarsi.

7              Trova gioia e quiete in una sola cosa: nel passare da un’azione utile alla comunità a un’altra azione utile alla comunità, memore di dio.

8              Il principio dirigente a quello che desta se stesso, orienta, rende se stesso quale vuole essere, e a se stesso fa apparire ogni evento quale vuole che sia.

9              Ogni singola cosa si compie secondo la natura universale: non certo secondo un’altra natura che la includa dall’esterno o che sia inclusa al suo interno o che sia esterna e indipendente.

10           O miscuglio, groviglio e dispersione, ovvero unità, ordine e provvidenza. Nel primo caso: perché dovrei desiderare di trattenermi oltre in una congerie casuale e in una confusione come questa? Di che altro mi importa, se non del modo in cui, un giorno, «diventerò terra»? E perché farmi turbare? La dispersione, infatti, mi raggiungerà qualunque cosa io faccia. Nel secondo caso: esprimo venerazione, saldezza, fiducia verso colui che governa.

11           Quando sei costretto dalle circostanze a subire come un turbamento, torna rapidamente a te stesso e non estraniarti dal ritmo oltre l’indispensabile: tornando continuamente all’armonia crescerà il tuo dominio su di essa.

12           Se tu insieme avessi una matrigna e una madre, della prima avresti certamente cura, e tuttavia torneresti continuamente da tua madre. Questo, matrigna e madre, sono ora per te la corte e la filosofia: qui, alla filosofia, ritorna spesso, e trova pace in colei grazie alla quale quell’ambiente ti risulta sopportabile e tu risulti sopportabile in quell’ambiente.

13           Quanto vale, di fronte alle leccornie e ai cibi di questo genere, accogliere la rappresentazione: «questo a il cadavere di un pesce, quest’altro il cadavere di un uccello o di un maiale», e, ancora, «il Falerno a il succo di un grappolo d’uva», e «il laticlavio sono peli di pecora intrisi del sangue di una conchiglia»; e, a proposito dell’unione sessuale: «a sfregamento di un viscere e secrezione di muco accompagnata da spasmo»! Quanto valgono queste rappresentazioni che raggiungono le cose in sé e le penetrano totalmente, fino scorgere quale sia la loro vera natura. Così bisogna fare per tutta la vita, e, quando le cose ci si presentano troppo persuasive, bisogna denudarle e osservare a fondo la loro pochezza e sopprimere la ricerca per la quale acquisiscono tanta importanza. Perché la vanità a una terribile dispensatrice di falsi ragionamenti, e ti lasci più incantare proprio quando più ti pare di impegnarti in cose di valore. Vedi, quindi, cosa dice Cratete a proposito dello stesso Senocrate.

14           La maggior parte delle cose che la moltitudine ammira risalgono alle specie più comuni, costituite da un determinato stato o da una determinata natura: pietre, legna, fichi, viti, olivi; le cose che invece incontrano l’apprezzamento di persone un po’ più vicine alla giusta misura si riconducono a esseri animati, come greggi, mandrie; l’apprezzamento di persone ancora più raffinate va a specie dotate di un’anima razionale, non però in quanto puramente razionale, ma in quanto capace di un’arte o abile in qualche altra cosa, o, semplicemente, al possesso di una quantity di schiavi. Chi invece onora un’anima razionale e sociale, non si rivolge più a nessuna delle altre cose, ma al di sopra di tutto conserva la propria anima nel suo stato e moto razionale e sociale, e collabora a questo fine con quanti appartengono alla sua stirpe.

15           Vi sono esseri rapidi nel pervenire all’esistenza, altri nell’averla già compiuta; e anche in ciò che nasce qualcosa a giy estinto; flussi e alterazioni rinnovano continuamente il cosmo, come l’ininterrotto moto del tempo rende sempre nuova l’infinita eternità. E in questo fiume, tra queste cose che scorrono via a quale si può mai dare un valore, se su di essa a impossibile trovare un punto d’appoggio? Come se uno cominciasse ad amare qualcuno di quei passerotti che in un attimo volano via: ecco, a già scomparso alla vista. E la vita di ciascuno a qualcosa come l’evaporazione del sangue e l’inspirazione dell’aria. Quale, infatti, a il singolo atto, che continuamente ripetiamo, dell’inspirare e rimettere l’aria, tale a anche il restituire l’intera facoltà di respirare, che hai acquistato ieri o l’altro ieri al momento di nascere, la da dove l’hai attinta all’inizio.

16           Non ha grande valore né traspirare come le piante, né respirare come gli animali domestici e selvatici, né essere impressionati da una rappresentazione, né esser mossi come marionette da impulsi, né far parte di un gregge né nutrirsi (che a come evacuare i residui del cibo). Cos’ha valore, allora? Essere applauditi? No. Quindi neppure essere applauditi con la lingua: gli elogi della gente, infatti, sono un applauso tributato con la lingua. Bene, hai rifiutato anche la gloria: che cosa ti resta che abbia valore? La capacità, credo, di muoversi e di trattenersi secondo la propria costituzione, il che a anche il fine cui puntano le varie attività e arti. Ogni arte, infatti, mira a questo scopo, che il suo prodotto sia adatto a ciò per cui a stato prodotto: l’agricoltore che si cura della vite, il domatore di cavalli e l’allevatore di cani inseguono questo risultato. E l’opera del pedagogo, l’opera del maestro quale risultato inseguono? È qui, dunque, ciò che vale. E se va bene così, non dovrai conseguire nient’altro. Non vuoi smettere di apprezzare anche tante altre cose? Ebbene, non sarai libero né autosufficiente né esente da passioni. È inevitabile infatti che tu debba provare invidia, gelosia, sospetto verso chi può toglierti quelle cose, che tu debba insidiare chi possiede quello cui attribuisci valore; insomma, chi si sente privo di una di quelle cose inevitabilmente resta turbato, e per di più ha molto da rimproverare agli dai; mentre il rispetto e l’onore per la tua intelligenza ti renderanno soddisfatto di te stesso, in armonia con gli uomini e in intimo accordo con gli dai: pronto a lodare, cioè, quanto essi distribuiscono e hanno disposto.

17           I moti degli elementi: verso l’alto, verso il basso, in circolo. Il movimento della virtù, invece, non rientra in nessuno di questi, ma a qualcosa di più divino, e compie felicemente il suo corso procedendo per una via difficile da concepire.

18           Che tipo di comportamento, il loro! Non vogliono elogiare gli uomini che vivono negli stessi anni e accanto a loro, ma considerano molto ricevere l’elogio dei posteri, che non hanno mai visto e non vedranno mai. Il che a all’incirca come se tu soffrissi perché non hanno avuto parole di elogio per te anche gli antenati.

19           Se qualcosa ti si presenta difficile da realizzare, non pensare che sia impossibile per l’uomo; piuttosto, se qualcosa a possibile e appropriato all’uomo, consideralo raggiungibile anche per te.

20           Durante gli esercizi in palestra uno ci ha graffiato con le unghie e lanciandosi di testa ci ha ferito: eppure non usciamo in espressioni di riprovazione, non ci offendiamo, né, in futuro, lo sospettiamo di tenderci insidie; ce ne guardiamo, sì, ma non come da un nemico, né con sospetto, bensì evitandolo, senza rancore. Analogo comportamento si tenga anche negli altri settori della vita: non diamo peso a tante azioni di chi, per così dire, si allena misurandosi con noi! Perché, come ho detto, a possibile evitarli senza nutrire sospetti né ostilità.

21           Se qualcuno può contestarmi e dimostrare che le mie opinioni o le mie azioni non sono rette, sarò felice di mutare atteggiamento. Perché io cerco la verità, che non ha mai fatto danno a nessuno; mentre infligge un danno a se stesso chi persiste nel proprio inganno e nella propria ignoranza.

22           Io faccio il mio dovere, senza lasciarmi distrarre da tutto il resto: esseri inanimati, o irrazionali, o che si sono smarriti e non conoscono la strada.

23           Con gli animali sprovvisti di ragione e, in generale, con le cose e gli oggetti sensibili abbi un atteggiamento magnanimo e libero, come deve avere chi possiede la ragione con quanto ne a privo; con gli uomini, invece, abbi l’atteggiamento che conviene avere con chi possiede la ragione e che risponde ai principî della society. A ogni circostanza invoca gli dai e non porti il problema: «per quanto tempo potrò agire in questo modo?», perché sono sufficienti anche tre ore vissute così.

24           Alessandro il Macedone e il suo mulattiere morendo passarono alla medesima condizione: infatti o furono riassunti nelle medesime ragioni seminali del cosmo o furono dispersi, allo stesso modo, negli atomi.

25           Considera quante cose in uno stesso infinitesimale spazio di tempo avvengono, contemporaneamente, in ciascuno di noi, nel corpo e insieme nell’anima: e così non ti stupirai se un numero molto maggiore di fatti, anzi, tutto quanto avviene in quell’unico insieme di ogni cosa, che chiamiamo cosmo, si realizza contemporaneamente.

26           Se uno ti domandasse come si scrive il nome di Antonino, perderesti forse la pazienza mentre scandisci le lettere una per una? E se, dall’altra parte, dovessero adirarsi? Ti adireresti a tua volta? Non ti metterai invece a enumerare pacatamente ogni singola lettera? Allo stesso modo, anche qui, ricorda che ogni dovere si compone di un certo numero di fasi. Bisogna osservarle, senza perdere la calma e inquietarsi con chi si inquieta, e così realizzare con metodo l’obiettivo.

27           Com’a crudele non permettere agli uomini di seguire l’impulso verso ciò che pare loro appropriato e conveniente; eppure in certo modo tu non consenti loro di farlo quando ti indigni perché sbagliano: perché, in ogni caso, sono convinti di muoversi verso ciò che a loro appropriato e conveniente. «Ma non a così». Allora porgi loro gli insegnamenti e le indicazioni del caso, senza indignarti.

28           La morte a quiete dall’impressione dei sensi, dagli impulsi che ci muovono come marionette, dalle deviazioni del pensiero, dal servizio che prestiamo alla carne.

29           In quella vita in cui il tuo corpo non si arrende a vergognoso che sia l’anima ad arrendersi per prima.

30           Bada di non cesarizzarti, di non impregnarti con la porpora: succede, infatti. Mantieniti quindi semplice, buono, integro, serio, alieno da orpelli, amico del giusto, devoto, benevolo, affettuoso, forte nell’adempimento del tuo dovere. Lotta per rimanere tale quale ha voluto renderti la filosofia. Venera gli dai, soccorri gli uomini. La vita a breve: unico frutto dell’esistenza terrena sono una disposizione pia e azioni ispirate al bene comune. Compòrtati, in tutto, da allievo di Antonino: ti sia di modello la sua energia nelle azioni conformi a ragione, la sua condotta uguale in ogni circostanza, la sua devozione, la serenità del suo volto, la sua dolcezza, il suo rifiuto della vanagloria, il suo desiderio di comprendere le cose; e il fatto che mai, a nessun costo, avrebbe accantonato una questione prima di averla esaminata a fondo e compresa con chiarezza; che sopportava chi lo criticava ingiustamente, senza replicare con altre critiche; che non faceva nulla di fretta e non prestava orecchio alle calunnie; e l’acutezza con cui indagava caratteri e azioni, senza insultare, senza allarmarsi al minimo rumore, senza vivere nel sospetto, senza sofisticare; il suo accontentarsi di poco, per quanto ad esempio riguardava l’abitazione, il letto, il vestiario, il cibo, il servizio domestico; la sua laboriosità e magnanimità; la sua capacità di […] fino a sera, per la sua semplicità di vita, senza neppure aver bisogno di evacuare al di fuori dell’ora consueta; la solidità e la costanza che mostrava nelle sue amicizie; la sua tolleranza verso chi con franchezza si esprimeva contro le sue idee, e la gioia che provava se qualcuno indicava una via migliore; la sua religiosità, aliena da timori superstiziosi; perché, quando sopraggiungerà la tua ultima ora, la tua coscienza sia tranquilla come la sua.

31           Riacquista i sensi, riprenditi, e, una volta che ti sarai liberato dal sonno e ti sarai reso conto che quelli che ti turbavano erano solo sogni, allora, di nuovo sveglio, guarda queste cose come guardavi quelle.

32           Sono fatto di corpo e di anima. Per il corpo ogni cosa a indifferente: perché il corpo non può se non essere indifferente verso le cose. Per la mente, invece, a indifferente quanto non a prodotto della sua attività; mentre tutto ciò che a prodotto della sua attività ricade in suo potere. In quest’ambito, tuttavia, la mente si occupa soltanto del presente: perché di attimo in attimo la sua attività futura e passata le rimane, anch’essa, indifferente.

33           Né la mano né il piede compiono un lavoro contrario a natura, finché il piede esegue il cómpito del piede e la mano i cómpiti delle mani. Così pure, quindi, per l’uomo in quanto uomo il lavoro non a contrario a natura, finché egli svolge le funzioni proprie dell’uomo. E se non a per lui contrario a natura, non a neppure male per lui.

34           … quali piaceri hanno goduto briganti, invertiti, parricidi, tiranni.

35           Non vedi quanti, nell’esercizio del loro mestiere, si sforzano entro certi limiti di adeguarsi alle idee dei profani, e ciò non ostante si attengono alla ragione della loro arte e non accettano di staccarsene? Non a grave che l’architetto e il medico abbiano per la ragione del loro mestiere un rispetto maggiore di quello che l’uomo nutre per la propria ragione, che egli possiede in comune con gli dai?

36           L’Asia, l’Europa sono cantucci del cosmo; ogni mare a una goccia del cosmo; l’Athos a una piccola zolla del cosmo; l’intero tempo presente a un punto dell’eternità: tutto a piccolo, instabile, in atto di scomparire. Tutto viene di la, da quello che a il principio dirigente comune, per impulso diretto o per conseguenza. E, allora, le fauci spalancate del leone, il veleno e quanto provoca danno, come le spine, come il fango, sono accessori di ciò che a venerabile e bello. Non rappresentartelo, quindi, come estraneo a ciò che veneri, ma considera quella che a la fonte di tutto.

37           Chi ha visto la realtà presente ha visto tutto, sia ciò che a stato dall’eternità sia ciò che sarà fino all’infinito: perché tutto ha uguale origine e uguale aspetto.

38           Medita spesso sul vincolo che unisce tutte le cose nel cosmo e sul loro reciproco rapporto. In un certo modo, infatti, si intrecciano tutte tra loro e perciò sono tutte amiche l’una all’altra; infatti a una cosa consegue quest’altra, in forza del movimento di tensione, dell’intimo accordo e dell’unità della sostanza.

39           Adattati alla realtà alla quale sei stato abbinato dalla sorte; e le persone con le quali per tua sorte ti trovi a stare, amale, ma sinceramente.

40           Ogni strumento, arnese, utensile, se compie quello per cui a stato prodotto, va bene. Eppure, in questo caso, il loro produttore a lontano; mentre nel caso di ciò che a costituito da una sua natura, la forza che lo ha prodotto a e permane all’interno: tanto più, quindi, devi venerarla e, se la tua disposizione interiore e la tua condotta sono conformi al suo volere, ritenere che tutto sia conforme al tuo intendimento. Così pure per l’universo: ciò che gli appartiene a conforme al suo intendimento.

41           Qualunque cosa, tra quante non sono soggette alla tua scelta etica, tu ti ponga innanzi come bene o male, a inevitabile che, per essere incorso in quel determinato male o aver mancato quel determinato bene, tu debba lamentarti degli dai e odiare gli uomini che sono o, tu sospetti, saranno responsabili dell’insuccesso o dell’incidente; e sono molte le ingiustizie che commettiamo perché non restiamo indifferenti a questo genere di cose. Se invece giudichiamo beni e mali solo le cose che sono in nostro potere, non rimane più ragione alcuna né di accusare dio né di assumere atteggiamento ostile verso un uomo.

42           Tutti collaboriamo a un solo risultato finale, alcuni con lucida consapevolezza, gli altri senza saperlo – nel modo in cui anche chi dorme, mi pare che dica Eraclito, lavora e collabora agli eventi del cosmo. Chi collabora in un modo, chi in un altro, e per giunta collabora anche chi critica e tenta di contrastare e cancellare gli avvenimenti: evidentemente il cosmo aveva bisogno anche di individui come lui. Vedi, quindi, di capire tra chi vuoi schierarti: egli, infatti, colui che governa l’universo, farà in ogni caso buon uso di te e ti accoglierà, in questo o in quell’altro ruolo, tra i suoi collaboratori e cooperatori. Ma tu non assumere un ruolo come quello che ha nel dramma il verso inutile e ridicolo di cui parla Crisippo.

43           Il sole pretende forse di svolgere il cómpito della pioggia? Asclepio pretende forse le prerogative della Carpofora? E i singoli astri? Non sono forse entity diverse, ma cooperanti al medesimo fine?

44           Se gli dai hanno deliberato riguardo a me e a quanto mi deve avvenire, hanno deliberato bene (quanto a un dio che non decida, non a facile neppure immaginarlo). Per quale ragione avrebbero dovuto cercare di farmi del male? Che ne sarebbe venuto a loro o al complesso dell’universo, che a il primo dei loro pensieri? Se invece non hanno deliberato al mio personale riguardo, hanno in ogni caso deliberato sul complesso dell’universo: devo allora accogliere di buon grado anche questi eventi che conseguono alla loro deliberazione. E se proprio non deliberano riguardo a nulla – ma non a pio crederlo: altrimenti smettiamo di sacrificare, pregare, giurare, fare le altre cose che, ogni volta, facciamo rivolgendoci agli dai come presenti e accanto a noi -, se proprio non deliberano circa nessuna delle cose che ci riguardano, mi rimane sempre la facoltà di deliberare su me stesso, e di cercare quel che conviene. Ma a ciascuno conviene quel che a conforme alla sua costituzione e natura: e la mia natura a razionale e sociale. Per me, in quanto Antonino, città e patria a Roma; in quanto uomo, il cosmo. Per me, quindi, a bene solo ciò che giova a queste città.

45           Quanto avviene a ciascuno conviene all’universo. Sarebbe già sufficiente questo; ma in generale, osservando con attenzione, noterai ancora che quanto avviene a un uomo, conviene anche agli altri uomini. Questa volta si prenda «ciò che conviene» nel senso comune dell’espressione, con riferimento alle cose intermedie.

46           Come ti infastidiscono i giochi dell’anfiteatro e di simili luoghi, perché vedi sempre le stesse cose e la monotonia dello spettacolo sazia fino alla nausea, provi lo stesso fastidio anche per l’intera esistenza: tutto, infatti, nel suo su e giù, a la medesima cosa e ha la medesima origine. Fino a quando, dunque?

47           Pensa continuamente agli uomini (di ogni genere, di ogni professione, delle più varie classi sociali) che sono morti, fino ad arrivare, seguendo questo filo, a Filistione, Febo e Origanione. Passa ora alle altre stirpi. La nostra trasformazione ci condurrà proprio la dove sono finiti tanti abili retori, e tanti autorevoli filosofi – Eraclito, Pitagora, Socrate – e, prima di loro, tanti eroi, poi tanti generali, tanti tiranni; e, ancora, Eudosso, Ipparco, Archirnede, altri personaggi acuti, magnanimi, laboriosi, attivi in ogni campo, orgogliosi, canzonatori di questa stessa vita umana, mortale ed effimera, quali Menippo e gli altri come lui. Pensa che tutti costoro giacciono morti da tempo. E in questo cosa c’a di terribile per loro? E che cosa, poi, per coloro di cui non rimane neppure il nome? Una sola cosa, qui, ha davvero valore: vivere sempre nella verità e nella giustizia, ma indulgenti con i bugiardi e gli ingiusti.

48           Quando vuoi rallegrarti, considera i pregi di chi ti vive accanto: il carattere energico di uno, per esempio, la riservatezza di un altro, la generosità di un altro ancora, e così via. Nulla, infatti, rallegra come le sembianze delle virtù che traspaiono nel carattere di chi ci vive accanto e tutte insieme, per quanto a possibile, balzano ai nostri occhi. Perciò bisogna anche tenerle a portata di mano.

49           Ti inquieti forse perché pesi un dato numero di libbre e non 300? Così pure non inquietarti perché devi vivere un dato numero di anni e non oltre: infatti, come sei pago della quantità di sostanza che ti a stata assegnata, così devi esserlo anche per il tempo.

50           Cerca di convincerli, ma agisci anche contro il loro volere, quando la ragione della giustizia lo esiga. Se tuttavia qualcuno ricorre alla forza per sbarrarti la strada, assumi uno stato d’animo ugualmente soddisfatto, senza cedere al dolore, e approfitta di quell’impedimento per esercitare un’altra virtù, e ricorda che sul tuo impulso gravava una riserva, e che non puntavi all’impossibile. A cosa, allora? A seguire, appunto, un impulso di quel determinato genere. Una meta che raggiungi: quello per cui siamo stati prodotti si realizza.

51           Chi cerca la fama ripone il proprio bene in un’attività altrui, chi cerca il piacere nella propria passività: chi ha senno, nella propria azione.

52           Su questo punto a possibile non formarsi alcuna opinione e, quindi, non turbare la propria anima – di per sé, infatti, le cose non hanno natura atta a produrre i nostri giudizi.

53           Abìtuati a considerare con estrema attenzione le parole degli altri, e per quanto puoi entra nell’anima di chi sta parlando.

54           Quel che non a utile allo sciame non a utile neppure all’ape.

55           Se i marinai criticassero il timoniere, o i malati il medico, a che altro penserebbero se non a come uno agisce per l’incolumità dell’equipaggio o per la salute dei pazienti?

56           … quanti, con cui sono entrato nel cosmo, se ne sono già andati.

57           Agli itterici il miele sembra amaro, agli idrofobi l’acqua fa paura e ai bambini piace la palla. Perché mi adiro,  allora? Ti pare forse che l’errore abbia meno effetto di quanto ne ha la bile sull’itterico e il virus sull’idrofobo?

58           Nessuno ti impedirà di vivere conforme alla ragione della tua natura; non ti succederà nulla di contrario alla ragione della natura comune.

59           … che genere di persone sono quelle cui gli uomini vogliono piacere, e per quali profitti e con quali attività; come, ben presto, l’eternità coprirà tutte le cose e quante ne ha già coperte.

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IL TRATTATO DI MARCO AURELIO LIBRO V°

LIBRO V

1              All’alba, quando ti svegli di malavoglia, tieni sottomano questo pensiero: «Mi sveglio per svolgere il mio compito di uomo; e ancora protesto per avviarmi a fare quello per cui sono nato e per cui sono stato introdotto nel cosmo? O forse sono stato fatto per restare a letto a scaldarmi sotto le coperte?». «Questo, però, a più piacevole». Sei nato, allora, per godere? Il che, insomma, non significa forse: per essere passivo? O, invece, sei nato per essere attivo? Non vedi che le piante, i passeri, le formiche, i ragni, le api svolgono il proprio cómpito, collaborando per la loro parte alla vita dell’universo? E tu, allora, non vuoi fare ciò che a proprio dell’uomo, non corri verso ciò che a secondo la tua natura? «Ma a necessario anche riposarsi». È necessario, lo dico anch’io: la natura, però, ha posto una misura anche per questo, ne ha posto una anche per il mangiare e il bere; e tu, ciò non ostante, vai al di la della misura, al di la di quel che a sufficiente? Non lo fai più, però, quando si tratta di agire: allora ti tieni «nei limiti del possibile»! Non ami te stesso: perché in tal caso ameresti anche la tua natura e la sua volontà. Altri, che amano il proprio lavoro, vi consumano ogni energia, saltando il bagno, saltando i pasti: tu onori la tua natura meno di quanto il cesellatore onori il cesello o il danzatore la danza o l’avaro il denaro o il vanaglorioso la sua misera gloria? Eppure costoro, quando si appassionano, sono disposti a non mangiare e a non dormire pur di veder crescere l’opera in cui sono impegnati: a te invece le azioni ispirate al bene della comunità sembrano di minor valore, meno degne di attenzione?

2              Come a facile respingere e cancellare ogni rappresentazione molesta o impropria, e trovarsi sùbito in una calma assoluta.

3              Ritieniti degno di ogni parola e azione che siano conformi a natura; e non cedere al pensiero che ne possano conseguire le critiche o le chiacchiere di alcuni, ma, se a bene che una cosa sia fatta o detta, non giudicartene indegno. Quelli, infatti, hanno un proprio principio dirigente e seguono un proprio impulso: tu non tenerne conto, ma raggiungi la meta per la via dritta, seguendo la tua natura personale e quella comune: una sola, per entrambe, a la strada.

4              Procedo attraverso ciò che a secondo natura, finché, caduto, riposerò, esalando l’ultimo respiro in ciò da cui ogni giorno traggo respiro, cadendo su ciò da cui mio padre raccolse lo sperma, mia madre il sangue e la mia nutrice il latte, ciò da cui ogni giorno, da tanti anni, traggo cibo e bevanda, ciò che mi sostiene mentre lo calpesto e lo sfrutto per tante cose.

5              Non possono ammirare il tuo acume. D’accordo, ma possono ammirare molte altre doti, per le quali non puoi dire: «La natura non mi ha dato questa qualità». Metti in campo, quindi, quelle che dipendono interamente da te: la genuinità, la serietà, la resistenza a fatiche e dolori, l’indifferenza al piacere, la piena accettazione della sorte, la sobrietà nelle esigenze, la benevolenza, la liberty, la semplicità, l’avversione per le chiacchiere, la magnanimità. Non ti accorgi quante doti – per le quali non puoi assolutamente accampare di non aver disposizione naturale o attitudine – sei già in grado di mettere in atto e, ciò non ostante, continui volontariamente a restare al di sotto dei tuoi mezzi? O a forse la scarsa disposizione naturale che ti costringe a mormorare, a esser gretto, adulare, lagnarti del tuo povero corpo, mostrarti compiacente, millantare, ondeggiare tanto nell’anima? No, per gli dai: anzi, di tali atteggiamenti ti saresti potuto liberare da tempo, o, semmai, avresti potuto essere giudicato solo poco pronto e poco dotato d’ingegno. Ma anche in questo bisogna esercitarsi, invece di trascurare il problema e crogiolarsi nel torpore.

6              Ci sono persone pronte, quando hanno conseguito un merito presso qualcuno, a mettergli in conto il favore. C’a chi a questo non arriva, e tuttavia dentro di sé considera l’altro un debitore ed a ben consapevole di ciò che ha fatto. Ci sono poi altri che, in certo modo, non sono neppure consapevoli di quello che hanno fatto, ma assomigliano alla vite che produce il grappolo e, una volta che ha prodotto il proprio frutto, non cerca altro – come pure il cavallo che compiuto la sua corsa, il segugio che ha lavorato sulle peste, l’ape che ha fatto il miele. E un uomo che ha agito bene non si mette a gridarlo, ma passa a un’altra azione, come la vite passa a produrre ancora, quando a stagione, il grappolo. Ora, bisogna appartenere al novero di queste persone che agiscono così: in certo modo, senza rendersene conto. «Sì – dirà qualcuno – eppure proprio di questo occorrerebbe rendersi conto, perché a caratteristica dell’essere sociale comprendere di agire per la society, e, per Zeus, esigere che lo comprendano anche gli altri componenti della society». Quello che dici a vero, ma fraintendi ciò di cui si sta parlando ora; perciò sarai uno di quelli che ho ricordato prima: anche loro, infatti, si lasciano fuorviare da una parvenza di logica. Se però vorrai comprendere di cosa mai si stia parlando, non temere di dover per questo trascurare alcuna azione utile alla comunità.

7              Preghiera degli Ateniesi: «Piovi, piovi, o caro Zeus, sui campi e sulla piana degli Ateniesi». O non si deve pregare, o si deve farlo così, semplicemente e schiettamente.

8              Come si dice: «Asclepio ha ordinato al tale di cavalcare, o di lavarsi con l’acqua fredda o di camminare scalzo», così pure si può dire: «la natura universale ha ordinato al tale una malattia o una menomazione o una perdita o simili». Infatti nel primo caso «ha ordinato» significa all’incirca «ha disposto per lui questa cura, in quanto idonea alla sua salute»; e anche nel secondo caso ciò che accade a ciascuno a stato in certo modo disposto in quanto idoneo al suo destino. Così pure diciamo che le cose «avvengono» come gli architetti dicono che le pietre squadrate «convengono», nelle mura o nelle piramidi, perché si adattano l’una all’altra in un determinato assetto. Nell’insieme, infatti, l’armonia a una sola, e come dal complesso di tutti i corpi si realizza un simile corpo – il cosmo -, così dal complesso di tutte le cause si realizza una simile causa: il destino. E anche coloro che sono completamente sprovvisti di istruzione filosofica capiscono di cosa parlo; dicono infatti: «il destino gli ha portato questo». Quindi: questo a stato portato a lui, questo a stato disposto per lui. Allora accettiamo queste prescrizioni come quelle di Asclepio. Anche tra esse ve ne sono molte pesanti, ma noi le accettiamo volentieri nella speranza di ottenere la salute. Considera la compiuta realizzazione di ciò che pare bene alla natura comune come la tua salute. E così accetta di cuore tutto ciò che avviene, anche se ti risulta alquanto aspro, perché conduce la, alla salute del cosmo, al pieno e felice successo di Zeus. Egli, infatti, non avrebbe mai portato questo evento a qualcuno, se questo evento non avesse comportato un vantaggio per l’universo: né una qualsivoglia natura arreca qualcosa che non sia adatto a ciò che a governato da essa. Perciò devi amare quel che ti accade per due ragioni: la prima, perché a per te che doveva avvenire, per te a stato disposto e con te stava in un determinato rapporto, intessuto, indietro nel tempo, con i fili delle cause più antiche; la seconda, perché per colui che governa il tutto anche ciò che tocca singolarmente a ciascuno a fattore che contribuisce alla prosperity, alla compiutezza e, per Zeus, alla sussistenza stessa. L’intero viene mutilato, infatti, se dal complesso e dalla compagine tu amputi anche solo una delle parti e così pure delle cause; e, per quanto sta in te, quando ti senti in contrasto con il tutto tu amputi e in certo modo sottrai.

9              Non disgustarti, non scoraggiarti, e non avvilirti se non ti riesce stabilmente di compiere ogni singola azione secondo retti principî, ma, dopo un insuccesso, ripercorri di nuovo i tuoi passi e sii già contento, se le tue azioni sono per la maggior parte più degne di un uomo, e ama ciò a cui ritorni, e non ritornare alla filosofia come a un pedagogo, ma come i malati agli occhi ritornano alla spugnetta e all’uovo, come altri all’impiastro, al fomento. In questo modo, infatti, non ostenterai per nulla la tua obbedienza alla ragione, ma troverai quiete in essa. Ricorda, però, che la filosofia vuole unicamente ciò che vuole la tua natura, mentre tu volevi altro, non conforme a natura. Del resto, cosa c’a di più attraente di ciò che a conforme a natura? Il piacere non inganna forse proprio perché attrae? Ma allora osserva se non seduca di più la magnanimità, la libertà, la semplicità, la mitezza, la devozione agli dai. E cosa attrae più della saggezza stessa, quando consideri che la facoltà di comprendere e conoscere con esattezza assicurano un cammino esente da errori e sicuro in ogni circostanza?

10           La realtà, in certo modo, a avvolta in un tale viluppo da essere apparsa assolutamente inafferrabile a non pochi filosofi, e non a filosofi qualsiasi (per non dire che agli stoici stessi appare difficilmente afferrabile). E ogni nostro assenso a mutevole: dov’a, infatti, l’uomo che non muta mai? Passa quindi a considerare direttamente gli oggetti, come abbiano breve durata e scarso valore e possano appartenere a un invertito o a una prostituta o a un brigante. Dopo di che passa a considerare il carattere di coloro che ti vivono accanto: si fa fatica a sopportare anche il più amabile di loro, per non dire che uno fatica a tollerare anche se stesso. Ora, in una simile oscurità, in una simile lordura, in tanto fluire della sostanza, del tempo e del movimento e di ciò che a in moto, non riesco a vedere cosa possa mai esserci che meriti il nostro apprezzamento o, in ogni caso, il nostro impegno. Al contrario: bisogna confortare se stessi e attendere la soluzione naturale, e non spazientirsi per l’attesa, ma trovar quiete in queste sole considerazioni: la prima, che non mi succederà nulla che non sia conforme alla natura universale; la seconda, che non mi a consentito fare nulla contro il mio dio e demone. Non c’a nessuno, infatti, che possa costringermi a trasgredire il suo volere.

11           Per quale scopo debbo usare ora la mia anima? In ogni singola circostanza poniti questa domanda e verifica: «Cosa c’a, ora, in questa parte di me che chiamano principio dirigente, e di chi, ora, ho l’anima: di un bambino? di un ragazzino? di una donnetta? di un tiranno? di un animale da allevamento? di un animale selvatico?».

12           Quale sia la natura delle cose che ai più sembrano beni, puoi capirlo anche da questo ragionamento. Se uno considera come veri beni taluni che effettivamente lo sono, come la saggezza, la temperanza, la giustizia, la fortezza, dopo averli così concepiti non può più stare ad ascoltare quel verso: «per i beni …», perché non risponde alla sua situazione. Mentre chi valuta come beni quelli che ai più sembrano tali ascolterà fino in fondo la frase del poeta comico e non avrà difficoltà ad accettarla, giudicandola appropriata. Così anche i più hanno idea della differenza: altrimenti non succederebbe che, nel primo caso, l’espressione urti e venga respinta, nel secondo, invece, accettiamo come conveniente e spiritosa la battuta sulla ricchezza e sui colpi di fortuna che portano lusso o gloria. Prosegui, allora, e chiediti se si debbano onorare e ritenere beni cose tali che, dopo averle così valutate, pare appropriato aggiungere che chi le possiede «non ha più», per la sua ricchezza, «dove poter cacare».

13           Sono composto di elemento causale ed elemento materiale; nessuno dei due si perderà nel nulla, come neppure a sorto dal nulla. Pertanto ogni mia parte, attraverso trasformazione, sarà ricondotta a una parte del cosmo, e a sua volta quella si trasformerà in un’altra parte del cosmo e così via all’infinito. Anch’io esisto come prodotto di tale trasformazione, e così i miei genitori, e così via, procedendo a ritroso, ancora all’infinito. Nulla, infatti, impedisce di esprimersi in questo modo, anche nell’eventualità che il cosmo sia governato per cicli definiti.

14           La ragione e l’arte di ragionare sono facoltà sufficienti a se stesse e al loro operato. Muovono, quindi, da un proprio principio, e procedono verso il fine proposto; di conseguenza, simili azioni vengono chiamate «azioni rette», a indicare il loro percorso rettilineo.

15           L’uomo non deve occuparsi di nessuna delle cose che non convengono all’uomo in quanto tale. Non sono esigenze dell’uomo, non le ripromette la natura umana, non danno compiutezza alla natura umana. Quindi in esse non si trova neppure il fine posto all’uomo né ciò che realizza compiutamente tale fine, il bene. Ancora: se una di queste cose convenisse all’uomo, non sarebbe conveniente disprezzarle e combatterle, e non sarebbe degno di lode chi mostrasse di saperne fare a meno, né, se davvero queste cose fossero beni, sarebbe virtuoso chi si pone dei limiti in alcuna di esse. Ora, invece, uno a tanto più virtuoso quanto più accetta di privarsi di queste e altre simili cose, o di esserne privato da altri.

16           Quali saranno le tue rappresentazioni ricorrenti, tale sarà la tua mente: le rappresentazioni, infatti, impregnano l’anima con il proprio colore. Pertanto impregnala continuamente con rappresentazioni quali, per esempio: «dove si può vivere, si può anche vivere bene; a corte si può vivere; quindi a corte si può anche vivere bene». E, ancora: «ogni singolo essere muove verso ciò per cui a stato prodotto; il suo fine sta in ciò verso cui muove; dove sta il fine, là sta anche l’utile e il bene di ciascun essere; il bene dell’essere razionale, quindi, a vivere in società». Infatti a da tempo dimostrato che siamo nati per la vita in società. O non era evidente che gli esseri inferiori esistono per quelli superiori, e quelli superiori esistono gli uni per gli altri? E gli esseri animati sono superiori agli esseri inanimati, gli esseri razionali agli esseri semplicemente animati.

17           Inseguire l’impossibile a da folli: ed a impossibile che i malvagi non facciano cose del genere.

18           A nessuno accade nulla che egli non possa per natura sopportare. A un altro accadono le stesse cose e questi, o perché ignora che gli sono accadute, o perché vuole esibire grandezza d’animo, resta ben saldo e ne esce senza danno. È grave, quindi, che ignoranza e compiacimento siano più forti della saggezza.

19           Le cose di per sé non sfiorano in alcun modo l’anima, né hanno accesso alcuno all’anima, né possono modificare o muovere l’anima; essa soltanto modifica e muove se stessa, e rende per sé le cose che la raggiungono dall’esterno tali quali sono i giudizi che su di esse si ritiene degna di esprimere.

20           Per un verso abbiamo il più stretto legame con gli uomini, in quanto dobbiamo far loro del bene e sopportarli; per l’altro, invece, in quanto certuni mi ostacolano nello svolgimento del mio specifico operato, gli uomini divengono per me una delle cose indifferenti, non meno del sole o del vento o di una belva. Ora, questi possono sì intralciare un’attività, ma l’impulso e la disposizione non hanno ostacoli, poiché ricorrendo alla riserva li abbattono. Il pensiero, infatti, travolge e trasforma ogni ostacolo alla sua attività nel vero valore che la guida, e così ciò che frenava quella data azione diviene utile all’azione e ciò che sbarrava quella data via aiuta a percorrerla.

21           Degli esseri che si trovano nel cosmo onora il migliore: a quello che di tutto dispone e tutto governa. Allo stesso modo, anche di quanto si trova in te onora il meglio: a ciò che condivide la natura di quell’essere supremo; anche in te, infatti, a quello che dispone di tutto il resto, e la tua vita a sotto il suo governo.

22           Ciò che non a dannoso alla città, non danneggia neppure il cittadino. Ad ogni rappresentazione di un danno subito, applica questa regola: se la città non a danneggiata da questo, non risulto danneggiato neppure io. E se la città non riceve danno, non ci si deve adirare con l’autore dell’azione dannosa, ma mostrargli qual a la sua mancanza.

23           Considera spesso la rapidità del passaggio e della scomparsa degli esseri e degli avvenimenti. La sostanza, infatti, a come un fiume che scorre ininterrottamente, le attività soggiacciono a continue trasformazioni, le cause a migliaia di modificazioni e non c’a pressoché nulla di stabile; e considera, proprio qui accanto, questo infinito abisso del passato e del futuro, in cui tutto scompare. Come può, dunque, non essere folle chi in questa situazione a tanto pieno di sé o spasima o si lamenta come se il suo tormento dovesse durare a lungo?

24           Ricorda l’intera sostanza, della quale partecipi in entità minima; l’intera eternità, di cui ti a stato assegnato un breve, infinitesimale intervallo; e il destino, di cui tu quale minuscola parte sei?

25           Un altro commette una colpa nei miei confronti? Se la vedrà lui: ha una propria disposizione interna, una propria attività. Io ora ho ciò che la natura comune vuole che io ora abbia, e faccio ciò che la mia natura vuole che io ora faccia.

26           Il principio dirigente e sovrano della tua anima sia una parte immodificabile dai movimenti dolci o aspri che si verificano nella carne, e non vi si mescoli, ma circoscriva se stesso e confini quelle passioni nei loro organi. Qualora invece si propaghino fino alla mente attraverso l’altro genere di simpatia – come cioè avviene nell’ambito di un corpo che a unico -, allora non si deve tentare di contrastare il passo alla sensazione, che a naturale, ma il principio dirigente non aggiunga di suo l’opinione che si tratti di bene o di male.

27           Vivere con gli dai. Vive con gli dai chi continuamente mostra loro la propria anima soddisfatta di ciò che gli viene assegnato in sorte, e in atto di compiere quanto vuole il demone che Zeus, quale frammento di sé, ha dato a ciascuno perché lo guidi e lo diriga. Questo demone a l’intelletto e la ragione di ciascuno.

28           Ti adiri forse con chi puzza di caprone? Ti adiri forse con chi ha l’alito pesante? E che ti farà mai? Ha la bocca che si ritrova, ha le ascelle che si ritrova: a inevitabile che dalla condizione in cui si trova derivino simili effluvi. «Ma l’uomo – si obietta – possiede la ragione e può comprendere, riflettendo, in che cosa sbaglia». Benissimo! Quindi anche tu possiedi la ragione: con la tua disposizione razionale smuovi la sua disposizione razionale, indicagli, richiamagli l’errore. Se ti ascolta, lo curerai e non ci sarà bisogno di adirarsi. Né attore tragico né prostituta.

29           Qui a possibile vivere nello stesso modo in cui pensi di vivere una volta uscito di qui. E se non te lo dovessero permettere, allora esci anche dalla vita: come chi, però, non patisce per questo nulla di male. C’a fumo, e quindi me ne vado: perché credi che sia un fatto importante? Finché, però, nulla di simile mi spinge a uscire, rimango libero e nessuno mi potrà impedire di fare quello che voglio; e il mio volere a conforme alla natura dell’essere razionale e sociale.

30           La mente dell’universo a favorevole al vincolo sociale. Quindi ha prodotto gli esseri inferiori per quelli superiori, e ha posto gli esseri superiori in reciproca connessione. Vedi come ha subordinato, coordinato e assegnato a ciascuno secondo il merito, e come ha condotto gli esseri eminenti a reciproca concordia.

31           … come ti sei comportato fino ad ora verso gli dai, i genitori, i fratelli, la moglie, i figli, i maestri, gli istitutori, gli amici, i parenti, gli schiavi; se fino ad ora per te a valso, nei confronti di tutti, il principio di «non fare né dire ad alcuno nulla di ingiusto». Ricorda anche attraverso quali esperienze sei passato e quali sei riuscito a sopportare. E ricorda che ormai la storia della tua vita a compiuta e il tuo servizio a alla fine, e quante cose belle hai visto e quanti piaceri e dolori hai disprezzato, e quante occasioni di gloria hai trascurato, e con quanti ingrati sei stato benevolo.

32           Perché anime senz’arte e ignoranti confondono un’anima che ha arte e scienza? Ma qual a, allora, l’anima che ha arte e scienza? Quella che conosce l’inizio e la fine e la ragione che attraversa l’intera sostanza e che lungo tutta l’eternità governa il tutto per periodi definiti.

33           In men che si dica, cenere o scheletro e semplice nome o neppure più nome; e il nome a solo rumore e voce che risuona. Le cose che nella vita si considerano tanto preziose sono vuote, marce, piccole, botoli che si azzannano, bambini rissosi che ridono, e un attimo dopo piangono. La lealty, invece, il pudore, la giustizia e la verità «dalla terra dalle ampie strade» [sono volate] «sull’Olimpo». Allora che cos’a che ancora ti trattiene qui, visto che gli oggetti della sensazione sono quanto mai mutevoli e instabili, gli organi della sensazione ottusi e corrivi a impressioni illusorie, la stessa povera anima a alito che evapora dal sangue, e aver buona fama presso gente come questa a cosa vacua? E allora? Attenderai sereno di estinguerti o trasmigrare? E finché non sarà giunto quel momento, che cosa basta fare? Che altro se non venerare e benedire gli dai, far del bene agli uomini e sopportarli, e astenersi, e ricordare che quanto cade fuori dei limiti della tua misera carne e del tuo misero soffio vitale non a tuo né in tuo potere?

34           Hai sempre la possibilità di fare un viaggio felice, poiché hai anche la possibilità di procedere per la retta via, e conformare ad essa le tue opinioni e azioni. All’anima del dio e a quella dell’uomo e di ogni essere razionale sono comuni queste due facoltà: non essere impediti da altri e riporre il bene nella disposizione interna e nell’azione conformi a giustizia, portando ad esaurirsi qui ogni desiderio.

35           Se questa non a cattiveria mia né azione che avvenga per mia cattiveria, e se la comunità non ne viene danneggiata, che interesse posso avere alla cosa? Quale danno ne viene alla società?

36           Non lasciarti trascinare totalmente dalla rappresentazione, ma presta il tuo aiuto agli altri secondo le tue possibilità e secondo il loro merito, anche se il danno che lamentano riguarda le cose intermedie (ma, allora, non rappresentartelo come un danno: a una cattiva abitudine). Invece, come faceva quel vecchio che, al momento di andarsene, chiedeva la trottola del suo pupillo, ben ricordando che si trattava di una trottola, così appunto fai anche tu, qui […]. Uomo, ti sei dimenticato di cosa si trattava? «Sì, lo ricordo bene: ma per costoro hanno grande importanza». E per questo, quindi, dovresti diventar pazzo anche tu?

37           Un tempo ero, in qualunque situazione fossi colto, un uomo fortunato; ma «fortunato» significa: che ha assegnato a se stesso una buona sorte; e una buona sorte significa: buone inclinazioni dell’anima, buoni impulsi, buone azioni.

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